1. IL CONTESTO STORICO E CULTURALE IN 
ITALIA NEGLI ANNI VENTI
Dopo che si è esaurito il cosiddetto Biennio rosso (1919-1920) 
delle lotte operaie e contadine, la reazione dei ceti medi, degli agrari e 
degli industriali si indirizza in direzione del movimento fascista, le cui 
violenze sono assolte come premessa a un auspicato “ritorno 
all’ordine”
1
. Benito Mussolini, fondatore di tale movimento, in questo 
modo catalizza le frustrazioni della piccola borghesia, disposta all’uso 
della violenza, e fa lo stesso con lo spirito di rivalsa dei grandi 
detentori di ricchezze, soprattutto dei latifondisti. Hanno inizio allora 
le violenze delle squadre di volontari fascisti, le camicie nere, contro le 
sedi e gli uomini del movimento operaio e socialista. Nelle elezioni 
politiche del 1921 il Partito nazionale fascista, fondato in quello stesso 
anno, ottiene 35 deputati: è un numero inferiore a quello dei socialisti, 
ma sufficiente per sconfiggere i partiti democratici.
Nell’ottobre del 1922 Mussolini organizza i suoi uomini in 
formazioni a carattere militare, a capo delle quali mette un 
quadrumvirato i cui componenti sono: Italo Balbo, Cesare De Vecchi, 
Emilio De Bono e Michele Bianchi. Il 27 ottobre del 1922 le camicie 
nere di diverse parti d’Italia si dirigono verso Roma (Marcia su Roma 
del 28 ottobre) per chiedere le dimissioni del governo presieduto da 
1
 Si veda l’enciclopedia multimediale Microsoft ® Encarta® 2006.
7
Luigi Facta. Mussolini chiede a Vittorio Emanuele III di proclamare lo 
stato d’assedio e sciogliere la manifestazione, ma il re si oppone e 
affida al leader fascista il compito di formare il nuovo Governo. In tal 
modo, mediante una sorta di colpo di stato effettuato con il sostegno 
degli apparati statali, Mussolini va al governo a capo di una coalizione 
di liberali e popolari, che simpatizzano per lui e di cui per altro si 
libera poco dopo. 
Durante la crisi dell’assetto politico liberale guidato da Giovanni 
Giolitti, parte degli uomini che hanno guidato l’interventismo prima 
della guerra, propugnando il disconoscimento della Triplice Alleanza e 
l’ingresso in guerra della nazione italiana a fianco delle potenze 
dell’Intesa, adesso pensa a un nuovo tentativo politico-culturale. Una 
conciliazione tra le diverse anime della cultura dei primi anni Dieci ha 
garantito una supplenza nei confronti di uno Stato senza alcun tipo di 
autorità. Tale supplenza è assicurata mediante un’unità morale e 
organizzativa dei colti, rinnovata al fine della formazione di una nuova 
educazione nazionale. A tal proposito, il Fascismo considera basilare 
in particolar modo la missione educativa, dedicando le cure maggiori 
all’educazione giovanile mediante istituzioni a carattere assistenziale, 
risolvendo qualunque problema attinente alla scuola ed esplicando 
opera rigorosa nelle istituzioni scolastiche e parascolastiche.
Conquistando progressivamente «tutti gli spazi riportabili 
8
all’omogeneità della parola stampata e del moderno»
2
, la 
comunicazione si unifica nella cultura scritta, la tradizionale struttura 
per funzioni organicamente collegate tra loro è gradualmente 
soppiantata da un sistema di segmenti della comunicazione, analogici e 
affiancati. Come ha scritto Giovanni Ragone nel saggio La letteratura 
e il consumo, contenuto nella Letteratura italiana a cura di Alberto 
Asor Rosa, generalmente, un’organizzazione di questo tipo è 
caratteristica di una struttura egemonizzata dalla funzione del 
consumo. Anteriormente al periodo fascista una struttura funzionale 
(rito religioso, autoriconoscimento risorgimentale/nazionale, 
formazione, ricerca scientifica, alta cultura, consumo) storicamente 
ottocentesca, convive con una per segmenti (consumo borghese, 
romanzo di massa). Un segmento-funzione mitico garantisce lo 
scambio tra i due sistemi, verso il mercato
3
. La stessa figura 
dell’editore-industriale, d’altro canto, è partecipe del nuovo paesaggio, 
per riportare al suo laboratorio le diverse esperienze.
