CAPITOLO 1
CRONOBIOLOGIA DEL SONNO
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Uno studio attento sul sonno non può escludere gli apporti
derivanti dalla cronobiologia, una disciplina che negli ultimi trenta-
quarant’anni ha conosciuto uno sviluppo rilevante e che si occupa di
qualsiasi fluttuazione periodica, comportamentale o fisiologica, di
ciascun organismo vivente. L’unità di misura è quindi rappresentata da
una sequenza temporale di osservazioni, detta serie temporale, dove
ogni osservazione è messa in rapporto con l’istante in cui viene
effettuata.
Frequenza (cicli/sec) Periodicità
Figura 1
I ritmi biologici degli organismi viventi mostrano un ampio spettro di frequenze.
Vediamo a sinistra le frequenze e a destra i periodi (I/frequenza) delle oscillazioni.
Fonte: Moore Ede, Sulzman e Fuller (1982).
Solitamente si vuole verificare se dopo un certo intervallo di
tempo la sequenza di misure inizia a ripetersi nuovamente, cioè se una
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data serie temporale mostra qualche sorta di regolarità prevedibile,
ovvero un ritmo.
Si possono avere periodicità inferiori alle 20 ore, definite ritmi
ultradiani; periodicità di circa un giorno, dette ritmi circadiani (dal
latino, circa = all’incirca e dies = giorno) e periodicità superiori alle 28
ore, dette ritmi infradiani, che possono essere ulteriormente suddivise
in circasettani (settimanali, presenti ad esempio in alcuni insetti),
circamensili o circalunari (il ciclo mestruale) e circannuali
(ibernazione) (fig. 1).
Nel 1729 l’astronomo francese Jean-Jacques Dortous de Mairan
scoprì che una pianta eliotrofica continua ad aprire le foglie al mattino e
a richiuderle al tramonto anche se tenuta al buio per molti giorni (ad
esempio chiusa in un armadio), come se possedesse un automatismo
interno, un «orologio» capace di farla funzionare indipendentemente
dalle condizioni di luce o di buio.
Nel 1832 il botanico Alphonse de Candolle osservò come
un’altra pianta in assenza di marcatempo ambientali assumesse un ciclo
di attività e riposo delle foglie di circa 26 ore, cioè essa acquisiva un
ritmo proprio, indipendente dal ciclo luce-buio, detto free-running (a
corsa libera).
In seguito si vide che questo fenomeno si manifestava non solo
nei vegetali ma in tutti gli organismi viventi, uomo compreso.
Si ipotizzò allora l’esistenza di oscillatori interni all’organismo,
«orologi biologici» endogeni che generano e regolano i ritmi delle
diverse funzioni biologiche, integrando e modulando informazioni
provenienti dallo stesso organismo (interne) con informazioni
ambientali (esterne) ricevute dagli Zeitgeber (dal tedesco, Zeit = tempo
e geber = datore).
Questi ultimi sono agenti sincronizzatori che possono essere sia
di natura geofisica (quali la rotazione terrestre che determina il ciclo
luce-buio di 24 ore, l’orbita lunare con un periodo di circa 28 giorni e
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l’orbita terrestre attorno al sole di circa 365 giorni) che sociale (orari di
lavoro e dei pasti).
Si è tentato a lungo di individuare la sede anatomica
dell’orologio interno. Tra i vari candidati a tale ruolo il nucleo
soprachiasmatico dell’ipotalamo anteriore è stato senz’altro il più
studiato (Moore Ede, Sulzman e Fuller, 1982; Moore Ede, Czeisles e
Richardson, 1983). L’attività neuronale di questo nucleo, che è
sensibile alle stimolazioni retino-ottiche, sembra sopprimere il rilascio
di melatonina da parte della ghiandola pineale, uno dei principali
regolatori dell’attività circadiana ormonale (Lewy, 1983). La
distruzione del nucleo soprachiasmatico determina l’abolizione di
diversi ritmi circadiani, tra cui il ritmo sonno-veglia, che diviene così
estremamente irregolare.
