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INTRODUZIONE
Con il presente lavoro mi propongo di analizzare il ruolo della leadership nel management
moderno e capire come e se la formazione della leadership da parte di chi oggi se ne occupa, è
realmente in linea con gli obbiettivi che il management moderno dovrebbe perseguire. La
funzione del leader è quella di condurre attraverso un percorso i propri seguaci. Dove porta e
dove dovrebbe condurre tale sentiero ?
Le metodologie di formazione della leadership ed i valori che ne condizionano l’azione, sono
in linea con le esigenze del management 2.0 ? Siamo oggi capaci di formare un leader, … e
come lo facciamo ?
Con il presente lavoro, ci si propone l’ambizioso obbiettivo di analizzare quanto dagli anni 60
ad oggi è stato teorizzato sull’argomento leadership in relazione alle diverse esigenze
manageriali che si sono succedute nella gestione ed organizzazione aziendale.
Cercheremo dunque di capire, quali sono i bisogni ai quali oggi un leader deve provvedere,
cosa dovrebbe fare per soddisfare tali esigenze e se le metodologie di formazione della
leadership sono realmente in grado di fornire al leader gli “strumenti” necessari per affrontare
efficacemente tale percorso.
Sovrapporremo poi alla figura del leader quella del manager, considerandoli in maniera
univoca nella convinzione che un buon manager dovrà necessariamente essere anche un buon
leader. Chiameremo questa figura professionale Manager 2.0.
Varrà quindi analizzata l’evoluzione storica che il ruolo del manager ha avuto, dalla nascita
del management moderno ad oggi, passando per le funzioni e le attività che dei buoni manager
svolgono o dovrebbero svolgere.
Analizzeremo il binomio management-leadership.
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Verrà fornito un modello di sviluppo della leadership che tenga conto dei molteplici aspetti
trattati nei capitoli precedenti della trattazione, e di qualche aspetto che, verrà meglio
approfondito nell’ultima parte del lavoro.
Concludermo la trattazione riflettendo su come nel 2012 vengano formati i leader ed i
manager del domani.
Analizzeremo prima la formazione manageriale continua, a livello aziendale, i suoi
fondamenti teorici e le metodologie formative delle quali si avvale. Ci riferiremo in un
secondo momento invece alla formazione del management e della leadership da parte delle
Business School, ponendo la nostra attenzione in particolare sul master in business
administration ( Mba ).
Presenteremo le critiche che Henry Mintzberg rivolge alla formazione manageriale
integrandole con nostre considerazioni. Verrà fornita in conclusione, una rielaborazione della
definizione di Leader e una contraddizione che a mio avviso non siamo ancora pronti a
riconoscere.
1. Le grandi sfide per il Management nel XXI Secolo
Nel maggio 2008 un gruppo di accademici e leader d'azienda si sono riuniti per definire una
«road map» per reinventare il management. L'obiettivo immediato del gruppo era quello di
stilare un elenco di sfide decisive per la gestione aziendale sulle quali concentrare le energie
degli innovatori manageriali di tutto il mondo.
In origine, il management è stato inventato per risolvere due problemi: il primo, indurre i
dipendenti semi specializzati a eseguire mansioni ripetitive in modo competente, diligente ed
efficiente; il secondo, coordinare queste mansioni in modo da riuscire a produrre beni e servizi
complessi in grandi quantità. In breve, i problemi da risolvere erano l'efficienza e la scala di
produzione, e la soluzione prescelta è stata la burocrazia, con una struttura gerarchica, obiettivi
a cascata, una precisa definizione dei ruoli e regole, e procedure complesse.
Oggi i manager si trovano ad affrontare una serie di nuovi problemi, prodotti da un ambiente
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volatile e spietato. Alcuni dei più cruciali possono esser focalizzati con i seguenti interrogativi:
in un'epoca di rapido cambiamento, come si possono creare organizzazioni che siano tanto
adattabili e flessibili quanto focalizzate ed efficienti? In un mondo in cui i venti di distruzione
creativa soffiano con l'impeto di un uragano, come può un'azienda innovare velocemente e
coraggiosamente, in modo da restare redditizia e al passo con i tempi? In un'economia creativa
dove il genio imprenditoriale è il segreto per il successo, come si possono ispirare i dipendenti
a portare al lavoro ogni giorno i doni dell'iniziativa, dell'immaginazione e della passione?
