INTRODUZIONE
Fin dalla sua proclamazione ufficiale nel Trattato di Maastricht del 1992, la
cittadinanza dell’Unione è stata considerata una tappa fondamentale nel processo
di integrazione europea e anche le recenti modifiche apportate ai Trattati costitutivi
dalla riforma di Lisbona nel 2007 ne hanno ribadito l’indiscutibile valore.
Questa tesi di laurea propone un’analisi critica sulla relazione corrente tra la
cittadinanza europea – in particolare in termini sociali – e gli studenti universitari.
Allo stato attuale della normativa dell’Unione e della giurisprudenza della Corte di
giustizia, quali benefici sono riconosciuti a questa categoria di cittadini europei?
La libertà di circolazione e soggiorno e il divieto di discriminazione a motivo
della nazionalità sono garantiti, ma non in maniera illimitata. La situazione relativa
a vantaggi sociali come i sussidi di mantenimento è caratterizzata, invece, da
un’evidente discrepanza tra la normativa in vigore e le pronunce della Corte, da cui
deriva un quadro complessivamente ambiguo e articolato, in contrasto con principi
fondamentali del diritto dell’Unione quali la certezza del diritto e la trasparenza.
Il primo capitolo si sofferma innanzitutto sulla caratterizzazione in atto della
cittadinanza europea in senso sociale. Dalle differenze rispetto alla concezione
statale a una panoramica sulle iniziative intraprese nell’ultimo decennio dalle
istituzioni europee, viene posto in evidenza lo stadio ancora embrionale di tale
evoluzione.
Nel secondo capitolo si definisce l’azione europea nei settori dell’istruzione e
della formazione. Sono esaminate le competenze in materia, la loro ripartizione tra
Unione e Stati membri e l’intervento dell’Unione in alcuni aspetti particolari della
3
mobilità studentesca legati alla cittadinanza europea e al mercato interno come le
libertà fondamentali di circolazione, soggiorno e stabilimento.
Il terzo capitolo è invece dedicato al ruolo centrale della Corte di giustizia
nell’interpretazione del diritto dell’Unione; nella fattispecie, vengono commentati
tre leading cases che rappresentano la posizione assunta dai giudici di
Lussemburgo rispetto all’accesso degli studenti migranti ai sussidi di
mantenimento.
Chiudono l’elaborato alcune considerazioni sugli sviluppi auspicabili
nell’immediato futuro per il rilancio dell’integrazione europea attraverso un nuovo
approccio alle sfide poste dalla globalizzazione nel XXI secolo.
In apertura appare però opportuno inquadrare l’istituto della cittadinanza
europea nell’attuale scenario europeo.
1. Cittadinanza e identità europea
Lo status di cittadino dell’Unione non ha tardato a rivelare la sua indubbia
portata giuridica e politica: se da un lato esso rappresenta la codificazione
autonoma di una serie di situazioni giuridiche individuali, dall’altro la sua
profonda rilevanza simbolica è indiscutibile
1
. Tale svolta ideologica ha permesso
1
L’introduzione formale della cittadinanza europea si fonda su alcune dinamiche già ampiamente
connaturate nel diritto dell’Unione. Si pensi, a tal proposito, al principio di non discriminazione a motivo
della nazionalità, al primato del diritto europeo e al suo effetto diretto sugli ordinamenti giuridici
nazionali, nonché alla crescente mobilità delle persone e alla globalizzazione delle attività umane: tali
premesse sostanziali hanno portato all’adozione di un vero e proprio status giuridico che consiste
nell’appartenenza a una “comunità di diritto”.
In questa sede è sufficiente ricordare alcuni aspetti essenziali di tale istituto, cui sono dedicati la Parte
Seconda dell’odierno Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea (TFUE, articoli da 20 a 24) e il
Titolo V della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea (articoli da 39 a 46). È
automaticamente considerato un cittadino dell’Unione chiunque possieda la nazionalità di uno Stato
membro: la sua attribuzione è quindi regolata esclusivamente dalle diverse legislazioni nazionali, pur
nell’osservanza dei principi di diritto dell’Unione, come precisato dalla Corte di giustizia. Peraltro, di
4
infatti di affrancare definitivamente l’unità europea dall’impronta strettamente
economica che l’ha caratterizzata per tanti decenni, rafforzandone la legittimità
democratica per mezzo di un’integrazione anche politica, dove il cittadino europeo
smette i panni esclusivi di fattore produttivo e diventa invece individuo
consapevole e partecipe della lontana attività dell’Unione europea
2
.