Tuttavia l’ipotesi di un unico orologio biologico non
sembrerebbe in grado di spiegare l’intero spettro dei ritmi biologici
conosciuti, in particolare il fenomeno della dissociazione o
desincronizzazione interna tra il ritmo sonno-veglia e quello di
temperatura (Aschoff, 1965), scoperto negli anni sessanta in soggetti
che vivevano per mesi in sofisticati laboratori in condizioni di totale
isolamento temporale (senza orologio e senza altre informazioni che
potessero suggerire l’ora del giorno), e dunque in condizioni di free-
running.
Quando l’organismo non è isolato dall’ambiente i ritmi sonno-
veglia e di temperatura sono sincronizzati allo Zeitgeber di 24 ore del
ciclo luce-buio del nostro pianeta e si osserva (fig. 2) il normale ciclo
sonno-veglia: ci si addormenta (quadrante I) di solito quando la
temperatura basale è in diminuzione; il risveglio (quadrante II) avviene
durante la fase crescente della temperatura; la «siesta», quando
presente, inizia e si conclude durante il livello massimo di temperatura
(quadrante III).
Quando l’informazione temporale (lo Zeitgeber luce-buio) viene
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rimossa, il ciclo sonno-veglia si allunga fino ad un periodo di circa 25,5
ore: il soggetto entra in free-running e perderà un «giorno reale» dopo
circa 16 «giorni soggettivi». Il rapporto quantitativo di 1 a 2 tra sonno e
veglia rimane tuttavia invariato. Dopo una ventina di giorni in free-
running il ciclo sonno-veglia assume un periodo di 36 ore (24 di veglia
e 12 di sonno), o addirittura di 48 ore, mentre la temperatura corporea
assume un periodo di circa 25 ore.
Figura 2
Tipica curva circadiana della temperatura rettale ed orale.
Fonte: Dinges e Broughton (1989).
Sembra pertanto che vi siano due (o più) orologi biologici
endogeni: uno per la temperatura, più «robusto», regolare e con
periodo di poco superiore alle 24 ore; e uno per il ciclo sonno-veglia,
più irregolare, flessibile e, a volte, con periodo più lungo.
Recentemente è stato inoltre dimostrato che durante la
dissociazione interna vengono comunque mantenuti alcuni precisi
rapporti tra la temperatura basale e certe caratteristiche del sonno
(Czeisler, 1979): i soggetti tendono quasi sempre a svegliarsi (e ad
avere maggiore densità di sonno REM) nel corso della fase crescente
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della temperatura, come avviene durante un regime normale
sincronizzato al ciclo luce-buio, mentre l’addormentamento non sembra
legato al ciclo della temperatura.
L’esistenza di marcatempo interni autonomi sembra coerente con
la finalità adattiva: un organismo in grado di prevedere le variazioni
cicliche dell’ambiente circostante (per esempio i cicli giornalieri e
stagionali di disponibilità di energia - la luce e il calore - e quindi di
cibo) potrà mettere in atto le opportune strategie biologiche e
comportamentali, con conseguente maggiore probabilità di
sopravvivenza (vantaggio selettivo).
Abbiamo visto tuttavia che, in isolamento, l’orologio interno
mostra un periodo diverso e, in genere, più lungo di 24 ore. Si ipotizza
che questo fenomeno avvenga per permettere ai sistemi biologici di
sincronizzarsi più facilmente con le modificazioni dello Zeitgeber
ambientale. Questa proprietà è messa in luce dal meccanismo di un
particolare tipo di disturbo del sonno, denominato delayed sleep
syndrome, recentemente identificato (Czeisler, Richardson et al., 1981).
