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Introduzione
È ormai noto che le aziende provenienti dai paesi emergenti abbiano assunto un ruolo sempre
più importante nel campo delle acquisizioni internazionali. Non soltanto questo fenomeno era
già stato da molto tempo pre-annunciato, ma era anche piuttosto prevedibile. L’attività di
“M&A” (“Mergers and Acquisitions”, ovvero le fusioni e le acquisizioni) transfrontaliero può
essere considerata come una particolare tipologia di “FDI” (“Foreign Direct Investment”) per
entrare in questo tipo di mercati sempre più attraenti, come la Cina e l’India.
I principali fattori che hanno permesso lo sviluppo di questo trend ormai noto sono: il
processo di liberalizzazione economica intrapreso da molti paesi emergenti, la
globalizzazione delle loro industrie, l’aumento della competizione globale, le sempre più
affinate capacità manageriali dei dirigenti di questi paesi e, non ultimo, un facilitato accesso al
mercato dei capitali.
Il risultato di tutto ciò è anche quantificabile: la quota che appartiene a questi paesi della
totalità delle acquisizioni transfrontaliere è cresciuta dal 4%, nel 1987, al 13%, nel 2005, fino
ad arrivare al 20%, nel 2008. Anche i valori delle acquisizioni sono piuttosto importanti: è il
caso di citare l’indiana Tata Steel che ha acquistato Corus Steel per US$13 miliardi; CEMEX,
la compagnia messicana, che ha acquistato British RMC Group per US$5.8 miliardi e il
gruppo australiano Rinker per US$14.2; e ancora la brasiliana Vale che ha acquisito Inco per
ben US$18.9 miliardi.
Questa serie di grandi acquisizioni non ha fatto altro che attirare l’attenzione dei media. La
reazione dei paesi “sviluppati” è stata duplice. Da un lato positiva: alcuni le hanno considerate
come una nuova fonte, sia di capitale sia di conoscenza da cui attingere. Da un altro lato,
invece, la reazione è stata di timore: la competizione non era fino ad oggi arrivata dai paesi
emergenti. Tanto da evocare interventi protezionistici. Alcuni hanno addirittura associato
questo nuovo fenomeno ad una vendetta delle antiche colonie verso il passato potere
imperialistico dei paesi “sviluppati”. Invece, la reazione dei media dei paesi emergenti è stata
a senso unico: positiva e, in alcuni casi, di euforia.
È stato però poco analizzato dai media un aspetto molto importante: fino a che punto
un’acquisizione transfrontaliera verso un paese emergente crea valore per gli azionisti
dell’azienda acquirente?
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In linea generale, le acquisizioni non ottengono una reazione positiva dal mercato. I managers
delle aziende in questione, invece, pongono l’accento su come sia un bene, l’operazione, ai
fini della strategia di lungo periodo.
Nel 2007, Tata Steel alzò il prezzo della sua offerta per acquisire Corus Steel e riuscì a battere
la sua rivale, la brasiliana CSN. Nonostante la buona riuscita dell’operazione, il mercato
penalizzò dell’11% le azioni di Tata, il giorno successivo. La reazione del Presidente del
gruppo, Ratan Tata, fu la seguente: “Sinceramente credo che il mercato sia stato troppo severo
e precipitoso nel giudicare quest’operazione. Nel futuro si accorgerà di essersi sbagliato,
rendendosi conto che la nostra è stata invece un’ottima manovra.”. D’altro canto, gli analisti
pensavano che Tata avesse strapagato l’acquisizione: infatti il prezzo offerto corrispondeva a
nove volte l’EBITDA dell’azienda target. Il Managing Director di Tata, Mr. Mithuraman, si
difese affermando che, sebbene l’acquisizione potesse sembrare costosa, era stata una mossa
piuttosto strategica poiché avrebbe permesso a Tata di accedere ad un mercato caratterizzato
da un costo delle materie prime nettamente inferiore.
