INTRODUZIONE
Il nostro tempo è segnato dalla presenza di masse intere costrette all’apolidicità e alla
non appartenenza: rifugiati, profughi e immigrati che si lasciano alle spalle storie
diverse, miserie diverse, riscatti diversi, ma sempre considerati “masse”, che nel lessico
del diritto internazionale e umanitario vengono chiamate internally displaced (e cioè
sfollati), asylum seekers (sempre sfollati che però hanno attraversato i confini dei
territori di pertinenza), temporary refugees (individui in fuga ai quali, non essendovi
condizioni che impediscono il riconoscimento dello statuto di rifugiati, viene assegnato
un asilo pro tempore),fino a illegal aliens per gli immigranti, “economici” o meno.
Non è raro che tutte queste definizioni possano anche concatenarsi e sovrapporsi in
un'unica biografia; è possibile insomma che un soggetto cambi status fino a diventare
un illegal alien: il punto, allora, non riguarda tanto presunte differenze “oggettive” tra
individui, quanto piuttosto l’arbitrarietà di definizioni che azzerano biografie e segnano
destini, e gli effetti politici che così si determinano. Ad ogni passaggio, a ogni
definizione, a ogni eventuale tappa della “carriera morale” degli individui in questione,
corrisponde un campo, un centro temporaneo attrezzato.
Tra giochi di parole in cui l’accento cade sull’elemento di temporaneità e di precarietà,
ovvero sul carattere detentivo, o ancora su quello protettivo e di accoglienza, si
susseguono definizioni ossessivamente ripetitive: Emergency temporary locations,
oppure, nella variante più estesa e meno attrezzata, Temporary protected areas (o
ancora, in una formula più retorica, Safe Havens) per gli internally displaced; Transit
processing centres,o “centri di identificazione”, per gli asylum seekers; più banalmente
Refugees temporary centres o “Centri di accoglienza temporanea” per i temporary
refugees; Detention centres, “Centri di permanenza temporanea”, zones d’attente per i
migranti irregolari.
Con la mia tesi intendo analizzare i luoghi fisici del confinamento dei migranti in Italia
e in Europa.
In primo luogo esporrò la “teoria del confinamento”, ossia una riflessione storico-
filosofica sulla necessità degli stati di controllare e gestire i movimenti materiali dei
4
migranti e di confinarli per rispondere ad un bisogno di coesione sociale spesso fragile,
più che ad una messa in sicurezza della comunità. Sarà una riflessione che partirà da
lontano, dai campi di internamento nelle colonie inglesi dell'Africa del sud, e
continuerà - con le dovute differenziazioni- con i gulag e i campi nazisti, fino ad
arrivare ai giorni nostri.
Nel secondo capitolo farò una panoramica sui trattati internazionali e la normativa
europea in tema di immigrazione ed asilo per testimoniare come, dal trattato di
Schengen, all'aumento del numero degli stati che sono entrati nell'unione o hanno
aderito agli accordi internazionali è corrisposta una sempre maggiore chiusura delle
frontiere europee, che ha reso sempre più difficile ottenere l’asilo o semplicemente
emigrare in maniera legale, costringendo migliaia di individui all’illegalità. Si vedrà
come questa chiusura non è stata programmata da un particolare organo europeo,
quindi attraverso un processo di decisione che ha coinvolto tutti gli stati, ma è stato
perpetrato attraverso accordi fra pochi stati, senza la trasparenza e il rispetto delle
regole necessarie invece per la promulgazione di accordi comunitari, e solo a cose fatte
questi accordi sono stati inseriti in normative comunitarie, facendo diventare ciò che
era stato deciso da pochi e accettato solo da alcuni, obbligatorio per tutti.