In questa nuova ambizione politica, emersa soprattutto nell’ultimo ventennio,
si colloca il reale significato della cittadinanza europea: l’appartenenza ad una
“comunità di diritto” sovranazionale
3
e il riconoscimento di un’identità basata sulla
recente, la necessità di svincolare la cittadinanza europea dalle nazionalità degli Stati membri si è tradotta,
con il Trattato di Lisbona, nella riformulazione dell’art. 9 TUE e dell’art. 20, par. 1, TFUE: la qualità di
cittadino dell’Unione non è più una figura sussidiaria e complementare, bensì “si aggiunge” alla
cittadinanza nazionale, assumendo in sostanza un ruolo distinto ed autonomo. Nondimeno, la cosiddetta
“eterodipendenza” della cittadinanza europea da quelle nazionali rimane oggi uno dei suoi limiti
principali.
Il cittadino europeo gode di specifici diritti, secondo le condizioni e i limiti stabiliti dai Trattati e dal
diritto derivato. Questo catalogo di benefici comprende: la libertà di circolazione e soggiorno nel
territorio degli Stati membri; l’elettorato attivo e passivo alle elezioni comunali e del Parlamento europeo
nello Stato membro di residenza; la tutela diplomatica e consolare di qualsiasi Stato membro nel territorio
di un Paese terzo ove lo Stato di origine non sia rappresentato; il diritto di presentare petizioni al
Parlamento europeo e di ricorrere al Mediatore europeo; il diritto ad una buona amministrazione e di
accesso ai documenti delle istituzioni europee. Rileva inoltre l’esclusiva concentrazione sui diritti: non vi
sono infatti disposizioni esplicite sui doveri del cittadino europeo. Nonostante le varie proposte avanzate
negli anni per la definizione di un nucleo minimo di obblighi, attualmente è possibile dedurre dal testo dei
Trattati soltanto un generico dovere di adempienza al diritto dell’Unione e di rispetto delle culture altrui.
Per un’analisi approfondita della tematica si rimanda alla vasta bibliografia esistente, tra cui: R.
ADAM, Prime riflessioni sulla cittadinanza dell’Unione, in Rivista di diritto internazionale, 1992, p. 622
ss.; U. VILLANI, La cittadinanza dell’Unione europea, in AA.VV., Studi in ricordo di Antonio Filippo
Panzera, II, Bari, 1995, p. 1001 ss.; F. CERRONE, La cittadinanza europea fra costituzione e immaginario
sociale, in Rivista critica del diritto privato, 2002, p. 475 ss.; V. COSTANTINESCO, La cittadinanza
dell’Unione: una “vera” cittadinanza?, in L. S. ROSSI (a cura di), Il progetto di Trattato-Costituzione:
verso una nuova architettura dell’Unione europea, Milano, 2004, p. 223 ss.; E. TRIGGIANI, La
cittadinanza europea per la “utopia” sovranazionale, in Studi sull’integrazione europea, 2006, p. 435
ss.; E. TRIGGIANI, L’Unione europea secondo la riforma di Lisbona, in Supplemento speciale a Sud in
Europa, 2008, fasc. 2, p. 11 ss.; E. NALIN, Revoca della cittadinanza nazionale e perdita dello status di
cittadino dell’Unione, in Sud in Europa, 2010, fasc. 1, p. 11 ss.
2
Cfr. U. VILLANI, op.cit., p. 1005.
3
Nello specifico, l’ordinamento giuridico dell’Unione europea può essere ragionevolmente definito
come “un vero e proprio ordinamento costituzionale europeo, con più livelli normativi soggetti
all’interpretazione di una pluralità di giudici nazionali ed europei”, nel quale il diritto primario e derivato
dell’Unione interagisce con le costituzioni e le legislazioni nazionali e locali, nonché con diversi obblighi
di natura internazionale (es. CEDU). V. COSTANTINESCO, op. cit., p. 231.
5
condivisione di valori universali
4
diventano così un collante che lega Stati dalle
storie e culture diverse in un progetto politico comune, in cui il diritto agisce da
forza auto-propulsiva e via maestra nella costruzione della pace tra gli Stati
membri
5
. D’altronde, il motto “Unita nella diversità” sintetizza efficacemente la
finalità di creare un’unione sempre più stretta tra i popoli europei, nel rispetto delle
loro diverse culture nazionali, promuovendo la pace e il benessere
6
.
