INTRODUZIONE
«L'Argentina sarebbe ancora un deserto, le sue città un impasto di paglia e fango
senza il lavoro perseverante, senza l'audacia colonizzatrice, senza lo spirito di
intraprendenza degli italiani. Figli d'Italia sono stati coloro che hanno creato il
porto di Buenos Aires, che hanno colonizzato intere province vaste come la
Francia e l'Italia; sono per nove decimi italiani quei coloni che hanno dissodato
l'immensa provincia di Santa Fé, dove ora si diparte il grano che inonda i
mercati europei; sono italiani coloro che hanno intrepidamente iniziato la coltura
della vite sui colli della provincia di Mendoza, sono italiani moltissimi tra gli
industriali argentini, ed italiani i costruttori e gli architetti dell'America del Sud,
e italiano è quell'imprenditore, il quale, emulo degli inglesi, ha costruito sulle
rive del Plata per più di mezzo miliardo di opere pubbliche».
Così si esprimeva Luigi Einaudi in Un principe mercante: studio sulla espansione
coloniale italiana, pubblicato nel 1900. Al di là della retorica, non c'è dubbio che
queste parole dimostrino qualcosa di importante, e cioè che il rapporto tra Italia e
Argentina non è stato caratterizzato esclusivamente dalla fredda relazione tra
cancellerie, ma prima ancora dalla scelta fatta da milioni di italiani di recarsi in
quel paese per sfuggire alla povertà ed alle guerre.
Il presente lavoro non si vuole concentrare sul ruolo dell'emigrazione in
Argentina, ma capire il motivo per cui l'Italia non ha mai ritenuto prioritario per
la sua politica internazionale la questione argentina, nonostante la presenza in quel
Paese della collettività italiana più folta del mondo.
All'inizio degli anni '80, però, due fatti riportano alla ribalta il rapporto tra Italia e
Argentina, facendo riscoprire alla classe politica ed all'opinione pubblica italiana
la massiccia presenza di connazionali nel paese sudamericano. Il primo evento è la
4
guerra delle Malvinas/Falkland che vide fronteggiarsi Londra e Buenos Aires, in
una guerra “anacronistica”, combattuta da due Stati appartenenti, pur se con peso
diverso, al blocco occidentale. L'altro, la pubblicazione di una lista di
desaparecidos, vittime della repressione militare, in cui si rinvenivano numerosi
nomi italiani.
Due vicende apparentemente slegate tra loro, in realtà entrambe frutto della
spietata dittatura militare che ha governato l'Argentina tra il 1976 e il 1982.
In Italia si sviluppò un dibattito pubblico estremamente acceso, che mise in
difficoltà il Governo ed i partiti che avevano appoggiato le sanzioni europee
dettate dalle pressioni britanniche o che erano rimasti indifferenti alla repressione
attuata dalla Giunta militare anche nei confronti di cittadini con la doppia
cittadinanza o discendenti di italiani.
Roma riscopre così l'Argentina e, grazie ad una politica estera più attenta ai
problemi del Sud del mondo (tra la fine degli anni 70 e metà degli anni 80 viene
riformata più volte la legislazione relativa alla Cooperazione allo Sviluppo), inizia
una paziente opera di costruzione di una relazione inedita, che sfocerà nel 1987
nel Trattato per una Relazione Associativa Particolare.
Ma le difficoltà per realizzare questo rapporto particolare sono tante. Non solo il
processo di normalizzazione democratica, guidato dal radicale Alfonsìn, risulta
più complesso del previsto, a causa soprattutto delle continue tensioni con i
militari golpisti, ma a ciò si aggiunge anche la pesante eredità economica,
aggravata dalla crisi del debito dei Paesi in via di sviluppo che colpisce con forza
propria l'Argentina della transizione.