Il terzo, il quarto ed il quinto capitolo sono dedicati alla situazione italiana, non perché
sia più grave che in altri stati, ma semplicemente perché ci riguarda da più vicino: il
terzo capitolo è dedicato interamente alla legislazione italiana in tema di immigrazione
e al suo evolversi nel tempo, mentre il quarto capitolo tratta delle misure
amministrative che formano il “diritto penal-amministrativo del nemico”, sia dal punto
di vista storico-sociologico che prettamente giuridico. Il quinto capitolo è incentrato sui
centri di detenzione amministrativa in Italia: i diversi tipi, le diverse funzioni, le
condizioni materiali del trattenimento e le problematiche ad esse relative, quindi la
critica sull'utilità degli stessi ed infine le proposte per il superamento del sistema: in
realtà queste proposte, se applicate, consentirebbero una razionalizzazione del sistema,
piuttosto che un suo reale superamento, per il quale sarebbe necessario un ripensamento
non solo delle politiche sull'immigrazione di tutti gli stati (non solo l'Italia, non solo
quelli europei), epurandole dalla logica sicuritaria e dall'ottica del migrante come
criminale, ma soprattutto un superamento di tutti i fattori che rendono necessario
5
migrare, e migrare nelle condizioni più difficili. Questo però avrebbe richiesto troppo
spazio, troppo tempo, e una lunga disgressione dal tema della tesi.
Non volendo anticipare le conclusioni, salto a presentare l'allegato alla fine della tesi: è
un interessante articolo di Fabrizio Gatti apparso su "L'Espresso", l'8 novembre 2005,
dove il giornalista racconta di come sia riuscito a farsi internare nel centro di
Lampedusa, fingendosi clandestino. L'articolo è interessante perchè descrive le reali
condizioni di vita dei migranti all'interno dei centri, suscitando nel lettore (o almeno
così è stato per me) una forte indignazione per quanto è successo e tutt'ora succede a
migliaia di persone, senza che abbiano fatto nulla per meritarselo, se non desiderare una
vita migliore.
6
CAPITOLO 1
La teoria del confinamento
Premessa: I confini della cittadinanza
Nonostante l'origine remota della cittadinanza moderna possa essere fatta risalire ai
“meandri della cultura politico-giuridica dell'assolutismo”
1
, un passaggio
fondamentale per questo concetto è individuabile nel complesso degli avvenimenti
legati alla Rivoluzione francese (e, al di fuori del contesto europeo, a quella
americana), alla fine del XVIII secolo: la nascita di un tipo di comunità radicalmente
diverso rispetto a quelle che avevano caratterizzato l'Europa fino ad allora
2
. La novità
fu che la comunità uscita dalla rivoluzione aveva come punto d'unione non la
soggezione ad un sovrano, ma l'esercizio di alcune libertà, sancite nella Dichiarazione
dei diritti dell'uomo e del cittadino (e , per gli Stati Uniti, la Dichiarazione dei diritti
degli stati americani), che concretizzavano i diritti teorizzati dalle filosofie
giusnaturalistiche
3
.
Il titolo stesso della dichiarazione, però, tradiva il contrasto tra la fratellanza universale
di tutti gli uomini, che ha costituito il leitmotiv della Rivoluzione, e la cittadinanza
nazionale, presupposto necessario a garanzia di quei diritti “universali”
4
. La
cittadinanza nazionale è infatti quella “istituzione tipicamente moderna tramite la
quale ogni Stato si costituisce e ricostruisce all'infinito come associazione di cittadini,
identifica pubblicamente un insieme di persone come suoi membri, e classifica in modo
residuale le altre come non-cittadini, come stranieri”
5
.
L'essere umano concepito dalla rivoluzione poteva sì rivendicare per sé una serie
determinata di diritti, ma era al cittadino che, proprio per la sua appartenenza alla
Nazione, veniva garantito il riconoscimento e la tutela di quei diritti: nonostante la
1 P. COSTA, La cittadinanza: un tentativo di ricostruzione 'archeologica', in D. ZOLO (a cura di), “La
cittadinanza. Appartenenza, identità, diritti” Laterza, Roma-Bari 1994, pagg 58-59
2 A. SCIURBA, Campi di forza – Percorsi confinati di migranti in Europa, Ombre Corte, Verona 2009,
pag 24
3 N. BOBBIO, L'età dei diritti, Einaudi, Torino 1990, pag 21
4 SCIURBA, pag 24
5 R. BRUBAKER, Cittadinanza e nazionalità in Francia e Germania, Il Mulino, Bologna 1997, tic pag.
11
7
Rivoluzione francese venga comunemente intesa come il momento storico di
affermazione di una democrazia capace di riempire di nuovo contenuto egualitario la
cittadinanza, in base ai modelli ideali del contratto sociale di Rousseau, essa innescò
anche un processo di rideterminazione in senso esclusivo dei confini della
cittadinanza
6
.