Per rispondere con successo a tali interrogativi, i top manager e gli esperti devono prima
ammettere di aver raggiunto i limiti del «Management 1.0», ovvero il paradigma dell'epoca
industriale basato sui principi di standardizzazione, specializzazione, gerarchia, controllo e
supremazia degli interessi degli azionisti. Devono ammettere, cioè, che gli imperativi aziendali
di domani giacciono al di fuori dell'inviluppo della performance delle prassi manageriali
odierne, così permeate di burocrazia. In secondo luogo, devono coltivare, anziché reprimere,
l'insoddisfazione rispetto allo status quo. Ciò che serve è un po’ di sana ribellione.
E proprio da queste premesse, da questi nuovi problemi, volgiamo partire per definire il ruolo
della leadership nel “management 2.0”, le metodologie di formazione attraverso le quali i
nuovi leader vengono formati, la coerenza o meno di tali metodologie con i risultati ai quali
conducono rispetto a quelli a cui dovrebbero condurre nel caso non ci fosse coincidenza tra i
due.
Fonti: Gary Hamel; Harvard Businees review, Aprile 2009,
2. Evoluzione del concetto di Leadership. Le teorie sulla leadership
La prima precisazione che è doveroso fornire, prima ancora di iniziare qualsiasi trattazione
dell’argomento è la distinzione che intercorre tra “ Autorità” e “Leadership”.
Non sono sinonimi, sono quindi, diversi – per caratteristiche – l’uno dall’altro.
Oggi è generalmente riconosciuto che “la leadership non consiste nell’autorità in se come
effetto dei vari livelli della gerarchia, ma consiste nel fatto che la posizione del capo trova
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legittimazione nel consenso delle persone che gli devono dare la propria collaborazione”.
(Macciocca- Massimo 1993)
La definizione di Leadership fornita da Luisa Macciocca e Raffaele Massimo offre lo spunto
per affrontare da subito due fondamentali aspetti della leadership che si ripeteranno ed
integreranno durante tutto il lavoro che segue.
La ricerca da parte del leader del consenso delle persone (si veda anche Followership par.
2.2.5) esprime implicitamente il concetto secondo il quale la leadership deve essere vista e
studiata come un complesso di interazioni che coinvolgono il leader, i componenti del gruppo
e la situazione ( contesto). Non deve dunque focalizzarsi sulla specifica figura del leader in
quanto tale.
E’ poi spesso confusa la figura del leader con quella del manager. Approfondiremo questa
tematica più avanti. Per il momento ci limiteremo a distinguere come la leadership si fonda
sulla capacità d’influenzare gli altri e di indurli a lavorare per il conseguimento degli obbiettivi
generali dell’organizzazione, oltre che dei loro obbiettivi particolari. Il management è invece
un termine molto più vasto: esso comprende la leadership, ma anche le funzioni di
pianificazione, d’organizzazione e di controllo.
La leadership e quindi un aspetto del Management ma non può essere identificata con esso.
(Donald C. Mosley, Paul H. Pietri 1992)
Veniamo quindi alle principali teorie che dal 1960 ad oggi si sono succedute sul tema della
leadership.
Le teorie sulla Leadership possono essere ricondotte alle seguenti macro- categorie: Innatiste,
Comportamentiste, Relativiste, Carismatiche -Trasformazionali e le New Leadership Theoris.
2.1. Le teorie Innatiste sulla Leadership
Secondo le teorie innatiste (o anche teorie dei tratti) i leader posseggono determinati tratti
personali che li rendono capaci di suscitare la fedeltà dei seguaci ( followers ) e grazie ai quali
vi si distinguono
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Molte delle prime ricerche sulla leadership puntavano a rafforzare i tratti personali di chi era
diventato leader e di chi era diventato follower e a individuare i tratti distintivi dei veri leader.
