Introduzione
8
inaspettata e favorevole, spesso decisiva a modificare o invertire il corso degli eventi1. Nella crescita della
produzione industriale italiana non vi fu nulla di soprannaturale o di imprevedibile. Al
riguardo, appare senza alcun dubbio più corretta ed accettabile l’interpretazione di Raffaele
Mattioli, che la definì un processo fisiologico di recupero del ritardo accumulato nei secoli precedenti,
stimolato da fattori solo apparentemente negativi riconducibili alla sconfitta bellica, da un’opportuna politica
di liberalizzazione degli scambi, dalla rimozione di antiche strozzature, dall’effetto dell’emigrazione, dal
contesto espansivo dell’economia mondiale2.
In realtà, si trattò, forse, del completamento di una trasformazione, iniziata quasi
settant’anni prima nelle campagne dell’Italia settentrionale. La pesantissima crisi che, nel
corso dell’ottavo decennio del XIX secolo, colpì le produzioni cerealicole pose le premesse
per una profonda metamorfosi dei rapporti sociali ed economici presenti in seno al mondo
agricolo. L’unico vero miracolo, se proprio si desidera utilizzare questa definizione tanto
inadeguata a descrivere un fenomeno di tipo economico, fu quello dell’agricoltura lombarda
che, pur in assenza di qualunque seria forma di sostegno da parte dello Stato, in pochissimi
anni riuscì a rilanciarsi, raggiungendo, e talvolta superando, i livelli degli altri paesi europei.
Tale straordinario sviluppo è da attribuire, oltre che all’impianto tipicamente capitalistico
delle aziende agricole della pianura irrigua, che certamente favorì le innovazioni, al ruolo
fondamentale giocato dalla rete di istituzioni locali, pubbliche e private, presenti sul
territorio. Nella seconda metà dell’Ottocento, la Lombardia fu teatro di grandi fiere ed
esposizioni agricole, di convegni e di esperimenti, più o meno riusciti, tutti volti a
promuovere efficienti strutture per l’istruzione agraria. Tra i promotori v’erano quasi
sempre enti, associazioni e fondazioni private, riunite in consorzi con le amministrazioni
provinciali e comunali. In poco più di un ventennio, lo scarto fra le province della Bassa
lombarda ed il resto dell’Italia, per quanto riguarda la produttività delle colture, divenne
1
Definizione G. Devoto e G. C. Oli, 1983.
2
Cfr. Gianni Toniolo, Cent’anni, 1894 – 1994. La Banca Commerciale e l’economia italiana, realizzato a
cura dell’Archivio Storico della Banca Commerciale Italiana, Milano, 1994, p. 95.
Introduzione
9
enorme. Dove l’agricoltura era in grado di generare redditi consistenti, come nell’irriguo
padano, venne accentuato l’indirizzo zootecnico delle aziende, con una razionalizzazione
dei processi produttivi ed il graduale abbandono delle pratiche tradizionali. Altrove, gli
investimenti si indirizzarono verso lo sviluppo di attività manifatturiere, essenzialmente
legate all’artigianato locale.
Il cambiamento investì in pieno anche l’insieme dei rapporti che caratterizzavano la società
nel suo insieme. La Lombardia della prima metà del Novecento era un complesso mosaico
di realtà estremamente varie. Molte rigide le barriere culturali, linguistiche ed anche fisiche
attraversavano un territorio mai completamente unificato sotto un solo padrone. La
mobilità interna era molto scarsa. Le prime automobili, costose ed inaffidabili, avevano una
diffusione estremamente limitata ed i trasporti, soprattutto nelle aree rurali, facevano
ancora ampio ricorso alla trazione animale. Le differenze esistenti nell’ambito delle
tradizioni locali si condensavano nella struttura dei contratti agrari. Il rapporto esistente fra
chi possiede la terra e chi la coltiva con la forza delle proprie braccia costituisce una
variabile cruciale nella determinazione delle dinamiche di una società di tipo tradizionale.
Le dimensioni dei nuclei familiari e l’atteggiamento nei confronti del risparmio e degli
investimenti erano, senza alcun dubbio, molto diverse in realtà in cui prevaleva la
mezzadria, rispetto ad altre ove dominava il grande affitto. Uno studio, pubblicato dal
Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio nel 18913, registrava un’estrema varietà
nelle forme contrattuali praticate in Lombardia. Complessivamente, si potevano identificare
almeno tre differenti tipologie di affitto, ed innumerevoli versioni della colonia parziaria. Le
clausole relative ai singoli aspetti del rapporto cambiavano notevolmente da zona a zona.
Alla fine degli anni Sessanta, al contrario, la maggior parte delle aziende agricole era
3
I contratti agrarii in Italia, Tip. Nazionale di G. Bertero, 1891, Roma, pubblicato a cura del Ministero di
Agricoltura, Industria e Commercio.