Nell’arco del Ventennio fascista si scivola in modo progressivo 
verso il controllo di Stato, che sta diventando sempre più repressivo 
nei confronti dell’editoria, fino a quando non vengono elaborate le liste 
di proscrizione e instaura la “socializzazione” della Repubblica di 
Salò: uno dei primi atti di Benito Mussolini nelle vesti di Presidente 
2
 G. Ragone, Un secolo di libri. Storia dell’editoria in Italia dall’Unità al 
post-moderno, Einaudi, Torino, 1999, p. 116. 
3
 A. Asor Rosa, Letteratura italiana, vol. II, Einaudi, Torino, 1983, pp. 766-
67.
9
del Consiglio associa alcune norme di natura censoria agli interventi di 
sostegno all’editoria che Giovanni Beltrami, direttore della casa 
editrice Treves dal 1916, ha richiesto al governo presieduto da Luigi 
Facta
4
. Tra queste norme figura un decreto che abolisce i limiti di 
prezzo per le edizioni scolastiche.
Le tendenze di alcune componenti del Fascismo a programmare 
un complessivo inquadramento della comunicazione tendono ad 
affiorare. Inizialmente l’intento pare che sia quello di «far pressione 
sui dubbiosi e di valorizzare gli attivisti, i “militanti”; scelta che porta 
ai sindacati fascisti (degli scrittori, 1922 e dei giornalisti, 1924) e alle 
Corporazioni (per il teatro, 1923)»
5
. Ma vi è aggiunta l’idea di una 
autentica politica culturale del partito e dello Stato. Tale politica 
attraversa anche l’editoria, mediante l’emergere di domande e 
linguaggi nuovi. Nel 1924-1925, ai tentativi di riunire gli intellettuali 
in una linea politico-culturale di Stato si accompagna la repressione e il 
controllo. Infatti, in seguito alla promulgazione delle leggi speciali del 
1925, i membri dell’opposizione organizzata vengono incarcerati e 
pertanto l’organizzazione è di fatto sciolta.
4
 Per le informazioni riguardanti le richieste di Beltrami e le norme emanate 
da Mussolini si veda il «Giornale della libreria», XXX, Associazione 
Editoriale Libraria Italiana, Milano, 1922.
5
 G. Ragone, Un secolo di libri, cit., pp. 119-120. 
10
1.1 Il Fascismo e la cultura
Dopo l’avvento del Fascismo vengono consolidate le aspettative 
di interventi dirigistici e repressivi. La stampa di sinistra è in crisi: i 
quotidiani, le riviste e le tipografie subiscono vessazioni da parte delle 
squadre armate. Gli editori tentano di trovare un modus vivendi con il 
nuovo potere. Tra il 1920 e il 1922, la crisi delle vendite e 
l’inadeguatezza della rete di distribuzione delle librerie rispetto alle 
nuove esigenze provocano la crisi della vecchia associazione 
rappresentativa, la A.T.L.I. (Associazione Tipografico-libraria), 
guidata da Beltrami e da Pietro Vallardi, quest’ultimo comproprietario 
e direttore amministrativo dell’omonima casa editrice, in un equilibrio 
precario. Infatti, la A.T.L.I. finora si è retta sulla convivenza tra le case 
editrici torinesi e milanesi (in particolar modo l’Unione Tipografica 
Editrice Torinese, cioè U.T.E.T., e Treves). All’inizio del 1922 
l’A.T.L.I. diventa A.E.L.I. (Associazione Editoriale Libraria Italiana), 
suddivisa in due camere coordinate da Vallardi e da Lattes
6
. 