Rideterminazione, perché da sempre la consistenza dei diritti derivanti dalla
cittadinanza è stata direttamente proporzionale al grado di esclusività della sua
attribuzione
7
: “ogni eguaglianza acquista la sua importanza e il suo significato per la
correlazione di una possibile ineguaglianza. Essa è tanto più intensa quanto più
grande è l'ineguaglianza nei confronti di quelli che non fanno parte degli eguali”
8
.
All'indomani della Rivoluzione francese, il “vuoto normativo” generato dal distacco
della vita politica dalle visioni religiose del mondo per secolarizzarsi, venne riempito
dal concetto fortemente simbolico della Nazione
9
, attraverso il quale la cittadinanza
cominciò a ridefinirsi come una forma nuova di appartenenza ad un popolo, la cui
autonomia era costruita sulla base di una condivisione che non poteva che procedere
anche in negativo, ovvero attraverso la distinzione di chi da questa condivisione veniva
escluso: in quel momento prese forma quella particolare visione della vita politica
occidentale che fa coincidere lo Stato democratico con l'omogeneità nazionale, al fine
di rendere possibile la convivenza pacifica
10
.
Nella Francia della fine del XVIII secolo, si inizia quindi a configurare la cittadinanza
in base al principio della nazionalità: il 6 settembre 1793 ad esempio, si stabilì in un
decreto che gli stranieri presenti in Francia dovessero essere muniti di un “certificato di
ospitalità”e nel caso in cui lo straniero venisse trovato privo di tale documento, poteva
essere deportato anche in assenza di reato: fu la prima forma di controllo burocratico
della presenza dei non-francesi sul territorio nazionale
11
. L'importanza della Nazione e
della fedeltà nazionale prevalse talmente tanto sull'aspirazione all'universalità dei diritti
proclamata nel 1789 e sulla possibile fondazione di un cosmopolitismo a partire da essi,
6 SCIURBA, pag 25
7 E. GROSSO, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I modelli storici di riferimento, Cedam,
Padova 1997, pagg 70 e ss.
8 C. SCHMITT, Dottrina della Costituzione, Giuffrè, Milano 1984, cit pag 298
9 J. HABERMAS, L'inclusione dell'altro. Studi di teoria politica, Feltrinelli, Milano 2002, pagg 125 e ss.
10 SCHMITT, Dottrina della Costituzione, pag 303
11 S. W AHNICH, L'impossible citoyen. L'étranger dans le discours de la Révolution française, Albin
Michel, Parigi 1997, pagg 23 e ss.
8
che il decreto sopraccitato si spinse a prevedere persino la detenzione nelle case di
sicurezza per i non-cittadini provenienti da Paesi in guerra con la Francia, a meno che
questi stranieri non si fossero in qualche modo dimostrati sufficientemente devoti ai
valori francesi della Rivoluzione
12
. Con gli anni del Terrore (1793-94), il nazionalismo
emergente assunse delle caratteristiche apertamente xenofobe, pur restando “nell'ottica
di una battaglia per la purezza ideologica”
13
e non etnica: lo straniero, soprattutto se
povero, divenne facilmente il capro espiatorio dei mali della società, “associato al
controrivoluzionario esterno sotto la figura della spia, alla controrivoluzione interna
sotto la figura del traditore”
14
. Nel 1793 ai traditori e agli stranieri venni impedito di
partecipare a qualunque deliberazione politica e di rappresentare, in qualunque modo, il
popolo francese; le due figure erano accomunate dal fatto di non essere cittadini: prima
di giustiziare i traditori, infatti, si privava loro dello status di cittadinanza,
equiparandoli così agli stranieri
15
.