Introduzione
10
direttamente gestita dai proprietari e dalla loro famiglia, con un ricorso alla manodopera
salariata, che era generalmente molto limitato4.
La crescita del settore agricolo non riuscì ad alimentare immediatamente un consistente
sviluppo della grande industria. I capitali e le risorse prodotte rimasero, piuttosto, sul
territorio, favorendo la nascita di una vasta rete di piccole e medie imprese, estremamente
vitali, le cui attività mantenevano spesso stretti legami con il mondo rurale. Utilizzando
un’efficacissima espressione di Gianluigi Della Valentina, è corretto affermare che, anche
nella sua area economicamente più sviluppata, il paese si stesse trasformando da agricolo-
industriale, ad industriale-agrario, ma non in industriale tout court5. Le motivazioni che
possono essere addotte al riguardo sono numerose. In primo luogo, si registrò il netto
fallimento delle grandi banche nel finanziamento del progresso industriale. Anche un
istituto molto solido, quale fu certamente la Banca Commerciale Italiana, nata con il preciso
scopo di finanziare progetti ad elevata intensità di capitale, si trovò presto in gravi
difficoltà, e dovette rinunciare al ruolo di prima e più importante banca mista operante sul
territorio nazionale. Lo Stato imprenditore, con le sue inefficienze ed indecisioni, non si
dimostrò capace di gestire la transizione, vale a dire di costituire realmente uno di quei
“fattori sostitutivi” cui fece riferimento A. Gerschenkron6. D’altra parte, i ceti agrari
mancavano di spirito di iniziativa, forse davvero estraneo alle culture di matrice cattolica,
come sostenevano Weber e Sismondi, che aveva permesso ai proprietari terrieri inglesi di
promuovere la prima rivoluzione industriale7. Il mondo agricolo, per via della propria
attitudine culturale, aveva sempre nutrito un’estrema diffidenza per gli investimenti che
potevano risultare, anche solo potenzialmente, rischiosi. Un errore nelle pratiche di
4
Caratteri strutturali dell’agricoltura lombarda 1961 – 1970, pubblicato a cura della Cassa di Risparmio
delle Provincie Lombarde, Milano, 1971, p. 63 e sgg.
5
Gianluigi Della Valentina, Agricoltura e sviluppo economico in Lombardia tra le due guerre, p. 22, in:
Agricoltura e forze sociali in Lombardia nella crisi degli anni Trenta, AA. VV, Franco Angeli Editore,
Milano, 1983.
6
Ved. A. Gerschenkron, Economic backwardness in historical prospective, Harvard University Press,
Cambridge, 1962.
7
Cfr. K. R. Greenfield, Economia e liberalismo nel Risorgimento, il movimento nazionale in Lombardia
dal 1814 al 1848, Laterza, 1940, Bari, p. 96.
Introduzione
11
coltivazione, un esperimento che si rivelava errato, poteva costare all’agricoltore ed alla sua
famiglia un’intera annata di miseria e di disperazione. Non a caso, la principale forma di
finanziamento, utilizzata nelle campagne lombarde, era rappresentata dal credito fondiario,
coperto da cospicue garanzie reali e caratterizzato da un tasso di interesse abbastanza
contenuto, mentre la cambiale costituiva lo strumento cui, in assoluto, si faceva maggiore
ricorso per ottenere prestiti8. La terra aveva un valore enorme, sia quale “bene rifugio”,
capace di garantire rendite cospicue anche nei periodi di più profonda crisi, che per il
prestigio e l’autorità conferiti dal suo possesso. Accadeva assai di rado che un podere fosse
venduto ed, in tal caso, il prezzo richiesto era notevolmente superiore al valore effettivo.
Gli stessi imprenditori, giunto il momento del ritiro dagli affari, impiegavano le fortune
accumulate con il commercio o l’industria nell’acquisto di un fondo e di un titolo che
assicurasse loro rispetto ed autorevolezza. L’attaccamento alla terra dimostrato dai
contadini era tale che essi erano disposti a subire dalla proprietà l’imposizione di condizioni
estremamente inique, pur di non venirne separati9. Talora, sacrificavano anche quel poco
che riuscivano ad avanzare dei propri modesti redditi, pur di potere sperare di possedere un
giorno quel campo che con tanta fatica coltivavano.
L’Italia scontava il netto ritardo con cui aveva intrapreso la strada dell’industrializzazione.
Per essere in grado di competere con gli altri paesi europei, gli imprenditori italiani
avrebbero dovuto concentrare la propria attenzione sui settori più avanzati, quali la
siderurgia e, soprattutto, la chimica. Tuttavia, i capitali necessari ad avviare il “triplice
investimento” mancavano, come pure mancava il coraggio di accettare una sfida che si
presentava tanto rischiosa. Ciò venne a pesare su tutto il sistema economico, rallentandone
irrimediabilmente il processo di sviluppo. Il limitato progresso del tasso di meccanizzazione
delle aziende agricole rilevabile, anche in Lombardia, nel corso della prima metà del
8
Ibidem, p. 107.
