7
2. L’INNOVAZIONE NELLE IMPRESE
Il seguente Capitolo descriverà in primo luogo cosa vuol dire “Fare innovazione” e quali sono
alcune classificazioni contenute nella letteratura a riguardo. In seguito, si mostrerà come le
imprese competono tra loro anche grazie alla loro capacità di fare innovazione, mostrando poi
una serie di dati inerenti all’attività innovativa delle imprese italiane ed europee. Le parti
seguenti riguarderanno una breve descrizione del processo innovativo nelle sue singole fasi e
quali sono le criticità e le dimensioni da considerare nel misurare i risultati provenienti
dall’attività innovativa all’interno delle imprese.
2.1 COSA SI INTENDE CON L’ESPRESSIONE “FARE
INNOVAZIONE”
“Fare innovazione” è un’espressione oltremodo utilizzata in ambito economico e più
specificatamente in quello aziendale, basti pensare a quando si parla di “aziende innovative”,
“prodotti innovativi”, “investimenti in innovazione”. Nel solo 2012, nella versione on line del
Sole 24 Ore, il quotidiano economico italiano per eccellenza, gli articoli o gli editoriali dove
compare la parola “innovazione” sono ben 3011, corrispondenti ad una media di più di 8 articoli
al giorno
3
. La tendenza ad usare (o ad abusare di) questo termine o suoi derivati (ad esempio
innovare, innovativo, innovatore) non è presente soltanto in Italia. Infatti, nelle edizioni on line
di The Economist e Forbes (rispettivamente, due delle più importanti riviste economiche di
Inghilterra e Stati Uniti) cercando il corrispondente in inglese “Innovation” i risultati di ricerca
del 2012 sono rispettivamente pari a circa 800
4
e 5.500
5
, un dato decisamente elevato se si
considera che si tratta di riviste settimanali.
Tuttavia, ricorrere troppo spesso a questa parola e ad espressioni che la contengono può
originare una certa confusione su cosa realmente si intende per innovazione, quali siano i suoi
elementi distintivi, gli attori-chiave del processo innovativo e perché essa può realmente
conferire ad un’azienda vantaggi competitivi importanti e, a volte, inattaccabili. Inoltre, come
viene sostenuto nel seguente passaggio, contenuto in un capitolo di in un libro dal titolo
emblematico, “Il mantra dell’innovazione”:
3
www.ilsole24ore.comhttp://www.ricerca24.ilsole24ore.com/fc?keyWords=innovazione&submit=Cerca&cmd=static
&chId=30&path=%2Fsearch%2Fsearch_engine.jsp&field=Titolo%7CTesto&orderBy=score+desc [consultato in data
02/01/2013]
4
http://www.economist.com/search/apachesolr_search/innovation [consultato in data 02/01/2013]
5
http://www.forbes.com/search/?q=innovation [consultato in data 02/01/2013]
8
«L’abuso di un termine porta all’impoverimento del senso che la parola esprime. [...] Nessuno
parla di novità, di evoluzione di continuità e così via. Come conseguenza il termine innovazione
viene spesso utilizzato in maniera generica.[...] Insomma, per la maggior parte delle persone
fare innovazione significa fare prodotti nuovi o prodotti diversi da quelli che hanno sempre
fatto.»
6
In realtà, nel corso di questo capitolo si illustrerà come “fare innovazione” all’interno delle
aziende non sia solo immettere prodotti nuovi o semi-nuovi sul mercato, ma sia un processo ben
più complesso e articolato. Questo paragrafo ha perciò l’intento di chiarire alcuni aspetti
fondamentali dell’innovazione, attraverso l’analisi di alcuni autori, introducendo definizioni e
fungendo così da “guida” al resto del capitolo. In particolare, si cercherà di evidenziare cosa è
realmente innovazione e cosa non lo è.
