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Introduzione
Quand'ero bambina non capivo molto del mio futuro: ingenuamente fantasticavo su un
avvenire da Paleontologa tremando al contempo per tutti gli anni di studio che ancora
mi attendevano. Crescendo mi sono scostata da questa iniziale idea ed ho indirizzato
a tutt'altro i miei studi: ho scoperto il teatro. Tutto ciò che è possibile definire come
“teatrale” ha la magia di un modo di essere-luogo dove ci si può dimenticare della
vita quotidiana per ritrovare comunque se stessi, magari in altri panni che la vita non
ci porta ad assumere.
Mi sono iscritta al corso di Laurea in Discipline dello Spettacolo dell'Università di
Trieste e successivamente mi sono laureata in Tecniche Artistiche e dello Spettacolo
all'Università Cà Foscari di Venezia. Grazie a questo percorso ho capito quanto bene
mi facesse il teatro ed ho desiderato che fosse tale anche per gli altri. Non è stata in
realtà una grande scoperta: molti grandi maestri della ricerca teatrale si erano già resi
conto di questo potere.
Una volta conseguita la laurea breve ho pensato di capire se anche altre Arti potessero
avere delle finalità terapeutiche affini al teatro, che appunto, è solo uno dei vari canali
d'espressione con i quali l'Arte si concretizza. Mi sono iscritta per questo a scultura in
Accademia.
In tre anni passati in questo ambiente mi sono messa in gioco, mi sono sperimentata
e confrontata con gli altri ed ho profondamente compreso ciò che mi aveva portata
lì.
Ho dovuto fare questa iniziale premessa in merito alla mia formazione perché gli
interessi personali sono intrinsechi al mio lavoro: il teatro non si discosta affatto dai
miei progetti scultorei.
Questa esperienza ed il mio “Sé” che emerge, è successiva ad un vasto contesto
storico - artistico nel quale vi sono stati dei “precursori” di queste attività, sia dal
punto di vista della scultura che da quello della danza, come descritto nei capitoli
“Vesti e tessuti nella storia della scultura” e “L'impiego coreografico della stoffa nella
danza”.
Durante la mia lunga permanenza a Venezia, dettata dalle esigenze di studio, sono
stata portata (in parte anche dalla conformazione singolare dell'urbanistica) ad avere
un contatto diretto con la città.
La città di Venezia è la regina della teatralità. Ogni cosa è sempre studiata a puntino
per portare l'occhio dello spettatore in un determinato luogo prefissato, ogni elemento
prende posto in un insieme già piuttosto intricato e grazie alla sua presenza dà ancora
maggior importanza alla città. Possiamo notare questo prendendo in esame la singola
facciata di qualche importante casa o alcune importanti chiese, i monumenti, le
tombe.
A questo proposito vorrei riportare un episodio che ritengo molto significativo, che mi
ha sicuramente condotta ad iniziare la stesura di questa tesi. Durante la celebrazione
della S.Messa nella chiesa dei Santi Giovanni e Paolo sono rimasta estasiata da un
monumento funebre. L'officiante continuava a parlare mentre io mi perdevo e ritrovavo
nel panneggio scultoreo del monumento: immaginavo di distenderlo per capire se lo
scultore gli avesse dato una forma realistica e mi figuravo la tecnica con la quale
poter riprodurre un opera simile. Come analizzerò la stoffa ha spesso permesso di
comunicare dei significati più profondi e mi sono resa pienamente conto di questo in
quel momento. Già in precedenza avevo ritratto attraverso la scultura delle ballerine
ma solo guardando la stoffa sulle sculture veneziane ho pensato di inserire le mie
ballerine in un involucro.
Nel frattempo ovviamente non mi sono fermata, anzi, ho iniziato a vedere Venezia con
un sguardo selettivo delle opere che potevano essere d'esempio per un mio lavoro.
Devo dire che sono davvero molteplici ed attraversano molti decenni i monumenti
veneziani animati da panneggi e stoffe: quelli più stimolanti per il mio lavoro, quelli che
mi hanno fatto decidere di inserire la stoffa a supporto della mia idea sono analizzati
nel capitolo “Esempi veneziani”.
Questa tesi vuole essere un riassunto di ciò che è diventata l'aspirante paleontologa;
passando dalle opere porterà esperienze storico-formative, idee, per finire con uno
sguardo al mondo, unico input veramente importante, con il quale è necessario
confrontarsi per poter crescere.