I soggetti con tale disturbo sembrano avere l’orologio biologico interno
particolarmente potente e in perenne free-running: costoro non riescono
infatti ad addormentarsi prima dell’alba e sono costantemente fuori fase
rispetto all’ambiente circostante. L’unico approccio che ha permesso in
molti casi di risolvere il problema consiste nel posticipare di tre ore
ogni giorno il momento dell’addormentamento (allungando quindi
l’orologio biologico). Dopo una settimana i pazienti sono in fase con il
ciclo luce-buio e quindi in grado di addormentarsi a mezzanotte. Questo
rappresenta un tipico esempio di applicazione terapeutica di princìpi
cronobiologici, in grado di solito di produrre risultati positivi per circa
sei mesi, quando l’orologio biologico richiede un’ulteriore messa in
fase.
Oscillazioni ritmiche giornaliere non avvengono solo a livello
della temperatura basale e del ciclo sonno-veglia. Sono stati descritti
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ritmi circadiani in centinaia di funzioni biologiche, tra le quali la
vigilanza e l’attenzione, la respirazione, l’attività digestiva ed epatica,
la composizione e il volume del sangue, l’escrezione urinaria, la
capacità di metabolizzare e di eliminare farmaci e quindi anche
l’efficacia e la tossicità di questi ultimi (vedi Stampi e Marrino, 1988).
Attualmente si concorda nel dividere le variabili studiate in
condizioni di isolamento sostanzialmente in due gruppi: un gruppo che
segue il ritmo del ciclo sonno-veglia [come la propensione al sonno ad
onde lente SWS (Slow Wave Sleep), la concentrazione plasmatica
dell’ormone della crescita GH (Growth Hormone), l’escrezione urinaria
di calcio], e un secondo gruppo che segue il ritmo della temperatura
corporea (come la propensione al sonno REM, la concentrazione
plasmatica di cortisolo, il volume urinario, l’escrezione urinaria di
potassio) (Aschoff, Gereke e Wever, 1967; Aschoff, Hoffman, Pohl e
Wever, 1975; Aschoff e Wever, 1976; Wever, 1975, 1979; Weitzman,
Czeisler e Moore Ede, 1979; Czeisler, Weitzman, Moore Ede,
Zimmerman e Knauer, 1980).
In seguito a queste osservazioni sono stati creati diversi modelli
che, ispirandosi al fenomeno della dissociazione interna, considerano
che il sistema circadiano nell’uomo implichi essenzialmente due
processi o meccanismi di base: un meccanismo di regolazione del ciclo
sonno-veglia (Sleep/Wake Cycle = SWC), deputato a sostenere la
ritmicità del primo gruppo di variabili sopracitate; e un meccanismo
generatore del ritmo circadiano endogeno (self-sustaining Endogenous
Circadian Pacemaker = ECP), deputato a sostenere la ritmicità del
secondo gruppo di variabili.
Questi due meccanismi di base sono stati variamente definiti nei
diversi modelli proposti: «oscillatori I e II» (Wever, 1975); «oscillatori
X e Y» (Kronauer, Czeisler, Pilato, Moore Ede e Weitzman, 1982);
«processi C e S» (Borbély, 1982). Per una esauriente rassegna si
possono consultare i lavori di Enright (1980), Strogatz (1986) e Borbély
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e Achermann (1992).
Non tutte le variabili studiate in condizioni di isolamento,
tuttavia, manifestano ritmi con periodi assimilabili a questi due
oscillatori principali, per cui c’è chi preferisce parlare di due gruppi di
oscillatori e chi invece ritiene che due oscillatori siano insufficienti per
spiegare il funzionamento del sistema circadiano, ipotizzandone un
terzo o addirittura un quarto. In questa sede si farà riferimento al
modello dei due oscillatori (ECP-SWC).