Innanzitutto, è necessario premettere che nel corso del seguente lavoro con la parola
“innovazione” s’intenderà sempre l’innovazione tecnologica, come descritta dalla definizione
dell’Oslo Manual, redatto dall’OCSE nel 2004 (Grandi A. e Sobrero M. 2005). Secondo tale
fonte, l’innovazione tecnologica implica qualsiasi sforzo di natura scientifica, tecnologica,
organizzativa, finanziaria e commerciale che abbia lo scopo:
1) di realizzare o rendere disponibili sul mercato versioni di prodotti o processi caratterizzate da
un miglioramento considerevole o contenuto rispetto alle versioni precedenti;
2) di proporre soluzioni alternative dirette alla soluzione dei medesimi problemi o alla
soddisfazione dei medesimi bisogni.
Nell’espressione “innovazione tecnologica”, “tecnologica” indica il processo di integrazione
esistente fra conoscenza, tecnica e organizzazione, mentre “innovazione” il processo di
avanzamento della conoscenza tecnica o scientifica relativa a questa integrazione. Inoltre,
nonostante i processi di innovazione tecnologica possano avvenire anche in altri ambiti, ad
esempio quello pubblico, il punto di vista adottato per descrivere tali processi sarà sempre
quello aziendale.
Premesso ciò, è necessario sfatare il primo luogo comune riguardo l’innovazione: non
necessariamente “innovazione” corrisponde a “novità” e viceversa (Baglieri, Lojacono 2009;
Verganti R. 2004). Infatti, un nuovo prodotto non è necessariamente qualcosa di innovativo,
anche se tendenzialmente siamo indotti a pensare così. Per distinguersi dalla novità,
l’innovazione deve implicare un miglioramento considerevole, che comporti benefici specifici
6
Catalani A. (2009), Il mantra dell’innovazione, in: Baglieri E. e Lojacono G., Vincere con le idee. Innovazione,
design, performance, EGEA, pp.47-63
9
ed importanti. A volte, infatti, alcune novità possono non apportare alcun beneficio o addirittura
comportare dei regressi. Per beneficio, in generale, s'intende il miglioramento delle prestazioni
rispetto alla situazione precedente. Consideriamo, ad esempio, due imprese: l’una mette in
commercio un nuovo yoghurt con un ingrediente naturale con potenziali effetti dimagranti,
l’altra uno yoghurt che, a parità di promessa, viene presentato con un packaging più attraente
per il consumatore. Fra le due imprese, la prima è quella che realmente “fa” innovazione,
introducendo nel mercato qualcosa di veramente innovativo, poiché propone una nuova
combinazione di prodotto in grado di soddisfare un determinato bisogno, a differenza dei
prodotti precedenti. Una considerazione diversa può esser fatta se la seconda azienda
commercializzasse uno yoghurt dal packaging più funzionale ed ergonomico. Questo esempio
introduce un'ulteriore disputa su cosa considerare oggetto di innovazione: il design può essere
considerato tale? La risposta è affermativa se consideriamo il design come una competenza
insita nelle imprese, che permette di creare forme esteticamente gradevoli per il consumatore,
ma anche e soprattutto funzionali ed applicabili su prodotti messi in commercio. Questa
precisazione è fondamentale se consideriamo il panorama delle imprese italiane che “fanno
innovazione”: il design per molte è una core competence dal punto di vista manageriale, che
permette loro di differenziarsi dalla concorrenza internazionale (Baglieri, Lojacono 2009). Se il
design viene concepito come qualcosa di distintivo che concilia sia le forme che la funzionalità
e permette alle imprese di ottenere ottimi risultati economici, allora esso si avvicina molto alla
definizione suddetta di innovazione tecnologica, che solitamente è la più considerata.
La seconda distinzione fondamentale è tra “invenzione” e “innovazione”. Ciò che differenzia
maggiormente l'una dall'altra è la possibilità di essere commercializzata, propria
dell''innovazione (Verganti R. 2004; Fagerberg 2003). Per invenzione s'intende infatti la
generazione di un'idea, mentre per innovazione lo sviluppo e l’implementazione dell’idea stessa
in prodotti o processi destinati ad essere scambiati sul mercato. Proprio per questo motivo vi è
una netta distinzione fra le due: a volte può intercorrere un lungo periodo di tempo prima che
l'invenzione sia trasformata in innovazione vera e propria, altre volte può non avvenire neanche
questo passaggio e l’invenzione resta tale, per una serie di motivi legati alla sua fattibilità.
