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Capitolo I
LE CONFESSIONI RELIGIOSE E LA LEGGE DELLO STATO
1.1 Nozione di confessione religiosa
Il nostro approfondimento non può prescindere da un preliminare accenno alla
nozione di confessione religiosa.
Partiamo dalla definizione più semplice, rinvenibile facilmente su internet, che
descrive la confessione religiosa come “un soggetto collettivo nel quale si sviluppa e
concretizza una determinata fenomenologia di tipo religioso
1
”.
La confessione religiosa costituisce, come afferma la Randazzo, un perno
fondamentale del diritto ecclesiastico. In passato risultava molto semplice
l’individuazione delle varie confessioni poiché esse erano relativamente poche e
facilmente identificabili. Attualmente il discorso è molto diverso giacché
l’abbattimento di molte barriere politiche e sociali, dovuto alla globalizzazione, ha
notevolmente facilitato l'ingresso in Europa di tante culture diverse e,
conseguentemente, di altrettante credenze religiose. Con il passare degli anni poi le
religioni principali hanno dato vita a diverse frammentazioni in movimenti minori, con
il risultato di una proliferazione, a volte disordinata, dei culti ed una confusione nella
loro identificazione
2
.
L’ordinamento giuridico fa spesso riferimento alle confessioni religiose senza però
fornirne una precisa definizione e lasciando così all’interprete l’arduo compito.
Spesso, questa incombenza interpretativa viene demandata agli organi
giurisdizionali, aspetto questo che, se da un lato comporta una maggiore elasticità
1
Tratto da http://it.wikipedia.org/wiki/Confessione_religiosa.
2
Il presente paragrafo trae spunto da B. RANDAZZO, Diversi ed uguali. Le confessioni religiose
davanti alla legge, Milano, 2008, p. 22 e ss. La bibliografia del seguente paragrafo è stata tratta dall’a.,
per cui quando in nota sarà presente tale dicitura ci si riferisce alla Randazzo.
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del sistema, dall’altro implica il rischio di diseguaglianze. Infatti due giudici
potrebbero valutare una confessione acattolica in modi molto diversi se non
addirittura diametralmente opposti
3
.
Il problema non è solo di carattere etico ma assume rilevanza anche sotto altri
profili, basti pensare che le religioni fruiscono di una legislazione particolare ed è
capitato che alcuni movimenti abbiano scelto di affiliarsi ad ordini religiosi o di
asserirsi tali al fine di ottenere sgravi fiscali. Data l’assenza di una definizione chiara
di “confessione religiosa” il rischio non è marginale.
Qualcuno
4
suggerisce un metodo per riconoscere la religione diverso da quello di
ricercare semplicemente una definizione, cioè individuando un paradigma, ovvero
(cercando di interpretare il pensiero dell’autore), una serie di caratteristiche che una
confessione religiosa dovrebbe avere, per poi usare questo insieme come schema
atto a verificare se un gruppo è o non è una religione.
Il compito del giurista è ancora più complicato in quanto, oltre a ricercare una
definizione di confessione religiosa, deve individuare dei parametri validi per
l’ordinamento giuridico. Operazione, quest’ultima, non certo di semplice attuazione.
Infatti, nonostante la proliferazione in Italia e in Europa di concordati,
riconoscimenti, accordi e così via, si assiste ad una forte perdita della
rappresentatività di questi movimenti.
Assodato questo, la domanda che ci si pone è: il mondo risulta essere orientato
verso il laicismo? Ma se la risposta fosse affermativa, questo non sarebbe in
contraddizione con quanto appena affermato circa la attuale proliferazione di credi
religiosi?
3
In tal senso, ibidem.
4
S. FERRARI, La nozione giuridica di confessione religiosa (come sopravvivere senza
conoscerla), in AA. VV., Principio pattizio e realtà religiose minoritarie, a cura di V. PARLATO - G. B.
VARNIER, Torino, 1995, p. 35 e ss., come suggerito dall’a. nota 12.
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E se le due domande trovassero un punto d’incontro con una particolare e
conveniente legislazione fornita alle religioni?
I quesiti posti sono certamente interessanti, ma meriterebbero un approfondimento
tale che eccederebbe dal compito che ci siamo prefissati nel presente lavoro ed in
particolare in questo stesso paragrafo, ovvero comprendere cosa si intende per
confessione religiosa in senso giuridico, atto questo che ci consentirà di scoprire il
soggetto del rapporto che qui interessa.
Come fatto notare dall’autore
5
, l’espressione “confessione religiosa” prima del suo
ingresso in Costituzione non era stata considerata dal legislatore, infatti i termini
utilizzati erano stati sempre “culti”, “chiese” ed altri sinonimi.
Andando ad analizzare lo Statuto Albertino del 1848, abbiamo visto che
quest'ultimo all’art. 1, recita: “La Religione Cattolica, Apostolica e Romana, è la sola
Religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati conformemente alle
leggi”
6
.
Posto che il rapporto tra ordinamento giuridico e religione è stato sempre
caratterizzato dal contesto storico, specie in un'epoca in cui la Chiesa Cattolica non
era solo una religione, ma aveva una certa influenza politica, via via sempre più
sbiadita, ma ancora oggi esistente.
