7
Introduzione
La tesi si pone l’obiettivo di analizzare tre casi studio considerati alcuni dei maggiori
successi dell’applicazione delle teorie economiche liberiste, ovvero Cile, Polonia e
Indonesia ed evidenziare i fattori che li rendono, al contrario, dei fallimenti.
Nell’ambito accademico, il confronto tra le diverse teorie economiche è stato ampiamente
dibattuto sia a livello teorico che empirico. La seguente trattazione, invece, intende
evidenziare come le politiche economiche liberiste siano state diffuse in tutto il mondo
tramite dei metodi non democratici e come i risultati ottenuti siano andati a vantaggio solo
delle classi sociali più agiate. L’analisi, inoltre, prende in considerazione momenti storici e
situazioni politico sociali differenti per sottolineare come gli stessi schemi di riforma siano
stati adottati per la risoluzione di problematiche diverse senza tenere conto del contesto in
cui sono state applicate.
L’esame di questi tre casi risulta interessante sotto il profilo delle relazioni intercorrenti tra
l’economia, la politica e la società. Viene mostrato, infatti, come queste siano
profondamente influenzate l’una dall’altra e come le esigenze economiche vengano
considerate prioritarie rispetto ai bisogni dei singoli e della società in generale. Le politiche
economiche, inoltre, a partire dagli anni Settanta sono state determinate basandosi sulla
corrente di pensiero liberista che in più occasioni ha dimostrato di non essere adatta
all’analisi e alla risoluzione delle crisi. I governi dovrebbero essere, invece, liberi di
perseguire le politica che ritengono più adatta alla propria situazione senza sentirsi
influenzati da pressioni esterne, ma rendendo conto del loro operato solo alle popolazioni
che li hanno eletti. I tre casi presi in considerazione si presentano,in definitiva, come
spunto per una riflessione sugli obiettivi delle politiche economiche che dovrebbero essere
orientate allo sviluppo della società in modo equo anche sacrificando le esigenze dei
mercati e degli organismi esterni.
Nella tesi verrà esaminato, per ogni Stato, in primo luogo la situazione economica e le
riforme messe in atto in un determinato periodo storico, in secondo luogo, i fattori politici
che hanno permesso tali cambiamenti ed, infine, le conseguenze che tali decisioni di
politica economica hanno comportato per i cittadini. La parte economica è utile per
evidenziare come le teorie liberiste sono state tradotte in precisi interventi di politica
economica e mostrare se ciò ha portato o meno agli obiettivi prefissati, vengono quindi
descritte le riforme e analizzati dati di tipo macroeconomico. L’analisi politica mette in
evidenza come tali decisioni economiche siano state intraprese in un contesto non
Introduzione
8
totalmente democratico, tramite, ad esempio, una dittatura oppure la pressione
internazionale e comprende la descrizione della situazione politica, ma anche delle
relazioni interne ed esterne del Paese. L’ultima parte di ogni capitolo riguardante le
conseguenze sociali permette, infine, di evidenziare i fallimenti di tali politiche
economiche con riferimento al benessere della popolazione ed è realizzata tramite l’esame
dei dati nel contesto delle riforme economiche.
La tesi risulta così composta da quattro capitoli. Il primo capitolo descrive la diffusione a
livello globale delle teorie liberiste sotto il profilo storico, ma anche sotto il profilo
accademico e degli organismi internazionali. I tre capitoli successivi sono dedicati ognuno
ad un caso studio differente. Il primo Stato preso in considerazione è il Cile per il quale
vengono esaminate le riforme messe in atto sotto la dittatura di Pinochet dal 1973 al 1990.
Il secondo è la Polonia al momento della trasformazione da un’economia pianificata ad una
di libero mercato dal 1990 in poi. Infine viene analizzata l’Indonesia nel periodo della crisi
delle Tigri Asiatiche che ebbe luogo alla fine degli anni Novanta. L’ultimo capitolo, infine,
è dedicato al confronto dei risultati ottenuti e alle conclusioni.
9
Capitolo 1
La diffusione del neoliberismo
1.1 Introduzione
In questo capitolo si analizzerà brevemente come le teorie neoliberiste si siano diffuse e
imposte al mondo intero senza tenere conto delle volontà degli Stati a cui sono state
prescritte. Questo sarà utile per inquadrare il contesto in cui si inseriscono i tre casi studio
che verranno analizzati nei successivi capitoli.