9
Stefano Jacini, La proprietà fondiaria e le popolazioni agricole in Lombardia, Milano, 1854, p. 144 e
sgg.
Introduzione
12
Novecento, è certamente dovuto alla difficoltà che gli agricoltori incontravano nel reperire
gli strumenti offerti dalle nuove tecnologie. Gran parte dei concimi chimici, dei macchinari
e, conseguentemente, dei pezzi di ricambio che servivano per la manutenzione di questi
ultimi, dovevano essere importati. Le spese di trasporto, le misure restrittive applicate dai
paesi costruttori sui flussi di esportazioni, le royalties pagate alle società straniere titolari dei
brevetti, facevano lievitare in modo consistente il prezzo di vendita. Finché l’agricoltura
avesse richiesto un abbondante impiego di manodopera non qualificata, il decollo
dell’industria sarebbe stato impossibile.
Non credo sia il caso, in questa sede, di chiedersi quali siano state le origini dell’apparato
industriale lombardo, e quale il ruolo che, al riguardo, ebbe l’agricoltura. Per quanto ci si
possa sforzare, non si riuscirà mai a chiarire tale punto in modo completo, per il semplice
fatto che un fenomeno tanto complesso non può avere un’unica radice, né può essere
definito da una sequenza lineare di eventi. Non è vero, infine, come molto spesso si è soliti
supporre nelle analisi scientifiche, che una determinata causa produca invariabilmente
sempre lo stesso effetto. Come scrisse Marc Bloch, la quercia nasce dalla ghianda. Ma diventa
quercia e tale rimane, solo se incontra condizioni di ambiente favorevoli, che non dipendono più
dall’embriologia10.
Penso possa risultare molto più interessante ed utile studiare quali relazioni vi siano state
fra il progresso del mondo agricolo e lo sviluppo dell’economia, in un’epoca tanto
complessa e difficile da definire in tutti i suoi aspetti, quale fu il secolo che seguì il
compimento del processo di unificazione nazionale. Al riguardo, mi sono servito di due
indicatori: da un lato i dati relativi alle produzioni cerealicole; dall’altro la consistenza del
risparmio raccolto dalle banche locali. L’accostamento di elementi, che appaiono tanto
diversi, potrebbe sembrare ardito, ma non è così. Nelle società tradizionali, il risparmio,
inteso come la differenza tra reddito complessivo e consumi, è un aggregato estremamente
10
Marc Bloch, Apologie pour l’histoire ou métier d’historien. Edizione italiana pubblicata da Einaudi,
Torino, 1998, p. 44.
Introduzione
13
sensibile alle variazioni delle dinamiche economiche. Se si pensa che l’ammontare
complessivo di ricchezza consumata sia abbastanza stabile nel tempo, in linea con la teoria
del “reddito permanente”, allora gli shocks che il sistema economico subisce si riflettono
quasi interamente sulla consistenza del risparmio. Ciò è tanto più vero in un contesto
sociale ove gran parte della popolazione vive ai limiti della sussistenza. Poiché l’elasticità
dell’acquisto di generi alimentari all’aumentare del reddito è molto bassa, una congiuntura
economica particolarmente negativa si manifesterà, innanzitutto, con una consistente
contrazione dei risparmi privati. Si consideri anche che la Lombardia dei primi anni del
Novecento disponeva di una varietà di strumenti finanziari estremamente limitata. Gli
investimenti a lungo termine si indirizzavano quasi interamente verso le cartelle del debito
pubblico sulle quali, per legge, veniva pagato un tasso di interesse superiore a quello di
mercato. Molto scarsa era invece la diffusione dei titoli azionari presso la massa dei
risparmiatori. Come riferisce Greenfield, nel corso del XIX secolo, le imprese industriali
venivano finanziate prevalentemente facendo ricorso all’istituto della società in
accomandita11. Assai rare e spesso guardate con sospetto dalla gente d’affari erano, invece, le
società anonime12. La negoziabilità del loro capitale, in gran parte posseduto da investitori
stranieri, era, inoltre, sottoposto a notevoli limitazioni13. Forme di investimento assai più
liquide erano rappresentate dai libretti di risparmio e dai buoni fruttiferi emessi dalle
banche e dalle amministrazioni postali. I conti correnti ordinari e, a maggior ragione, quelli
di corrispondenza, erano utilizzati quasi esclusivamente per la gestione dei flussi di cassa di