La diplomazia italiana cercherà, quindi, di conciliare le opportunità che da una
relazione più stretta con l'Argentina potrebbero sorgere, con la necessità di
Buenos Aires di avere un partner occidentale in grado sia di aiutare il
consolidamento della democrazia, sia di essere portavoce nei fori economici
internazionali (Fondo Monetario Internazionale in primis) delle esigenze
argentine in relazione al pagamento del debito astronomico ormai raggiunto.
5
Per l'Italia le difficoltà non saranno poche. L'ambizione della diplomazia italiana
era quella di stringere una relazione stretta con l'Argentina, una vera e propria
associazione come teorizzava l'Ambasciata italiana a Buenos Aires, con
l'obiettivo, però, di usarla in sede europea come strumento di pressione affinché
l'intera Comunità si interessasse all'America Latina, valorizzando finalmente una
relazione informale determinata dall'immensa presenza occidentale in quel
continente, e cogliendo le tante opportunità che ciò avrebbe determinato per tutti i
membri della Comunità Europea.
Ma per raggiungere questo obiettivo, l'Italia si dovrà scontrare con una Comunità
restia a rivolgersi seriamente al subcontinente, perché troppo sbilanciata a favore
delle ex colonie francesi ed inglesi, ma soprattutto non disposta a rivedere la sua
politica agricola che riempiva l'Europa e non solo di prodotti a bassissimo prezzo,
concorrendo slealmente con le merci su cui l'Argentina e il Sud America avevano
un maggior vantaggio comparato. Inoltre, l'Europa temeva di inserirsi in una
regione da sempre “giardino di casa” degli Stati Uniti che difficilmente avrebbero
accettato una presenza europea non solo commerciale, ma anche politico-
diplomatica. Gli USA continuavano, infatti, a guardare all'America Latina in
un'ottica influenzata dal confronto bipolare, come la crisi centroamericana
(scaturita dalla presa del potere da parte dei sandinisti in Nicaragua) dimostrava,
per cui una diversa presenza europea poteva rappresentare un rischio, piuttosto
che un'opportunità per tutto l'Occidente.
A ciò, inoltre, si aggiunge la pressione britannica, che mai avrebbe acconsentito
all'apertura di un dialogo privilegiato tra Europa e America Latina, finché
l'Argentina e gli altri Stati non avessero accettato definitivamente la sovranità
inglese sulle Malvinas.
Nonostante, quindi, la difficoltà, o l'impossibilità, per l'Italia di coinvolgere la
CEE, il governo e la diplomazia tentarono comunque la strada della special
partnership con l'Argentina, partendo dal presupposto che la soluzione dei
problemi di quel paese, passava necessariamente dalla costruzione di un nuovo
6
tipo di rapporto. Se l'obiettivo era, infatti, il superamento della crisi economica,
che era al contempo sociale e politica e che avrebbe potuto portare nuovamente ad
un'involuzione antidemocratica con rischi per l'intero subcontinente, bisognava
trovare una forma inedita di collaborazione, che andasse al di là dello modello
materie prime contro tecnologia, classico schema seguito dalla Cooperazione
occidentale nell'approccio ai Paesi in via di sviluppo.
Dopo quattro anni di incontri, dibattiti, dichiarazioni congiunte, tra politici
argentini ed italiani si arriva così ad un Trattato storico che sancisce l'inizio della
relazione associativa particolare tra Italia e Argentina, formula originale proposta
dall'Ambasciatore italiano Ludovico Incisa di Camerana che insieme
all'Ambasciatore argentino a Roma, Alfredo Allende, furono gli artefici di quella
fitta rete di accordi che dal 1985 in poi determinano il “salto di qualità” nella
relazione tra i due paesi, passaggio fondamentale per la firma del Trattato del
1987.
Proprio per il ruolo avuto dal diplomatico italiano nel riavvicinamento italo-
argentino e per la approfondita conoscenza della realtà latinoamericana ed
argentina, sono risultati fondamentali sia la sua opera monografica sull'Argentina
che i suoi numerosissimi articoli pubblicati sulle riviste specializzate.