Infatti, l'invenzione può nascere ovunque vi sia un ambiente che stimoli la creatività e la voglia
di ricerca, come le università, mentre l'innovazione richiede una struttura più organizzata e
dotata di mezzi che permettano di testare la risposta del mercato di riferimento a tale invenzione
(Fagerberg 2003). Il processo di implementazione di un'invenzione richiede abilità, capacità,
conoscenze e risorse (fisiche, finanziarie, umane) che solo strutture come le imprese o
organizzazioni simili possono avere a disposizione. In particolare, la conoscenza del mercato è
fondamentale in quanto un'innovazione che non ha uno sbocco su un mercato di riferimento non
remunera gli sforzi profusi per la sua creazione. Solo lo studio e la conoscenza del mercato
10
permettono di capire la fattibilità dell'operazione in termini economici, ma ciò non è possibile se
non si dispone di una struttura adeguata. L'innovazione perciò può diventare tale grazie ad un
processo, guidato da responsabili ad hoc, dove l'idea iniziale viene combinata con risorse e
competenze specifiche. La fattibilità economica, tuttavia, non è l’unico requisito che deve essere
verificato per il passaggio da invenzione a innovazione: a volte, potrebbero mancare certi input
fondamentali o complementari, che ne compromettono la fattibilità tecnica. Per esempio, lo
stesso Leonardo da Vinci (1452-1519) aveva disegnato un mezzo dotato di ali per volare e ciò
poteva essere considerata un’invenzione importante per l’epoca, poiché l’uomo non aveva
ancora considerato l’idea di alzarsi da terra in volo grazie ad una macchina. Tuttavia, ciò che
mancava al progetto di Leonardo era la fonte di energia per alimentare il movimento delle ali e
permettere alla macchina di funzionare: solo con l’arrivo di un’altra innovazione (quindi
inventata e commercializzata) come il motore a combustione interna fu possibile arrivare
all’innovazione vera e propria, ossia l’aeroplano (Fagerberg 2003).
Riassumendo, si può intuire come il processo innovativo si collochi all’interno del gap fra
invenzione ed innovazione, coinvolga diversi soggetti e necessiti di molti input per la sua
realizzazione. Inoltre, gli output derivanti dal processo non possono essere stimati con certezza,
ma l’attenzione sui risultati attesi non deve essere eccessiva, poiché qualsiasi processo di
apprendimento che sia finalizzato al cambiamento deve prevedere anche fallimenti che servono
ad aumentare lo stock di conoscenze e competenze dell’azienda stessa (Grimaldi R., Munari F,
Oriani R., Sobrero M. 2005). Per questo motivo, è necessario che tale processo all’interno del
sistema aziendale venga opportunamente «progettato, gestito, monitorato e continuamente
migliorato»
7
.
2.2 LE PRINCIPALI CLASSIFICAZIONI RIGUARDANTI
L’INNOVAZIONE
Nella letteratura esistono molteplici classificazioni riguardanti l’innovazione, il paragrafo
seguente illustrerà le principali tre: in base all’oggetto, in base alla sua profondità, in base a cosa
“spinge/tira” l’innovazione.