In condizioni normali questi due oscillatori (ECP-SWC) sono
sincronizzati tra di loro con un periodo di circa 24 ore. Tutti i ritmi dei
diversi organismi sono soggetti all’influenza di uno o più
sincronizzatori esterni (Aschoff, 1954), o Zeitgeber, che possono essere
definiti primari (o dominanti) o secondari, a seconda del ruolo che
assumono nei confronti della variabile in esame. L’ordine gerarchico
dei sincronizzatori non è stabile ma dinamico, vale a dire che, in
condizioni particolari, alcuni sincronizzatori secondari possono fungere
da sincronizzatori primari e viceversa.
Uno dei sincronizzatori più forti è il ritmo luce-buio
(sincronizzatore potente nelle specie vegetali ed in un certo numero di
specie animali). Pertanto, in condizioni normali, i due oscillatori ECP
ed SWC sarebbero sincronizzati fra loro attraverso tale ritmo.
Esistono tuttavia per l’uomo anche altri sincronizzatori, quali i
fattori legati a condizioni ed abitudini socio-ambientali, che sembrano
giocare un ruolo determinante (Wever, 1979). In condizioni di
isolamento, venendo a mancare tali ritmi-guida, i due oscillatori
inizierebbero ad assumere il loro «vero» ritmo, perdendo sempre più la
sincronizzazione. Sembra comunque che i due oscillatori continuino ad
influenzarsi reciprocamente anche in condizioni di desincronizzazione:
si è visto ad esempio che, anche in tali condizioni, un periodo di sonno
che comincia nel momento in cui la curva della temperatura diminuisce
durerà più a lungo che un periodo di sonno cominciato nel momento in
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cui la temperatura aumenta (Wever, 1985).
I ritmi quindi tendono ad assumere la frequenza (o un multiplo o
un sottomultiplo) del sincronizzatore principale. I sincronizzatori
principali, rappresentati per lo più dai ritmi dell’ambiente, possono
dunque trascinare i ritmi endogeni e dare luogo ad un effetto di
mascheramento (Monk, 1989). Ogni ritmo riscontrabile può essere il
risultato di una componente endogena, corrispondente al periodo
dell’oscillatore da cui dipende, e di una componente esogena,
corrispondente al sincronizzatore principale, che può anche mascherare
la componente endogena. Così ad esempio, come si è visto, il ritmo
della temperatura corporea, che in condizioni normali viene trascinato
(o mascherato) ad un periodo di 24 ore, in condizioni di isolamento è di
circa 25 ore.
Il trascinamento da parte di un sincronizzatore principale può
avvenire solo entro certi limiti (range of entrainment). Se si impone ad
un oscillatore un ritmo il cui periodo è incluso fra questi limiti, la
sincronizzazione avrà successo e sarà mantenuta. Viceversa, al di là o al
di qua di questi confini la sincronizzazione non avrà luogo ed apparirà
la desincronizzazione. Per la temperatura il range of entrainment è
situato fra 23 e 27 ore. In condizioni normali, quando il ciclo luce-buio
è di 24 ore, la temperatura si sincronizza con questo ciclo e adotta un
periodo identico di 24 ore. Lo stesso vale per il ritmo sonno-veglia di
cui il range of entrainment è invece più ampio, da 17 a 33 ore circa.
Così, in condizioni normali, la temperatura e il ciclo sonno-veglia sono
sincronizzati dal ciclo luce-buio.
In un esperimento effettuato al circolo polare durante l’estate
(luce continua) si tentò di imporre ad alcuni volontari un programma di
attività-riposo di 21 ore, isolandoli e dando loro degli orologi in cui il
periodo reale era di 21 ore, mentre quello che appariva sul quadrante
restava di 24 ore. L’analisi dei risultati evidenziò che, mentre per
alcune variabili (ad esempio il pH urinario) il periodo era divenuto di
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21 ore, per altre (come l’escrezione urinaria del potassio) il periodo
restava di circa 24 ore (Simpson, Lobban e Halberg, 1970). Quindi, se
per il pH urinario si può dire che si è verificato un effetto di
trascinamento, non si può dire altrettanto per l’escrezione urinaria del
potassio (effetto trascinamento parziale o selettivo). Si può concludere
che alcuni ritmi sono più stabili o rigidi, al contrario di altri più sensibili
ai sincronizzatori. In questo esperimento si trattava di sincronizzatori
sociali, in quanto l’attività sociale del gruppo (lavoro, alimentazione,
riposo) era basata sul tempo convenzionale scandito dall’orologio
«truccato».