L'Argentina, gli italiani, l'Italia: un altro destino (1998), opera che ripercorre la
storia dell'Argentina in relazione al flusso migratorio italiano fin dall'indipendenza
del paese, è fondamentale per chiunque voglia avvicinarsi allo studio sia
dell'altalenante rapporto italo-argentino che della realtà socio-politica di quel
paese. Inoltre, è stato determinante nella ricostruzione del periodo oggetto di
analisi nel presente lavoro, sia perché sia perché Camerana è stato uno degli
artefici della relazione particolare con l'Argentina, sia per l'accuratezza con cui
l'ex Ambasciatore riporta i singoli eventi. Fondamentali, poi, i suoi articoli
pubblicati dalle riviste specializzate, tra cui i più importanti sono sicuramente
Italia e America Latina: dallo strabismo all'attenzione (1995, “Relazioni
Internazionali”) e Italia-Argentina, i dieci anni di un Trattato (1997, “Affari
7
Esteri”).
Dato che l'argomento oggetto di questo lavoro è estremamente recente, le fonti
principalmente utilizzate sono gli articoli pubblicati dalle principali riviste
specializzate in politica estera, tra cui “Relazioni Internazionali” (ISPI – Istituto
per gli Studi di Politica Internazionale) e “Politica Internazionale” (IPALMO –
Istituto per le Relazioni tra l'Italia e i paesi dell'Africa, America Latina, Medio ed
Estremo Oriente). Tra l'altro, proprio l'IPALMO promosse negli anni ‘80 una serie
di conferenze che miravano proprio a consolidare la relazione bilaterale tra Italia e
Argentina e che videro la partecipazione di importanti esponenti del Governo e
dell'economia di entrambi i paesi
1
. I testi con gli interventi tenuti in quelle
occasioni si sono rivelati strumento prezioso per la comprensione delle esigenze
argentine, sia economiche che politiche, nonché della strategia che l'Italia aveva
intenzione di adottare per soddisfarle.
Altrettanto determinante per la ricostruzione sia delle diverse tappe del rapporto
tra Italia e Argentina, sia di come queste si inserissero all'interno di un rinnovato
approccio alla Cooperazione da parte della politica estera italiana, è stato
sicuramente L'Italia nella politica internazionale pubblicazione annuale a cura
dello IAI, Istituto Affari Internazionali. Tra l'altro proprio i volumi presenti nella
sede romana dell’Istituto sono stati ampiamente consultati per questa ricerca.
Nonostante non sia stata possibile, quindi, la consultazione degli archivi
diplomatici, un ruolo centrale lo hanno avuto sia la pubblicazione annuale del
Ministero degli Affari Esteri (Testi e documenti sulla politica estera dell'Italia, a
cura del Servizio storico e documentazione della Farnesina), sia i dibattiti
parlamentari, importantissimi nella ricostruzione della vicenda delle sanzioni
durante la guerra delle Falkland/Malvinas e quella dei desaparecidos di origine
italiana.
In relazione, poi, proprio alla questione delle vittime italiane della repressione
1 I due seminari in questione sono quello del febbraio 1984, “Le prospettive dei rapporti
economici fra l'Italia e l'Argentina” e quello dell'ottobre 1986 “Il ruolo dell'imprenditoria
nei rapporti fra Italia e Argentina”.
8
militare argentina, mi sono avvalso della consultazione degli archivi dei principali
quotidiani dell'epoca, in particolar modo del Corriere della Sera (il cui inviato in
Sud America, Giangiacomo Foà, pubblicò la lista dei desaparecidos di origine
italiana, dando il via all'aspro dibattito pubblico che ne seguì), de La Repubblica,
ma anche dei principali quotidiani di partito (Avanti, Il Popolo, L'Unità). Proprio
il dibattito sui principali giornali italiani sulle sanzioni anti-argentine e sulla
dittatura militare, riportò alla ribalta la “questione argentina”, a dimostrazione di
quanto l'opinione pubblica possa influenzare le scelte politiche, anche nell'ambito
della politica estera.