Merita un richiamo, a tal punto, il sostanziale superamento della nozione
tradizionale di cittadinanza: quest’ultimo consiste notoriamente nel vincolo
giuridico-politico che lega direttamente il cittadino al proprio Stato, laddove la
cittadinanza europea trova la sua peculiarità nel rapporto “cittadino – Stato
membro – Unione”. Ciò significa che all’appartenenza ad un territorio e ad una
cultura nazionali si aggiunge l’adesione ad una “comunità di intenti”, ovvero di
valori, orizzonti, diritti e, ovviamente, di diritto
7
. La cittadinanza europea non è
quindi la mera proiezione di un istituto tipicamente statale su scala sovranazionale,
bensì un concetto innovativo e dinamico
8
e alla sua formazione progressiva
contribuiscono continuamente le norme dell’Unione e la giurisprudenza della Corte
di giustizia.
4
I principi-guida dell’Unione vengono espressamente indicati nell’art. 2 TUE: la democrazia, lo Stato di
diritto, la libertà, la dignità umana, l’uguaglianza e il rispetto dei diritti umani, come pure il pluralismo, la
non discriminazione, la tolleranza, la giustizia e la solidarietà.
5
In tal senso, E. TRIGGIANI, L’Unione europea, cit., p. 24 e p. 41.
6
Gli obiettivi che si prefigge l’Unione europea sono invece enunciati nell’art. 1, par. 2, TUE e nell’art. 3
TUE.
7
Cfr. E. TRIGGIANI, La cittadinanza europea, cit., p. 438. Per V. COSTANTINESCO, la cittadinanza
europea associa al legame affettivo e culturale, trasmesso ius soli o ius sanguinis secondo le regole
nazionali, il legame razionale di appartenenza a un’entità politica quale il corpo politico europeo. Op. cit.,
p. 225. Ancora, secondo F. CERRONE, l’identità europea è per i cittadini tanto “un elemento storico-
culturale che li radica nella loro provenienza, nei fattori emotivi di condivisione di un senso della vita”
quanto “un elemento contrattuale e razionale, che riconosce nella dimensione comunitaria europea una
grande opportunità per il perseguimento dei valori di garanzia dei diritti e di solidarietà sociale”. Op. cit.,
p. 494.
8
R. ADAM parla in proposito “più di un legame da costruire, che non di un legame già esistente tra
cittadino ed Unione”, che miri alla consapevolezza di fare parte non solo di una nazione, ma anche di una
comunità più vasta. Op. cit., p. 627.
6
2. Il bisogno di un’Europa sociale
Soprattutto i diritti di mobilità hanno conosciuto una progressiva
generalizzazione grazie a questo nuovo status. Le libertà di circolazione e
soggiorno nel territorio degli Stati membri sono state estese a tutti i cittadini
dell’Unione
9
, indipendentemente dal loro ruolo nel mercato interno, pur rimanendo
soggette a determinate condizioni economiche per tutelare i sistemi di welfare
nazionali
10
. Le implicazioni sociali della libera circolazione nell’epoca della
globalizzazione sono infatti innegabili tanto quanto i benefici che essa comporta:
maggiori opportunità di lavoro e di reddito, maggiore offerta di servizi, maggiore
flessibilità, ma anche necessità di intensificare le prestazioni di assistenza sociale
11
.
Tuttavia, al momento sussiste un contrasto tra la mobilità crescente dei
cittadini europei ed una certa stanzialità dei diritti sociali, spesso vincolati al
principio della territorialità
12
. Si avverte, pertanto, l’esigenza di un’Europa “più
sociale” che agisca a livello sovranazionale alla ricerca di un equilibrio, nel
mercato interno, tra libera circolazione, istanze sociali individuali e interessi
9
Tali libertà, simboli tangibili dell’abbattimento delle frontiere nazionali, sono riconosciute sia nell’art.
21 TFUE che nell’art. 45 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.
10
Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei
cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati
membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE,
72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (GUUE L
158, 30 aprile 2004, p. 77 ss.). Questa normativa ha raccolto organicamente le tappe segnate negli ultimi
anni dal legislatore europeo e dalla Corte di giustizia in merito ai diritti di mobilità. I destinatari sono
formalmente tutti i cittadini europei; in realtà però, essa subordina il diritto di soggiorno dei soggetti
economicamente non attivi (i quali non esercitano tale diritto in qualità di lavoratori, subordinati o
autonomi, o prestatori di servizi) al possesso di mezzi economici sufficienti e di un’assicurazione sanitaria
affinché non diventino “oneri eccessivi” per le finanze dello Stato ospitante.