Chi si dedica a queste ricerche dei tratti distintivi dei leader sembra partire dall’assunto che
leader si nasce, non si diventa. (resta tuttavia un assunto, dato che non risulta da nessuna
ricerca che certi tratti personali possano effettivamente contraddistinguere i veri leader dalla
massa degli altri individui )
Numerosi sono gli autori che si sono dedicati alla ricerca ed allo studio dei tratti distintivi dei
leader.
Ralph Stogdill (1948) ha evidenziato numerosi tratti che differenziano un leader dalla media
dei followers. Tra questi, la propensione ai rapporti interpersonali, la bravura tecnica, la
capacità amministrativa, l’efficacia direttiva, la fiducia in se stessi.
A Stodgdill(1948) seguirono Mann ( 1959), Lord ( 1986), Young ( 1997) tra i più rilevanti. La
produzione scientifica sull’argomento è comunque molto vasta.
Edwin Ghiselli (1971) individuò una serie di caratteristiche particolarmente influenti per
l’efficacia della leadership. Fra queste:
La capacità di supervisione, ovvero la capacità di svolgere le funzioni essenziali di
management, specialmente quelle di guida e di controllo del lavoro altrui;
Il bisogno di ben meritare, ovvero la ricerca della responsabilità e il desiderio del
successo;
La capacità di decidere, ovvero di risolvere dubbi e d’affrontare costruttivamente i
problemi;
La fiducia in sé che da sicurezza nell’affrontare i problemi
Lo spirito d’iniziativa, ovvero la capacità d’agire in modo indipendente, d’individuare
e di seguire le linee d’azione che altri non discernono e d’escogitare nuovi modi
d’agire.
Gary Yukl (1981) distingue poi in ogni leader tre caratteristiche: I valori, le abilità, i tratti.
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I valori sono concetti interiorizzati che afferiscono alla sfera del giusto-sbagliato, etico-
non etico, morale-immorale e che sono capaci di influenzare le opinioni, le preferenze
e i comportamenti.
Le abilità sono distinte in tecniche interpersonali e cognitive. Sono particolari capacità
e competenze nel fare qualcosa in modo efficiente.
I tratti sono le caratteristiche proprie dell’individuo. Un tratto è una competenza stabile
dell’individuo la quale consente di mettere in atto comportamenti efficienti. Sono
attributi individuali che presentano predisposizioni a comportarsi in un determinato
modo prevalentemente stabili.
I tratti ai quali in particolare ci si riferisce nella trattazione della leadership, dunque
nell’individuazione del leader sotto un approccio prevalentemente innatista, sono
sostanzialmente dividibili in tre macro-categorie.
L’intelligenza, soprattutto nei suoi aspetti di problem-setting, problem-finding, problem-
solving e decision-making.
La personalità, manifesta in tratti come la fiducia in se stessi, flessibilità e adattabilità a
diversi contesti e situazioni, la propensione al rischio, l’assunzione di responsabilità.
L’abilità, riferita alla capacità di saper collaborare e cooperare con i followers e di
guadagnarsi presso di loro popolarità e prestigio.
La critica che può senz’altro essere rivolta all’approccio Innatista (alle teorie dei Tratti) è
quella di aver trascurato l’ambiente esterno, non prendendo in riferimento il contesto e la
particolare situazione nella quale il leader opera ed invece concentrando tutte le proprie
attenzioni sui tratti comportamentali- caratteriali che un leader assume e deve avere.
Tuttavia, se pur manifestando questa lacuna, credo non possa essere esclusa l’utilità e la
validità degli studi fin qui esposti.
Le caratteristiche innate del leader, il carisma, la personalità, il bisogno di emergere e di
condurre come fosse un aspirazione divina, si confermano senz’altro fattori di rilevante
importanza.
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Le ricerche attualmente in corso non partono più dall’assunto che i leader siano tali per la
nascita anziché per esercizio, ma considerano i tratti personali della leadership secondo un
punto di vista nuovo : alcuni studiosi ritengono che se si possono individuare caratteristiche
favorevoli alla leadership, allora esse possono essere coltivate in coloro che aspirano a
diventare leader.
