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Il «mito» di Venezia
La Serenissima tra il XV e XVI secolo
L’Europa nei decenni precedenti al XV secolo fu scossa da molteplici rivoluzioni sociali e
contestazioni delle istituzioni, con conseguenze profonde sulla sua evoluzione politica e
sociale. Se l’Inghilterra conobbe frequenti rivoluzioni contadine, il re francese dovette
affrontare la perdita del controllo del regno. In Italia, Firenze fronteggiò assidue rivolte e
colpi di stato e nello Stato della Chiesa diversi governi furono guidati da piø papi in
contemporanea.
2
Venezia non fu esente da tali sconvolgimenti. La Serenissima dovette,
infatti, affrontare svariate difficoltà, prima fra tutte la peste nera, che dal 1347 dimezzò la
popolazione veneziana in soli due anni. Seguì il conflitto con la Repubblica di Genova, la cui
espressione massima fu la guerra di Chioggia (1379-1381) terminata con la vittoria della
Serenissima, anche se con ingenti perdite.
3
Nonostante le difficoltà attraversate da Venezia nel corso di questi anni, la
Serenissima continuava a esercitare la funzione di intermediaria nelle relazioni commerciali
tra Oriente e Occidente, pur volgendosi maggiormente verso quest’ultimo durante il primo
Quattrocento. Questa scelta influenzò sia la politica che l’attività marittima, ma si manifestò
anche a livello culturale, nello sviluppo delle arti e delle scienze.
4
Venezia dedicò, quindi,
maggiori energie agli affari in territorio italiano, per i quali era fondamentale il controllo e
l’espansione in terraferma. La caduta di Costantinopoli (1453), considerata come una seconda
capitale, sarà un ulteriore stimolo a protendersi sempre piø verso la terraferma veneta.
Venezia estese i suoi domini fino al raggiungimento di alcune parti della Lombardia (1428),
ma, contestualmente, si ritrovò a dover affrontare nuovi rivali marittimi: le flotte turche e
quelle spagnole.
5
Il controllo del Mediterraneo, per motivi commerciali e militari, era
un’importante chiave strategica e Venezia lo comprese da subito, ma se nell’Adriatico il suo
2
Frederic C. Lane, Storia di Venezia, Einaudi, Torino, 1978, pp. 205
3
Ivi, pp. 205-224.
4
Ivi, pp. 243-253.
5
Ivi, p. 265.
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monopolio era consolidato, nel resto del Mediterraneo la concorrenza di catalani, francesi e,
soprattutto, genovesi era spietata. Lo scambio di merci tra Europa occidentale e Mediterraneo
orientale fruttava tra l’altro anche le tasse sul commercio di transito, le quali erano
un’importante entrata nelle casse della Repubblica di Venezia.
6
Tra i principali interessi di Venezia legati alla terraferma vi era sicuramente la
necessità di attingere rifornimenti quali viveri, acqua e legname, ma anche la presenza di vie
terrestri per i mercati occidentali. Vi erano quattro o cinque strade per la Germania
meridionale attraverso le Alpi austriache, e due o tre strade per la Francia attraverso la
Lombardia, in modo che la chiusura di una strada potesse essere neutralizzata da un piø
massiccio uso delle altre. Uno dei grandi timori della Serenissima era, infatti, che una potenza
potesse accerchiare la laguna e bloccare le strade, privandola, di fatto, della possibilità di
sfruttare questa via commerciale.
7
Nel 1423 esistevano nell’Italia settentrionale tre stati principali: Milano, Firenze e
Venezia; al centro della penisola gli stati pontifici e piø a sud il Regno di Napoli. Nel corso
degli anni Venezia – che aveva intrapreso l’espansione in terraferma – si era spinta fino alle
soglie di Brescia e Bergamo, facendole cadere sotto la propria egemonia, e in parte anche fino
a Milano; il suo dominio in territorio lombardo andava in crescendo, ma gli acquisti
geografici non giovarono alla pace. Filippo Maria Visconti duca Milano reputò questa
intrusione veneziana come un’offesa da vendicare e si alleò con Alfonso, re di Aragona,
divenuto re di Napoli in seguito alle numerose guerre civili napoletane.