Dall’analisi dello Statuto, come accennato, non si riscontra l'uso di espressioni
quali "confessione religiosa" o simili; l’unico articolo che tocca l’argomento religioso è
proprio l’art. 1 succitato, che in termini di “religione” parla solo di quella cattolica,
definendola “Religione di Stato”, classificando le altre come “culti” (dalla terminologia
si evince un vero e proprio degradamento), che sono “tollerati”.
5
B. RANDAZZO, Diversi ed uguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, op. cit.
6
Il testo della norma è stato tratto da http://www.150anni-lanostrastoria.it/index.php/1848/lo-
statuto-albertino, che ha rinviato a http://it.wikisource.org/wiki/Italia,_Regno_-_Statuto_albertino.
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Facendo la stessa operazione di ricerca nelle Costituzione vediamo che all’art. 2
“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo
sia nelle formazioni sociali
ove si svolge la sua
personalità”, viene data
rilevanza alle formazioni
sociali, definizione questa che
può di sicuro comprendere
anche le religioni. 1. Firma della Costituzione italiana (22 dicembre1947)
Significativo anche l’art. 3, comma 1, che sancisce l’uguaglianza formale, “senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali”. La norma cruciale è però rappresentata dall’art. 8 c. 1 dove, per
la prima volta, viene introdotta l’espressione oggetto del seguente paragrafo; esso
dispone infatti che “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla
legge”. Nella semplice esposizione di questo comma, formalmente si denota, rispetto
allo Statuto Albertino, un enorme passo in avanti verso l'accoglimento delle istanze di
uguaglianza più volte avanzate dalle diverse confessioni acattoliche, anche se il
secondo comma dello stesso articolo, enunciando che “Le confessioni religiose
diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto
non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano”, denota ancora una certa
prevalenza, di ovvia derivazione storica e culturale, della religione cattolica. Il terzo
comma, conosciuto come quello delle c.d. leggi rinforzate, prevede infine che “I loro
rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative
rappresentanze”.
L’art. 19 prescrive nuovamente l’uguaglianza, sancendo che “Tutti hanno diritto di
professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o
10
associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto,
purché non si tratti di riti contrari al buon costume”.
Uguaglianza e libertà, quindi, tra tutte le religioni, con l’unico limite del rispetto della
legalità e del buon costume.
L’art. 20 risente anch’esso di un riflesso storico, infatti specifica che “Il carattere
ecclesiastico e il fine di religione o di culto d'una associazione od istituzione non
possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali
per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività”.
L’art. 117 opera una riserva di legge, sancendo che “Lo Stato ha legislazione
esclusiva nelle seguenti materie…“rapporti tra la Repubblica e le confessioni
religiose”
7
.
Sembra evidente che la Costituzione del 1948 disciplini, delinei e soprattutto
riconosca una pluralità di religioni, mentre nello Statuto Albertino, fatta salva la
preminenza della religione cattolica, gli altri culti, quasi marginali, erano solo tollerati.
Il problema giuridico non è solo a livello nazionale, ma anche a livello europeo,
infatti tantissime chiese invocano la loro “specificità rispetto agli altri gruppi sociali
con riguardo alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea”
8
, basti pensare
alle religioni di origine orientale, che spesso si caratterizzano per filosofie di vita o
valori etici estremamente diversi da quelli occidentali.
Come indica la Randazzo, questa situazione divide le posizioni dei sociologi: quelli
che farebbero rientrare tra le confessioni religiose tutti i tipi di credo, per diversi o
strani che siano anche sotto l'aspetto normativo ed organizzativo e quelli che invece
conferirebbero tale connotazione solo alle religioni più conosciute o per così dire
“classiche”.
7
Norma tratta da http://www.governo.it/governo/costituzione/principi.html.
8
Così, B. RANDAZZO, Diversi ed uguali. Le confessioni religiose davanti alla legge, cit., p. 29.
11
Probabilmente, data l’assenza di una chiara definizione di confessione religiosa,
sembra proprio di dover attribuire tale accezione in base all’”autoreferenzialità”, nel
senso che “è religioso ciò che si definisce tale”
9
.
Non è nemmeno accreditabile il c.d. metodo “extravalutativo”, in base al quale il
giudice dovrebbe sottoporre i soggetti che si dichiarano appartenenti ad una
determinata confessione religiosa ad una specie di test, ad esempio chiedendo la
presenza di riti, cerimonie, l'esistenza di eventuali statuti che esprimano il carattere
dell'organizzazione, riconoscimenti pubblici, la considerazione che ne ha la società e
così via.
Un altro metodo efficace e coerente dovrebbe partire dalla considerazione che allo
Stato non deve interessare se un determinato movimento in astratto è o meno una
confessione religiosa, ma tale aspetto dovrebbe assumere rilevanza giuridica solo in
determinati ed eventuali frangenti, come in caso di limitazione dell’esercizio della
libertà di culto, la concessione di finanziamenti, la tutela penale e così via.