Gli orologi che gestiscono il sonno e la veglia non sono in grado
di adattarsi velocemente a cambiamenti radicali nell’ambiente
circostante. Per questo motivo si possono verificare modificazioni della
fase circadiana dei sincronizzatori socio-ambientali in seguito a
condizioni di lavoro notturno, a turni e durante voli transmeridiani (jet-
lag). In termini cronobiologici si parla di slittamento di fase del
sincronizzatore o discronismo transmeridiano. Per quanto concerne
l’adattamento in seguito a jet-lag, mentre alcuni parametri si adattano
rapidamente al nuovo orario (ad esempio il ritmo cardiaco e la
noradrenalina), altri (ad esempio la temperatura corporea, gli ormoni
surrenali, alcuni elettroliti) impiegano in media fino a 6 o 7 giorni per
rientrare in fase con il nuovo ritmo (Higgings, Chiless, McKenzie,
Iampietro, Winget, Funkhouser, Burr, Vaughan e Jennings, 1975).
Occorre dire che l’ipotesi attualmente prevalente è che tutte le
funzioni, sia fisiologiche che psicologiche, ricevano segnali-guida da
entrambi gli oscillatori, in modo da creare una sorta di armonia per una
maggiore efficienza adattiva (Czeisler et al., 1980). L’equilibrio fra i
due oscillatori non sarebbe statico ma dinamico e sarebbe diverso da
funzione a funzione. Così alcune funzioni riceverebbero segnali guida
prevalentemente da un oscillatore, mentre altre funzioni dall’altro.
Gli studiosi di modelli si sono ultimamente concentrati quasi
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esclusivamente sullo studio della ciclica alternanza sonno-veglia.
I modelli sino ad oggi proposti si possono schematicamente
suddividere in due gruppi (Foret e Benoit, 1992).
Nel primo gruppo sono compresi quelli basati sull’alternanza del
ciclo sonno-veglia, ad uno o più oscillatori, formulati principalmente,
come abbiamo visto, a partire dai dati sulla desincronizzazione interna
(Pittendrigh e Daan, 1976; Daan e Berde, 1978; Kronauer et al., 1982;
Kronauer, Czeisler, Pilato, Moore Ede e Weitzman, 1983; Kronauer,
1984; Wever, 1984, 1987; Strogatz, 1986). Kronauer e i suoi colleghi
proposero, ad esempio, un modello con due oscillatori accoppiati (X-
Y), cioè correlati fra loro, se pure con diverse caratteristiche ritmiche,
grazie ad un continuo feedback tra di essi (Kronauer et al., 1983).
Nel secondo gruppo invece sono raccolti i modelli basati sulla
fisiologia del sonno, detti perciò anche di autoregolazione del sonno
(Borbély, 1982; Daan, Beersma e Borbély, 1984; McCarley e
Massaquoi, 1986; Massaquoi e McCarley, 1990; Akersted e Folkard,
1990; Folkard e Akersted, 1989, 1992).
Fra questi ultimi, il modello che ha riscontrato maggiori consensi
è quello dei «due processi»: il processo «C» e il processo «S»
(Borbély, 1982).
Il processo C (da circadian) fluttuerebbe in relazione all’ora del
giorno, mentre il processo S (da sleep) aumenterebbe il suo valore con
il prolungarsi della veglia e, raggiunto un valore soglia, darebbe inizio
al sonno. Durante il periodo del sonno il processo S scaricherebbe i
valori accumulati durante la veglia e tornerebbe quindi ai valori iniziali
precedenti la veglia. Potremmo ad esempio immaginare che durante la
veglia si producano delle «scorie» metaboliche che, accumulandosi,
determinano l’aumento del processo S. L’aumento dei valori del
processo S determinerebbe una sorta di «pressione di sonno» e, quindi,
il bisogno di un sonno ristoratore.