8
Gli stati pontifici si
allearono con la coalizione fiorentino-veneziana, nata per proteggere le “libertà d’Italia”
contro l’espansione milanese, e questo garantì ancora una volta l’equilibrio. Tutta l’Italia era
coinvolta nel conflitto, ma il centro degli sforzi militari di Venezia rimase la Lombardia.
Come tutti gli altri stati italiani, Venezia assoldava capitani mercenari per la guerra,
chiamati anche condottieri, e, pur avendo qualche difficoltà, nel complesso fu piuttosto
fortunata nell’impiego di queste persone. Il caso piø lampante si ebbe all’inizio delle guerre
lombarde, dove Venezia ottenne i servigi del condottiero piø prestigioso, il Carmagnola, che
al servizio del duca di Milano, aveva dimostrato di non essere secondo a nessuno. Tuttavia,
dopo le prime conquiste cadde in un’inerzia sospetta e fu accusato di complottare con il duca
6
Ivi. p. 240.
7
Ivi, pp. 265-266.
8
Ivi, p. 271.
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di Milano. Senza far trapelare nulla, il Carmagnola fu ascoltato dal Consiglio dei Dieci, ma
dopo un mese di carcere e un regolare processo, fu decapitato sulla pubblica piazza. In
precedenza, quando il Visconti era venuto a conoscenza che il Carmagnola l’avrebbe
abbandonato per servire Venezia, egli aveva progettato di avvelenarlo. La Repubblica
veneziana, avendo affrontato questa situazione nel rispetto della legalità e in maniera piuttosto
efficiente, ebbe un ritorno di immagine notevole, e il suo prestigio se ne giovò ulteriormente.
9
Il condottiero italiano di maggior successo fu Francesco Sforza, che bloccò le
ambizioni di Venezia, proclamandosi duca di Milano e diventando lui stesso, nel tempo, un
elemento di equilibrio tra gli stati. Quando Filippo Maria morì senza lasciare eredi, alcuni
umanisti, tra cui Francesco Barbaro, proposero una stretta alleanza delle repubbliche di
Venezia, Firenze, Milano e Genova, ma Firenze era ormai governata da Cosimo de’ Medici
che decise di appoggiare lo Sforza per contenere Venezia. Il doge Francesco Foscari e altri
esponenti della politica veneziana contrattarono l’alleanza con la Repubblica milanese a
fronte della cessione delle città di Lodi e Piacenza. Lo Sforza combattØ gli eserciti di Venezia
fino a che la comune stanchezza, la mediazione del Papa e la conquista turca di
Costantinopoli portarono i contendenti a una pace generale, nel 1454. Nella pace di Lodi si
espresse l’unità dello Stato italiano grazie all’alleanza dei cinque membri principali: Napoli,
Stato pontificio, Firenze, Milano e Venezia.
10
Quest’ultima risultava il membro piø potente.
Nonostante fosse l’elemento piø forte del gruppo, Venezia non doveva occuparsi solo
dell’Italia, ma anche della crescente forza dell’impero ottomano; se avesse dovuto pensare
solo all’Italia, è probabile che avrebbe avuto le capacità e la forza per smuovere gli equilibri
in suo favore, ma la presenza dei turchi nei Balcani e nell’Egeo richiedeva gran parte
dell’attenzione e degli sforzi diplomatici e militari della città lagunare.
11
La sua abile politica risultava sospetta agli altri stati italiani, per una sorta di gelosia forse, ma
anche perchØ, esposta piø degli altri all’aggressione turca, Venezia chiedeva aiuto quando era
coinvolta nella guerra, ma allo stesso tempo era disponibile alla pace ogni volta che poteva
trarne vantaggi personali.
12
9
Ivi, p. 274.
10
Ivi, p. 275.
11
Ivi, p. 276.
12
Ibidem.
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Nel 1470 Maometto II scese personalmente in campo nella guerra contro i veneziani e
insieme alla sua flotta e al suo esercito conquistò la base di Negroponte.