Tra le conseguenze della salita al governo da parte del Partito 
Fascista si annovera il blocco dei processi di comunicazione, pertanto 
si creano situazioni come la crisi da parte delle ideologie liberali e 
antifasciste, la ristrutturazione di settori di rilievo nella cultura, le 
difficoltà economiche, la contrazione dei consumi dei giornali e 
6
 A. Vallardi, 80 anni di vita associativa degli editori italiani, Associazioni 
Italiana Editori, Milano, 1950, pp. 45-61. 
11
soprattutto una crisi del libro. Quest’ultimo fenomeno, sul piano 
economico, ha inizio con la crescita del prezzo della carta, dal 1915 in 
avanti, e ha la sua prosecuzione nelle agitazioni nelle officine 
tipografiche, aggravandosi ulteriormente nel 1921. Le spese di 
produzione, a detta degli editori, aumentano dell’800% e oltre rispetto 
alla media dei prezzi, laddove il lettore acquista i libri con una somma 
pari a tre volte il prezzo nominale d’anteguerra. Il numero complessivo 
dei libri stampati annualmente cala di oltre il 50% dal 1914 al 1919 e si 
attesta su questi livelli durante tutta la prima metà degli anni Venti. Nel 
1925 il libro, dunque, è «ridiventato, per un’enorme parte del pubblico 
un oggetto di lusso o un oggetto proibito»
7
. Ma intorno al 1927 inizia 
un’espansione che si accentua dopo il 1930. La causa di tale 
espansione ritengo sia dovuta sia alla fondazione della Federazione 
Nazionale Fascista Italiana Editori (F.N.F.I.E.), che agli aiuti 
all’editoria da parte del regime. L’esistenza di una crisi del libro, 
tuttavia, è contestata dai più, fino all’avvento del Fascismo: benché i 
titoli diminuiscano, aumentano le tirature, in particolar modo quelle del 
romanzo di consumo
8
. Infatti, negli anni Venti l’immaginario letterario 
di consumo è la materia prima su cui è basato il lavoro di un nuovo 
gruppo di case editrici - Mondadori, Alpes, Corbaccio, Ceschina, 
Roma, Stock, Unitas, Slavia, più tardi Bompiani e Rizzoli - 
7
 A. Sorani, Il libro italiano, Berzieri e Versetti, Milano, 1925, pp. 30-33. 
8
 G. Prezzolini, La coltura italiana, Società Anonima Editrice «La Voce», 
Firenze, 1923, pp. 59-60.
12
corrispondenti ai settori delle lettere
9
 in cui l’innovazione è più 
sostanziosa.
Risale a questo periodo l’elaborazione di una cultura fascista, 
con la sua rete di organismi e con le stesse case di nuova generazione. 
Adesso l’editoria ha come interlocutore obbligato il potere politico e 
statale, anche nel campo della cultura; si rafforzano gli editori di 
orientamento risorgimentale, che tramite la destra liberale e i 
nazionalisti si ritrovano nello schieramento che appoggia la svolta. La 
stessa struttura produttiva editoriale è in via di cambiamento. Il 
costante incremento della circolazione della parola stampata, 
nonostante la carenza di carta e i problemi di censura, non viene 
ostacolato né dalla guerra né dall’immediato dopoguerra. Le officine 
tipografiche si sviluppano a ritmo accelerato: qualche tempo prima 
vengono costituite alcune catene di librerie, di conseguenza si è 
riorganizzata la distribuzione. È venuta dunque a crearsi una cultura 
industriale: la finanza di indirizzo cattolico o nazionalista, dopo aver 
fatto il suo ingresso nella stampa quotidiana tra il 1910 e il 1915, 
subito dopo la guerra prende parte a eventi determinanti per l’editoria 
ed entra nel settore mediante compartecipazioni e investimenti.