7
Baglieri E. e Lojacono G. (2009), Innovazione: le tematiche strategiche, in: Baglieri E. e Lojacono G., Vincere con
le idee. Innovazione, design, performance, EGEA, pp.1-22
11
2.2.1 L’OGGETTO DELL’INNOVAZIONE
La prima classificazione riguarda la destinazione di un processo innovativo, ossia l’output
finale, l’applicazione concreta dell’innovazione. Secondo questo criterio, è possibile distinguere
fra innovazione fondamentalmente tecnica ed innovazione di natura gestionale. La prima
categoria riguarda l’applicazione di un’innovazione su nuovi prodotti o servizi e nuove
tecnologie, mentre la seconda nuove forme di organizzazione, nuovi processi e procedure. Con
il termine “nuovo”, come già detto, s’intende l’apporto di benefici, intesi come miglioramento
nelle prestazioni, assenti fino al momento dell’introduzione dell’innovazione. Tale distinzione
permette di comprendere come all’interno di sistemi come quello aziendale l’innovazione sia un
processo-chiave, che può riguardare non solo l’output finale dell’attività, ma anche il modo in
cui si produce l’output o si gestiscono le cosiddette attività “di supporto”, come
l’organizzazione, gli approvvigionamenti, l’amministrazione. Per questo motivo, l’una forma
non esclude l’altra, anzi in un’impresa veramente innovativa devono e possono coesistere
(Baglieri, Lojacono 2009).
Una classificazione più ampia e sulla quale la maggior parte della letteratura in merito si basa è
quella di Schumpeter (1939, citato in Fagerberg 2003), economista che pose nella sua letteratura
l’innovazione e l’imprenditorialità come due capisaldi dell’economia, che distingue cinque tipi
di innovazione: innovazione di prodotto, di processo, delle fonti di approvvigionamento,
mercati innovativi e innovazione organizzativa.
L’innovazione di prodotto è definita come il processo che genera, o migliora, prodotti o servizi
da immettere sul mercato; in questo lavoro si farà sempre riferimento a tale tipo di innovazione,
pertanto il suo approfondimento è rimandato ai paragrafi successivi. L’innovazione di processo
invece riguarda lo sforzo teso a migliorare le prestazioni e risolvere i problemi dei processi di
trasformazione di input e output per la produzione di prodotti o servizi. La letteratura successiva
a Schumpeter si è sempre più concentrata su questi due tipi di innovazione, nonostante in
ambito aziendale anche le altre forme siano spesso determinanti fattori critici di successo. Per
esempio, l’innovazione organizzativa come intesa da Schumpeter, non riguardava soltanto
l’ambito aziendale, ma anche quello, più generale, dei settori dell’economia e la relativa
organizzazione interna. Tuttavia, è sempre stata data maggiore attenzione alle innovazioni di
prodotto e di processo a causa del grande peso economico e sociale che esse comportano. Tale
“peso” è molto differente a seconda della forma di innovazione considerata. Infatti,
l’introduzione di un nuovo prodotto sul mercato può avere come conseguenze immediate un
aumento dei consumi e dell’impiego relativo alla sua produzione, mentre se si considera
un’innovazione di processo tesa, per esempio, ad ottimizzare i costi del personale, essa può
12
portare a tagli dello stesso. Nel primo caso, essa ha l’intento di apportare benefici economici e
sociali; nel secondo caso, invece, vi è la possibilità che tale innovazione generi costi sociali
(Fagerberg 2003).
2.2.2 LA DICOTOMIA INNOVAZIONI RADICALI/ INCREMENTALI ED IL
SUO SUPERAMENTO NEI MODELLI PIU’ RECENTI
Una distinzione fondamentale si basa sulla profondità ed il peso dei miglioramenti introdotti
grazie all’innovazione. In questo caso, si distingue fra innovazioni incrementali ed innovazioni
radicali (Verganti R. 2004, Fagerberg 2003).