6 introduzione
Le mie opere
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Movimento
Il termine movimento indica necessariamente una variazione, sia essa di cose concrete
o astratte, è un'azione, uno spostamento, un'inizio.
La vita stessa in generale e quella umana nello specifico sono dunque dei movimenti,
degli slanci vitali ed espansivi nei quali trovano concretizzazione sogni, paure,
routine.
Il movimento è il linguaggio primordiale, quello che ogni essere vivente è in grado di
manipolare sin dallo stato embrionale (la stessa crescita è già movimento).
L'uomo è per sua natura un essere in continuo movimento, è un'unità che per
necessità entra in relazione con il mondo circostante dando significati diversi ai gesti
che compie: atteggiamenti, comportamenti, azioni che diventano codificati maturi e
coscienti solo con l'allenamento e lo scorrere del tempo.
Non è attuabile la realizzazione del movimento se manca la frazione temporale.
Si tratta di una condizione necessaria per la stessa esistenza dell'azione. Essendo
essenziale l'entità temporale, si fa necessaria anche un'entità ritmica: il lessico del
corpo si esprime in una quantità di sequenze dinamiche organizzate in ritmo, spazio,
possibilità del movimento.
Normalmente, nell'acquisizione esperienzale, gli schemi cinestetici si armonizzano
ed intricano per permettere all'uomo l'utilizzo ottimale del proprio potenziale come
programma d'intervento sulla realtà circostante.
Il movimento è poi un linguaggio universale, comune a tutti i popoli (ad eccezione di
particolari gesti che assumono significati completamente diversi nelle varie culture).
In alcuni casi è possibile trovare delle carenze o delle difficoltà di movimento.
Questi deficit hanno solitamente origine da differenti campi. A volte i soggetti non
riescono ad avere padronanza del movimento perché non conoscono sufficentemente
il proprio Sé corporeo e preferiscono rifugiarsi nella vita interiore piuttosto che nella
vita con il mondo. In altri casi, altri soggetti trovano difficoltà nella programmazione
del gesto da cui spesso nasce un'instabilità, un'aggressività come meccanismo di
difesa.
È necessario ritrovare la spontaneità del proprio movimento, liberandosi dai
condizionamenti esterni per piacere a se stessi ed agli altri e questo è possibile
imitando la natura, seguendo il ritmo e dunque con la danza.
Musica
La musica è un arte, pertanto come tutte le arti per essere considerata tale è necessario
che chi la ascolta ne ricavi un senso di appagamento sentimentale.
Una definizione comune di musica è quella di un linguaggio ritmico artificiale ed
organizzato in suoni e silenzi. In realtà, questa definizione sottointende che la musica
debba necessariamente essere piacevole e melodica. Ma quando una musica risponde
a queste caratteristiche?
Come l'arte, la musica è una questione personale in primo luogo e, secondariamente
influenzata da un particolare contesto storico e sociale. L'idea di musica è molto
variabile da cultura a cultura. Nella cultura occidentale è diventata (almeno in
apparenza) un elemento quasi accessorio, un “trend” ma nelle civiltà tribali la musica
non è certo accessorio ma è vita, è espressione di vitalità: consapevolezza d'esser
vivi, è una necessità.
Nel contesto attuale sono profondamente cambiate le sensazioni suscitate da
determinate sonorità ed ha preso piede il concetto di musica come linguaggio subdolo,
che vincola in maniera subliminale a determinati sentimenti e dunque all'affettività.
In realtà quest'idea che mette in relazione musica ed affettività non è così recente,
anche se in passato non se n'è fatto un uso improprio.
Fin dal 1700 si è indagato il rapporto privilegiato della musica con l'emotività piuttosto
che con la ragione.
I suoni, senza l'ausilio delle parole hanno una loro portata espressiva ed affettiva
e le parole, in particolare quelle delle musiche cantate dovrebbero avere l'unico scopo
di rafforzare la sentimentalità che è già propria dei pezzi strumentali, cosa che spesso
non avviene.
La musica di per se non parla di nulla ed è proprio grazie a questa mancanza di
vincoli che è in grado di dire tutto. Sembra un controsenso ma ognuno di noi recepisce
la stessa musica in maniera differente e la adatta alla propria persona.
Se la musica fosse un sistema semanticamente chiuso non sarebbe possibile tutto ciò
perciò la musica, pur essendo fatta di regole, ritmi, tempi, frasi non è un linguaggio
vero e proprio, ma, come il movimento è un “particolare” linguaggio universale
comprensibile a tutti ma in maniera differente perchè non vuole raffigurare ma solo
evocare.