Nel primo paragrafo si analizzerà l’evoluzione della teoria economica dal primo
dopoguerra fino ad oggi. Nel secondo paragrafo si descriverà in che modo si siano diffuse
le politiche neoliberiste, a scapito quelle di stampo keynesiano che hanno prevalso dal
secondo dopoguerra. Nel terzo paragrafo si studierà più dettagliatamente come sia
avvenuta la liberalizzazione dei commerci internazionali tramite organismi quali il GATT
e in seguito il WTO. Nel quarto paragrafo verrà descritto il processo di liberalizzazione dei
mercati finanziari. Infine si discuterà riguardo al ruolo del Fondo Monetario Internazionale
come divulgatore e impositore dell’ordine neoliberale nel mondo.
Si intende evidenziare come il neoliberismo sia diventato “così strettamente sinonimo di
virtù che i suoi detrattori sono automaticamente identificati con interessi ristretti o
particolari come quelli dei sindacati”
1
. Ovvero, come queste politiche siano divenute la
risposta automatica a qualsiasi tipo di problematica economica, senza tener conto di
specificità locali, sovranità nazionale e risvolti sociali ad esse connessi.
1.2 Evoluzione della teoria economica
Le trasformazioni avvenute a livello internazionale riguardanti gli obiettivi e i mezzi di
politica economica, sono state il frutto di un cambiamento rispetto alla teoria economica
prevalente. Il cambiamento può essere sintetizzato in alcuni passaggi essenziali in cui il
punto di partenza sono le teorie keynesiane che vennero applicate nella risoluzione della
crisi del ’29, successivamente vi furono i keynesiani della sintesi neoclassica, seguiti da
Friedman con le teorie monetariste e neoliberiste in seguito parzialmente riviste da Lucas
ed, infine, la critica keynesiana al neoliberismo. Il filone teorico che ha prevalso dagli anni
1
Galbraith J. (2008)
Capitolo 1
10
Settanta in poi è stato quello neoliberista e le sue conclusioni sul funzionamento del
sistema economico hanno inciso sulla politica economica nazionale e internazionale. Le
teorie keynesiane, invece, sono diventate un filone minoritario di opposizione al
neoliberismo. In questo paragrafo si farà un breve sunto dell’evoluzione del pensiero
economico e si analizzeranno le conseguenze relative ad un intervento dello Stato
sull’economia.
1.2.1 I keynesiani della sintesi neoclassica
La fine della seconda guerra mondiale segnò un deciso orientamento verso delle politiche
di stampo keynesiano che ebbero il loro maggiore sviluppo negli anni Sessanta. Il
cambiamento di mentalità non fu però immediato, vi si contrapposero molteplici fattori tra
cui: la mentalità ciclica secondo la quale le fluttuazioni economiche erano naturali, l’idea
secondo la quale le persone disoccupate non possedevano un’adeguata qualifica o
formazione professionale, l’opposizione alla spesa pubblica e al deficit spending.
L’amministrazione Kennedy nel 1961 fu la prima, dopo le riforme di Roosevelt durante la
crisi del ’29, a poter esporre un programma di politica economica decisamente innovativo
chiamato New Economics.
La teoria alla base della New Economics era mutata decisamente rispetto a quella esposta
nella Teoria Generale di Keynes. Esso si rifece in particolare al modello di sintesi
neoclassica di Keynes, con i contributi di Hicks, Hansen, Modigliani e Patinkin, più
comunemente chiamato IS-LM. In questo modello i nessi causali di Keynes riconducibili
al rilievo attribuito al tempo storico nelle decisioni individuali e alle diverse velocità di
aggiustamento dei vari mercati vengono eliminati a favore di un equilibrio generale in cui
simultaneamente si ricerca la combinazione di reddito e tasso di interesse in grado di
eguagliare domanda e offerta sul mercato dei beni e su quello della moneta. L’eliminazione
del fattore temporale rende le aspettative keynesiane statiche e indipendenti
2
.
In un economia chiusa le curve IS e LM sono definite dalle seguenti equazioni:
(1.1) Y = C(Y,T,R) + I(r) + G
(1.2) M/P = L(Y,r,R)
2
Bianchi C. (1991)
La diffusione del neoliberismo
11
L’equazione (1.1) definisce la curva IS dalla quale si ricavano tutte le coppie di reddito
reale (Y) e di tasso di interesse (r) per le quali l’offerta di beni eguaglia la domanda
aggregata, formata dai consumi (C) come funzione del reddito (Y), della tassazione (T) e
della ricchezza reale (R), dagli investimenti (I) in funzione del tasso di interesse e dalla
spesa pubblica (G).