11
K. R. Greenfield, Economia e liberalismo , op. cit, p. 205 e sgg.
12
“La Camera di Commercio diede ripetutamente al governo parere contrario alla costituzione di società
anonime nel campo dell’agricoltura. Una tale forma di organizzazione, conosciuta soltanto dal diritto
francese, era utile solo per certi affari come esercizio di diligenze, dove il successo era assicurato dal
tipo di servizio che doveva essere reso. Nel caso di un’impresa industriate si dovrebbe richiedere al
promotore di dimostrare che il suo scopo è un’impresa industriale chiaramente definita, la quale escluda
l’idea del commercio; il progetto dovrebbe essere sottoposto alla polizia, in un termine stabilito, entro il
quale tutta la somma sottoscritta dovrebbe essere versata a garanzia dei futuri acquirenti di azioni; ed i
nomi dei nuovi acquirenti dovrebbero essere notificati alle autorità pubbliche. Finalmente non dovrebbe
essere permesso alcun mutamento di statuti che non fosse stato autorizzato”. (M. C. M., Camera di
Commercio di Milano, cartella 569, 4 novembre 1822; ibidem, 27 giugno 1823; ed anche 1825). Cfr. K.
R. Greenfield, Ibidem.
13
Ibidem.
Introduzione
14
attività commerciali. Quindi, un’analisi delle serie storiche relative ai depositi a risparmio di
una banca consente di osservare, con buona approssimazione, la struttura e le dinamiche
dell’economia dell’area in cui essa si trovava ad operare. Quando l’ambito territoriale di
riferimento è ristretto ed ha confini abbastanza precisi, come è riscontrabile nel caso di
tutte le banche locali lombarde, almeno sino agli anni Cinquanta, le informazioni che si
possono ricavare dai dati sulla raccolta divengono di estremo interesse.
Quanto alla produzione cerealicola, nel periodo considerato, essa rappresentava certamente
un valido indice dell’andamento delle annate agrarie. I cereali erano coltivati praticamente
ovunque, sul territorio lombardo. Si trovavano in abbondanza anche nelle aree montuose,
ove il clima e la natura dei terreni ne rendeva scarsamente produttive le colture.
L’importanza di questo settore venne nettamente ridimensionata, rispetto alla tradizione,
dalla pesante crisi che colpì l’agricoltura lombarda negli anni a cavaliere fra Otto e
Novecento. Non bisogna però dimenticare che, anche nelle società tecnologiche, i cereali
restano l’elemento base dell’alimentazione umana ed animale. Nell’ambito di un contesto
internazionale tormentato da continue tensioni e dominato dal protezionismo, è del tutto
plausibile che la produzione cerealicola locale avesse un’importante influenza sulla
distribuzione della ricchezza. Del resto, le variazioni della consistenza dei raccolti non si
trasmettevano soltanto ai redditi percepiti da contadini, affittuari e proprietari, ma, in ultima
istanza, a tutto il sistema economico. Una consistente riduzione della produzione di
frumento determinava, innanzitutto, una forte contrazione dei salari, pagati per gran parte
in generi, e dei profitti conseguiti dal conduttore dell’azienda agricola. Ciò comportava,
ceteris paribus, una limitazione dei consumi non alimentari e, pertanto, un calo dei margini di
guadagno conseguiti dal commercio e dall’industria. Infine, non deve essere trascurato
l’effetto provocato da un eventuale incremento dei prezzi al consumo dei generi alimentari
di base, quali il pane ed il latte, che avrebbe inciso sulle scelte di spesa e risparmio
dell’intera popolazione urbana. Quanto maggiore era il peso dell’agricoltura sui processi di
Introduzione
15
produzione della ricchezza, tanto più sensibile risultava l’economia, nel suo complesso, alle
oscillazioni che interessavano la resa delle colture. Ne è testimone l’attenzione, sempre
dimostrata dal Governo italiano, nei confronti del mondo agrario e della produzione di
cereali, manifestatasi nelle inchieste e pubblicazioni, curate in gran numero, già molti anni
prima che Mussolini lanciasse la sua “battaglia del grano”.
Dalla metà degli anni Cinquanta in avanti, la quota di prodotto interno lordo attribuibile al
settore primario iniziò a ridursi molto rapidamente. La definitiva affermazione dell’industria
non provocò, tuttavia, la scomparsa del mondo agricolo e della cultura di cui era portatore.