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Danza
Lo strumento suonato dalla danza è il corpo. Poiché il corpo è sempre stato parte
dell'uomo, parallelamente, lo è stato anche la danza: essa permette di esprimere al
meglio i sentimenti muovendo il corpo non soltanto nei suoi componenti anatomici
ma anche con mente e cuore. Nessuno può dirsi incapace di danzare dal momento in
cui ha compiuto uno ed un solo gesto senza una finalità concreta, oggettiva ma solo
per il piacere di farlo.
Prima di essere arte, la danza è vita. Nelle antiche civiltà ha sempre segnato
dei momenti comunitari importanti: nascite, matrimoni, morti, guerre, magie,
buoni auspici...è nata in quanto concretizzazione degli avvenimenti vitali. Esisteva
ed esiste tutt'ora come forma di contatto con l'ignoto, esprime il trascendente ed il
soprannaturale, tutto ciò che non è possibile esprimere con altri linguaggi ad eccezione
di quello musicale cui è strettamente imparentata.
Il corpo che danza segue un ordine di movimento prefissato (non una coreografia,
ma una data gamma di possibilità motorie) che si svolge in rapporto con il tempo e
con lo spazio.
Anche altri tipi di attività motorie (come ad esempio compiere l'azione di vestirsi o
svestirsi, lo stesso camminare) sono contraddistinti da questa caratteristica ma la
danza si discosta da essi proprio perché non è condizionata da nulla. Non c'è alcuna
convenienza nel danzare, non è un azione quotidiana con uno scopo.
Questa concezione si è sviluppata a partire dalla danza moderna che ha mosso i
suoi primi passi nel XIX secolo: non c'è più alcun codice dei movimenti. Il danzatore
richiede al proprio corpo ciò di cui ha bisogno in quel momento per ottenere quanto
desidera con piena e disinteressata creatività. L'uomo danzatore può e deve essere
espressivo dalla testa ai piedi con un tipo di movimento che annulla ogni scissione tra
corpo ed anima, esteriorità e interiorità, forma e contenuto.
La danza serve per affinare il movimento ma allo stesso momento se ne distingue.
Ritmo, suono, gesto, movimento sono una serie di rapporti o, un rapporto unico e totale
che pone in primo piano il proprio Sé, la comprensione della propria interiorità.
Il rapporto di scambio tra musica e danza è dato dalla capacità che la musica ha di
stimolare il movimento non finalizzato e dunque, la danza. Al suono di una musica, ad
esempio, alcuni si muovono girando in un senso, altri nel senso opposto, altri ancora
fanno cerchi più ampi...però tutti sono in grado di danzare ascoltando una musica.
Il ballerino professionista arriva ad avere una conoscenza del proprio corpo e
11
dell'ambiente (oltre che una particolare potenzialità di movimento) che gli permettono
di esprimere ogni minima sensazione con le figure del corpo, senza alcun impaccio.
Certo non tutti possono danzare con l'armoniosità del ballerino ma tutti, attraverso la
danza risvegliano la propria sensibilità del tono muscolare, si conoscono e dominano
meglio, si ascoltano meglio mentre danzano.
A questo proposito è più che necessario sottolineare che, attraverso la danza, ognuno
può riunire in sé anima e corpo; attraverso la danza, la distinzione di Jung tra conscio e
subconscio viene meno ed emerge il proprio Io come spinta manovratrice del corpo.
12 danza
Il curioso rapporto tra
struttura ed apparenza
L’uomo è costantemente minacciato dai propri simili e dai contenuti del proprio vissuto
che rimuove e che spesso vengono sollecitati dall’ambiente esterno. Per difendersi da
queste minacce costruisce delle vere e proprie “barriere” che si collocano, all’interno
della psiche, tra Es ed Io. Tali “barriere” vengono nominate in psicologia “meccanismi
di difesa” e servono a mantenere l’equilibrio dell’Io di fronte a situazioni difficili,
a proteggere e a restaurare la stima di sé, a neutralizzare i conflitti. Dall’esterno
non è sempre possibile vedere tali meccanismi che operano inconsciamente ed
automaticamente deformando la realtà, ma si rilevano gli effetti.
Secondo Freud l’Io, come essere identitario è l’agglomerato di diversi Sé che si sono
creati attraverso i processi di crescita ed identificazione con gli altri. I processi di
identificazione sono alienanti e l’unico modo per uscire da questa alienazione, è essere
consapevoli di recitare una parte e dunque essere creativi.
