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INTRODUZIONE
Agli inizi del Novecento, con Gentile, la pedagogia si realizza appieno
come Filosofia dell’Educazione. La pedagogia di Gentile si identifica con i
suoi concetti filosofici e si basa su due principi fondamentali:
− la realizzazione dell’identità fra educatore ed educando nell’atto
educativo, che rispecchia il superamento delle distinzioni fra soggetti empirici
nell’assolutezza dell’Io trascendentale;
− il rifiuto di ogni carattere prefissato e astratto nel contenuto
dell’insegnamento, e di ogni regola didattica, in quanto sia il metodo sia la
tecnica di insegnamento, sono destituiti di senso dal momento che
l’educazione è fondamentalmente un atto spirituale di autoeducazione.
Questi principi generali vengono poi svolti nelle loro implicazioni
concrete.
Di particolare rilievo sono le tesi sul rapporto tra insegnante e allievo.
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Esso è caratterizzato da un dualismo che deve risolversi in un’unica
attività attraverso la comune partecipazione alla vita dello spirito; nell’atto
educativo infatti la mente dell’insegnante e quella dell’alunno divengono una
mente sola: “la mente oggettiva che viene costruendo la verità.”
Sia l’insegnante che lo studente negano quindi la loro “soggettività
naturale”, innalzandosi a quell’unità superiore, che è unione con l’oggettività.
Nella vita della scuola il maestro occupa il posto centrale e in lui si
esprime il modello formativo spirituale e culturale che deve guidare l’alunno.
L’educazione presuppone la libertà, perché l’atto di pensare è un atto
libero che mira alla libertà e intende formare un uomo libero e padrone di sé .
Quindi l’educazione viene concepita come un potente veicolo di
coesione e unificazione delle individualità empiriche, in modo tale da portare
alla formazione di un unico spirito.
Gentile sentì sempre come una vera e propria missione il suo ruolo di
insegnante ed educatore. L’insegnamento, oltre ad offrirgli la possibilità di
continuare gli studi e sostenere la sua numerosa famiglia, gli diede quella di
toccare con mano il disagio della scuola italiana, che sin dall’inizio, aveva
giudicato non adatta a contribuire alla fortificazione dell’unità nazionale e delle
sue basi culturali, e incapace di formare una nuova classe dirigente che
traghettasse il paese verso una sorte migliore del degrado politico e spirituale
in cui, ai suoi occhi, versava.
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La sua pedagogia, che è essenzialmente filosofica non può essere
staccata dal suo sistema filosofico, né dal suo progetto di riforma della scuola
che attuò nel 1923/24 quand’era ministro della Pubblica Istruzione.
La sua prima opera pedagogica, l’insegnamento della filosofia nei licei,
risale al 1900, poco dopo aver iniziato ad insegnare; argomento dell’opera,
come si evince dal titolo, è la filosofia e il suo insegnamento nella scuola
secondaria. Fin dai suoi esordi pedagogici Gentile affida all’insegnamento della
filosofia un ruolo centrale perché questo permette una formazione generale
dello spirito che prepara a tutte le facoltà universitarie. Il principio di una
filosofia regina delle scienze ha un’importanza cruciale per comprendere lo
sviluppo della pedagogia di Gentile e la struttura che egli diede alla scuola
italiana dopo la riforma. La pedagogia di Gentile,invece, come tutta la sua
opera, risente di un impostazione morale ed etica di fondo che mira a formare,
prima che specialisti dell'insegnamento, “persone moralmente degne di
esserlo”.
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CAPITOLO PRIMO
ISTRUZIONE E CULTURA DURANTE IL
FASCISMO
1. Tempo di riforme
La legislazione scolastica e l’istruzione pubblica durante il fascismo sono
in certo modo, sia pure con le involuzioni di un movimento eversore e,
insieme, restauratore,l’inevitabile sviluppo di premesse poste nell’immediato
dopoguerra del 1919.
Una fondamentale trascuratezza di tutto quanto concerne tecnicamente
l’istruzione scientifica(dalla matematica alla fisica,alla chimica, alle scienza
naturali e alla tecnologia in genere) e un innegabile disdegno per l’immensa e
sovrana “natura delle cose” e per l’opera molteplice degli uomini nella loro
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storia civile e politica caratterizzano la legislazione di quella che fu definita
retoricamente dallo stesso Mussolini “la più fascista delle riforme”, la riforma
Gentile del 1923. anche se facilmente si è voluto considerare tale riforma
come ispirata a principi liberali secondo le iniziali affermazioni del filosofo,
tessera del fascismo ad honorem, bisogna considerare di quale ispirazione fosse
il liberalismo dottrinario dell’autore della Teoria generale dello spirito come Atto puro
e dei Discorsi di religione.