La società, nelle sue forme e strutture, evolve molto più lentamente della tecnica e
dell’economia, che pure ne sono il prodotto. Per quanto profonda e traumatica si sia
rivelata la rottura con il passato consumatasi nel corso dell’ultimo secolo, che ha
sperimentato il dramma di due conflitti mondiali, di una dittatura ventennale e
l’affermazione di un progresso tecnologico senza precedenti, il patrimonio di tradizioni
tramandato per generazioni attraverso l’agricoltura ne venne intaccato solo in parte. Lo
sviluppo dei moderni mezzi di comunicazione radiotelevisiva, ormai universalmente diffusi,
ha eliminato, quasi per intero, le disparità linguistiche ed uniformato lo stile di vita degli
italiani. Ancora oggi, tuttavia, si possono riscontrare delle significative differenze fra le
realtà di cui si compone la società lombarda. Spesso appaiono sopite nella routine
quotidiana, ma emergono continuamente, talvolta in modo preoccupante, nelle rivalità
sportive e campanilistiche. Eppure, quando prendiamo delle decisioni importanti,
raramente ci rendiamo conto di essere condizionati da esempi e modelli culturali molto
lontani dal nostro tempo, ma assai ben radicati nel subconscio collettivo. Non è altrimenti
spiegabile la tendenza al risparmio, più volte evidenziata dalle indagini ufficiali, che
caratterizza l’atteggiamento degli italiani, ed in particolare di quelli che vivono in certe aree
della provincia lombarda, nella gestione del loro patrimonio; né si potrebbe comprendere il
motivo per cui gli investimenti azionari sono ancora tanto poco diffusi e quasi guardati con
Introduzione
16
sospetto. Perché, dunque, ci coglie quel disagio quando osserviamo le immagini del nostro
passato, e perché nelle indagini storiche si è tanto sottovalutato il peso del mondo agricolo
nello sviluppo dell’economia lombarda nel corso del Novecento? Si potrebbe forse dire che
viviamo in una società che, troppo impegnata a contemplare il cammino verso il proprio
futuro, non è più in grado di volgersi indietro ad osservare la propria storia più recente.
Troppo spesso si tende a dimenticare che, scordare gli errori del passato, significa rischiare
di vederli crescere lungo la via del proprio destino.
17
Le fonti
L’agricoltura lombarda nella storiografia dell’ultimo
secolo
el corso dell’ultimo ventennio l’agricoltura è stata assai trascurata dalla
ricerca storica. I pochi testi pubblicati sono prevalentemente costituiti da
raccolte di saggi brevi che, in genere, trattano singoli aspetti1. Ve ne sono
molte da cui si possono trarre notizie, informazioni e riferimenti bibliografici di notevole
utilità. Nella maggior parte dei casi, però, l’attenzione tende a concentrarsi, piuttosto che
sull’organizzazione dei rapporti sociali ed economici esistenti in ambito agricolo, sui
movimenti politici e sindacali scaturiti dagli scontri consumatisi nelle campagne italiane,
intorno all’inizio del XX secolo. Se si eccettuano alcuni rari esempi, negli ultimi anni non
sono comparse, in Italia, analisi di ampio respiro riguardanti l’agricoltura. È comunque
opportuno segnalare l’interessantissimo saggio, pubblicato da Giuliano Muzzioli2 nel 1983,
l’unico a tentare di inquadrare in chiave storica il fenomeno del credito agrario.
Il corpus fondamentale degli studi relativi alle caratteristiche strutturali dell’agricoltura
lombarda è, però, saldamente legato alle figure di Stefano Jacini e Carlo Cattaneo3. Le loro
interpretazioni in merito alla struttura territoriale del mondo rurale, ai contratti agrari ed alla
loro importanza nella determinazione degli equilibri sociali, elaborate intorno alla metà
dell’Ottocento, costituirono la base per tutte le ricerche successive. Grande considerazione
1
Di esse, la più interessante, per quanto concerne la mia ricerca, è certamente quella pubblicata da Franco
Angeli nel 1983, con il titolo: Agricoltura e forze sociali in Lombardia nella crisi degli anni Trenta, op. cit.
2
Giuliano Muzzioli, Banche e agricoltura, il credito all’agricoltura italiana dal 1861 al 1840, Il Mulino,
Bologna, 1983.
3
Si veda, in particolare, la fondamentale opera di Jacini, intitolata: La proprietà fondiaria e le
popolazioni agricole in Lombardia, cit., che fu la base dell’importantissima “Inchiesta”, da lui guidata. Di
Cattaneo esistono numerosi scritti, prevalentemente tratti dal Politecnico. Il più interessante risulta, forse,
quello pubblicato nel 1844 con il titolo: Notizie sulla Lombardia e scritti sull’agricoltura .
N
Le fonti
18
merita anche la figura di Ghino Valenti, storico, economista e statistico, che affrontò, con
un’arguzia ed uno spirito critico davvero notevoli, le tematiche riguardanti l’atteggiamento
del Governo nei confronti del settore primario, durante gli anni della crisi agricola. Il filone
di ricerca idealmente tracciato da Jacini fu ulteriormente sviluppato da Arrigo Serpieri e
Kent Robert Greenfield. Quest’ultimo dedicò all’agricoltura lombarda il primo capitolo
della sua acutissima opera sul Risorgimento italiano4, una vera e propria miniera di dati e
citazioni. Nella stessa direzione si mosse Giuseppe Medici che, negli anni immediatamente
successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale, per conto dell’INEA, pubblicò
un’indagine che evidenziava l’organizzazione della proprietà terriera e delle forme di
conduzione in Italia, con ampi rimandi alla situazione delle campagne padane.