1
In realtà, considerate queste premesse la maggior parte delle persone potrebbe
essere considerata un pò pazza: ognuno sa che se c’è sintonia tra il proprio stato
interiore e quello esteriore si è in una situazione di benessere e che se questa sintonia
viene a mancare qualcosa non sta andando per il verso giusto.
Quando il disaccordo tra i due piani (interiore ed esteriore) è profondamente
radicato si hanno anche gravi casi di disturbo psichico e il senso di unità interiore
risulta compromesso (in molti casi si ha questa compromissione di unità come risultato
di una negatività nei rapporti di relazione a partire del mondo esterno nei confronti
del soggetto).
Non tutti i propri Sé sono ben visti nella convivenza civile, inoltre una personalità
instabile può creare disagio perciò nella vita è utile saper abbandonare le proprie
maschere o saperne farne un uso limitato alle circostanze: a lungo termine
l’atteggiamento di continuo mascheramento porta ad una povertà interiore ed è
necessario tutelare questa necessità (che è umana) dedicandone ambiti specifici, per
esempio il teatro.
A riguardo la sapevano lunga gli abitanti di Venezia che già agli inizi del XI secolo
dedicavano al mascheramento, e dunque alla realizzazione delle proprie pulsioni negate,
un periodo circoscritto, interamente dedicato alla festa, alla frenesia, allo “strappo”
delle regole di buon costume. L'originale significato del Carnevale era proprio questo,
il permesso di diventare altro rispetto alla quotidianità, l'autorizzazione, tutelata
dall'anonimato e dal livellamento sociale garantito proprio dal mascheramento (che
1
Cfr. Carl Gustav JunG , L’Io e l’inconscio (Die Beziehungen zwischen dem Ich und dem Unbewussten),
Torino, Bollati Boringhieri, 1970. 13
2
Cfr. Bistort Giulio , Il magistrato alle pompe nella Repubblica di Venezia: studio storico, con premessa di Giulio Zor-
zanello e di Ugo Stefanutti, Ristampa anastatica dell’edizione di Venezia 1912, Bologna, Libreria Editrice Fondi, 1969.
3
Cfr.: l oos a dolf , Architektur, 1910, in Id., Ins Leere gesprochen / Trotzdem, Wien-München , Verlag Herold, 1962,
tr. it. di Sonia Gessner: Architettura, in Id., Parole nel vuoto, Milano, Adelphi, 1972, 1980².
in questa accezione non può più essere visto con connotati negativi) a fare ciò che
altrimenti veniva quotidianamente limitato dalla morale, dallo stato sociale e dalle
esigenze di ordine pubblico.
Nei momenti di splendore della Repubblica Serenissima gli uomini e le donne
erano dei veri e propri manifesti di se stessi, dedicavano la maggior parte del tempo
all' ”allestimento” della propria persona con una cura del dettaglio e della qualità
che ai giorni nostri, se rapportiamo le classi sociali, sarebbe impensabile. Il fasto del
vestiario ha raggiunto il limite sostenibile quando già a partire dal 1339, il Maggior
Consiglio ha tentato senza successo, di approvare alcune leggi contro ogni genere di
lusso (bisogna dire che all'epoca il fasto aveva permeato ogni sfaccettatura della vita
e lo si trovava nel vestiario, sulle architetture e sulle imbarcazioni private, su ogni
cosa).
A testimonianza di questa situazione che rasentava il ridicolo nella tragicità del
caso sono giunti sino a noi gli scritti di Carlo Goldoni: I Rusteghi e Trilogia della
villeggiatura.
Successivamente più volte il Maggior Consiglio ha riprovato a rendere effettive queste
restrizioni ma senza successo poiché i veneziani e le veneziane, nella vita quotidiana
non rispettavano mai quanto predisposto e vi ovviavano con artificiosi stratagemmi.
2
È molto interessante analizzare le considerazioni estremiste di Adolf Loos a riguardo:
egli ha sostenuto infatti che chiunque decori il proprio corpo con vestiario bizzarro,
tatuaggi o altro lo faccia con l'intento di celare la propria personalità criminale.
3
L'artificio dell'involucro che ricopre la materia, come la maschera che nasconde
l'identità è stato una curiosità che ha interessato vari campi dell'arte: in pittura
sono state create le vernici per rivestire il pigmento, in scultura si è spesso adottato
l'espediente della stoffa che copre ma non cela e l'Architettura, che non è certo da
meno rispetto alle altre Arti, ha spesso intrapreso percorsi interessanti dal punto di
vista della copertura sovrapposta alla struttura.
