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Introduzione
In questo periodo l’Italia e l’Europa, si trovano costrette a prendere decisioni in campo
economico-politico fortemente condizionate da due esigenze contrapposte, ma ineludibili:
sviluppo e rigore.
“Il nostro paese, in particolar modo, è segnato da una criticità peculiare: un debito pubblico
che per dimensioni relative (in termini d’incidenza sul prodotto interno lordo) e assolute
(l’entità complessiva del debito ammonta a 1.973 miliardi di euro secondo il dato pubblicato
sul supplemento al bollettino statistico della Banca d’Italia, n. 43 del 13 agosto 2012) incide
profondamente sulle scelte da compiere”. (Scheggi, 2012, p. 2)
Si rende quindi indispensabile il raggiungimento di un equilibrio duraturo tra risorse
disponibili e spesa pubblica. Poiché la pressione fiscale in Italia è tale da rischiare da
compromettere lo sviluppo economico, l’unica altra strada che è possibile intraprendere è una
riduzione della spesa pubblica.
E’ necessario che tale riduzione non sia di tipo trasversale, ma che si basi una valutazione
della rilevanza sociale dei settori interessati e sull’esistenza di una possibilità di
razionalizzazione degli stessi, senza intaccare la qualità e l’accessibilità ai servizi di welfare
che collocano l’Italia in una posizione di rilievo assoluto.
Il costo del sistema sanitario nazionale è cresciuto dal 2002 al 2011 da 81 a 114,1 miliardi di
euro. Un incremento del 40,9% (17,7% se depurato degli effetti inflattivi), che gli ha fatto
raggiungere il 7,22% del PIL (Scheggi, 2012).
L’aumento dei costi del sistema sanitario è un fattore comune a tutti i paesi industrializzati ed
è determinato principalmente da tre motivazioni (Scheggi, 2012):
1. L’evoluzione delle tecnologie sanitarie e delle conoscenze mediche hanno reso
disponibili maggiori opportunità terapeutiche che diventano un diritto in tutti quei
paesi che, come l’Italia, ritengono che la salute dell’individuo sia un pilastro
fondamentale di una società civile.
2. L’invecchiamento della popolazione, determinato da una diminuzione della natalità e
dell’aumento delle aspettative di vita. Per rendere l’idea delle dimensioni del
fenomeno basta pensare che in Italia più del 20% della popolazione ha più di 65 anni e
un over 65 costa al SSN in media 8 volte di più di una persona nella fascia 15-24,
quattro volte rispetto la fascia 25-44 e il doppio rispetto alla fase 45-65 (Scheggi,
2012).
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3. Una diversa percezione del fattore salute da parte della popolazione che pur non
avendo presentato un aumento delle patologie, fa maggiore utilizzo del SSN (presenta
maggiore attenzione ai sintomi).
Alla luce di questi dati e in uno scenario in cui i primi due trend sono da molti anni
estremamente decisi, la spesa sanitaria rappresenta un settore che merita particolare
attenzione, sia per la dimensione, sia per l’esistenza di differenze non tollerabili in termini di
qualità e accessibilità tra le varie regioni.
Con l’obiettivo di migliorare il livello di qualità del sistema sanitario e ridurne i costi, si è
iniziato a introdurre il concetto di Lean Thinking anche in questo settore.
Questa tesi si pone l’obiettivo di scoprire se questa è una strada percorribile per coniugare un
maggior valore per il paziente, con una possibile riduzione dei costi sostenuti dalla comunità.
Per raggiungere tale obiettivo si analizzerà la letteratura principale sull’argomento e si
studierà il caso dell’Asl di Firenze, dove tali pratiche sono già in via di sperimentazione da
alcuni anni.
Il Lean Thinking, soprattutto in un settore come quello sanitario in cui è ancora in uno stato
pioneristico, non è un insieme di best practices da adottare. E’ un modo di pensare, agire,
programmare che non può e non deve essere stigmatizzato in pochi precetti.