Lo studioso che forse dedicò maggiore attenzione alle tematiche legate al mondo rurale
lombardo fu, probabilmente, Mario Romani. Egli, per primo, mise in luce lo stretto e
multiforme rapporto esistente fra istituzioni, enti, associazioni ed agricoltura sin dall’epoca
della dominazione austriaca. I suoi due saggi5, pubblicati tra gli anni Cinquanta e Sessanta,
in un certo senso, costituiscono il punto di partenza di tutta la mia ricerca. La fonte più
attendibile per le informazioni riguardanti il commercio dei prodotti agricoli è certamente
costituita dagli studi di Aldo De Maddalena6, al quale si deve, fra l’altro, la ricostruzione di
una serie storica estremamente ampia e precisa dei prezzi praticati sul mercato di Milano
per le principali derrate. Ultimo in ordine di tempo, ma non certo di importanza, è il
contributo di Giorgio Porisini7, autore, nel 1971, di una splendida monografia sulla
produttività del frumento in Italia. I suoi risultati, che ho tentato di riprendere ed ampliare,
costituiscono la principale dimostrazione dell’enorme progresso che consentì al mondo
4
K. R. Greenfield, Economia e liberalismo, op. cit.
5
Cfr. Mario Romani, Un secolo di vita agricola in Lombardia (1861 – 1961), Giuffrè, Milano, 1963. Cfr.
inoltre: L’agricoltura in Lombardia dal periodo delle riforme al 1859, struttura, organizzazione sociale e
tecnica, Vita e Pensiero, 1957, Milano.
6
Aldo De Maddalena, I prezzi dei generi commestibili e dei prodotti agricoli sul mercato di Milano dal
1800 al 1890, Archivio economico dell’unificazione italiana, vol. V, fasc. 3, Roma, 1957.
7
Giorgio Porisini, Produttività e agricoltura: i rendimenti del frumento in Italia dal 1815 al 1922,
Archivio Economico dell’unificazione italiana, serie II, vol. XVII, Torino, 1971.
Le fonti
19
agricolo lombardo di superare la difficile situazione provocata dalla concorrenza
internazionale. Le dettagliatissime descrizioni che egli riporta riguardo alle pratiche
impiegate nella coltivazione rappresentano, inoltre, uno strumento prezioso per tracciare un
quadro della diffusione delle moderne tecnologie nelle campagne.
Il mondo agricolo nelle pubblicazioni e nei documenti
dell’epoca
Dati importanti, a volte anche di tipo statistico, si possono trarre dalle pubblicazioni
dell’epoca. In primo luogo, non è proprio possibile trascurare il Bullettino dell’Agricoltura
Lombarda8, organo ufficiale della Società Agraria di Lombardia, oltre che del Comizio e del
Consorzio Agrario milanese, pubblicato settimanalmente dal 1868. Sfogliandone le pagine è
possibile ricostruire, con precisione, tutti i fenomeni che interessarono il mondo rurale,
nonché gli interventi e l’atteggiamento delle autorità locali in proposito, per un intervallo di
tempo assai esteso. Allo stesso modo, la biblioteca della Società Agraria conserva un gran
numero di opuscoli, libelli e saggi, che possono risultare molto utili per completare i
contorni dell’immagine. Varie notizie si possono ricavare anche dalle rassegne periodiche
curate dai principali istituti di credito italiani. I migliori esempi sono rappresentati dal
Movimento Economico dell’Italia e dalla Rivista Mensile9, pubblicati dalla Banca Commerciale
Italiana. Anche le banche locali, naturalmente su scala decisamente ridotta, raccoglievano e
diffondevano dati e informazioni riguardanti il settore primario. In particolare, la Banca
Popolare di Lodi, dal 1933, si fece carico della stampa di un bollettino, pubblicato
bimestralmente, che dedicava gran parte del proprio spazio a questioni agricole.
8
La raccolta completa del Bullettino dell’Agricoltura Lombarda è conservata presso la biblioteca della
Società Agraria di Lombardia.
9
Tutti i numeri pubblicati sono consultabili presso l’Archivio Storico della Banca Commerciale Italiana.
Le fonti
20
Questo tipo di fonti deve essere utilizzato, tuttavia, con una certa cautela. Marc Bloch
invitava a non riporre eccessiva fiducia nelle testimonianze storiche espresse
volontariamente10. I testimoni hanno sempre una visione individuale degli eventi, che può
essere distorta dall’azione di modelli culturali, ideologie, opinioni diffuse, o essere
semplicemente il frutto di un’informazione parziale. Né, del resto, si può escludere che i
fatti siano stati coscientemente alterati a scopi propagandistici. Gli articoli pubblicati dai
giornali italiani nel periodo compreso fra il 1939 ed il 1940, se si vuole considerare un
esempio, fornivano un’immagine della guerra in corso e dei preparativi compiuti dal
Governo molto diversa dalla realtà successivamente assodata. Ciò avveniva, in primo
luogo, perché la stampa era soggetta a rigorosissimi controlli, in modo che non fosse
possibile sollevare alcun dubbio in merito alle manovre compiute dal regime. Tuttavia,
occorre considerare che le informazioni diffuse presso il pubblico non erano complete.