Questa tesi ha come obiettivo quello di stimare l’impatto di “breve periodo” delle acquisizioni
verso la Cina e l’India sulle aziende residenti in mercati “sviluppati”. La metodologia usata è
quella dell’”event etudy”. L’”event study” è un approccio statistico che permette di
determinare l’impatto di un evento attraverso l’analisi di una serie di dati “storici”, ed è
piuttosto utile per misurare la creazione o la distruzione di valore a seguito di un’acquisizione.
Il principio base è l’analisi del “Rendimento Anormale” (AR) relativo ad un evento preciso.
Supponendo che il mercato sia efficiente, se l’AR delle azioni dell’acquirente è positivo
durante i giorni dell’annuncio dell’operazione, questo significa che il mercato ha valutato
positivamente l’acquisizione, che quindi ha creato valore.
L’analisi è basata su due campioni di acquisizioni concluse tra il 1989 e il 2010 da aziende
provenienti da paesi “sviluppati”; un gruppo ha come paese target la Cina e l’altro l’India.
La struttura di questa tesi è la seguente: la prima e la seconda parte sono dedicate alla
descrizione dei due Paesi scelti e dell’attività nel campo dell’M&A in India ed in Cina. La
terza parte, detta “Literature review”, riprende le principali ricerche svolte nel campo
dell’M&A transfrontaliero e i fattori che maggiormente determinano l’AR dell’acquirente. La
quarta parte è invece dedicata alla presentazione del modello utilizzato per testare le ipotesi,
che sono presentate nella quinta parte. La sesta parte descrive il campione Indiano e i risultati
ottenuti, mentre la settima parte è dedicata alla Cina. Infine, le conclusioni.
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1. L’India
1.1 Overview
Nazione del sud asiatico, l’India è il settimo paese al mondo in termini di estensione
geografica (3,287,263 km
2
) e il secondo in termini di popolazione (1,173,108,018 abitanti).
L’India è un paese che si distingue per ricchezza dal punto di vista commerciale e culturale,
ed è inoltre un punto d’incontro di numerose religioni ed etnie che hanno determinato la
multiculturalità di questo paese.
L’India è stata colonizzata dall’Inghilterra agli inizi del 1800, è diventata uno stato moderno
nel 1947 ed è oggi una delle democrazie più popolate al mondo, con una densità di
popolazione pari a 376.7 persone per km
2
.
Secondo le stime del “Ministry of Statistics and Programme Implementation”, l’economia
indiana ha registrato una crescita del 7,4% nel biennio 2009-2010, tasso di crescita
determinato in particolar modo da una robusta performance del settore industriale, che ha
superato notevolmente le previsioni. La composizione del prodotto interno lordo relativa al
biennio 2009-2010 è stata la seguente:
1. Settore terziario (servizi): 56.9%. Questo settore è in crescita soprattutto grazie ai
numerosi investimenti effettuati nell’area dell’”Infomation Technology”;
2. Settore secondario (industria): 28.5%;
3. Settore primario (agricoltura): 14.6%. Nel 2009, questo settore ha sofferto una
crisi che ha principalmente colpito il riso. Purtroppo, il settore è in lenta ripresa a
causa di un intervento statale piuttosto scarso in termini di investimenti pubblici.
Dal punto di vista dei FDI il valore dei flussi registrato da Aprile del 2010 ad Ottobre dello
stesso anno, è stato di US$12.397 miliardi, apportati principalmente da investitori provenienti
dalle Mauritius, da Singapore, dagli USA, dall’Inghilterra, dall’Olanda, dal Giappone e da
Cipro. I settori che maggiormente hanno attratto i FDI sono stati: i servizi, l’informatica, le
telecomunicazioni, il settore immobiliare, le attività di costruzione e l’energia.
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1.2 Il 1991 in India: l’anno delle grandi riforme
L’obiettivo principale del processo riformistico intrapreso dall’India nel 1991 è certamente
stato quello di migliorare l’efficienza del Paese, affinché fosse pronto ad affrontare la
crescente competizione mondiale e a sostenere tassi di crescita economica in aumento. Il
processo è stato incrementale e senza dubbio rallentato dalla situazione politica del Paese, ma
si è basato su due strategie ben precise: la liberalizzazione del mercato e la crescita delle
imprese private.