Per quanto riguarda le fonti italiane, poi, non può essere dimenticato il volume
curato da Ennio Di Nolfo, in cui sono stati inserite le relazioni presentate durante
un convegno tenutosi a Firenze nel 2002, relativo all'analisi della politica estera
craxiana (2007, La politica estera italiana negli anni ottanta). Tutti gli interventi
pubblicati furono presentati da esponenti politici e diplomatici di primo piano in
quel periodo, tra cui lo stesso Incisa di Camerana e Angelo Bernassola
(responsabile negli anni 80 della politica estera della DC), che insieme hanno
curato il capitolo Il risveglio della democrazia in America Latina.
Naturalmente, questo lavoro, pur analizzando in maniera più dettagliata
l'atteggiamento italiano rispetto all'Argentina, non poteva non avvalersi anche di
fonti argentine, necessarie per comprendere, oltre alle opportunità italiane, anche
le esigenze che Buenos Aires sperava di soddisfare approfondendo il rapporto con
Roma.
Indispensabile per ricostruire le diverse tappe di questa relazione è stata
sicuramente l'opera di A.Cisneros e C.Escudè (il primo ex diplomatico argentino,
il secondo professore di Relazioni Internazionali all'Università CEMA di Buenos
Aires), Historia general de las relaciones exteriores de la República Argentina,
che ripercorre le relazioni estere dell'Argentina dal 1806 fino al 1989 (2000,
CARI-Consejo Argentino para las Relaciones Internacionales) e che i due autori
hanno deciso di pubblicare interamente su internet.
9
Un altro saggio argentino essenziale per la ricostruzione dell'altalenante rapporto
tra Buenos Aires e Roma è sicuramente quello scritto da Claudio Javier
Rozencwaig, diplomatico argentino, il cui testo è stato tradotto a cura dell'ISPI
(1993, I rapporti Italia-Argentina dal 1945 ai nostri giorni ).
Altrettanto importante è stato il testo di Marta Cabeza (2000, Italia – Argentina:
las claves de una relaciòn privilegiada), che si concentra sia sul Trattato del 1987
che sulla sua successiva attuazione, rilevando in maniera chiara come la politica
estera argentina sia cambiata radicalmente con l'ascesa alla Casa Rosada di Carlos
Menem. Tra l'altro, la ricerca effettuata dall'autrice è stata frutto della
collaborazione tra il Consolato d'Italia di Rosario, l'Istituto Italo-Latinoamericano
ed il CERIR, Centro de Estudios en Relaciones Internacionales de Rosario.
Infine, un testo recente, pubblicato in occasione del Bicentenario argentino, è stato
determinante nel comprendere le linee guida della politica estera argentina del
primo Ministro degli Esteri post-dittatura, Dante Caputo che ebbe un ruolo di
primo piano proprio nel teorizzare la special partnership con l'Italia (2010 - La
Argentina y el mundo frente al Bicentenario de la Revoluciòn de Mayo).
10
CAPITOLO I
L'ITALIA E LA RISCOPERTA DELL'ARGENTINA
1. L'Italia e l'Argentina dal dopoguerra al 1982
Negli anni '80 la diplomazia italiana iniziò a guardare all'America Latina con una
costanza ed un interesse mai presenti prima.
Si ritiene quindi necessario, in via introduttiva ed in maniera sintetica, un breve
excursus sulle diverse tappe che portarono la politica estera italiana a riscoprire
l'Argentina e tutto il continente sudamericano. Ciò ci aiuterà a capire il motivo per
cui l'Italia riscoprì l'importanza di questo continente così in ritardo, nonostante
l'immensa potenzialità che aveva in virtù, prevalentemente, di un legame etnico
così marcato.