Mussolini ed i gerarchi, nei loro discorsi alla nazione, ingigantivano notevolmente la stima
del potenziale bellico nazionale. Perciò, tanto i comuni cittadini, quanto gli stessi giornalisti
e commentatori dell’epoca avevano sviluppato una percezione alquanto falsata degli eventi.
Del resto, la propaganda fascista, inculcata a giovani e vecchi da quasi vent’anni aveva
convinto gran parte degli italiani che quanto andava maturando fosse il compimento di
quelle aspirazioni di potenza e imperio tanto vagheggiate. Cosa potrebbe pensare un
ipotetico studioso di un’epoca futura, del tutto ignaro della storia italiana dell’ultimo secolo,
che trovasse per caso un fascio di pubblicazioni risalente alla fine degli anni Trenta?
Se, però, leggiamo quegli stessi articoli, come si suol dire, “fra le righe”, allora possiamo
cogliere le sensazioni di estrema preoccupazione che aleggiavano nell’aria, le reticenze, le
voci di timido dissenso che si levavano dietro l’apparente facciata dei toni ossequiosi. Delle
brutali aggressioni subite da Austria e Polonia da parte delle truppe tedesche quasi non si
parlava. Il Bollettino della Banca Popolare di Lodi, tuttavia, segnalava alla propria clientela
10
Marc Bloch, Apologie pour l’histoire, op. cit, p. 40.
Le fonti
21
che i titoli del debito pubblico, emessi dai governi di questi paesi prima dell’inizio delle
ostilità, sarebbero stati convertiti in buoni del tesoro del Reich, se non addirittura ripudiati
dalle autorità di occupazione11. Nella nostra inevitabile subordinazione nei confronti del passato,
scriveva ancora Marc Bloch, noi, dunque, ci siamo almeno affrancati nel senso che, pur sempre
condannati a conoscerlo esclusivamente in base alle sue tracce, perveniamo però a saperne molto di più di
quanto non avesse esso stesso ritenuto bene di farci conoscere
12
.
Fonti dirette si possono rintracciare fra i documenti conservati presso gli archivi, pubblici e
privati, esistenti sul territorio lombardo. L’Archivio Storico del Comune di Lodi, per
esempio, contiene una dettagliatissima documentazione riguardo all’attività svolta dalla
Giunta municipale a sostegno dell’agricoltura nel corso degli ultimi decenni del XIX secolo.
Vi si possono trovare, oltre ai resoconti delle fiere e delle esposizioni che si susseguirono
nel corso di quegli anni, numerosi bandi di concorso indetti, con varie finalità, in
collaborazione con le banche locali e con enti ed associazioni rappresentative degli interessi
degli agricoltori. Inoltre, si riscontrano numerose tracce delle iniziative volte allo sviluppo
dell’istruzione agraria. Presso lo stesso archivio è conservato l’interessantissimo fondo
relativo ai documenti dell’Ospedale Maggiore. In seguito a lasciti molto consistenti, risalenti
spesso ad epoche lontanissime13, il Luogo Pio aveva acquisito la proprietà di numerosi
poderi, concessi a privati sulla base di patti d’affitto. La massa di documenti prodotta in
11
Cfr. Bollettino della Banca Mutua Popolare Agricola di Lodi, febbraio 1939: “Il Governo Tedesco ha
offerto recentemente la conversione del Prestito Austriaco di Conversione 4,50% 1934-1959 in Buoni del
Tesoro del Reich 4,50% 1938. Per la sistemazione dei prestiti austriaci viene ora fatta un’ultima offerta il
cui termine non è stato ancora fissato. Il Prestito Austriaco 7% viene acquistato al prezzo di L. 99,50 tel
quel ogni 100 lire nominali. Ci risulta che scaduto il termine di questa offerta, termine che verrà
successivamente comunicato, più nessun diritto avranno i portatori dei detti titoli che non abbiano
aderito. Non ci sembra però che questo termine per quanto comminatorio possa essere perentorio; a
meno che esso non sia fissato talmente largo da lasciare ogni possibilità di tutelare i propri diritti”. Cfr.
anche Ibidem, giugno 1939: “Il Prestito Polacco 7% costituisce un’obbligazione diretta del Governo
polacco ed è assistito dall’ipoteca di primo grado iscritta sui beni del monopolio polacco dei tabacchi e
dal privilegio di primo grado sui proventi e diritti dello stesso monopolio. All’atto d’emissione il Governo
italiano ha concesso una garanzia accessoria, ma essa si limita all’assunzione del servizio del prestito
solo nel caso in cui il Governo polacco non possa fare fronte ai propri impegni in conseguenza di
un’invasione armata del suo territorio”.