L’equazione (1.2) definisce la curva LM che esprime tutte le coppie di reddito e tasso di
interesse in grado di uguagliare l’offerta di moneta in termini reali (M/P) e la relativa
domanda la quale è funzione di reddito, tasso di interesse e ricchezza.
La pendenza delle curve IS e LM dipende dalla sensibilità della domanda di investimenti e
delle domanda di moneta a mutamenti del tasso di interesse. In particolare, secondo il
pensiero keynesiano degli anni Cinquanta, la realtà viene rispecchiata da uno schema in cui
la domanda di investimenti quindi la curva IS è rigida, viceversa per la domanda di moneta
che porta ad una curva LM molto elastica.
Questa situazione è raffigurata nella figura 1 nella quale si può notare che sono gli
spostamenti della curva IS a provocare maggiori mutamenti nel reddito. Tale
interpretazione porta ad una serie di conseguenze. In primo luogo le variazioni nel reddito
dovute a spostamenti delle curva IS hanno ripercussioni sull’occupazione che rimane
l’obiettivo principale delle autorità. In secondo luogo la flessibilità dei salari diviene in via
teorica il metodo col quale riportare il sistema ad un livello di piena occupazione. Ciò
avviene poiché variando salari e prezzi si spostano entrambe le curve, nel caso in cui
invece a variare fossero solo i prezzi cambierebbe solo l’offerta di moneta in termini reali.
In terzo luogo, data la conformazione delle curve, appare chiaro che lo strumento più
efficace sia la politica fiscale, la quale consente di stimolare direttamente e con effetti più
potenti la domanda aggregata. Tale orientamento di politica economica venne denominato
“fiscalismo”.
Questa visione venne parzialmente rivista durante gli anni Cinquanta. In particolare
vennero riconsiderate le pendenze delle curve per cui la IS divenne meno rigida e la LM
meno elastica. Questo cambiamento portò anche ad una riconsiderazione degli strumenti di
politica economica in particolare di quelli monetari. Si aprirono dunque prospettive per un
uso combinato delle politiche fiscali e monetarie per il raggiungimento del pieno impiego.
La prima possibilità potrebbe essere una politica monetaria restrittiva associata ad una
fiscale espansiva. In questo caso il tasso di interesse sarebbe più elevato rispetto alla
seconda possibilità che prevede una situazione inversa. Scegliendo una di queste due
possibilità il livello di pieno impiego sarebbe raggiunto ugualmente, ma operando scelte
Capitolo 1
12
diverse per quanto riguarda la composizione della domanda pubblica e privata. In
riferimento a questo fattore va sottolineato come in questo modello non vengano prese in
considerazione le aspettative degli investitori i quali basano le loro scelta unicamente sul
tasso di interesse.
LM
r
Y Y*
IS
0
IS
1
LM
r
Y Y*
IS
0
IS
1
r
Y Y*
IS
0
IS
1
Figura 1. Equilibrio IS-LM nella visione keynesiana.
Questo modello portò a considerazioni diverse sul tipo di politiche da adottare a seconda
che si operasse nel breve o nel lungo periodo. Nel primo caso una politica fiscale espansiva
può essere utile per riportare il reddito al livello di pieno impiego, ma nel secondo caso è
consigliabile un’inversione di tendenza che permetta un abbassamento del tasso di
interesse e di conseguenza un maggiore investimento privato che produca crescita e
progresso
3
.
I sostenitori della New Economics, in base a ciò, sostennero che le autorità nel breve
periodo dovessero cercare di ridurre al minimo gli effetti degli shock esogeni di domanda
che provocano spostamenti dal reddito di piena occupazione. Per fare ciò avrebbero dovuto
considerare il tipo di shock e adottare lo strumento più efficace. In particolare la politica
monetaria risulta più utile ed efficace se adottata in caso di boom inflazionistici, mentre
quella fiscale è più idonea nell’affrontare una temporanea depressione.
3
Bianchi C. (1991)
La diffusione del neoliberismo
13
Gli anni Sessanta segnarono un ulteriore svolta nel modello in quanto, oltre all’obiettivo
della piena occupazione, sorse il problema del contenimento dell’inflazione il quale
sembrava inconciliabile con il primo.