Iniziamo, dunque, questa breve digressione dal Secondo Dopoguerra, periodo che
Incisa di Camerana ricorda per lo “strabismo”
2
della politica estera italiana nei
confronti dell'America Latina. Questo atteggiamento dipese, fondamentalmente,
dall'assenza di una politica organica nei confronti di una regione, cui Roma aveva
fino ad allora guardato unicamente in funzione di “supporto diplomatico”
3
o di
valvola di sfogo per le proprie correnti migratorie. Per quanto riguarda il primo
punto, l'apporto latino-americano contribuì a “rendere meno assillante
l'isolamento dell'Italia rispetto ai maggiori paesi alleati”
4
nella definizione del
Trattato di Pace, tanto che otto paesi sudamericani decisero di sottoscrivere con
2 Incisa di Camerana L., Italia e America Latina: dallo strabismo all'attenzione, in “Relazioni
Internazionali”, Ottobre 1995.
3 Ibidem.
4 Ibidem.
11
l'Italia trattati di pace separati
5
.
Sotto il secondo profilo, cioè quello relativo all'emigrazione italiana, il periodo
1946-1958 segna una fortissima ripresa del flusso migratorio verso il Sud
America, non più soltanto verso le mete tradizionali, l'Argentina ed il Brasile, ma
anche verso il Venezuela
6
. L'America Latina tornò ad essere, quindi, in un
periodo così complesso come quello della ricostruzione post-bellica, l'approdo
ideale per le “eccedenze demografiche”
7
italiane.
Il problema era, dunque, l'assenza di una politica più ampia, organica e di lungo
periodo, nonostante proprio il Sud America rispondesse a precise necessità
italiane, sia sociali che politico-diplomatiche. Il rischio che si correva era che
appena tali necessità fossero venute meno, sarebbe diminuito automaticamente
anche l'interesse italiano per l'America Latina.
Dopo il viaggio di De Gasperi a Washington del gennaio 1947 e l'adesione al
Patto Atlantico del 1949, Roma prese atto dell'inserimento “irreversibile della
regione”
8
sudamericana all'interno di un blocco geopolitico guidato dagli USA. La
diplomazia italiana tentò, comunque, di mettere in campo una propria strategia nei
confronti del subcontinente.
Per la Farnesina, infatti, il rapporto di vera e propria subordinazione di quegli stati
nei confronti degli Stati Uniti, non era necessariamente in contraddizione con una
5 Gli otto paesi furono il Costa Rica, Cuba, Repubblica Dominicana, El Salvador, Guatemale,
Haiti, Honduras, Panama). Per quanto riguarda l'Argentina, questo fu l'unico paese che non
ruppe le relazioni diplomatiche con l'Italia, nonostante che durante la Conferenza
interamericana di Rio de Janeiro del 1942, la maggioranza dei paesi sudamericani avesse
dichiarato guerra all'Asse. In cambio, al principio del 1944, l'ambasciata italiana di Buenos
Aires riconobbe il Governo Farrel-Peròn, a dispetto delle pressioni americane e della
debolezza del governo italiano.
6 Salvatori P., L'emigrazione in Argentina nel secondo dopoguerra, in Tanta Italia nel mondo,
Storia dell'emigrazione italiana in Argentina, Fondazione Bruno Buozzi, pag. 50. A pagina
58 del testo vi è un'ampia descrizione degli accordi italo-argentini relativi proprio al flusso
migratorio italiano.
7Incisa di Camerana L., art.cit.
8 Ibidem. Tra il 1945 venne firmato tra i paesi americani sia il TIAR, Trattato Interamericano
di Assistenza Reciproca, sia la Carta di Bogotà, che diede vita all'OSA. Il ruolo egemone
degli USA e la strategia panamericana di Washington venne quindi istituzionalizzato in
questi accordi.
12
politica italiana attenta al Sud America. Anzi, il Ministro degli Esteri Carlo Sforza
credeva invece possibile un interessamento congiunto di Italia, Spagna, Francia e
Portogallo (la cosiddetta “solidarietà latina”) per la regione, che sarebbe stato, non
solo compatibile con il panamericanismo, ma avrebbe potuto agire come “antidoto
ad un completo appiattimento sulle posizioni nordamericane”
9
da parte dei paesi
sudamericani. Il problema di fondo di tale strategia, al di là della debole
autonomia internazionale di cui godeva l'Italia, era dato dalla totale divisione in
cui si trovava proprio il “fronte latinoeuropeo” (Italia, Spagna, Portogallo e
Francia), incapace di attuare una politica di inserimento coordinata e di fare fronte
comune contro gli Stati Uniti.