Per tale ragione si è ritenuto opportuno in primo luogo trasmettere un’idea di cosa fosse il
pensiero snello attraverso l’analisi storica della sua nascita. Penso non esista modo migliore
per capire quest’approccio alla produzione (sia di beni sia di servizi), che studiarlo nel
contesto in cui ha avuto origine, partendo dalle condizioni e dalle contingenze che lo hanno
reso una necessità e analizzandolo in base alle caratteristiche che lo contraddistinguono dalla
produzione di massa di stampo Fordista a cui si contrappone.
In secondo luogo ci si è soffermati sulla formulazione teorica di questo modello attraverso
una rassegna dei principi e dei principali strumenti del Lean Thinking.
Nel terzo capitolo è stata fatta una breve rassegna di come il pensiero snello si è evoluto nel
settore terziario con un particolare focus su quel tipo di servizi (interni e pubblici), che sono
connessi col settore sanitario.
Nel quarto capitolo si è mostrato come i principi e gli strumenti del pensiero snello si
trasformino e adattino al settore sanitario. Il capitolo è stato sviluppato con l’utilizzo del caso
del Middletown General Hospital che però è ancora in fase di progettazione e di cui quindi
non si conoscono ancora i risultati.
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Nel quinto capitolo si è trattato il caso dell’azienda sanitaria di Firenze che dal 2008 ha
iniziato a sviluppare un progetto per portare il Lean Thinking negli ospedali e si sono illustrati
alcuni risultati. I dati e le informazioni riguardanti questo capitolo solo stati ottenuti grazie
alla collaborazione con Maria Teresa Mechi, project leader del progetto.
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Capitolo 1: Analisi storica della Lean
Production
Il termine Lean Production è usato per la prima volta da Womack, Jones & Ross nel libro “La
macchina che ha cambiato il mondo”, prodotto all’inizio degli anni Novanta per esporre i
risultati di una ricerca condotta pochi anni prima dal MIT (Massachusetts Institute of
Technology) sull’industria automobilistica. Questa ricerca, che si poneva l’obiettivo di
confrontare il funzionamento delle industrie Giapponesi rispetto a quelle di Europa e Stati
Uniti, riuscì a dare spiegazione alla crisi che il sistema di produzione di massa Fordista stava
vivendo, ben presente nei bilanci delle aziende ma che il management non riusciva ancora a
cogliere attribuendola ai cicli tipici di questo tipo di sistema industriale.
Quello che risultò evidente fu come i tratti caratteristici della produzione di massa non fossero
più adatti al sistema competitivo che si stava delineando, all’interno del quale la struttura
produttiva del sistema Giapponese sembrava sentirsi perfettamente a proprio agio.
Nei primi anni 70’, quando l’industria dell’auto Americana incominciava a mostrare dei conti
tutt’altro che rosei e l’industria dell’auto Giapponese continuava, inesorabilmente, a
guadagnare quote di mercato, molti iniziarono a domandarsi le ragioni di questa differenza.
Inizialmente si pensava ai differenziali salariali: i giapponesi, quindi, sarebbero stati più
competitivi perché si accontentavano di guadagnar meno di americani ed europei. Questa
motivazione venne meno con l’aumento dei loro salari e allora il merito fu attribuito al MITI
(il ministero giapponese del commercio internazionale e dell’industria), visto come l’entità
che assicurava ai produttori nazionali non solo mercati protetti e sgravi fiscali, ma anche un
supporto nella competizione nei mercati esteri. Anche questa spiegazione venne meno con il
successo dei Transplants, le fabbriche guidate da aziende Giapponesi in altre parti del mondo.
Per lo stesso motivo persero valore le teorie che vedevano come chiave del successo
Giapponese la cultura e la società locale che avrebbero portato il lavoratore giapponese a
identificarsi con la propria azienda giacché i cosiddetti Transplants impiegavano
principalmente manodopera locale (Womack, Jones, & Roos, 1993).