É possibile trovare il rivestimento con diversi caratteri.
Si parla comunemente di pelle quando la superficie visibile dall'esterno è un tutt'uno
con la sostanza interna (nel caso della scultura, la pelle sarebbe la rifinitura ultima
data dallo scultore).
Quando è visibile la pelle, sia essa di una scultura o di un opera architettonica, la
forma coincide con la struttura in un certo equilibrio.
14 il curioso rapporto tra struttura ed apparenza
Non avviene la stessa cosa quando si riveste la forma di un “abito”, come facevano i
Romani sui loro muri rivestiti di affreschi e pitture.
C'è poi un ulteriore elemento che interviene nel momento in cui la forma e la superficie
non sono coincidenti: il rivestimento separato dalla forma reale nasconde l'identità,
permettendo a chi fruisce della sua visuale, di intraprendere un proprio percorso di
partecipazione all'opera. Si tratta dello stesso fenomeno che si innesca quando ci si
trova dinnanzi ad una persona mascherata. Automaticamente la domanda che sorge
è: com'è fatto colui che è sotto alla maschera e chi è?
Quando forma e superficie non coincidono, la curiosità di sapere cosa c'è sotto, in chi
guarda è spinta all'estremo:
«Siamo sempre a porci la stessa domanda, però con un piede dentro e un piede fuori.
Cos'è la forma? Cos'è la scultura? E rimane sempre un mistero la scultura...».
4
4
MattiaCCi ElisEo , Attualità della scultura: incontro con Bruno Corà, Eliseo Mattiacci, Hidetoshi Nagasakawa
a cura di Giovanni Termini, Rubettino Editore, Catanzaro, 2006, cit., p.17. il curioso rapporto tra struttura ed apparenza 15
Aspetto terapeutico
L'opera d'arte rimanda alle proprie emozioni, pertanto, ogni oggetto che suscita delle
emozioni potrebbe essere preso in considerazione come un'opera d'arte. Ad esempio,
per molti, la natura e le sue forme non sono arte perché non sono state create
dall'uomo. Personalmente reputo artista e opera come due entità diverse, poiché si
scindono una dall'altra solo nel momento in cui l'opera è finita; per tutta la fase di
creazione e lavorazione artista e opera sono un tutt'uno, crescono insieme, ma da un
certo momento in poi si ha una divergenza. Solo a questo punto è possibile valutare
l'opera come opera artistica o semplice manufatto, indipendentemente dal suo
creatore. La mia affermazione, secondo cui la Natura sarebbe arte è giustificata dal
fatto che, per me non si deve guardare all'autore ma all' opera in sé. In quest'ottica,
come può non essere visto un tramonto come un'opera d'arte meravigliosa?
Il momento del “distacco” tra l'artefice e l'opera coincide con l'eventuale nascita
dell'opera d'arte. Dico eventuale perché l'identificazione dell'opera d'arte è molto
personale: per me opera d'arte è ciò che fa riflettere e rimanda alla mente significati
profondi, inespressi in maniera esplicita dall'oggetto.
È qui che entra in gioco la terapia dell'arte. Entrare a contatto con l'arte è terapeutico
per chi la fa e per chi la osserva, se si tratta di arte efficace. Per tutta la fase creativa
artefice e prodotto si completano a vicenda, si scambiano conoscenze e crescono.
Attraverso l'opera l'artista concretizza i propri sogni e le proprie speranze, realizza
ciò che non è riuscito a trovare nell'ambiente che lo circonda o fa suo qualcosa che lo
affascina e che non riesce a raggiungere.
Quando è riuscito in questo intento inizia la vita dell'opera che fa proprie determinate
necessità formali, estetiche per permettersi di vivere autonomamente. Se l'artefice
riesce a soddisfare queste necessità, l'opera può vivere da sola ed iniziare lo scambio
terapeutico con gli osservatori.
Con la creazione viene favorita una creativa presenza del "Sé" individuale e collettivo.
Dagli studi sul contesto del Terzo Millennio emerge la certezza di non avere certezze
alcune. Se nell’epoca della modernità il disagio derivava da un eccesso di regole,
il problema dell’uomo post-moderno è la follia della normalità e dell’omologazione
all’interno di un mondo dove vengono date moltissime possibilità, moltissima libertà
ma nessuna certezza. Nell’ottica di questo turbamento esce ridisegnato anche il
concetto di costruzione di identità.
Secondo il sociologo Zygmunt Baumann la modernità era costruita in acciaio e
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