Foucault fa coincidere con la fine del XVIII secolo, il passaggio dalla “guerra tra le
razze”, legata alla “razzizzazione” del nemico, alla costruzione di un “razzismo di
Stato”, che sarà fondamentale nell'amministrazione degli affari interni della nazione,
specialmente nel corso del XIX secolo: all'antico concetto di sovranità legato al potere
di “far morire e lasciar vivere” (potere innanzitutto come forma di prelievo, che
consente di prendere tutto, anche la vita, e di sopprimerla), si intrecciò il nuovo potere
sovrano di “far vivere e di lasciare morire”, cioè volto alla produzione di forze,
piuttosto che alla loro compressione o distruzione, realizzabile attraverso la “bio-
politica della popolazione”, cioè la gestione della vita della popolazione, che si esplica
sia attraverso una serie di controlli regolatori relativi ai fenomeni demografici, alla
nascita e mortalità, al livello di salute o alla durata di vita, ma anche facendo ricorso
all'eliminazione del “pericolo biologico” per il rafforzamento della razza, che sarà
presupposto di tutti gli orrori del XX secolo
16
.
L'invenzione della nazione, il ridursi dell'uomo a “membro di un popolo” e il
12 SCIURBA, pag 27
13 E. GROSSO, Le vie della cittadinanza. Le grandi radici. I modelli storici di riferimento, Cedam,
Padova 1997, cit pag 224
14 S. W AHNICH, L'impossible citoyen. L'étranger dans le discours de la Révolution française, Albin
Michel, Parigi 1997, cit pag 33
15 Ivi, pagg 130 e ss.
16 M. FOUCAULT, Bisogna difendere la società,Feltrinelli, Milano 1998, pagg 207 e ss
9
conseguenziale confinamento della cittadinanza, risultano quindi un passaggio
fondamentale nel processo di delimitazione e di rifiuto dell'estraneità, identificata negli
altri popoli di altre nazioni, ma anche nelle proprie minoranze interne, a seconda dei
contesti e delle necessità politiche
17
.
1.1 I confini della mobilità: dall'identificazione al controllo
La mobilità delle persone, il disporre della facoltà di decidere del luogo in cui qualcuno
debba trovarsi, è sempre stata una delle prerogative principali dei poteri costituiti e,
pertanto, uno dei punti sui quali tali poteri sono stati meno disposti a concedere terreno
ai diritti individuali delle persone
18
.
Con la nascita degli Stati moderni (XV secolo) si accentuò il legame tra governo della
popolazione e sovranità sul territorio: il governo del territorio iniziò a venire concepito
come il governo degli individui colti nel gesto di attraversarlo, da qui la necessità di
esercitare la sovranità sulla libertà di movimento, sia da uno Stato all'altro (il non-
cittadino che oltrepassa i confini), sia come libertà di movimento e circolazione
all'interno dello Stato di quelle persone che non hanno accesso, in tutto o in parte, allo
status della cittadinanza
19
.
I primi laboratori in cui si affinano le politiche di controllo della mobilità consistono
nelle pratiche di gestione dei poveri, avviate tra la fine del Quattrocento e gli inizi del
Cinquecento, quando la loro assistenza divenne un fardello della città; alla categoria del
povero si affiancava o si sovrapponeva spesso quella dello straniero, ma, il più delle
volte, un unico soggetto cumulava in sé le due definizioni
20
. Questo intreccio, tra
gestione della povertà e controllo della mobilità, sta all'origine del fenomeno di
separazione e confinamento di parte della popolazione,definito da Foucault come
“Grande internamento”
21
, avvenuto tra fine del Seicento e inizio del Settecento e che
vide esplodere in tutta Europa l'uso delle case di correzione come strumento per
internare una parte non irrisoria della popolazione, di quelle persone verso cui i confini
17 SCIURBA, pag 28
18 SCIURBA, pag 30
19 Ivi, pag 31
20 Ibidem
21 M. FOUCAULT, Storia della follia nell'età classica, Rizzoli, Milano 1998, pag 58 e ss.
10
dello Stato non hanno effetto inclusivo
22
.