Infatti, in alcuni di questi casi, come la libertà di culto, lo Stato può essere
addirittura indifferente, sempre però nel rispetto della legge e del buon costume,
mentre in altri casi quali la concessione di finanziamenti o la stipula di accordi, può
essere obbligato ad una scelta di merito sulla natura religiosa o meno di un
movimento che si dichiara tale.
In conclusione di paragrafo si è propensi a ritenere che non esiste una nozione
unica di confessione religiosa, proprio perché le religioni possono esprimersi e
manifestarsi in tantissimi modi e sfuggire a canoni precostituiti se non per fare
apprezzamenti di merito. In tal modo si finirebbe per ledere il diritto di uguaglianza e
di religione sancito dalla Costituzione.
9
Ibidem.
12
1.2 Principio di laicità e parità di trattamento fra confessioni
religiose
Nel paragrafo precedente abbiamo cercato di definire, con l’ausilio del testo della
Randazzo, la locuzione "confessioni religiose".
Dall’analisi effettuata è emerso che dare una definizione di religione univoca ed in
grado di comprendere tutti i movimenti religiosi, i culti e così via, non è un’operazione
semplice, in primo luogo perché questa non si rintraccia in nessuna norma, sia
nazionale che sovranazionale, e poi perché, specie negli ultimi anni, le correnti
religiose sono divenute così tante e variegate, che riuscirci risulta praticamente
impossibile.
Intanto il problema di definire cosa è di preciso una confessione religiosa non ha
solo una rilevanza sociologica, ma anche giuridica, perché dal riconoscimento o
meno di un movimento come religione discendono conseguenze che, sotto diversi
profili, hanno rilevanza giuridica. La discrezionalità lasciata ai giudici, inoltre, può
determinare anche delle diseguaglianze, come già ricordato, ed è proprio questo uno
dei temi oggetto del presente paragrafo.
Grazie all’ausilio della monografia del Martini
10
, tratteremo due problemi
strettamente collegati al tema precedente, ovvero l’uguaglianza (o disuguaglianza)
tra religioni e la “laicità dello Stato”.
Tali tematiche sono strettamente di attualità, in quanto siamo in un'epoca
governata dalla globalizzazione e dall’integrazione, spesso problematica, di etnie
eterogenee, che hanno sovente generato polemiche soprattutto da parte degli
appartenenti alle religioni diverse da quella cattolica, i quali percepiscono ancora
10
Il presente paragrafo trae spunto dalla seguente monografia: R. MARTINI, Principio di laicità e
parità di trattamento fra confessioni religiose nella recente giurisprudenza della Corte costituzionale, in
Giur. It., 1997, p. 4. I virgolettati ove non specificato si riferiscono a questo saggio.
13
forte la presenza dominante di tale religione anche a livello istituzionale (es. la
presenza del Crocifisso negli uffici pubblici).
Il Martini affronta tali tematiche partendo dal commento di alcune pronunce della
Corte Costituzionale, la quale spesso è intervenuta in proposito, proprio a
testimonianza degli effetti che tali aspetti hanno a livello istituzionale.
Infatti, dagli anni Ottanta “la Corte ha dedicato una crescente attenzione
all'eliminazione delle disparità di trattamento fra le diverse fedi, progredendo in un
iter giurisprudenziale ispirato ai principi di laicità e pluralismo a cui si informa la
Costituzione”
11
.
Tale lavoro del giudice costituzionale è stato finalizzato all’adattamento di un
sistema giuridico ai valori della Costituzione, che abbiamo enunciato al riguardo nel
precedente paragrafo e diretti alla classificazione dello Stato italiano, come “laico”
12
.
Il Martini definisce, in modo lapidario, la laicità come “l’opposto del
confessionismo”
13
.
Da quello che abbiamo visto, potremmo dire che lo Statuto Albertino dava vita ad
uno stato confessionale (“La Religione Cattolica, Apostolica e Romana, è la sola
Religione dello Stato
14
), mentre la Costituzione repubblicana genera uno Stato laico
(“Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”)
15
.
In base ad un’interessante teoria della laicità dello Stato, “un ordinamento statale
può essere effettivamente laico e pluralista solo a condizione di considerare le
11
Ibidem.
12
Sul punto v. anche F. FINOCCHIARO, Diritto ecclesiastico, 4a ed., Bologna, p. 41. Suggerito da
Martino, ult. op. cit., il quale riporta le seguenti parti del Finocchiaro: “la qualifica di laico compete ad
uno Stato ‘ispirato a principi di libertà, ossia nel quale tutte le confessioni godono dello stesso
trattamento, in base al diritto comune, e sono parimenti ed effettivamente libere nell'esercizio delle
attività di religione e di culto’”.
13
Così, R. MARTINI, Principio di laicità e parità di trattamento fra confessioni religiose nella
recente giurisprudenza della Corte costituzionale, cit.. L’a. rimanda a F. RIMOLI, Laicità (dir. cost.), in
Enc. Giur. Treccani, XVIII, 1995, p. 2.
14
Supra Par. 1, Cap. 1.
15
Ibidem.