Fino agli anni Cinquanta le modificazioni nei prezzi venivano ricondotte a variazioni nello
schema di domanda e offerta aggregata (AS-AD). In particolare si distingueva tra
inflazione da domanda, dovuta a spostamenti nella curva di domanda aggregata, e
inflazione da costi, dovuta ad aumenti dei salari monetari maggiori della produttività.
Questo sistema permetteva però di determinare solo il livello assoluto da cui poi si sarebbe
ricavato il tasso di inflazione. La carenza di questa visione risiedeva nel fatto che tramite
un modello statico si cercasse di definire un fenomeno dinamico.
Una migliore interpretazione delle relazioni intercorrenti tra occupazione ed inflazione si
ebbe alla fine degli anni Cinquanta per opera di Phillips, il quale mostrò una relazione
empirica di lungo periodo, non lineare e stabile, tra variazione dei salari monetari (
.
W =
dW/dt ∙ 1/W) e tasso di disoccupazione (u). La relazione è definita dalle seguenti
espressioni:
(1.3)
.
W = g(u) g’
u
< 0, g’’
u
> 0
Questa regolarità empirica era però priva di fondamento teorico. La sua razionalizzazione
avvenne nel 1960 ad opera di Samuelson e Solow i quali sostituirono la variazione dei
salari con la variazione dei prezzi, seguendo l’idea che i prezzi fossero determinati tramite
un mark-up sul costo del lavoro. La relazione si trasformò dunque nella seguente:
(1.4)
.
P = f(u) f’
u
< 0, f’’
u
> 0
La figura 2 mostra tale relazione.
.
P
u
.
P
u
Figura 2. La relazione di Phillips nella versione di Samuelson – Solow.
Capitolo 1
14
Questa nuova visione riguardante le relazioni tra inflazione e disoccupazione portò le
autorità a dover scegliere quale combinazione delle due variabili scegliere e quale criterio
adoperare in tale scelta.
Riguardo a questo punto furono espresse diverse versioni. Modigliani affermo che non
esisteva più un unico livello di piena occupazione, ma piuttosto un insieme di possibili
livelli di equilibrio, ognuno dei quali associato ad un diverso tasso di inflazione.
L’impostazione neoclassica, invece, affermava che fosse possibile determinare il livello di
disoccupazione che fosse in grado di annullare l’inflazione. In questa situazione non si
sarebbe verificato nessun eccesso di domanda o offerta su nessun mercato.
Una critica a quest’ultima visione venne da Tobin, il quale evidenziò che, a causa della non
linearità delle curve di Philips per ogni mercato del lavoro, al tasso “naturale” di
disoccupazione che annulla gli eccessi di domanda e offerta sarebbe corrisposto un tasso di
inflazione strutturalmente positivo. Ne consegue che ad un tasso di inflazione pari a zero
corrisponda un tasso di disoccupazione maggiore rispetto a quello “naturale”. Secondo
questa visione la politica economica si deve porre l’obiettivo di portare il tasso di
disoccupazione al di sotto del livello corrispondente ad un tasso di inflazione nullo.
Le considerazioni della curva di Philips sarebbero state fortemente riprese e criticate negli
anni ’70, quando la relazione empirica della relazione prezzi-disoccupazione sarebbe stata
fortemente smentita dalla realtà.
1.2.2 Friedman e le aspettative adattive
Nel tentativo di introdurre l’intervento statale nell’economia, i fautori della New
Economics si dovettero scontrare sia con le idee ortodosse del passato, sia con i pensatori
della scuola di pensiero monetarista i quali si ponevano agli antipodi del “fiscalismo” e
avevano in Milton Friedman il loro maggiore esponente.
La prima fase della critica monetarista si incentro su un cambiamento di visione rispetto
all’interpretazione del modello IS-LM. In particolare, secondo Friedman, le curve IS e LM
si modificano in modo da riequilibrarsi sempre sul valore di reddito corrispondente al
pieno impiego. Questa conclusione deriva dal ragionamento secondo il quale, in caso di
sottoccupazione, l’eccesso di offerta di lavoro provocherebbe una diminuzione dei salari
reali che, insieme all’eccesso di capacità produttiva, determinerebbe una diminuzione dei
prezzi. Questo comporterebbe un aumento del valore reale delle scorte monetarie
provocando uno spostamento sia della LM che della IS, in quanto inciderebbe sui consumi.