Questo mutamento è in stretta correlazione con la ricerca di nuove ed efficaci modalità
di governo della popolazione e del territorio basate sul principio (che ha segnato
indelebilmente l'epoca successiva ed ha raggiunto la nostra immutato nella sostanza)
per cui è possibile, allo scopo di governare e ordinare la società, dividere la
popolazione tra “normali” e “anormali”, tra cittadini pienamente detentori di diritti e
individui passibili in ogni momento di internamento amministrativo
23
.
Il momento in cui il sussidio ai poveri divenne pienamente una questione di pubblico
governo e smise di essere unicamente dominio del privato e del religioso, coincise con
il momento di espansione degli Stati moderni, che acquisirono tra le lor principali
prerogative il controllo della mobilità delle persone: a questo scopo si rese necessaria
l'individuazione di nuove procedure di identificazione dei soggetti, nonché un lavoro di
“formalizzazione delle identità” attraverso l'utilizzo di documenti scritti, cosa che ebbe
un ruolo fondante nella costruzione del concetto di comunità nazionale
24
.
Venne dapprima implementato lo strumento del censimento, già in uso, e si
inaugurarono nuove e più complesse modalità di registrazione dei nuclei familiari al
fine di agevolare l'esazione delle tasse e il reclutamento
25
. A partire da queste pratiche
di identificazione si sviluppò anche il sistema dei passaporti (interni ed esterni) e, in
generale, dei documenti di identità, indispensabili per presidiare i confini, ma anche per
il raggiungimento di obiettivi non dichiarati e meno immediati: attraverso le rinnovate
forme di controllo era possibile per lo Stato costruire una relazione durevole coi propri
cittadini, identificandoli e distinguendoli dagli altri, prima ancora che governandoli
26
.
La situazione della Francia post-rivoluzionaria è un luogo d'osservazione privilegiato
da cui osservare i mutamenti che stiamo analizzando. Si è già accennato al fatto che la
costruzione di una comunità nazionale trae origine da presupposti ben diversi da quelli
che caratterizzano il legame tra un gruppo di sudditi uniti dalla sola obbedienza al
sovrano: da un lato è necessario che i membri della comunità si sentano in qualche
22 Ibidem
23 Ivi, pagg 200 e ss
24 SCIURBA, pag 33
25 J. TORPEY, The invention of Passport. Surveillance, Citizenship ant the State, Cambridge University
Press, Cambridge 2000, pag 4-5
26 Ivi, pag 14
11
modo partecipi della vita politica, ma al contempo, per entrare a far parte della
comunità, le stesse persone devono preliminarmente dimostrare di avere l'identità
richiesta, devono cioè provare di essere cittadini: da qui l'importanza sempre maggiore,
nella Francia appena uscita dalla Rivoluzione, attribuita all'atto scritto in generale e al
foglio ufficiale che testimoniasse inequivocabilmente lo status di chi lo possedeva
27
.
Con la nascita dei documenti di identità si radica l'origine della stretta connessione tra
l'esercizio della democrazia e l'invasione della burocrazia nella quotidianità degli aventi
diritto
28
.
Il documento che più ci interessa in questa sede è il passaporto: la Costituzione del
1791 abolì l'antica usanza del suo conferimento discrezionale e quasi soltanto a scopi
mercantili ad opera della vecchia monarchia nobiliare, ma in generale dalla
dichiarazione negli Stati generali della libertà di movimento come diritto fondamentale,
ogni restrizione della libertà di circolazione fu sospesa
29
. Tale sospensione non durò a
lungo, perché la classe dirigente si rese conto presto dell'importanza del controllo della
circolazione nell'affermazione dello Stato nazionale:un anno dopo la sua abolizione, il
possesso del passaporto divenne un requisito necessario per potere esercitare la libertà
di movimento all'interno e attraverso i confini nazionali, e il suo rilascio incorse in
nuove restrizioni, tra cui, fondamentale, il possesso della cittadinanza francese
30
.