13
Dopo sedici anni di
conflitti, Venezia riconobbe la sconfitta e concluse la guerra con il trattato del 25 gennaio
1479, in cui rinunciò a Negroponte e ad altre isole dell’Egeo, e s’impegnò a pagare un tributo
di diecimila ducati all’anno per i privilegi commerciali.
14
L’estensione dei suoi domini, la forza finanziaria del governo e quell’idea generale di
benessere e opulenza che alimentava la fiducia verso la città stessa erano alcuni degli aspetti
positivi della Venezia di fine Quattrocento; tra i molti “miti veneziani”, vi è, non a caso,
quello che attribuisce al Senato di Venezia «una saggezza infallibile nella condotta della
politica estera».
15
Tuttavia, all’inizio del Cinquecento le iniziative del Senato lasciarono Venezia isolata.
Quasi tutti gli Stati europei, con la supervisione del Papa, si coalizzarono contro la
Serenissima con il preciso scopo di distruggere la potenza economica e politica di Venezia e
spartirsi i domini in suo possesso. Il nome di questa coalizione fu Lega di Cambrai (1509),
forse il maggior pericolo militare corso dalla Repubblica di Venezia nello Stato da Tera, ma
la sua opposizione durò solo due anni circa, fino allo scioglimento della lega stessa per mano
dello stesso Papa.
16
Forse fu grazie anche agli sconvolgimenti bellici avvenuti in terra veneta
che, per la prima volta, anche il popolo dei contadini si riconosceva in quell'identità statale e
culturale veneta.
Nel Cinquecento, Venezia mostrava ancora il volto di una città ricca, capace di reagire
alle sconfitte politico-militari e ai disastri naturali: il mutamento degli interessi della nobiltà
(dai traffici agli investimenti fondiari in Terraferma), il declino marittimo, l'arretramento nei
confronti della Spagna in Italia e dei Turchi in Oriente, dovuti a una serie di conflitti che
trasformarono l’Italia da soggetto attivo a oggetto passivo, andavano di pari passo con una
vita politica, sociale, artistica ancora vitale. Infatti, nonostante l’avvicinarsi del periodo di
decadenza economica e la stasi di una politica ormai fossilizzata, Venezia continuava a
brillare in tutti i campi della cultura: pittura, letteratura e architettura.
Alcuni studiosi ritengono la data del 1492, usata convenzionalmente per separare il
Medioevo dalla storia moderna, la data spartiacque che ha segnato l’inizio del declino di
13
Ivi, p. 278.
14
Ibidem.
15
Ivi, p. 284.
16
Ibidem.
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Venezia. ¨ chiaro che con la scoperta dell’America da parte di Colombo si ha un nuovo inizio
per quanto riguarda i rapporti tra l’Europa e il resto del mondo, ma forse gli effetti di questa
scoperta furono, per Venezia, meno incisivi di ciò che si pensa comunemente.
17
A prescindere
dall’effettiva incisività di questi effetti, bisogna ricordare il ruolo di Venezia come porta verso
l’Oriente, e la sua collocazione geografica; la scoperta dell’America ha avuto conseguenze
economiche a livello planetario, e la Serenissima avrebbe dovuto reagire per non soccombere
lentamente, soffocata da queste nuove rotte e dinamiche commerciali.
Nella prima metà del Seicento la peste tornò a Venezia e uccise piø di quarantaseimila
persone. Questa piaga, sommata alla crescente pirateria del Mediterraneo, assestò un altro
duro colpo all’economia veneziana in crisi. Nel Mediterraneo crebbe anche la concorrenza:
francesi, olandesi e inglesi ottennero privilegi fiscali dalle dogane turche e
contemporaneamente si ebbe la nascita delle grandi compagnie europee, quella delle Indie
orientali, di proprietà inglese, e quella delle Indie occidentali, di proprietà olandese.