Preso atto di ciò, De Gasperi propose una una collaborazione tra Italia, Stati Uniti
e America Latina, determinando la nascita della cosiddetta “ipotesi triangolare”.
Nell'estate del 1949, infatti, il Presidente del Consiglio incaricò il vicepresidente
del Senato, Salvatore Adisio, ed il sottosegretario agli Esteri, Giuseppe Brusasca,
di compiere una missione diplomatica sia nelle capitali sudamericane che a
Washington, per vagliare la realizzazione di questa possibilità
10
. La strategia
triangolare si basava su un semplice assunto, cioè che lo sviluppo del sub-
continente sarebbe stato possibile se alle immense risorse li presenti si fossero
aggiunti i capitali statunitensi e la forza-lavoro italiana. Per la prima volta,
dunque, l'emigrazione oltreoceano veniva vista dalla politica estera italiana come
uno strumento di penetrazione, piuttosto che come un onere ed un peso per lo
Stato italiano. Se questo rappresentava un passo importante della diplomazia
italiana, era comunque in ritardo, non solo sui tempi, ma anche nella
comprensione di quanto fosse cambiato qualitativamente quel flusso migratorio.
In effetti, la proposta italiana mirava ad incanalare l'emigrazione verso la
colonizzazione rurale, ma i tentativi da parte dell'Istituto di Credito per il Lavoro
italiano all'estero coinvolsero solo una piccolissima percentuale di emigranti
11
.
9 Ibidem.
10Ibidem, pag. 55.
11 L'ICLE sovvenzionò, infatti, comprensori agricoli che interessarono poco più di 4000 coloni
13
Ciò che sfuggiva a Roma era che il flusso migratorio si era ormai diretto verso il
settore industriale, che si stava gradualmente sviluppando in Argentina ed in
Brasile. Ciò risulta chiaro anche analizzando un dato importante: nel 1948 si
trasferirono nella sola Argentina ben 88 imprese italiane di piccola e media
dimensione, mentre tra il 1948 e il 1951, tredici tra le maggiori industrie si
trasferirono in Argentina ed in Brasile
12
, attratte proprio da questa graduale
trasformazione.
Se questo elemento, da solo, sarebbe stato sufficiente a far naufragare l'ipotesi
triangolare, non va dimenticato che gli USA, per niente convinti della proposta
italiana, fecero comunque mancare il loro fondamentale supporto economico-
finanziario. Di fatto, a Washington, interessava l'America Latina come fornitrice
di materie prime, non come concorrente nella produzione industriale, per cui lo
sviluppo di quell'area non poteva far parte delle priorità americane
13
. Secondo
Incisa di Camerana, iniziò, in quel momento, a trapelare in Italia il sospetto che gli
Stati Uniti non fossero “in grado da soli di promuovere e governare lo sviluppo
dell'America Latina, imbarazzati come [erano] dalla difesa d'interessi privati
spesso di tipo monopolistico”
14
. L'ipotesi triangolare fallì, dunque, perché pur
essendo frutto di una strategia italiana autonoma, necessitava dell'appoggio della
potenza nordamericana, che, però, aveva un disegno evidentemente alternativo per
il Sud America.
L'esito negativo di tale proposta non fece, tuttavia, sorgere una nuova strategia
mirante alla valorizzazione della presenza italiana oltreoceano. Ciò causò
italiani. Cfr. Polidoro N., La presenza dell'Italia nell'America Latina, 1971, Roma, Il
Gabbiano, pag. 20.