11
M. FERRERA e S. SACCHI tracciano in proposito un confronto interessante con l’esperienza vissuta
dagli Stati europei nella seconda metà dell’Ottocento, quando “the freedom to work became a universal
civil right and local labour markets merged to give rise to single domestic labour markets (…) subjected
to common standards”: questa particolare questione sociale e di governance venne gestita con processi di
fusione (smantellamento di privilegi locali, armonizzazione di diritti e doveri) e separazione (nuove
istituzioni specializzate). A more social EU: issues of where and how, in S. MICOSSI, G.L. TOSATO (eds),
The European Union in the 21st century. Perspectives from the Lisbon Treaty, Bruxelles, 2009, p. 38.
12
Cfr. E. TRIGGIANI, La cittadinanza europea, cit., p. 465.
7
pubblici degli Stati. In sostanza, un’Europa che punti alla piena realizzazione di
alcuni tra i suoi obiettivi fondamentali: la legittimazione democratica; la coesione e
la giustizia sociale; la prosperità e l’efficienza economica
13
.
Come realizzare questo ruolo sociale? Il dibattito si concentra giustamente su
concetti-chiave quali i diritti umani e la solidarietà: porre cioè al centro
dell’attenzione il cittadino stesso, rivestirlo di dignità e tutelarlo in quanto persona
e non semplice attore economico. In altre parole, è opportuna una nuova
dimensione inclusiva, costruita adesso sull’integrazione attraverso i diritti
fondamentali, che segni una notevole inversione di tendenza rispetto al
funzionalismo tipico della prima fase dell’esperienza europea
14
.
Il raggiungimento di questo ambizioso traguardo si sta già svolgendo con
l’applicazione della Carta di Nizza
15
e del principio di non discriminazione in base
alla nazionalità
16
, sancito dall’art. 18 TFUE. Non è però sufficiente: servono
un’azione più incisiva a miglioramento delle competenze dell’Unione in materia e
lo sviluppo concreto di una cittadinanza europea in senso sempre più sociale.
13
Secondo indagini recenti svolte dall’Eurobarometro, i cittadini europei sono piuttosto scontenti della
performance dell’Unione europea nel campo sociale e, tra le priorità, inseriscono la lotta alla povertà e
alla disoccupazione e la tutela dei diritti sociali. Inoltre, un welfare unitario è considerato una strategia
migliore per il consolidamento dell’integrazione europea, anche rispetto all’adozione di un trattato
costituzionale. Studi riportati in M. FERRERA, S. SACCHI, op. cit., p. 35.
14
Per R. PRODI, “Accanto all’Europa economica e monetaria, accanto all’Europa politica, occorre
dunque dare pieno sviluppo e visibilità all’Europa sociale; alla comunità dei doveri deve far fronte la
comunità dei diritti”. Comunità dei doveri, comunità dei diritti, in Rivista giuridica del lavoro e della
previdenza sociale, 2000, p. 759 ss.
15
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, firmata a Nizza nel dicembre 2000, ha acquisito
con la riforma di Lisbona il medesimo valore giuridico dei Trattati costitutivi (TUE e TFUE). In essa, il
riferimento ai valori della dignità umana, dell’uguaglianza e della solidarietà è esplicito sia nel Preambolo
che nei titoli successivi.
16
Il merito è sicuramente dell’interpretazione estensiva fornita negli anni dalla Corte di giustizia:
combinando tale principio con le norme sulla cittadinanza dell’Unione (nella fattispecie, gli articoli 20 e
21 TFUE), i giudici dell’Unione ne hanno ampliato gradualmente il campo di applicazione ratione
materiae, includendovi sempre più ambiti della vita sociale.