18
Venezia, dunque, visse il periodo di maggiore splendore nel secolo XV, durante il
quale furono costruite chiese e palazzi, soprattutto in stile gotico e primo Rinascimento. La
città diventò inoltre famosa a livello mondiale grazie alla sua produzione di tessuti preziosi
fatti di seta proveniente dall’Oriente, oltre che per i suoi pizzi, gioielli e abiti, ammirati da
numerose famiglie delle case reali d’Europa. In questo periodo Venezia si distinse anche nel
campo dell’arte. La scultura, la pittura, le opere teatrali, la poesia, la musica e altre forme
d’arte donarono a Venezia la bellezza eterna di cui gode ancora oggi.
I viaggiatori, gli ambasciatori, i traduttori, i pittori avevano divulgato l’immagine della
città bella, opulenta, potente, giusta, ma anche corrotta, inconcludente, allarmata dal pericolo
del contagio culturale. Le due grandi opere shakespeariane ambientate in laguna mostrano che
il Bardo conosceva e aveva riflettuto sul significato dell’esperienza veneziana per tante
ragioni.
17
Ivi, p. 320.
18
Christian Bec, Venezia – La storia, il mito, Carocci, Roma, 2003, pp. 91-93.
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Il mito
Il mito di Venezia fu creato dalla città stessa, soprattutto tra il Quattrocento e Cinquecento,
quando si mostrò in maniera decisa e s’impose nell’immaginario di tutta l’Europa come Stato
perfetto. Il mito fu anche «direttamente connesso alla scomparsa della tradizione umanistico-
civile, che si era affermata a Firenze tra la fine del Trecento e il primo Quattrocento».
19
La
convinzione degli umanisti del tempo, tra cui Coluccio Salutati e Leonardo Bruni, era, infatti,
che la città di Firenze fosse un modello sia di costituzione interna sia di difesa della libertà
repubblicana in Italia. Con l’affievolirsi dell’egemonia di Firenze si sostituì la sua esaltazione
con l’idealizzazione della città predestinata a far continuare la tradizione civile repubblicana:
Venezia.
20
In quel periodo la difficile situazione italiana agevolò l’ascesa della Serenissima nel
panorama politico europeo, quale fulgido esempio di eccellenza politica.
21
Nella prima metà
del XV secolo tra Firenze e Venezia, nonostante alcune tensioni, s’iniziò a creare un clima di
simpatia culturale; con la progressiva scomparsa dal palcoscenico della politica di alto livello
di Milano, le due città furono le due protagoniste del Quattrocento italiano. Tra queste due
polis, avvicinatesi proprio per lottare contro Milano, si sviluppava un rapporto legato
principalmente a motivi ideali, un rapporto solidale, basato sulle analoghe e rispettive
situazioni politiche e culturali.
Nella nuova atmosfera italiana, però, aperta dalla discesa – fallimentare – di Carlo
VIII in Italia, se Firenze, come gli altri Stati, si trovò profondamente mutata nelle strutture
economiche, culturali e politiche, Venezia riuscì a mantenere le sue istituzioni e la sua
tradizione politico-culturale. Questa unicità della Repubblica di Venezia la differenziò dalla
sua “gemella” toscana e la elevò a un piano superiore cui anche la storica alleata Firenze
iniziò ad ambire.
22
La pubblicistica internazionale, tra il 1500 e il 1700, mostrò un particolare interesse nei
confronti della Serenissima, spesso elogiata quale modello esemplare di Stato, sotto il profilo
19
Renzo Pecchioli, Dal «mito» di Venezia all’«ideologia americana», Marsilio Editori, Venezia, 1983, p. 43-44.
20
Ivi, p. 45.
21
William J. Bouwsma, “Venice and the Political Education of Europe”, in J.R. Hale (a cura di), Renaissance
Venice, London, 1973, pp. 445-466, cit. in R. Pecchioli, Dal «mito» di Venezia all’«ideologia americana», p.
226.
22
Ivi, pp. 54-60.
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politico ed etico, e incrementò in tale maniera il fenomeno di mitizzazione della città
lagunare.
23
Rucellai, Guicciardini, Machiavelli (anche se in maniera differente rispetto agli
altri autori) e Giannotti, esponenti culturali e scrittori fiorentini, concordano sul fatto che il
mito di riferimento è quello della costituzione di Venezia.