12 Incisa di Camerana, art.cit.,, pag. 55.
13 Se questo è, a mio avviso, inconfutabile, non può essere sottovalutato il fatto che proprio gli
USA esaudivano la domanda latino-americana di beni strumentali, finalizzati proprio
all'avvio dell'industrializzazione. Così si esprime Incisa di Camerana, che comunque non
nega che “nella divisione del lavoro implicita nel disegno americano, [l'America Latina] si
presenta come un'area fornitrice di materie prime, ma consumatrice e non produttrice di
manufatti”. Ibidem, pag. 56.
14 Incisa di Camerana L., L'Argentina, gli italiani, l'Italia : un altro destino, Milano SPAI,
c1998 Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, pag. 605.
14
l'allontanamento della politica ufficiale dall'Argentina e dagli altri Stati della
regione, nonostante la forza-lavoro e l'imprenditoria proveniente dalla penisola
fossero state le artefici della costruzione e del successo post-bellico di molti di
questi paesi. Ancora una volta, si verificava una costante della politica estera
italiana in quell'area: la separazione tra “la politica estera degli italiani” o
dell'Italia “reale” che aveva da tempo scelto il Sud America come propria meta,
dalla “politica estera governativa” o dell'Italia “ufficiale” incapace di cogliere la
potenzialità di quella presenza così rilevante
15
.
Bisognerà aspettare la fine degli anni 50 per vedere ritornare la questione latino-
americana nel dibattito politico italiano. Ma anche questa volta, così come nel
1982, l'opzione latinoamericana “si [impose] fatalmente all'attenzione
dell'Italia”
16
, non come frutto di una scelta autonoma ed originale della
diplomazia, ma come conseguenza di pressioni esterne. Al fallimento dell'ipotesi
USA-Italia-Sud America si aggiunse, infatti, la crisi che sconvolse l'Africa del
Nord (Suez e Guerra d'Algeria), che scoraggiò le “velleità africaniste nostrane”
17
.
L'America Latina ritornò così nell'agenda diplomatica del nostro paese.
A questi due elementi se ne aggiungeva, poi, un altro, non meno importante, che
favoriva un maggiore dinamismo da parte della Farnesina. In quegli anni, crebbe,
difatti, nelle capitali sudamericane un diffuso sentimento di insoddisfazione per
l'egemonia statunitense, che non aveva garantito il progresso economico, sociale e
politico che aveva promesso. Come ricorda Incisa di Camerana, i motivi del
malcontento delle classi dirigenti sudamericane, erano diversi: un appoggio
economico scarsissimo (solo il 5% degli aiuti all'estero degli USA erano diretti
all'America Latina); una fortissima sperequazione socio-economica tra Stati Uniti
e i vicini latino-americani; la sempre maggiore ingerenza delle multinazionali
americane ed il fatto che, soprattutto l'Amministrazione Eisenhower, modulava il
suo trattamento diplomatico nei confronti dei singoli paesi, proprio in virtù del
15 Ibidem. Introduzione, pag. 19.
16 Ibidem, pag. 606.
17 Ibidem.
15
“trattamento offerto alle grandi compagnie nordamericane”
18
. A tutto ciò si
aggiunse l'appoggio del Dipartimento di Stato al golpe contro Arbenz in
Guatemala (1954) che avrebbe aperto la strada alla nascita delle tante dittature
sudamericane. Gli Stati Uniti furono, dunque, i principali responsabili della
diffidenza da parte sudamericana nei confronti del progetto panamericano e,
proprio da questa sfiducia, nacque in Europa, ed in particolare in Italia, la volontà
di sfruttare questa immensa occasione.
Inoltre, questa sfiducia nei confronti dell'alleato nordamericano determinò a Roma
una preoccupazione concreta, e cioè che l'arretramento economico in cui si
trovava l'America Latina, anche a causa del ruolo assegnatole dal
panamericanismo, potesse offrire “aperture alla penetrazione del comunismo e di
conseguenza dell'Unione Sovietica”
19
. L'analisi non era poi così sbagliata se si
pensa alla Rivoluzione Cubana del 1959 e ai movimenti di guerriglia che stavano
proliferando ovunque nell'America Meridionale, proprio grazie ad un contesto
socio-economico favorevole.