Lo stimolo che ne ha permesso lo sviluppo è stato, come nella maggior parte dei casi, un
periodo di crisi. I principali motivi scatenanti la crisi sono stati un profondo deficit e un tasso
di inflazione piuttosto elevato. Questi furono anche gli stessi fattori che permisero al Primo
Ministro Narasimha Rao di convertire la crisi economica in una possibilità per migliorare la
situazione del Paese. In due soli anni l’India riuscì a superare la crisi macroeconomica che
stava attraversando, anche grazie all’aiuto di un prestito da parte dell’International Monetary
Fund. Raggiunta quindi una certa stabilità, il governo fu in grado di introdurre le riforme
preannunciate.
Le riforme del 1991 possono essere suddivise in due grandi gruppi: le riforme
macroeconomiche e quelle settoriali. Naturalmente, il primo tipo di riforme ebbe la priorità:
giungere ad una riduzione del deficit avrebbe permesso all’India di restaurare una credibilità
mondiale che avrebbe certamente portato i suoi frutti in futuro. Inoltre, la stabilità economica
avrebbe anche permesso di controllare la crescita dell’inflazione e accelerare lo sviluppo del
Paese.
1.2.1 Riforme macroeconomiche
Al fine di ridurre il deficit Indiano, da un lato furono ridotti gli investimenti pubblici e
dall’altro fu modificata la tassazione. La base imponibile fu ampliata includendo alcuni
servizi non in precedenza tassati, la tassazione “diretta” verso i privati e le aziende venne
ridotta, furono aboliti molti sussidi all’esportazione e abbassate le tasse sull’importazione,
modificata la struttura dell’IVA, razionalizzate sia la tassazione “diretta” sia quella “indiretta”
attraverso la rimozione di alcune esenzioni non necessarie, introdotti alcuni incentivi diretti ad
incrementare il settore dell’infrastruttura e le esportazioni, e molte procedure
dell’amministrazione statale furono snellite e rese più efficienti.
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2. China
2.1 Overview
With a total area of 9.597.000 km
2
China is the biggest East Asian country. Moreover, it is
also the most populate country in the world: there are 1.336.920.000 people living in China
(with a population density of 138.7 people/km
2
), representing 20% of the entire world
population. The name of the capital is Peking.
Based on data obtained from Euromonitor International database, as China occupies the entire
5.000-km spread from the Sea of Japan and the East China Sea, it has one of the longest
international boundaries in the world. Regarding the political structure, the 3.000 members of
National People’s Congress vest all the legislative authority. In the country there are 56
officially recognised ethnic groups, while the other minorities are becoming a serious issue.
Also the Chinese pension system is particularly chaotic. In fact, one of the priorities of
Chinese government is to find remedies before the fast-ageing population becomes an
irresolvable issue. Statistics state that, by 2015, there will be in China over 146 million people
over the age of 65, while in 1980 they were just 45 million.
The most active industries in China are:
1. Agriculture: the growth rate is around 3% per year. The most important crops are rice,
tea, sugar and fibre. Moreover, China is the biggest cotton producer in the world. In
2009, Beijing spent 121 billion Yuan in order to help farmers;
2. Industry: it accounts for the largest portion of the GDP. Even if in 2008 the industry
growth slowed due to a decline in exports, in 2009 sales rose again thanks to a credit
expansion program. Also in 2009, thanks to the approval of a package of tax cuts and
subsidies for small cars introduced by the Chinese government, the country became
the biggest car market in the world;
3. Service: its growth is really slow. Even if the bank sector has increased its capital and
is now more commercially oriented, the profitability went down due to the recent
decline in interest rates.