Solo grazie agli studi del MIT e alla “Macchina che ha cambiato il mondo”, la letteratura e il
mondo dell’industria riconoscono per la prima volta il merito della produzione snella
nell’aver portato l’industria giapponese al successo dei nostri giorni.
Per capire come e perché sia nata la Lean production, è necessario andare indietro nel tempo e
indagare le condizioni storiche che ne hanno generato i presupposti. Nel corso della storia,
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infatti, sono sempre state le crisi generate dai limiti di un particolare sistema, combinate con
le esigenze di un mondo in evoluzione, a creare la necessità di un cambiamento profondo.
Difficilmente, in assenza di bisogni impellenti, le aziende e la società stessa si sono
dimostrate in grado di cambiare. Risulta quindi fondamentale l’analisi del passato poiché
questo permette di far emergere i tratti più marcati delle differenti metodologie produttive
rendendo evidente, indipendentemente dal contesto della specifica realtà analizzata, quali
siano le esigenze che hanno portato al cambiamento, che non sarebbero potute essere colmate
senza delle vere proprie rivoluzioni quali sono state la produzione di massa e la produzione
snella.
1.1 La nascita dell’automobile
Il primo sistema produttivo che permise la costruzione dell’automobile fu, nel XIX secolo,
l’artigianato.
Questo metodo presentava delle caratteristiche peculiari molte delle quali ne rendevano
costosa l’implementazione, rendendo possibile l’acquisto di un automobile solo per pochi
uomini benestanti (Womack, Jones, & Roos, 1993).
La produzione artigianale presentava:
Una forza lavoro molto specializzata che operava nella fabbrica con la speranza di
aprire, un giorno, un’officina in proprio e divenire appaltatore delle aziende
assemblatrici.
Strutture produttive ubicate nella stessa città ma spesso distanti fra loro poiché la
maggior parte dei pezzi proveniva da piccole officine. Era l’imprenditore stesso a
fungere da collante e coordinatore tra le varie aziende.
Un numero di prodotti finiti esiguo e con alcune differenze tra loro poiché era
impossibile non avere delle variazioni usando le tecniche artigianali.
Macchinari di tipo generico.
Elevata abilità dei lavoratori, responsabili del valore aggiunto e attorno alla quale si
sviluppava la qualità del prodotto.
Inesistenza delle economie di scala.
Bassissima affidabilità per impossibilità di collaudo e standardizzazione.
Incapacità di sviluppare nuove tecnologie per scarsità di risorse.
A questo bisogna aggiungere che le automobili prodotte artigianalmente erano macchine
complesse, dalla difficile manutenzione e conduzione, e richiedevano meccanici e autisti
specializzati.
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Con questi presupposti è chiaro come nessuna azienda potesse esercitare un monopolio e ben
presto il mercato si riempì di numerose aziende artigianali che competevano nella loro area
geografica senza generare un reale abbassamento dei prezzi.
1.2 L’avvento della produzione di massa
All’inizio del secolo successivo, precisamente nel 1903, Henry Ford riuscì a gettare le basi
per sorpassare la produzione artigianale e realizzare a un nuovo modo di costruire
l’automobile: la produzione di massa. Solo però dopo cinque anni di esperimenti con
l’introduzione del modello T, riuscì a raggiungere i due obiettivi che furono alla base del
cambiamento che rivoluzionò l’intera industria automobilistica (Womack, Jones, & Roos,
1993).
1. Costruire un’auto in funzione della produzione.
2. Costruire un’auto facile da utilizzare, permettendo a chiunque di poterla guidare o
riparare senza bisogno di personale specializzato.
Dal punto di vista della produzione il vero elemento innovativo, il fulcro attorno al quale
ruota l’intera produzione di massa, è l’intercambiabilità completa dei pezzi e la semplicità
d’incastro che rende possibile l’uso della catena di montaggio (Womack & Jones, 2003).
Ford, consapevole di ciò, decise che la principale questione su cui insistere era far usare lo
stesso sistema di calibratura per ogni pezzo raggiungendo, così, una sempre maggior
intercambiabilità e generando un forte risparmio sui costi di montaggio.