Anch’essa è basata sulle teorie di Schumpeter e prende come punto di riferimento lo stato di un
sistema precedente all’introduzione dell’innovazione, al fine di valutare i cambiamenti introdotti
dalla stessa. Nel caso di un’innovazione incrementale, il miglioramento rispetto alla situazione
precedente è marginale, mentre nel caso di un’innovazione radicale è rilevante. Schumpeter
(1939, citato in Fagerberg 2003) sosteneva come, in realtà, le innovazioni radicali fossero più
importanti e portassero maggiori benefici in termini economici, tant’è che vennero da lui
ribattezzate “rivoluzioni tecnologiche”. In realtà, il vero punto di forza delle innovazioni radicali
è che grazie alla loro introduzione un sistema può aumentare le proprie potenzialità future,
facendo anche ricorso ad innovazioni incrementali. La differenza è ben chiara nel diagramma
della Figura 1: i limiti a cui tendono le curve sono i livelli di prestazione massimi a cui un
sistema può arrivare con l’apporto di innovazioni incrementali. Tali innovazioni, infatti,
tendono a migliorare le soluzioni già esistenti, “raffinando e migliorando le competenze di
un’impresa”
8
. Si prenda ad esempio il sistema della telefonia mobile: un’innovazione tesa a
migliorare la ricezione del segnale ed applicata a una versione di un dispositivo già progettata,
prodotta e commercializzata è un’innovazione incrementale. Le innovazioni radicali, invece,
permettono di “saltare” da un sistema ad un altro, non migliorando la soluzione, ma offrendone
una totalmente nuova e con potenzialità di miglioramento maggiori.
8
Verganti R. (2004), Innovazione di prodotto e sviluppo delle imprese, in: Munari F. e Sobrero M., Innovazione
tecnologica e gestione d’impresa. La gestione strategica dello sviluppo prodotto, Il Mulino, pp.13-35
13
Nella Figura 1, tale passaggio è evidenziato dalla differenza fra il “Limite 1” ed il “Limite 2” a
cui tendono le due curve, rappresentanti le innovazioni. Riprendendo l’esempio della telefonia
mobile, il passaggio dal sistema GSM a quello UMTS oppure da quello UMTS agli odierni
smartphone ha significato un miglioramento notevole delle potenzialità dei relativi prodotti: nel
primo caso è divenuto possibile non solo chiamare, ma anche videochiamare, mentre nel
secondo accedere a contenuti disponibili nella rete internet in una maniera nuova, ossia tramite
le applications.
E’ necessario considerare anche l’effetto che un processo innovativo ha su un’ organizzazione
come quella aziendale, sulle sue competenze e conoscenze. Infatti, se da un lato un processo di
innovazione incrementale per un’impresa significa “fare sempre meglio ciò che sappiamo
fare”
9
, dall’altro un’innovazione radicale spesso significa “fare cose che non sapevamo fare”
10
.
Tale precisazione è importante perché la semplice distinzione innovazioni incrementali/radicali
ha lo svantaggio di non considerare in maniera approfondita gli effetti sul sistema (imprese,
mercati, persone) di un cambiamento tecnologico, interno o esterno ad una azienda, derivante da
un’innovazione. Per questo motivo, una branca di letteratura più recente si è concentrata su
modelli che classificassero le innovazioni in più di due categorie, superando l’originale
dicotomia (Grimaldi R., Munari F. 2005).
9
Verganti R. (2004), Innovazione di prodotto e sviluppo delle imprese, in: Munari F. e Sobrero M., Innovazione
tecnologica e gestione d’impresa. La gestione strategica dello sviluppo prodotto, Il Mulino, pp.13-35
10
Ibidem
Figura 1: Innovazione incrementale ed innovazione radicale. Fonte: Verganti R.
(2004)
14
Il primo, di Henderson e Clark (1990, citato in Grimaldi Munari 2005), riguarda le innovazioni
di prodotto. Per realizzare un’innovazione di questo tipo, è richiesta la conoscenza dei relativi
componenti e la conoscenza architetturale, ossia dei legami esistenti fra i componenti. Il
cambiamento tecnologico derivante da un’innovazione può alterare, rendendo obsolete quelle
precedenti, o lasciare inalterate tali conoscenze. Questo duplice effetto permette di identificare
quattro tipi di innovazioni diverse, come emerge dal grafico nella Figura 2.