La diffusione del neoliberismo
15
Nel momento in cui si verifica uno shock di domanda i meccanismi riequilibratori, ovvero
piena flessibilità di prezzi, salari e tasso di interesse, sono in grado di eliminare
l’occasionale disequilibrio
4
.
Una diversa interpretazione del modello IS-LM deriva anche dal diverso ruolo della
moneta. Nella teoria keynesiana la moneta è uno stretto sostituto delle attività finanziarie e
la forma di detenzione del risparmio è decisa solo successivamente alle decisioni di
consumo. Secondo Friedman ciò è errato poiché nel contesto dell’equilibrio generale le
decisioni sono prese simultaneamente e la moneta è un bene succedaneo a qualsiasi attività
sia finanziaria che reale. Ne consegue che nella versione monetarista la curva LM è
notevolmente rigida.
Il fulcro della critica monetarista risiede però nella nuova definizione delle aspettative. In
particolare essa afferma che il reddito atteso è determinato dagli agenti basandosi sui
redditi passati, quindi essi hanno delle aspettative adattive. I valori attesi futuri sono
calcolati come media ponderata di quelli passati in cui i valori più lontani nel tempo hanno
un peso minore, inoltre, di periodo in periodo essi rivedono le proprie aspettative in base
all’errore commesso nel periodo precedente. Grazie a questa nuova definizione di reddito
si può definire un diverso metodo di determinazione dei consumi il quale non si basi sul
reddito corrente, bensì su quello atteso e quindi le variazioni del reddito corrente non
influenzano se non nel periodo successivo quando vengono incorporate. La ricchezza
individuale, inoltre, può essere definita come lo sconto dei redditi attesi al tasso di interesse
di mercato. La conclusione che se ne deriva è che i consumi dipendono dalla ricchezza, dal
tasso di interesse e dalle scelte intertemporali, piuttosto che dal reddito corrente.
Questa nuova considerazione porta ad una modificazione della curva IS la quale risulta più
elastica poiché i consumi sono anch’essi influenzati dalle variazioni del tasso di interesse.
Lo schema IS-LM risulta in questo modo praticamente rovesciato rispetto alla situazione
keynesiana, come mostra la figura 3. i movimenti della IS dovuti a shock nella domanda
provocheranno solo variazioni ridotte nel reddito, poiché la rigidità della LM provoca
movimento di tasso compensativi rispetto al disturbo.
Questa nuova impostazione monetarista porta a conclusioni molto diverse da quelle
keynesiane. In primo luogo si rafforza la tesi secondo cui il settore privato possiede dei
meccanismi di stabilizzazione automatici grazie ai quali non è necessario l’intervento
statale. In secondo luogo la politica fiscale espansiva ha solo un minimo impatto sul
reddito provocando invece un forte rialzo del tasso di interesse. In terzo luogo solo
4
Bianchi C. (1991)
Capitolo 1
16
movimenti della curva LM potrebbero produrre forti variazioni del reddito, quindi una
forte instabilità dei mercati finanziari potrebbe avere gravi ripercussioni su output e
occupazione. Secondo Friedman ciò non può accadere poiché la domanda di moneta è
stabile, a differenza di quanto sostenuto da Keynes il quale la riteneva altamente volatile a
causa delle modificazioni nelle aspettative individuali.
r
Y
Y
1
Y
0
Y
2
IS
1
IS
0
IS
2
LM
r
Y
Y
1
Y
0
Y
2
IS
1
IS
0
IS
2
LM
Figura 3. L’equilibrio IS-LM nell’analisi monetarista.
Per quanto riguarda la politica economica, il modello monetarista porta a considerazioni
molto diverse rispetto a quelle keynesiane. Una volta esclusa la possibilità che movimenti
della curva LM siano dovuti al settore privato, l’unica fonte di instabilità può essere fatta
risalire unicamente all’offerta di moneta, la quale ha effetti indiretti anche sui tassi di
interesse e quindi sulla ricchezza. La politica monetaria potrebbe essere dunque vista come
mezzo per il riequilibrio del sistema, come lo è quella fiscale nella teoria keynesiana.
Friedman, tuttavia, esclude questa possibilità in quanto il mercato possiede già i
meccanismi riequilibratori evidenziati in precedenza, un politica monetaria volta a
correggere il disequilibrio si sommerebbe a tali meccanismi provocando un ulteriore
disturbo. Le autorità di politica monetaria dovrebbero quindi mantenere un comportamento
che non destabilizzi ulteriormente il sistema.