2.1.2 Le caratteristiche dei “tipi” ( Tratto da Carl G. Jung )
Concludendo l’esposizione sulle teorie dei Tratti che caratterizzano un leader, credo sia utile
proporre di seguito lo studio che Carl G. Jung effettuò sui “ tipi psicologici” ( Tratto da Carl
G. Jung “I tipi psicologici” 1970 )
Il postulato di questo studio è che ogni essere umano appartiene ad una determinata
“categoria” psicologica ed attua, in genere, conseguentemente e coerentemente al “tipo” di
appartenenza, uno “specifico” comportamento.
La conoscenza di queste “categorie” o “tipi” può facilitare la comunicazione e, quindi, le
relazioni interpersonali (particolarmente in un team, esiste sempre la possibilità di trovare
attività più congeniali a una persona piuttosto che ad un’altra ed assegnarle, quindi, alle
persone che possiedono le caratteristiche più idonee al loro assolvimento. La cosi detta,
“persona giusta al posto giusto !”), la conoscenza del tipo di appartenenza può indicare gli
atteggiamenti di fondo delle persone e i conseguenti punti di forza e debolezza
ESTROVERSO – INTROVERSO
Estroverso è colui che si carica di energia attraverso l’interazione con il mondo “esterno”,
fatto di persone e di cose. L’estroverso ama lavorare in gruppo, preferisce la varietà e l’azione
mentre Introverso è colui che trae energia dal proprio mondo “interno” fatto di idee e concetti.
Si trova più a suo agio a lavorare da solo, preferendo in genere, concentrarsi e pensare a lungo
prima di agire.
Il loro approccio alle relazioni sociali e di lavoro è di tipo completamente opposto e può
generare incomprensioni e conflitti. Anche la comunicazione tra queste persone può risultare
non facile, perché l’Introverso non è un buon comunicatore mentre l’Estroverso ama
comunicare apertamente, offrendo e chiedendo il “feed-back” ai suoi interlocutori.
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ANALITICO – INTUITIVO
In queste due dimensioni ciò che differisce è il modo di percepire il mondo: L’analitico è
molto pratico, ama i fatti, è ancorato al presente e alla realtà. Il suo credo è l’esperienza; sul
lavoro preferisce la routine, che gli permette di utilizzare le capacità già acquisite, piuttosto
che impararne di nuove. Cosi facendo, riesce ad ottenere risultati di estrema precisione.
L’Intuitivo, invece, è un sognatore: il passato e il presente per lui hanno poco valore, ciò che
conta è il futuro. Sul lavoro preferisce le novità, si infastidisce di fronte a compiti routinari e
preferisce sacrificare parte della precisione sul lavoro a beneficio del risparmio di tempo e
della varietà dei contenuti
EMOTIVO – RAZIONALE
Queste dimensioni descrivono le modalità seguite nell’effettuare la proprie scelte.
L’Emotivo si basa molto sul sentimento, dà importanza alle persone, è empatico, cerca cioè, di
vedere le cose dal punto di vista del prossimo. A sua volta, desidera piacere, perché sente
fortemente il bisogno di essere apprezzato. Un Emotivo non riesce a dire cose spiacevoli agli
altri. Le sue decisioni, anche quelle professionali, sono spesso influenzate da una carica
emotiva intensa, nel tentativo di soddisfare i desideri e i bisogni propri e di coloro che gli sono
vicini.
Il Razionale tende, invece, a non curarsi troppo dei sentimenti degli altri, spesso in modo
inconscio. Le sue decisioni sono basate sui fatti; attua, quindi, regolarmente, nei suoi
comportamenti, il processo di “problem solving” e “ decision making” ( si veda Vroom e
Yettin 2.3.1 ) Preferisce il rapporto basato sull’onestà e l’equità, piuttosto che sul sentimento.
Ciò non significa, tuttavia, che il tipo razionale non sia soggetto alle relazioni emotive simili a
quelle del “tipo” emotivo, ma soltanto che riesce a controllarle meglio.
FLESSIBILE – DECISORIO
Sono due modalità diverse di vivere scadenze e decisioni.