Le innovazioni radicali sono quelle che rendono obsolete entrambi i tipi di conoscenza,
“stravolgendo” il sistema precedente. Le innovazioni incrementali, in questo caso, non
modificano l’apparato di conoscenze già esistenti ma tendono a rafforzarlo, migliorarlo. Le
innovazioni architetturali modificano le conoscenze inerenti ai legami fra i componenti,
l’architettura, lasciando inalterate quelle relative ai singoli componenti. Al contrario, le
innovazioni modulari modificano le conoscenze relative ai componenti lasciando inalterate
quelle dei legami fra i componenti stessi. Henderson e Clark pongono una particolare enfasi
sulle innovazioni architetturali, in quanto sostengono come esse possano modificare la struttura
organizzativa inerente ai processi innovativi. La conoscenza architetturale, infatti, una volta
stabilizzata può riflettersi sulle pratiche e le procedure di un’organizzazione e ciò può portare a
resistenze nell’affrontare eventuali cambiamenti successivi.
Il secondo modello (in Figura 3), formulato da Abernathy e Clark nel 1985 (citato in: Grimaldi
Munari 2005), si basa sul fatto che per il successo di un’innovazione, intesa nel senso completo
della sua definizione, sono necessarie conoscenze, competenze e risorse di due tipi: tecniche e
di mercato. Le prime riguardano la fattibilità tecnica di un’innovazione, ossia le conoscenze
Figura 2: Relazione tra conoscenze dei componenti e dei legami fra i componenti e
tipologie di innovazione. Fonte: Grimaldi Munari (2005)
Innovazioni
radicali
Innovazioni
architetturali
Innovazioni
incrementali
Innovazioni
modulari
Modificato
Inalterato
Inalterate Modificate
Legame tra i
componenti
Conoscenze alla base dei componenti
15
Innovazioni architetturali:
massima resistenza al
cambiamento.
Es. e-banking
Innovazioni creatrici di
nicchia: limitata
resistenza al
cambiamento. Es.Sony
walkman
Innovazioni regolari:
limitata (o assente)
resistenza al
cambiamento. Es.
frigorifero+congelatore
Innovazioni
rivoluzionarie: elevata
resistenza al
cambiamento. Es. il forno
a microonde
Cambiamento
legami
esistenti/creazione
di nuovi legami
Dimensione
commerciale
Mantenimento/
rafforzamento dei
legami esistenti
Dimensione tecnica
Mantenimento/rafforzamento
delle conoscenze possedute
Generazione di nuove conoscenze
Figura 3: Mappa di transilienza. Fonte: Grimaldi Munari (2005)
riguardanti il design, i sistemi produttivi, le materie prime e i relativi fornitori, gli impianti e il
know-how di base dell’azienda. Le seconde rimandano alla fattibilità commerciale
dell’innovazione: le relazioni con i clienti esistenti, i canali di distribuzione e i servizi annessi
alla clientela, le modalità di comunicazione.
Tale modello è significativo e riportato in numerosi manuali sull’innovazione proprio perché
considera anche quest’ultima dimensione, fondamentale per la nascita e lo sviluppo di un
processo innovativo. Un cambiamento tecnologico derivante da un’innovazione può avere un
duplice impatto su tali conoscenze: se da un lato può contribuire a generarne di nuove, dall’altro
potrebbe non avere alcun effetto o, al limite, rafforzare quelle esistenti. Ciò permette di
identificare quattro “classi” di innovazioni: le regolari, le architetturali, le creatrici di nicchia e
le rivoluzionarie, come mostra la Figura 3 nella cosiddetta mappa di transilienza.
Le architetturali modificano entrambi i tipi di conoscenza, rendendo obsolete le precedenti e
costituendo così un tipo di innovazione completa. Le regolari, invece, mantengono o rafforzano
le conoscenze esistenti, per tale ragione possono essere considerate innovazioni incrementali. Le
innovazioni creatrici di nicchia modificano le conoscenze commerciali, ma lasciano inalterate
quelle tecniche. Infine, un’innovazione è rivoluzionaria se mantiene o rinforza le conoscenze di
mercato, ma soprattutto cambia, rivoluzionandole appunto, le conoscenze tecniche.