Il pretesto delle fughe degli aristocratici (come il tentativo della famiglia reale di
lasciare il Paese), ma, in generale, il clima di sospetto caratteristico degli anni del
terrore, accelerarono il processo di confinamento della libertà di movimento: venne
diffusamente imposto il possesso di documenti scritti che legavano l'esercizio della
libertà di circolazione all'identificazione costante di chiunque la rivendicasse,
permettendo così il controllo dei viaggiatori e dei loro percorsi, tanto degli stranieri che
che volevano attraversare i confini e fare ingresso in Francia, tanto dei francesi che
decidevano di spostarsi all'interno del loro Paese o di lasciarlo
31
.
Sul passaporto erano segnati il luogo di partenza, il tragitto e il luogo di arrivo previsto,
formalizzava l'identità del viaggiatore riportandone il nome, l'età, il luogo di residenza
e la descrizione fisica (la fotografia non era stata ancora inventata!); ben presto vennero
27 SCIURBA, pag 34
28 Ibidem
29 Ibidem
30 J. TORPEY, The invention of Passport. Surveillance, Citizenship ant the State, Cambridge University
Press, Cambridge 2000
31 SCIURBA, pag 35
12
introdotti i passaporti interni, da esibire ai funzionari collocati in alcuni punti nodali per
la mobilità nella Repubblica: il tutto giustificato per garantire la sicurezza e l'assistenza
dei viaggiatori “per bene”
32
. Una volta che lo Stato nazionale ebbe definito la sua
sovranità sul proprio territorio, le migrazioni interne dei cittadini si fecero sempre meno
controllate, ma le migrazioni esterne, che coinvolgevano gli stranieri, vennero
sottoposte ad una maggiore sorveglianza: tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo,
attraverso il sistema burocratico ed amministrativo, si cercò di limitare l'entità e la
durata delle migrazioni, anche nei confronti di chi cercava rifugio dalle persecuzioni
politiche
33
. Nel momento in cui i controlli sui cittadini si fecero meno diretti, le pratiche
di controllo dell'identità iniziarono a seguire l'intero percorso degli stranieri, anche
dopo il loro ingesso sul territorio nazionale: non era più così importante schedare i
nomi dei buoni cittadini, ma era fondamentale catalogare quelli di criminali e
stranieri
34
.
Se i nuovi e più stabili equilibri internazionali conseguenti il congresso di Vienna del
1815 portarono ad un generale rilassamento dei controlli della mobilità, già con la fine
del secolo gli stati europei promulgarono leggi proibizionistiche che resero gli
spostamenti transnazionali molto complessi: “nel corso degli anni ottanta, l'invenzione
dell'immigrazione legale creò al contempo l'immigrazione illegale. La caccia al
'clandestino' era ormai aperta”
35
.
In questo periodo sono introdotti documenti elaborati appositamente per definire
formalmente, non solo in negativo (cioè come non-cittadini) anche lo status degli
stranieri presenti nel territorio, in modo da darne contabilità allo Stato: è questo il
periodo della nascita in Occidente del permesso di soggiorno, il cui possesso diventerà
necessario per potersi recare in uno Stato diverso dal proprio; gli stranieri diventano
ovunque passibili di controlli polizieschi e costretti a dimostrare la loro posizione di
regolarità nel territorio, perché, alla distinzione tra cittadini e stranieri, si era aggiunta
quella tra cittadini stranieri regolari e irregolari, che ancora oggi è così importante e
gravida di conseguenze
36
.
32 Ibidem
33 S. SASSEN, Migranti, coloni, rifugiati. Dall'emigrazione di massa alla fortezza Europa, Feltrinelli,
Milano 1999, pag 15
34 SCIURBA, pag 36
35 G. NOIRIEL, Etat, nation et immigration. Vers une historie du pouvoir, Belin, Parigi 2001, pag 504
36 SCIURBA, pag 37
13