Si suole considerare che il Gentile con la “ forza” del fascismo, non
sempre alleata col “ consenso” ( per stare ad una formula mussoliniana
rispecchiata facetamente da giornali umoristici nei primi mesi di una
rivoluzione che divenne regime dopo il delitto Matteotti e il discorso del 3
gennaio1925) effettuava una riforma scolastica con una corrente spiritualistica
e, nella fattispecie, idealistica. Si addita nel Croce, ministro della Pubblica
Istruzione nel giugno 1920 col Giolitti, colui che aveva presentato in
Parlamento un progetto sulla selezione degli alunni e sulla riduzione delle
scuole, progetto molto affine a proposte di pedagogisti ispirati al Gentile. Si è
perfino potuto vedere in un sincero attivo democratico quale Gaetano
Salvemini l’assertore della necessità di potenziare e, se del caso, fondare
l’istruzione popolare, ma insieme anche il patrocinatore dell’esigenza di
sentire, in modo aristocratico, nella libera cultura il valore degli studi secondari
e soprattutto di quelli universitari, quale sbocco per carriere professionali o
direttive e anche, per le une e per le altre insieme, aperte ai migliori studenti e
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diplomati di ogni classe sociale. La riforma Gentile suscitò agli inizi, pur fra
contrasti, forte interesse per le sue istanze strettamente culturali: si pensi solo
all’approvazione manifestata, dietro la sua giovanile esperienza dell’università
tedesca, da Giorgio Pasquali, filologo classico
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;
ma essa ereditava una
situazione didattica assai pesante dalla legislazione dell’Ottocento ( dal Casati
in poi) e dai vari tentativi di riforme dei primi decenni del Novecento.
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È necessario,pertanto, considerare la legislazione scolastica italiana legata
al principio preminente dell’istruzione umanistica e basata sul latino e sul
greco: sua scuola-modello è il ginnasio-liceo, spesso però ancorato sul
privilegio delle classi dominanti ( anche se con apertura ai migliori ingegni
della classe media e della classe popolare). Ricordiamo, infatti, che a tale
scuola superiore si poteva accedere solo e soltanto dopo aver frequentato la
scuola ginnasiale ( chiamata in seguito, dopo il 2° conflitto mondiale, “scuola
media”, [non unificata]) che, a sua volta, poteva essere frequentata solo dopo
aver conseguito la licenza elementare e dopo aver sostenuto e superato, anche
un ulteriore “esame di ammissione” a tale scuola davanti ad una commissione
composta esclusivamente da docenti della medesima scuola. [ Anche in tale
occasione si poteva essere “rimandati a settembre” e sostenere, ancora una
volta, l’esame nella disciplina in cui si era stati rimandati] Qualora non si
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G. Pasquali e P. Calamandrei, L’Università di domani, Foligno 1923 ( per le facoltà di lettere e
filosofia e di giurisprudenza); G. Gentile, la nuova scuola media [ nel valore di “secondaria”], Firenze
1925
2
A. Asor Rosa, La cultura in Storia d’Italia, coordinata da R. Romano e C. Vivanti, vol IV, tomo 2,
Torino 1975
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superava l’esame di ammissione era possibile frequentare solo la “ scuola di
avviamento professionale” della durata di tre anni; alla fine di quegli studi era
vietato, però, frequentare i licei e di conseguenza non era possibile iscriversi a
qualsiasi facoltà universitaria.(prerogativa questa offerta solo a coloro che
provenivano dai licei).
L’amore della tradizione ( e, in essa, è anzitutto la patria, più alla De
Amicis cha alla Mameli) contraddistingue la cultura scolastica italiana con un
irrigidimento che dal nazionalismo romantico ( legato al Risorgimento e ai
suoi ideali umanistici e universalistici) passerà al chiuso nazionalismo
agonistico del primo quindicennio del Novecento ( con relativo “ radioso
maggio” del 1915, discorso dannunziano di Quarto, scavalcamento del
Parlamento ed entrata attiva nel conflitto mondiale) e quindi trascinerà col
fascismo ai trionfi africani dell’impero, tornato sui “ colli fatali” di Roma e
all’intervento legionario in Spagna e poi alla fornace ardente della seconda
guerra mondiale a fianco di Hitler.
In realtà, la riforma Gentile del 1923, nel bene e nel male proseguiva le
tendenze di una matrice letteraria e filosofica e disdegnava le scoperte
moderne delle macchine e della tecnica; comunque trascurava le conseguenti e
necessarie modificazioni da attuare nella scuola di ogni ordine e grado. Dalla
pressoché inesistente scuola materna alle elementari, alle secondarie,
all’università si trattava di rendere democratica la scuola con efficacia sociale,
tale da innovare il tradizionale fattore educativo. Mutamenti vari furono poi
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apportati sotto il fascismo nel tessuto della primitiva riforma Gentile ( questo
ad opera, ad esempio, delle richieste dell’industria e del commercio e perfino,
in un primo tempo, per merito di ministri diversi da quello della Pubblica
Istruzione), ma ciò avvenne soprattutto per la spinta delle cose che urgevano
in un mondo in trasformazione.