L’ultimo modello, formulato da Christensen e Bower (1996, citato in Grimaldi Munari 2005),
prende in considerazione un certo tipo di tecnologie, definite disruptive, che, tradotto, significa
“portatrici di perturbazione”, o più precisamente “sconvolgenti, dirompenti”. Tali innovazioni,
16
Performance
C
A
D
B
Figura 4: Prestazioni delle tecnologie disruptive. Fonte: Grimaldi Munari
(2005)
Tempo
che spesso vengono accomunate alle radicali, si differenziano profondamente da queste ultime,
per una serie di motivi:
I livelli di performance delle prime versioni dell’innovazione rispetto alle tecnologie
precedenti sono decisamente inferiori, specialmente per quanto riguarda determinate
funzionalità-chiave per i clienti tradizionali.
Tali innovazioni, però, sono decisamente più performanti se si considerano certe dimensioni
spesso ritenute secondarie dalla maggior parte del mercato, ma significative per una ristretta
nicchia di clienti nel mercato esistente o per mercati creati ex novo.
Spesso le applicazioni della nuova tecnologia (prodotti, servizi, processi) hanno un prezzo di
vendita inferiore rispetto a quelle che si basano ancora sul quella vecchia.
Esempi di tecnologie disruptive sono i moderni tablet rispetto ai computer portatili, le memorie
removibili, le cosiddette chiavette USB, rispetto ai supporti magnetici su disco. Il fatto che
queste tecnologie abbiano, almeno negli stadi iniziali, livelli di performance inferiori, per la
maggior parte del mercato, rispetto a quelle già esistenti gioca un ruolo chiave nelle decisioni di
un’impresa. Infatti, quest’ultima potrebbe sottovalutarle e continuare ad investire nel
miglioramento e rafforzamento delle applicazioni basate sulla vecchia tecnologia, motivati dal
fatto che essa è ancora la più ricercata nel mercato. Tuttavia, data la natura dinamica delle
innovazioni, le tecnologie disruptive possono rapidamente migliorare fino ad arrivare agli stessi
livelli di performance delle vecchie tecnologie, anche per quanto riguarda le funzionalità
ritenute importanti dalla maggior parte del mercato. Una rappresentazione di tale situazione è in
Figura 4. Le linee continue B e D rappresentano graficamente i due livelli differenti di
prestazioni richieste: B e D potrebbero essere due segmenti diversi di uno stesso mercato,
17
oppure, rispettivamente, uno il vecchio mercato e l’altro il nuovo. A e C invece sono le due
tecnologie: C è la tecnologia disruptive. Infatti, essa all’inizio soddisfa solamente le richieste di
D, ma poi, come dimostra la retta a maggiore inclinazione, nel tempo i suoi livelli di
performance aumentano in maniera più che proporzionale rispetto ad A, andando ad incontrare
anche le esigenze di B. Tale modello perciò evidenzia come certe innovazioni possano avere
negli stadi iniziali impatti più leggeri sulle conoscenze delle imprese e sul mercato rispetto alle
innovazioni radicali. Tuttavia, se le loro potenzialità vengono comprese ed utilizzate dal
mercato, possono veramente rivoluzionarlo.
Un’innovazione recente che possiede queste caratteristiche e della quale negli ultimi tempi si
discute molto è l’auto che si guida da sola, in inglese Self Driving Car. Come descrive il “Sole
24 Ore” in un articolo apparso sull’edizione online del 24 gennaio 2013
11
, si tratta di una vera e
propria innovazione applicata ad un prodotto e ad una tecnologia già esistente: l’automobile. Il
particolare curioso relativo a questa innovazione è che non è portata avanti da imprese
automobilistiche, ma da Google, ossia l’impresa che offre il più utilizzato motore di ricerca nel
mondo. Per funzionare, sull’automobile vengono montati sensori, telecamere e sistemi laser che
forniscono gli input necessari per mantenere una certa rotta e la giusta distanza dagli altri
veicoli. La tecnologia sembra funzionare, dato che negli Stati Uniti l’auto driverless ha già
percorso circa 186 mila chilometri ad agosto 2012, mentre potrebbe essere una fonte di
risparmio economico e sociale notevole, per diverse ragioni. Una delle principali è la
diminuzione degli ingorghi e degli incidenti, dovuta al fatto che la componente umana nella
guida di un’automobile di questo tipo viene azzerata: la guida è affidata ad un’intelligenza
artificiale, “programmata” alla stessa maniera di un computer. In conclusione, la si può ritenere
disruptive proprio per le caratteristiche intrinseche: è una tecnologia al momento da
perfezionare e da migliorare, ma che rivoluziona il concetto di guida fino ad ora esistente e che
potrebbe portare a cambiamenti radicali nella viabilità dei prossimi decenni.