12
Marc Bloch, Apologie pour l’histoire, op. cit, p.41.
13
Si pensi che la prima acquisizione, relativa al podere “Antegnatica”, risaliva al XIV secolo.
Le fonti
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secoli di amministrazione, costituisce un’eccezionale fonte di notizie riguardanti la struttura
e l’organizzazione delle locali pratiche di coltivazione, probabilmente assai poco esplorata.
Fra le carte conservate vi sono, innanzitutto, copie dei contratti stipulati e periodicamente
rinnovati, attraverso le quali si può ricostruire, con discreta precisione, l’evoluzione storica
dei rapporti fra proprietà e conduzione. Ancora più utili ai fini della ricerca appaiono i
registri di consegna e riconsegna dei poderi. Mancano, purtroppo, i dati relativi alla
contabilità, che consentirebbero di conoscere, per un arco temporale lunghissimo, le
dinamiche produttive delle singole unità, e di operare significativi confronti con le tendenze
evidenziate dagli studi già pubblicati. A dire il vero, Porisini riferisce di avere rintracciato
documenti di questo genere nell’archivio dell’Ospedale di San Giovanni di Dio di Firenze14.
Si tratta quasi certamente di un caso, se non unico, quanto meno estremamente raro.
Dati assai utili riguardo al commercio locale dei cereali si possono rintracciare presso
l’archivio della Camera di Commercio lodigiana. Tuttavia, considerata la recentissima
separazione dall’istituzione camerale milanese, le dimensioni del fondo risultano piuttosto
limitate.
Anche questo tipo di fonti richiede una certa attenzione critica. Un documento può
attestare che un determinato fatto è realmente avvenuto. Tuttavia, come valutarne
l’effettiva portata se non se ne trovano altre tracce che confermino e definiscano i limiti
della scoperta? Non è neppure scontato che ogni documento conservato presso un archivio
sia necessariamente autentico e veridico. Ci si potrebbe trovare di fronte a veri e propri
falsi, costruiti ad arte per testimoniare la legittimità di un diritto inesistente, o per altri
imperscrutabili motivi. Il caso più classico e clamoroso è rappresentato dalla famosissima
“donazione di Costantino”, ma ne esistono indubbiamente molti altri, ben più difficili da
identificare. Si tratta, per fortuna, di casi abbastanza limitati, difficilmente riscontrabili nel
materiale di cui mi sono servito. Assai più frequente, e potenzialmente rischioso, risulta
14
Giorgio Porisini, Produttività e agricoltura , op. cit, p. 2.
Le fonti
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l’imbattersi in documenti autentici che riportano informazioni false. Nell’esperienza
comune, l’esempio più frequente è rappresentato dagli atti di vendita di immobili rogati dai
notai. Spesso, le alienazioni nascondono in realtà delle donazioni, oppure il prezzo indicato,
pari al valore catastale, allo scopo di aggirare le disposizioni tributarie è molto inferiore a
quello realmente pagato. Eppure, si tratta di atti pubblici, regolarmente registrati, di cui
rimane traccia negli archivi notarili e catastali. Riconoscere questo tipo di contraffazioni è
sempre difficile, spesso addirittura impossibile. Prima di accettare un dato per valido,
occorrerebbe sempre interrogarsi riguardo all’uso per cui il documento esaminato è stato
redatto ed ai possibili vantaggi che si sarebbero ottenuti dichiarando il falso. Ho il sospetto
che molti dei dati riportati nei registri di consegna e riconsegna dei poderi di proprietà
dell’Ospedale Maggiore lodigiano siano stati copiati, in tutto o in parte, da documenti
precedenti. Le cifre indicate nel catastrino censuario tendono a ripetersi, di decennio in
decennio, con una frequenza che appare decisamente fuori dal normale. Fra il 1900 ed il
1930, l’estensione dei prati e dei seminativi irrigui esistenti presso il podere Portadore
Grande sembrerebbe non subire alcuna variazione15. Eppure, dagli altri documenti
disponibili, si apprende come, proprio in quegli anni, siano stati completati i lavori per
l’irrigazione di una vasta estensione di terreno incolto. Come è possibile che ciò sia
avvenuto? Tanto l’affittuario, quanto la proprietà, erano perfettamente a conoscenza delle
modifiche apportate, come dimostra la fitta corrispondenza scambiata fra le parti al
riguardo. Forse fu solo per la superficialità e l’incuria di coloro che eseguirono la perizia, o
forse sostenere il costo di un’indagine accurata sullo stato del fondo non era necessario, in
considerazione del fatto che il contratto sarebbe stato rinnovato e la definitiva liquidazione
dei rapporti rimasti in sospeso, rimandata.
15
Archivio Storico del Comune di Lodi, fondo dell’Ospedale Maggiore, cartelle Portadore Grande, 73, I e
II.