8
CAPITOLO I: VERSO LA CITTADINANZA SOCIALE
EUROPEA
1. La cittadinanza sociale: dimensione nazionale ed europea
Secondo la classica accezione data dal sociologo inglese Marshall nel 1950, la
cittadinanza sociale rappresenta quella sfera di diritti sociali che lo Stato,
ispirandosi ai principi di solidarietà ed uguaglianza, riconosce ai singoli con il fine
ultimo di garantire loro un tenore di vita accettabile, ridurre gli squilibri sociali e
contrastare i rischi insiti nelle logiche di mercato
1
. Per i poteri pubblici questo
ruolo di tutela e regolazione comporta fondamentalmente l’impegno ad istituire e
sostenere un sistema di assistenza sociale (il cosiddetto welfare state), che assicuri
una serie di prestazioni connesse in particolare al lavoro, all’educazione e alla
salute
2
. Il meccanismo di redistribuzione della ricchezza può articolarsi in diversi
modelli, conformemente all’esperienza e al contesto nazionale
3
; tuttavia, l’accesso
a ciascuno di questi regimi di welfare implica l’esistenza di uno specifico legame
1
Il riferimento è chiaramente alla celebre opera di T. H. MARSHALL, Citizenship and social class and
other essays, Cambridge, 1950, in cui l’autore ha diviso la cittadinanza nelle sue tre componenti civile,
politica e sociale. In tema, S. O’LEARY, Solidarity and citizenship rights in the Charter of fundamental
rights of the European Union, in G. DE BURCA (ed.), EU Law and the welfare state – In search of
solidarity, Oxford, 2005, p. 39 ss.; S. PIAZZA, Integrazione europea e diritti di cittadinanza sociale: cenni
minimi ricognitivi su alcune problematiche, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza,
2005, p. 1930 ss.; S. GIUBBONI, Libertà di mercato e cittadinanza sociale europea, in Diritto,
Immigrazione, Cittadinanza, 2007, p. 13 ss.; P. GARGIULO, Il futuro della cittadinanza sociale europea
dopo la riforma di Lisbona, in Sud in Europa, 2010, fasc. 3, p. 5.
2
Tra questi vantaggi sociali rientrano, ad esempio, le seguenti prestazioni: pensioni di anzianità e
vecchiaia, assicurazione sanitaria, sussidi familiari, indennità erogate in caso di disoccupazione,
infortunio, malattia, invalidità, maternità, indigenza e così via.
3
Le varie tipologie di protezione sociale differiscono principalmente in relazione alla provenienza più o
meno contributiva delle risorse, ai servizi erogati dallo Stato e alla fascia di destinatari interessata. In
Europa è possibile individuare oggi cinque grandi famiglie di welfare: nordica, anglosassone,
continentale, mediterranea e anche post-comunista. Cfr. G. CAGGIANO, Il coordinamento comunitario
delle politiche nazionali per la creazione del modello sociale europeo, in AA.VV., Studi in onore di
Vincenzo Starace, Napoli, 2008, p. 911.
9
di appartenenza ed inclusione (quale la nazionalità o la residenza abituale) tra il
soggetto che necessita del beneficio e la comunità che lo concede
4
.
La trasposizione in chiave europea di questo concetto non è così immediata e
lineare: al contrario, la cittadinanza sociale europea, per quanto auspicabile, manca
ancora di una definizione completa ed al momento è ferma ad un livello poco più
che iniziale. Questo sviluppo lento e complesso si ritiene dovuto ad alcune
disfunzioni che caratterizzano l’integrazione europea sin dalla sua nascita e che
persistono tuttora.
Innanzitutto, il Trattato istitutivo del 1957 delineava una separazione di
compiti tra ordinamento sovranazionale e ordinamenti interni; o meglio, una sorta
di non interferenza reciproca tra le funzioni di market-making, esercitata dall’allora
Comunità Europea, e di market-correcting, svolta invece in autonomia dagli Stati
membri, secondo il modello “Keynes at home, Smith abroad”
5
. La disciplina
dell’Unione sulla concorrenza e sulle quattro libertà fondamentali nel mercato
interno non doveva quindi scontrarsi con le politiche sociali e i sistemi di welfare,
definiti esclusivamente dalle autorità nazionali. Di recente, però, questo accordo ha
dovuto affrontare significativi mutamenti del contesto europeo, quali
l’approfondimento dell’integrazione economico-finanziaria, l’intensificazione della
mobilità, l’allargamento ai Paesi dell’Est e il consolidamento del primato del
diritto dell’Unione sulle legislazioni nazionali. Il confine tra interessi economici e
sociali, collettivi e locali, non è più così marcato e l’Unione è riuscita,
gradualmente e indirettamente, a conquistare terreno nelle politiche sociali.
4
Per S. O’LEARY, “ the idea of redistributive justice presupposes a bounded world; a group of people
committed to dividing, exchanging and sharing social goods, first of all among themselves”. Op. cit., p.
55.
5
L’efficace espressione, coniata dall’economista americano Robert Gilpin (in The political economy of
international relations, Princeton, 1987, p. 355), è citata in M. FERRERA, S. SACCHI, A more social EU:
issues of where and how, in S. MICOSSI, G.L. TOSATO (eds), The European Union in the 21st century.
Perspectives from the Lisbon Treaty, Bruxelles, 2009, p. 36.
10