Nessun altro produttore sembrava aver intrapreso questa strada così, quando i progressi
tecnologici delle macchine utensili divennero tali da consentire una seria standardizzazione,
fu l’unico a possedere progetti di auto innovativi estremamente facili da assemblare. Questo
generò un vantaggio enorme sulla concorrenza perché rese superfluo il lavoro dei montatori
qualificati che avevano sempre costituito una grande parte della forza lavoro delle aziende
automobilistiche.
Di seguito sono riassunte le tappe salienti della nascita del nuovo sistema produttivo:
1903 – Ford indirizza i propri sforzi per creare auto con un metodo diverso: sono creati dei
banchi di montaggio su cui è assemblata l’intera auto spesso da un unico montatore. I
montatori, che ripetono continuamente le stesse operazioni ai banchi fissi di montaggio,
devono reperire i pezzi necessari, lavorarli (non esisteva ancora perfetta standardizzazione)
per farli combaciare e infine fissarli (Womack, Jones, & Roos, 1993).
1908 – È introdotto il modello T che può finalmente essere progettato in funzione di una
produzione più semplice grazie all’evoluzione tecnologica delle macchine utensili che
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permette di lavorare i metalli pre temprati raggiungendo un’elevata standardizzazione.
Approfittando di questo nuovo elemento, Ford, decide di affidare al montatore un unico
compito e farlo muovere da un’auto all’altra per compierlo. All’alba dell’introduzione del
modello T il tempo ciclo, ossia il tempo che un lavoratore impiega per svolgere il proprio
compito prima di ricominciare su un'altra automobile, è di 514 minuti. Il modello T già dal
primo anno di produzione è l’auto più economica al mondo.
1912 – Dopo cinque anni in cui la Ford ha fatto esperienza nella produzione del modello T, e
dopo l’introduzione di pezzi realmente standardizzati, il tempo ciclo si riduce a 2,3 minuti
generando un notevole aumento della produttività. Ogni operaio possiede, infatti, una totale
familiarità con una singola operazione e impara a eseguirla molto più velocemente.
1913– Ford si rende conto che far muovere gli operai da un’auto all’altra richiede tempo e
spesso genera confusione e problemi. Decide quindi di stabilire nello stabilimento di
Highland Park, a Detroit, una linea di montaggio in movimento che avrebbe fatto muovere
l’automobile davanti agli operai, permettendo loro di stare fermi nello stesso punto.
Quest’innovazione riduce il tempo ciclo da 2,2 a 1,19 minuti grazie al fatto che gli operai non
devono più muoversi e grazie al ritmo incalzante a cui la linea mobile li vincola.
1920 – Viene raggiunto il tetto di due milioni di automobili identiche in un anno. L’elemento
più rilevante è la grandissima riduzione di costo unitario permesso dall’aumento dei voluti,
consentendo di ridurre dal 1908 al 1920 del 65% circa il prezzo dell’automobile.
1.3 Le principali caratteristiche della produzione di massa
Per conquistare la fascia media della popolazione che ora, grazie alla riduzione dei costi, può
permettersi un’automobile, Ford rende la manutenzione del modello T di una semplicità senza
precedenti. Qualsiasi contadino, con un’abilità meccanica in grado di riparare gli attrezzi
agricoli e pochi strumenti da lavoro, è in grado di risolvere uno qualsiasi dei 140
inconvenienti che sono presenti e spiegati nella guida, consegnata insieme all’automobile.
L’insieme di queste caratteristiche rese la Ford leader indiscussa del mercato mondiale
dell’auto, eliminando la maggior parte delle aziende artigianali assolutamente incapaci di
stare al passo con questo nuovo modo di produrre.
Il nuovo sistema inventato da Henry Ford fu il motore dell’industria mondiale per una
cinquantina di anni e fu adottato nella maggioranza di tutti i settori industriali degli Stati Uniti
e dell’Europa.