Ma il rischio per l'Italia non era solo strategico, ma anche e soprattutto
economico. Se si guarda al solo caso argentino, ad esempio, il decennio 1958-
1968, fu quello in cui l'attività commerciale bilaterale subì lo sviluppo più
sostenuto. L'Argentina forniva all'Italia prevalentemente grani e carni fresche,
tanto che le importazioni da quel paese erano al 46,2% del import complessivo
proveniente dall'America Latina (il Brasile era al secondo posto, ma con solo il
17,8%). Le esportazioni, invece, si attestarono al 19,6% del totale. Oltre a
sottolineare la complementarità con quel paese, ciò dimostra l'interesse di
importanti settori economici italiani per l'intero subcontinente americano, che si
fondava sia “sulle ragioni di affinità culturale (emigrazione, lingua, ecc.), sia sulla
facilità di inserirsi in quei mercati, data la prossimità dei livelli di sviluppo”
20
.
18 Ibidem.
19 Ibidem.
20 Rozencwaig C., I rapporti Italia – Argentina dal 1945 ai nostri giorni, Milano Istituto per gli
studi di politica internazionale, 1993, pag. 113.
16
Si rendeva necessaria, dunque, una nuova strategia di intervento, che sarebbe stata
delineata dal nuovo Ministro degli Esteri, Giuseppe Pella
21
. Nel giugno del 1957,
egli disse, in un discorso pronunciato davanti a tutti i diplomatici latinoamericani
accreditati in Italia, che la “cooperazione fra i paesi che vivono sulle due rive
dell'Atlantico investe oggi non solo il campo economico e quello culturale, ma
anche e specialmente il campo politico”
22
. Si riconosceva, dunque, al Sud America
un ruolo fondamentale nel perseguimento dell'equilibrio mondiale, tanto che, la
necessità di difendere la civiltà occidentale, non poteva fare a meno “dell'apporto
e dell'intervento dell'intero continente sudamericano a difesa del comune
retaggio”
23
.
Se l'America Meridionale era così importante nello scacchiera internazionale, non
la si poteva lasciare in balia di una strategia panamericana che rischiava di
abbandonare il continente nell'immobilità politica ed economica e, quindi, di
allontanarla dall'Occidente. La concezione espressa da Pella era, comunque,
rispettosa dell'ortodossia occidentalista ed atlantica che dominava la diplomazia
italiana ma, partendo dalla constatazione della “insufficienza dell'azione degli
Stati Uniti nel mantenimento [della regione] nell'orbita occidentale”
24
, rivendicava
per l'Italia un ruolo attivo in America Latina, proprio per evitare derive anti-
occidentali e ripercussioni negative sul florido interscambio italo-argentino.
L'attivismo di Pella fu confermato dal viaggio che nel 1958 portò Gronghi in
Brasile, in una missione di fondamentale importanza, visto che per la prima volta
un Capo di Stato italiano si recava in America Meridionale. La scelta del Brasile,
e non dell'Argentina, fu dettata dalle polemiche esistenti nei settori “oltranzisti”
21 Giuseppe Pella fu Presidente del Consiglio dal 17 agosto 1953 al 5 gennaio 1954. Assumerà
la guida della Farnesina, invece, durante il Governo Zoli (19 maggio 1957 – 19 giugno
1958).
22 Incisa di Camerana, art.cit.,, pag. 57. Il discorso venne pronunciato dal Ministro Pella in
occasione dell'inaugurazione del Ponte Amerigo Vespucci di Firenze, cui partecipò l'intero
corpo diplomatico sudamericano. Tra l'altro Pella fu il primo Ministro degli Esteri italiano a
recarsi in America Latina.
23 Ibidem.
24 Incisa di Camerana, L., op.cit., pag. 606.
17