2.2.3 INNOVAZIONE DI UTILITÀ/DI SENSO E TECHNOLOGY
PUSH/MARKET PULL/DESIGN DRIVEN
La distinzione tra innovazione di utilità e di senso (Verganti R. 2004) coinvolge principalmente
le innovazioni di prodotto e la ragione di ciò risiede nella sua definizione. Un’innovazione può
prevedere dei cambiamenti concentrati in due dimensioni principali: quella dell’utilità e quella
del senso.
11
Rusconi G. (2013), L’auto che si guida da sola? Un’idea che farà risparmiare miliardi,
http://www.motori24.ilsole24ore.com/Tecnologia/2013/01/self-Driving-Car-Google.php [consultato il 24/01/2013]
18
La dimensione dell’utilità è legata alle funzioni che vengono aggiunte o alle prestazioni che
vengono migliorate grazie all’applicazione dell’innovazione su un prodotto. In questo caso
innovare significa perciò aumentare l’utilità di un prodotto o servizio, aumentando le funzioni
da esso svolte oppure migliorandone le prestazioni. Spesso la tecnologia che sta alla base
dell’innovazione è determinante per incrementare le due caratteristiche (prestazioni e funzioni):
basti pensare alla tecnologia della fibra ottica, che aumenta notevolmente la velocità della più
grande innovazione degli ultimi decenni, ossia internet. La profondità dell’innovazione, ossia il
suo essere radicale o incrementale, è altresì importante per capire la sua importanza e il grado di
utilità offerta. Come indicato in Figura 5, vi possono essere tre stadi: un miglioramento
incrementale delle prestazioni, uno radicale e l’aggiunta di nuove funzioni.
La dimensione del senso, poiché il mercato attribuisce ad un prodotto non solo una particolare
utilità, ma anche una serie di significati, trasmessi attraverso dei messaggi. L’innovazione
perciò può essere nel rinnovamento dei messaggi e dei linguaggi per adattarli ogni volta al
contesto mutevole dei valori nel mercato e nella società. Un esempio sono quelle aziende che
producono prodotti in collezioni, come Swatch, un semplice orologio che però ha significato e
continua a significare per molti uno status, un modo di essere, come un qualsiasi capo
d’abbigliamento. Anche in questo caso è possibile individuare diversi “gradi” di profondità
dell’innovazione: il rafforzamento dei messaggi, il cambiamento radicale dei significati o la
nascita di nuovi significati. Spesso il primo ed in parte il secondo step innovativo avvengono
attraverso cambiamenti sostanzialmente estetici (di styling), mentre per il cambiamento o
soprattutto la nascita di nuovi significati le aziende spesso ricorrono a tecnologie consolidate,
proponendo però nuove occasioni d’uso o rispondendo a bisogni insoddisfatti. Per quanto
riguarda il caso Swatch, i messaggi vengono rafforzati o cambiati attraverso cambiamenti nei
colori o nelle forme, per adattarsi alle mode stagionali. Un’innovazione che ha comportato la
nascita di nuovi significati ha riguardato invece l’introduzione di un nuovo sistema di conteggio
del tempo (misurandolo in “Swatch beat”, pari a un millesimo di giorno) uguale per tutti coloro
che possiedono tale orologio in tutti gli stati del mondo. Con questa innovazione l’azienda ha
ovviato al problema del fuso orario attraverso un’innovazione di significato notevole del
concetto di tempo, utilizzando tecnologie già esistenti e consolidate.