La Repubblica di Venezia era uno Stato forte e ben organizzato a livello
amministrativo; le istituzioni della Serenissima, che furono fissate alla fine del XIII secolo,
rimasero invariate per cinquecento anni circa.
24
Il doge, chiamato anche Principe, era la prima
carica della Repubblica, conferita «ai suoi gentiluomini di gran merito». Dal 1268 non fu piø
designato dal popolo, ma grazie a una serie di undici scrutini, che mescolavano i voti del
Maggior Consiglio a una componente aleatoria determinata da un’estrazione casuale, per
scongiurare qualsiasi intrigo di famiglia o partito al fine di ottenere i poteri.
25
Nel 1423 il
Maggior Consiglio dichiarò che i suoi decreti, anche se modificavano le leggi fondamentali,
erano validi senza cerimonia d’approvazione del popolo. Il pericolo legato all’accumulo di
poteri nelle mani di uno solo veniva smorzato con «la brevità dei mandati, coi limiti alla
rielezione e con la delega di poteri e responsabilità non ai singoli individui ma a organi
collegiali».
26
Tutti i nobili, fatta eccezione per gli appartenenti al clero, a venticinque anni
diventavano membri del Maggior Consiglio; nel Cinquecento i nobili erano circa
duemilacinquecento. Data l’inusuale ampiezza numerica del Maggior Consiglio, la funzione
deliberativa passò al Senato, composto in origine da sessanta membri eletti dal Maggior
Consiglio, e in seguito ampliato con il Consiglio dei Quaranta, che operava come un tribunale
d’appello.
27
Accanto al Minor Consiglio, composto dal doge e dai suoi sei consiglieri, si
collocava la Serenissima Signoria, di cui facevano parte i capi del Consiglio dei Quaranta.
Alla fine del XV secolo si aggiunsero, sempre designati dal Maggiore Consiglio, i sei grandi
Saggi incaricati di politica generale, poi i cinque Saggi competenti in materia marittima e i
cinque Saggi della Terraferma; tutti insieme costituivano il Collegio, formato da ventisei
persone, che dal XVI secolo affermava la sua competenza in politica estera.
28
Il Maggiore
Consiglio eleggeva anche il Consiglio dei Dieci, una specie di Corte suprema incaricata di
23
Ivi, p. 45.
24
Christian Bec, Venezia – La storia, il mito, cit., p. 54.
25
Ibidem.
26
Frederic C. Lane, Storia di Venezia, cit., p. 294.
27
Ivi, p. 297.
28
Christian Bec, Venezia – La storia, il mito, cit, p. 55-56.
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vegliare sulla sicurezza e sui costumi. Secondo Domenico Morosini, alla fine del XV secolo i
Dieci sono degni di vedersi attribuire il merito della libertà e della tranquillità in città.
29
Per quanto concerne la politica estera, giocavano un ruolo sempre piø importante gli
ambasciatori, reclutati fra i patrizi piø qualificati, e incaricati di missioni precise o
permanenti. Questi inviavano al Senato dei regolari dispacci, presentando a fine soggiorno
una relazione per far sì che la classe dirigente avesse un’idea molto precisa degli Stati
stranieri, dei loro problemi e dei loro capi.
30
Questi documenti erano conservati negli archivi
della Cancelleria, di cui era responsabile il Gran Cancelliere. Gli ambasciatori, importante
fulcro per i rapporti con l’estero, furono anche complici di una spinta propagandistica
dell’immagine magnifica di Venezia nel resto del mondo: parte del loro lavoro, oltre a
raccogliere informazioni sugli Stati stranieri, era la promozione di Venezia come città-stato
idilliaca sotto tutti i punti di vista.
La popolazione di Venezia era divisa in gruppi ben distinti: patrizi, cittadini, clero,
popolo e stranieri. I primi erano i soli ad avere l’esclusività dei diritti politici e ad accedere al
Maggior Consiglio; subito dopo i patrizi vi erano i cittadini, a loro volta divisi in due gruppi:
di diritto (de jure), figli di cittadini nati a Venezia e che partecipavano alle stesse attività
commerciali e bancarie dei patrizi, e i cittadini de intus e de extra, nati fuori Venezia. Poi c’è
il popolo, definito da Antonio Milledonne nel suo ExposØ sur le gouvernement de la
rØpublique de Venise «terza condizione degli abitanti di Venezia».