Il processo S sarebbe maggiormente deputato ad esercitare una
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sorta di vigilanza dello stato interno del corpo; per tale motivo è stato
anche chiamato processo omeostatico (Borbély, 1980).
Uno dei principali pregi di questo modello è la buona
approssimazione con cui riesce a prevedere, in base alla durata della
veglia precedente, la durata del sonno e, in particolare, del sonno ad
onde lente. Il concetto di base di un’interazione tra processo circadiano
e processo omeostatico è stato adottato anche per interpretare la
regolazione ritmica della secrezione ormonale (Van Cauter, 1990), della
temperatura corporea (Nakao, McGinty, Szymusiak, Ichikawa e
Yamamoto, 1991) e la sensitività retinica (Remé, Wirz-Justice e
Terman, 1991).
L’assunzione di base dell’indipendenza dei due processi
sembrerebbe confortata da risultati di esperimenti condotti su animali,
in cui una risposta omeostatica, in seguito a deprivazione di sonno,
persisteva anche dopo che la ritmicità circadiana era stata abolita in
seguito a lesioni del nucleo soprachiasmatico (Mistlberger, Bergmann,
Waldenar e Rechtschaffen, 1983; Tobler, Borbély e Groos, 1983).
Inoltre ci sono prove sperimentali che sembrano indicare la possibilità
di manipolare indipendentemente i due processi con particolari tecniche
di isolamento ambientale (Dijk, Beersma e Daan, 1989).
É tuttavia ancora aperto il dibattito relativo alla possibilità che
un solo oscillatore circadiano possa dare origine a tanti ritmi con
frequenze così diverse (Daan e Beersma, 1992).
Si discute oggi sulla possibilità che il processo C sia suddiviso in
due parti, corrispondenti alle regioni sinistra e destra del nucleo
soprachiasmatico, che sia cioè in una qualche maniera lateralizzato
(Beersma e Daan, 1992).
La maggior parte delle ricerche presenti in letteratura si è
occupata dei ritmi circadiani, per la minore difficoltà metodologica
nello studio di tali ritmi e per il maggiore interesse di questi nella vita
pratica, in particolare nel mondo del lavoro.
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Non tutte le funzioni biologiche o psicologiche, tuttavia,
manifestano ritmicità circadiane (aventi cioè un periodo compreso tra le
20 e le 28 ore). É possibile infatti riscontrare anche funzioni con
ritmicità ultradiane (cioè con un periodo inferiore alle 20 ore) o
infradiane (cioè con un periodo superiore alle 28 ore). Il ciclo
mestruale, della durata di circa 28 giorni, è un tipico fenomeno
biologico con periodicità infradiana.
Maggiore attenzione è stata posta ai ritmi ultradiani (Lloyd e
Rossi, 1992), i quali non dipendono da Zeitgeber ambientali conosciuti.
Dal punto di vista biologico un tipico esempio è l’alternanza, all’interno
del fenomeno sonno, di due fasi, il sonno REM (Rapid Eye
Movements) e il sonno Non-REM (assenza di movimenti oculari
rapidi), che si alternano con una periodicità di circa 90-120 minuti.
In una notte di sonno è possibile osservare una sequenza
abbastanza tipica e regolare di fenomeni elettroencefalografici e
fisiologici (fig. 3): da una fase iniziale di assopimento si procede
gradualmente fino a raggiungere il sonno «profondo» o a onde lente
(delta), per poi risalire, mostrando un tracciato elettroencefalografico
per certi aspetti simile a quello della veglia, da cui il nome di sonno
paradossale. Questo ciclo di 90-120 minuti si ripete 4-5 volte nel corso
di una normale notte di sonno.