Introduzione
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II
dell’ordine di decine di nm, che esegue una scansione sulla superficie del
campione, acquisendo in maniera sequenziale misure di forze. Mentre la punta
scandisce la superficie, la leva, si deflette. Misurando la deflessione della leva è
possibile ottenere un'immagine topografica della superficie. L’AFM può
analizzare la superficie di qualsiasi tipo di materiale (conduttore e non, rigido o
cedevole, ecc., ecc.) e raggiunge in alcuni casi la risoluzione atomica.
Una peculiarità di questo strumento è la possibilità di poter fare misure anche in
ambiente liquido; ciò comporta vantaggi quali la riduzione di un fattore 10 - 100
delle forze applicate rispetto a quelle che necessiterebbero in aria, inoltre, per
molte applicazioni, l'acqua è un mezzo naturale: ad esempio i materiali biologici
subiscono un rapido degrado se non sono conservati in soluzione elettrolitica.
Il presente lavoro di tesi riguarda l'uso, la modifica e l'ingegnerizzazione del set
- up sperimentale di un microscopio a forza atomica, operativo presso il
laboratorio di nanotecnologie ed elettronica molecolare del DIBE, al fine di
creare una stazione di lavoro per misure di variazioni di stress superficiale di
una microleva in silicio.
Si presentano inoltre i risultati di una serie di misure effettuate per verificare sia
il corretto funzionamento del set – up, sia la validità della tecnica proposta.
Il protocollo su cui si basano le misure effettuate, descritte e presentate nella
presente tesi, è il seguente:
Una delle due facce di una microleva commerciale di nitruro di silicio viene
ricoperta da un materiale opportuno. In questo modo si ha una struttura costituita
da due superfici di materiale differente (Si
3
N
4
- Au, ad esempio).In tali
condizioni le due facce della microleva possono subire processi d’interazione
diversi, con particolari specie chimiche presenti in fase gassosa o liquida. Di
conseguenza si verificano diversi fenomeni di stress superficiale sulle due facce.
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Ciò causa l'incurvatura della microleva. La deflessione della leva viene rilevata
con la stessa tecnica (deflessione di un raggio laser) utilizzata per il
funzionamento del microscopio a forza atomica di cui la microleva fa parte. In
conclusione, come sarà analizzato in modo quantitativo nella tesi, esiste una
relazione tra l'energia d’interazione di specie chimiche con le superfici della
microleva e l'incurvatura della microleva stessa. Questo fatto può permettere lo
sviluppo di microsensori estremamente sensibili, sia in fase gassosa, sia in fase
liquida.
Gran parte del lavoro è consistito in un’indagine sperimentale del principio di
funzionamento sopra descritto. Allo scopo, una delle facce della microleva è
stata ricoperta da molecole organiche in grado di auto – organizzarsi su oro,
(tioli), e n’è stata studiata l'interazione con elettroliti, introdotti secondo la scala
di Hofmeister. Un secondo insieme di misure ha riguardato l'interazione con un
surfactante; infine, si è voluta estendere la possibilità di sperimentazione
aggiungendo nel banco di lavoro creato, un potenziostato, attraverso il quale è
possibile applicare una polarizzazione elettrica esterna, controllata, alla
microleva.
In questo modo è possibile imporre, ad un lato della leva, una tensione rispetto
ad un elettrodo di riferimento, immerso nella stessa soluzione elettrolitica. Ciò
permette di misurare come vari lo stress superficiale della superficie polarizzata,
al variare del potenziale.
La presente tesi è articolata in otto capitoli
Nel primo capitolo viene presentato il microscopio a forza atomica e descritto il
principio di funzionamento.
Introduzione
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Il secondo capitolo descrive le microleve in silicio, approfondendo in particolare
gli aspetti relativi alle misure effettuate.
Nel terzo capitolo si espone la teoria della deformazione dei solidi, in particolare
si fa riferimento alle variazioni differenziali di stress superficiale e di come esse
siano legate alla deflessione di una microleva commerciale di un microscopio a
forza atomica.
Il quarto ed il quinto capitolo forniscono una descrizione generale
rispettivamente di cosa sono l’effetto Hofmeister ed i surfactanti. Inoltre si
affrontano gli aspetti teorici dei fenomeni di interazione che si sono studiati. In
particolare si presentano le teorie che si trovano in letteratura, le quali sono poi
verificate e discusse, alla luce dei risultati ottenuti.
Il lavoro sperimentale con l’ingegnerizzazione del set – up dell’AFM viene
presentato nel sesto capitolo, insieme alla descrizione dei passi seguiti per ogni
misura ed alla presentazione dei dati ottenuti.
Nel settimo capitolo s’intraprende la discussione dei risultati fornendone
un’interpretazione e presentando anche una stima quantitativa dei fenomeni di
interazione studiati. Infine si propongono possibili applicazioni biosensoristiche
della tecnica utilizzata.
L’ottavo capitolo affronta e risolve i problemi legati alla possibilità di effettuare
misure in un ambiente polarizzato, mediante l’utilizzo di un potenziostato.