Le case editrici si allineano fin dall’inizio al nuovo potere e 
accettano la logica dominante, adattandosi e, salvo rari casi, aderendo 
al nuovo stato di cose, attuando di fatto una convivenza col regime. 
Poche case editrici si fanno portavoce di un eventuale dissenso, poiché 
9
 G. Ragone, Un secolo di libri, cit, p. 112.
13
è l’adesione a dominare in un’editoria fortemente politicizzata. Le 
commesse librarie, le sovvenzioni economiche e gli sgravi fiscali 
fanno sì che molti editori pubblichino testi di stampo fascista e 
contenuti graditi al regime; ai più renitenti viene ordinato di adeguare 
la propria produzione al nuovo clima editoriale, pena la fine 
dell’impresa. Lo Stato stesso si fa editore, usando le già citate 
committenze librarie, il ruolo che il Provveditorato generale dello stato 
svolge nel finanziamento di edizioni nazionali, e soprattutto le case 
editrici allineate (cioè nate con l’obiettivo di servire il regime e 
diffondere i principi fascisti), che convivono con quelle compromesse 
(e che muoiono col crollo della dittatura, e in molti casi anche prima). 
Tra le maggiori case editrici affiancate al fascismo vanno almeno citate 
la Alpes, la Libreria del Littorio, la Augustea e le Edizioni Roma
10
.
In questo clima l’editoria viene dunque ufficialmente 
«fascistizzata, organizzandosi nella Federazione Nazionale Fascista 
Italiana Editori»
11
, associata alla Confederazione Fascista degli 
Industriali. Francesco Ciarlantini, giornalista, editore e uomo politico, 
ne diventa il presidente nell’anno della sua fondazione, il 1926. Tale 
istituzione non è quindi secondaria alla svolta in direzione 
dell’inquadramento della cultura. Per un breve tempo è possibile la 
coesistenza tra l’organizzazione fascista e l’A.E.L.I. (dove Vallardi 
sostituisce Beltrami nel ruolo di presidente, e Ciarlantini diventa 
10
 Si veda la tesi di laurea: E. Di Battista, Paratesti nell’editoria fascista, 
Università degli Studi di Milano, A.A. 2007-08.
11
 G. Ragone, Un secolo di libri, cit, p. 122.
14
vicepresidente). Tuttavia, nel 1929, quest’ultima associazione decreta 
il proprio scioglimento e Vallardi è costituito vicepresidente della 
F.N.F.I.E.. Il grado di adesione dell’editoria alla cultura fascista nei 
vari settori resta tuttavia, in gran prevalenza, disomogeneo.
A dominare sono due modelli: il primo a carattere industriale, a 
diversi gradi di integrazione con le logiche espansive del Fascismo, 
sebbene fortemente impegnato nella ricerca di nuovi settori di cultura e 
di pubblico di massa; il secondo di tipo istituzionale tradizionale, 
dall’impianto immutabile, che passa attraverso il primo decennio del 
governo Mussolini senza alcun trauma di particolare gravità. Gli 
interpreti del Fascismo hanno in mente la dinamica culturale nelle 
sembianze di un processo estensivo e insieme centralizzato. Lo 
sviluppo, tuttavia, viene garantito dalla funzione del controllo, 
dell’ordine, dell’“inquadramento” e del «codice etico-ideologico»
12
. 
Ovvero, le vecchie istituzioni della scuola, della ricerca scientifica e 
del tempo libero devono allargarsi ma allo stesso tempo essere regolate 
e tutelate da nuovi soggetti, i quali devono garantire l’identità di 
forma
13
 rispetto al movimento generale.
L’editoria è in primo luogo un’industria. Il suo sviluppo ha la 
tendenza ad abolire, senza condizione alcuna, usanze e garanzie 
preindustriali (incluse le tradizionali divisioni del mercato tra settori 
specializzati e tra case regionali), costituendo un’ultima tappa del 
12
G. Ragone, Un secolo di libri, cit, p. 126.
13
Ibidem.
15