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From a general economic point of view, the past three decades of uninterrupted growth are in
sharp contrast with the actual situation. In fact, after an initial slowdown concerning the
housing market, the crisis spread to many related industries. Also the exports declined in
2009, even if the government opted for a fiscal stimulus and an increase in credit. In order to
solve this problem, China is trying to change the model that has always followed: “on the
demand side, the shift in strategy depends on consumption overtaking investment as the main
economic driver. On the supply side, the service sector is expected to replace industry as the
primary contributor to growth”
3
Until now, these adjustments did not occur, probably due to
the economic slowdown.
In December 2001, China entered the World Trade Organisation (“WTO”
4
), convincing all
the other members that, without its presence, WTO could not be considered a “world
organisation”. The entrance had a great impact over the global trade, due to the many
differences existing between China and the other members systems. Chinese government
immediately started to introduce many juridical reforms, but in order to assure the general
functioning of WTO it is necessary that the entire Chinese territory respects these reforms.
2.2 The attractiveness of Chinese companies
In the past decade market globalisation had a great impact on cross-border acquisitions.
Market globalisation gave the possibility to many companies to expand worldwide through
the use of this kind of operation. In particular, the continental Europe has become one of the
most important players in this field. The introduction of the new currency, the euro,
accelerated the European globalisation process, the financial market deregulation and the
privatisation of many companies (Martynova & Reenboo, 2006; Gugler, 2003). Moreover, the
recent development of some emerging markets increased the number of potential attractive
targets. These new targets are calling the attention of many developed countries, either than
just USA and UK, because they represent an important way to increase the amount of
developed countries’ FDIs.
3
Https://www.portal.euromonitor.com/Portal/Magazines/GeographiesHeavy.aspx
4
The World Trade Organization (WTO) is an international organization designed by its founders to supervise and liberalize international
trade. The organization officially commenced on January 1, 1995 under the Marrakech Agreement, replacing the General Agreement on
Tariffs and Trade (GATT), which commenced in 1947. Source: Wikipedia.org
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This tendency is increasingly developing also in China, where the Asian financial crisis had a
strong impact. In fact, Chinese government was forced to open the market to foreign
investments in order to solve insolvency issues related to the impossibility to repay many
operating expenses. This led the Chinese state to recognize that a foreign investment may
bring value-adding skills and capital, and that, in order to facilitate cross-border operations,
the existing laws concerning M&A activities have to be changed and adapted to the
international practise (Tan Lay Hong, 2003). At the same time, the strong development of this
country, its recent entrance into the WTO and the disappearance of some entry barriers, made
China a really attractive target for worldwide companies and one of the biggest receivers of
foreign direct investments.
2.3 Mergers and Acquisitions in China
Over the last years, the activity of mergers and acquisitions in China has drastically increased
if compared to the past, when these operations were practically unknown. In the present era
they are at the same time a useful method for foreign investors to enter in the Chinese market
and an important tool for the development of the Chinese economy.
The Chinese economy progressed dramatically during the last several years and this is mainly
due to it entrance into the “World Trade Organisation” in 2001. The mentioned entrance
opened and liberalised some previously closed industry sectors, and reduced some restrictions
that were imposed to foreign firms willing to invest in China. Hence, an increasing number of
foreign investors are now allowed to access to the Chinese domestic market. Also, some
economics reforms strengthened the Chinese growth and contributed to the development of
M&A activities, which became an interesting alternative to foreign direct investments.
Moreover, the role of the State changed: in fact, in order to reduce its equity holdings, it
allowed a sort of restructuration of “state-owned” companies, which made some of them
available for partnering with international companies to become, as integrated conglomerates,
global leaders. This operation further increased the number of potential and attractive targets
for foreign investors willing to enter in the Chinese market. In fact, a survey of 2002
conducted by “PricewaterhouseCoopers” showed that foreign enterprises were greatly
attracted by the possibility to enter in the Chinese market through a way that was not a
traditional Greenfield investment. The main reasons were the size and the potential growth of
the Chinese market, and the cheaper labour force (PricewaterhouseCoopers, 2002).