Capitolo 1
MICROSCOPIO A FORZA
ATOMICA
Capitolo 1 Microscopio a forza atomica
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1.1 IL MICROSCOPIO A FORZA ATOMICA
1.1.1 Introduzione
Il microscopio a forza atomica (AFM), ideato nel 1986 da G.Binnig, C.Quate e
C.Gerber
1
, fa parte della famiglia dei microscopi a sonda di scansione (Scanning
Probe Microscopes - SPM) il cui "progenitore" è il microscopio ad effetto tunnel
(STM), costruito nel 1981 dai premi Nobel per la Fisica G.Binnig e H. Rohrer
2
Tutti questi microscopi utilizzano sensori (sonde: probes) e rivelano interazioni
di diverso tipo tra la sonda e il campione in esame; il sensore compie una
scansione sul campione, acquisendo in maniera sequenziale misure
dell’interazione. Le misure sono convertite in un segnale elettrico che può essere
registrato e opportunamente trattato e a partire dal quale viene costruita
l'immagine.
Col tempo, all'STM e all'AFM si sono affiancati altri tipi di SPM, che si
distinguono per il tipo d’interazione rilevata e anche per il sensore usato. Fra
questi lo SNOM (Scanning Near-Field Optical Microscope)
3
, lo STOM
(Scanning Tunneling Opticai Microscope)
4, 5
e lo SPNM (Scanning Plasmon
Near-Field Microscope)
6
sono essenzialmente microscopi ottici che sfruttano,
rispettivamente, la diffusione di un'onda in campo prossimo, l'effetto tunnel
ottico e l'interazione fra una punta metallica e i plasmoni (oscillazioni nella
densità di carica) eccitati da un laser su una superficie, anch'essa metallica; le
risoluzioni raggiunte con questi microscopi sono dell'ordine del nm. Un'altra
famiglia, più vecchia, di microscopi a scansione è costituita dal SEM (Scanning
Electron Microscope) e dallo STEM (Scanning Trasmission Electron
Capitolo 1 Microscopio a forza atomica
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Microscope) che misurano gli elettroni scatterati dal campione con risoluzioni di
centinaia di nm per il SEM e dell'ordine dell'Angstrom per lo STEM. Il SEM e
lo STEM presentano caratteristiche diverse dai nuovi microscopi a scansione:
sono molto più costosi dell'STM e dell'AFM, producono forti alterazioni nel
campione, e hanno bisogno di operare sotto ultra alto vuoto, ma soprattutto, a
differenza dell'STM e dell'AFM, non forniscono immagini tridimensionali della
superficie del campione.
L'STM è costituito essenzialmente da una punta di materiale conduttore che
viene avvicinata a poche decine di Ångstrom di distanza da una superficie,
anch'essa conduttrice; tra punta e campione è applicata una differenza di
potenziale. Per effetto tunnel si instaura una corrente che è funzione della
barriera fra le due superfici, ovvero dello spessore del mezzo interposto (vuoto o
aria). Facendo scorrere la punta sul campione, dalla corrente si può dedurre la
distanza fra la punta e la superficie punto per punto.
Dal punto di vista della risoluzione, l
’
STM è il microscopio con il quale si sono
ottenuti i migliori risultati. Tuttavia questo tipo di microscopio presenta due
grossi inconvenienti: può operare solo su superfici conduttrici e
preferenzialmente in atmosfera controllata o sotto ultra alto vuoto.
L'AFM supera questi ostacoli (può lavorare su qualsiasi campione ed in
qualsiasi ambiente), ma non raggiunge la stessa risoluzione, o almeno non la
raggiunge con la stessa facilità.
Il principio di funzionamento di questo microscopio è molto semplice: una punta
collocata all'estremità di una microleva viene avvicinata o portata a contatto con
la superficie di un campione montato su un attuatore piezoelettrico. Sotto
l'azione delle varie forze che si esercitano fra punta e campione, la microleva si
deflette; tale deflessione può essere rivelata con diversi metodi e convertita in un
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segnale elettrico, elaborando il quale si può ricostruire l'immagine nel caso in
cui la punta scandisca il campione.
Possiamo schematizzare un AFM come in Figura 1.1.1
Schema generale di un microscopio a forza atomica.
Figura 1.1.1
Nei paragrafi seguenti verranno analizzati in dettaglio i componenti appena
citati.
1.1.2 Le microleve
Il cuore d’ogni SPM è costituito dal sensore che fornisce, tramite la sua
interazione idealmente puntuale col campione, l'immagine di quest’ultimo.
Capitolo 1 Microscopio a forza atomica
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Il sensore di forza utilizzato nell'AFM è una microleva con punta microintegrata
(Figura 1.1.2) che si deflette proporzionalmente alle forze d'interazione fra punta
e campione o fra punta e ambiente che la circonda.
Quando la punta interagisce col campione, in generale, oltre alle deflessioni,
subirà delle torsioni; questo può essere sfruttato per misurare l'attrito fra punta e
campione nel Friction Force Microscope (FFM).
Chip commerciale in Pyrex sul quale sono applicate una o più microleve.
Figura 1.1.2
1.1.3 Metodi di rivelazione della deflessione
Per ottenere la risoluzione atomica, il metodo di rivelazione delle deflessioni
deve essere sensibile a spostamenti inferiori ad un Ångstron, con una banda
passante che va dalla continua ad alcuni kHz.
I metodi provati sono essenzialmente quattro: il tunnel elettronico
1, 7, 8, 9
, il tunnel
ottico
10
, l'interferometria ottica
11
e la leva ottica
12
(che è quello usato
normalmente).