Il preludio della riforma, seguita alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922,
è già, a guerra appena ultimata, nel 1919, quando Giuseppe Lombardo-Radice
esaminerà “ la lezione della guerra per la scuola italiana”. Lo scritto, dedicato a
tale problema, venne poi raccolto nei Nuovi saggi di propaganda pedagogica, del
1925, anno cruciale per i diritti di libertà del Paese.
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I mali di prima della guerra ( burocrazia eccedente, impreparazione del
corpo insegnante,proliferazione di scuole inadatte alla società) si ritrovano
nella nuova scuola con supplenti improvvisati o con reduci non aggiornati o
psicologicamente scontenti anche se favoriti dal loro servizio militare: e tanto
meno si applicano norme disadattate da decenni, benché raccomandate da
norme e circolari, quali il coordinamento didattico e l’affiatamento collegiale
dei docenti di ogni ordine di scuole.
I regolamenti miravano a realizzare il mito di un’istruzione classica o,
comunque,( dove non era studio del greco e del latino), retorica nello stesso
campo della lingua e delle civiltà nazionale. Era arduo, se non impossibile, ai
volenterosi aprire la scuola a esigenze che riflettevano la realtà circostante,
3
G. Lombardo-Radice, Accanto ai maestri, Nuovi saggi di propaganda pedagogica, Torino, rist. 1925;
Idem, La riforma della scuola elementare, Vita nuova della scuola del popolo,Palermo,1925
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dalla natura all’industria e al commercio; nemmeno ai pionieri più arditi era
facile tentare in un liceo o in una “normale” ( poi chiamata magistrale, un
termine che richiamava alla mente il Robespierre dell’anno III della
Rivoluzione francese) le innovazioni raccomandate da Aristide Gabelli
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per le
elementari.
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Non era pertanto possibile cercare un progresso tecnologico a scopo
sperimentale in una scuola di Stato e sorgeranno scuole speciali solo per
merito di comuni o società private.
Nella maggioranza dei casi scuole private e scuole confessionali miravano
le une a compiti quasi meramente commerciali (per dare titoli di studio, con le
loro parificazioni, a richiedenti non promossi in scuole pubbliche) e le altre a
scopo di preminente apostolato religioso.
Un’istanza nazionalistica era connessa con una valutazione delle scuola
Quale educatrice di classi sociali dirigenti nel nome della patria e, se possibile,
della fede. In modo particolare coi gruppi di azione per la scuola, del 1921, ad
opera di Lombardo-Radice, e con la sua rivista “ l’Educazione nazionale”( con
propositi moralistici insiti fin dal titolo) all’antico concetto di lotta contro
l’analfabetismo, piaga secolare del Paese, si sostituisce quello di “educazione
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Gabelli Aristide:pedagogista( Belluno 1830 – Padova 1891). Si perfezionò a Vienna nelle
discipline giuridiche. Si trasferì poi a Firenze per non servire nell’esercito austriaco,e quindi a
Milano per dirigervi il Convitto nazionale Longone.Ebbe successivamente incarichi al ministero
della Pubblica Istruzione. Contribuì con i suoi scritti ad una riforma delle scienze morali, al
rinnovamento della scuola italiana:promosse perciò una più larga diffusione delle dottrine
positivistiche applicata alla pedagogia le suo opere: L’uomo e le scienze morali e L’istruzione in Italia.
5
Aristide Gabelli: in E. Catarsi, Storia dei programmi della scuola elementare( 1860-1985),La Nuova
Italia, Firenze 1990, pp.205-219
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del popolo”. Si parla, inoltre,, con rinnovata insistenza, del “ problema delle
classi dirigenti”(in seguito con la base hegeliana delle teorie di Giovanni
Gentile si giungerà a denominare fascisticamente, nel 1929, il discastero
dell’Istruzione come ministero dell’Educazione Nazionale).
2. L’influsso del nazionalismo
L’accentuarsi del nazionalismo nella cultura( strumentalizzando anche
Carducci e D’Annunzio)
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ha il suo corrispettivo in quello che spiritualisti
cristiani hanno definito una specie di restaurazione controriformistica nelle
scuole, dalla Conciliazione in poi. E’ stato per altro detto che perfino le “
scuole di paragone” ( propugnate da Lombardo-Radice) erano realizzate dal
primo dopoguerra dalle scuole cattoliche, le quali uscivano non stremate dalla
belligeranza del Paese, ma rinvigorite nelle loro possibilità di gestione
connesse con ordini e congregazioni. A loro volta i nazionalisti,trionfanti
dopo la vittoria del 4 novembre 1918, per “mutilata” che la si proclamasse nei
rapporti internazionali, cercavano di rinsaldare il mondo burocratico e un
sistema autoritario nella scuola, dove direttori delle elementari, presidi degli
istituti secondari e rettori d’università,tutti imposti dall’alto, si sentivano dei
piccoli “duci”in miniatura,tanto più in divisa fascista.
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E.Codignola: Il problema dell’educazione nazionalein Italia,Firenze, 1930;IDEM, il rinnovamento
spirituale dei giovani,Milano, nuova ed. 1938