Il tipo Flessibile preferisce le situazioni non troppo schematiche e definite, tende a rimandare i
lavori che non ama fare e ad iniziarne, contemporaneamente, diversi, con difficoltà nel portarli
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a termine tutti. Anche se arriva a concludere un lavoro, si mantiene comunque aperto ad idee
ed avvenimenti nuovi.
Il tipo Decisorio, invece, vive per l’ordine, la scadenza, la definizione delle questioni in
sospeso. Non ama interrompere un lavoro nemmeno per farne uno più urgente e si sente
pienamente soddisfatto quando riesce a concludere uno studio, portare a compimento un
lavoro e fare ciò entro i tempi previsti.
Jung ha precisato che una persona possiede tutte le dimensioni, ma ha preferenze all’interno
delle stesse.
Ha poi aggiunto che, una dimensione si sviluppa attraverso il suo utilizzo, mentre tende ad “
atrofizzarsi” se non viene praticata.
La preferenza per l’una o l’altra dimensione all’interno di ognuna delle quattro coppie da poi
origine a sedici combinazioni di “tipi” ( Ex, Il Visionario Introverso, Intuitivo, Razionale,
Decisorio ). ( vedi Isabel Myers- Briggs; Keirsey e Bates ).
2.2. Le teorie Comportamentiste sulla Leadership
Secondo le teorie comportamentiste, il leader può essere costruito attraverso l’apprendimento
di comportamenti.
Tale nuovo approccio apre le porte al concetto di sviluppo della leadership, “leader si diventa,
non si nasce”.
La leadership non è più studiata come caratteristica individuale ma come un processo,
individuato attraverso l’interazione tra leader e gruppo di riferimento. Non vi è più interesse su
chi sia il leader, ma su come lui si comporta nel gruppo.
Precursori di tale approccio furono Lewin, Lippit e White (1939) che individuarono tre
principali tipologie di comportamento del leader. Dal lavoro degli autori emersero tre stili di
leadership: autoritario, democratico e lassista (o di lassaiz faire).
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Autoritario: il leader che non si preoccupa molto dell’integrazione tra se ed i suoi
followers. La comunicazione all’interno del team è rigida e formale. Le decisioni non
vengono compartite tra i vari membri del team bensì accentrate nella figura del leader.
Democratico: Il leader da importanza ai rapporti con i suoi follower. Comunica con
loro e cerca consigli e punti di vista. Le decisioni rimangono nelle sue mani, ma
nascono da uno scambio di opinioni con i suoi follower. La comunicazione è dunque
aperta e la cooperazione nel team agevolata. L’integrazione del gruppo e il senso di
appartenenza migliorano rispetto allo stile autoritario.
Lassaiz-Faire: Il leader non partecipa attivamente alle necessità degli individui. Mostra
invece nei confronti dei followers un atteggiamento distaccato non favorendo
l’integrazione ne la comunicazione all’interno del gruppo.
Fondamentale è poi il contributo di Douglas McGragor con il suo libro “The Human side of
Enterprise”.
Le sue idee influirono su tutte le teorie comportamentiste (e non solo) che si sono succedute
dopo di lui ( Rensis Likert, Robert Blake, Jane Mounton … )
Non possiamo considerare l’opera di McGragor, sulla base degli argomenti trattati, una teoria
sulla leadership pura. La sua opera invece, ha un respiro più ampio, non limitandosi solo ad
analizzare i singoli stili di leadership bensì ripensando l’idea d’impresa definita fino a quel
momento dalla teoria tayloristica, nonché mettendo in rilevo anche la figura dei followers.
Ho ritenuto dunque indispensabile mettere in questa sezione la trattazione delle teorie X e Y di
McGragor per l’importanza e l’influenza concettuale che ha avuto in tutte le teorie della
leadership (non solo comportamentiste) che si sono succedute.
Dalle intuizioni di McGragor è dunque indispensabile partire nell’esposizione delle teorie
comportamentiste (e cosi seguendo con le teorie relativiste) e nell’analisi delle motivazioni
sulle quali si poggiano.