31
Infine il clero, rispettato,
ma messo in disparte dagli affari pubblici e sottomesso agli stessi tribunali dei laici. Al di
fuori di queste categorie, tutto ciò che rimaneva era identificato come straniero.
Un aspetto interessante è che, a differenza di una repubblica come Firenze, Venezia
conobbe solo sporadicamente l’agitazione sociale. La ragione di ciò sta nel fatto che le
istituzioni incontravano un vasto consenso e che lo Stato assicurava un livello di vita elevato
per l’epoca, una giustizia egualitaria ed efficace, e la partecipazione di tutti alle cerimonie
pubbliche.
32
Contarini nel 1520 offrì una vivida rappresentazione del posto occupato nell’immaginario
collettivo cittadino del governo della Serenissima, nel suo saggio Della Repubblica e
29
Ivi, p. 57.
30
Ivi, p. 60.
31
Citato in Ivi, p. 63.
32
Ibidem.
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magistrati di Venezia.
33
Egli era diretto discendente del Doge che presiedette il governo
veneziano durante la guerra di Chioggia. Fu così che, forte della propria discendenza e in virtø
delle capacità di esperto ambasciatore che sempre lo distinsero, divenne ben presto una figura
politica di rilievo a Venezia. Il punto di partenza del suo manoscritto riguardava la forma
ideale di governo.
34
Da Aristotele e altri antichi scrittori egli aveva appreso i vantaggi di un
governo misto, con elementi del governo monarchico, del governo dei “pochi” e del governo
dei “molti”. Convinto della quasi perfezione della Repubblica veneziana, anche perchØ si era
mantenuta in piedi per piø tempo di ogni altra città antica, Contarini descrisse nel suo saggio
come esemplare il sistema politico veneziano, grazie a «una combinazione armoniosa delle
tre forme».
35
Il Maggior Consiglio rappresentava i Molti, il Senato e i Dieci rappresentavano i
Pochi, e il doge assicurava a Venezia i vantaggi della monarchia, ma senza incarnarne i
difetti. L’armonia all’interno della città-stato era innegabile, e questa tipologia di governo era
riconosciuta dalla maggioranza del popolo, anche se il potere era concentrato nelle mani di
pochi. La struttura costituzionale di Venezia venne vista e analizzata con ammirazione da
tanti, fiorentini inclusi. Il potere di Venezia si autorappresentava come un potere guidato dalla
ragione, dall’ars oratoria, e, quindi, in contrasto con altri poteri forti e arroganti presenti in
altri stati. L’equa amministrazione della giustizia aumentava la buona reputazione della città,
e verso la fine del Cinquecento, Jean Bodin, filosofo francese e sostenitore dell’assolutismo
monarchico, diceva di Venezia: «…l’offesa recata da un gentiluomo veneziano all’ultimo
abitante della città è corretta e punita con molta severità; sicchØ a tutti ne viene una grande
dolcezza e libertà di vita, che sa piø di libertà popolare che di governo aristocratico.».
36
L’equilibrio e la tranquillità della Serenissima erano dovute anche alla maestria
diplomatica con la quale la Repubblica di Venezia si rapportava con le altre potenze, con il
fine ultimo di un tornaconto personale. Per conseguire questo scopo, Venezia cercò di attivare
legami commerciali con l’Oriente e in particolar maniera con l’impero Ottomano, con cui
spartiva l’interesse per l’amministrazione di determinate aree del Mediterraneo.
Il rapporto con l’impero Ottomano andava al di là del mero scambio commerciale, si
trattava di uno scontro tra culture, tra civiltà profondamente diverse. Il Turco era «l’infedele»,
33
Frederic C. Lane, Storia di Venezia, cit., p. 301.
34
Ibidem.
35
Ivi, p. 302.
36
Citato in Ivi, p. 318.