Si tratta di un processo ancora in fieri, che però consente, a
mio parere, di intravedere già da ora nuove opportunità per
quell’arcipelago di gruppi di base che dei cosiddetti “nuovi stili di vita”
fa uno strumento di cambiamento concreto “dal basso”.
A questo nuovo scenario di mobilitazione ed alle potenzialità
di sviluppo che esso offre ai movimenti come il commercio equo sarà
dedicato il capitolo successivo. In seguito ci si soffermerà sulle origini
e sullo sviluppo del commercio equo in Europa e in Italia; la terza
parte riguarda gli attori del fair trade: i produttori, le centrali
d’importazione, le botteghe, i consumatori e le organizzazioni di mar-
chio.
Lo sviluppo del commercio equo in questo contesto lascia a-
perti alcuni problemi che saranno trattati nel capitolo conclusivo, ci-
tando direttamente interventi che possano contribuire alla compren-
sione di un dibattito tuttora in corso.
Capitolo primo
NUOVI SCENARI DI MOBILITAZIONE
Negli ultimi dieci anni il termine “globalizzazione” è stato usato
per definire una serie di fenomeni e tendenze diverse e non necessa-
riamente omogenee. L’infittirsi della rete di relazioni che lega in modo
sempre più stretto le aree più lontane del pianeta ha risvolti culturali,
ad esempio il predominio dei valori culturali occidentali sulle tradizio-
ni locali; economici, come la de- nazionalizzazione dei mercati finan-
ziari e l’affermazione di imprese transnazionali; politici, come lo spo-
stamento dei centri decisionali al di fuori dei confini degli stati e un
rapporto fra istituzioni politiche e imprese transnazionali estrema-
mente squilibrato a favore delle seconde. Tutti e tre questi aspetti (e
sono solo alcuni) mettono in gioco, direttamente o indirettamente, i
meccanismi di mobilitazione della cosiddetta “società civile”.
Gli esempi più evidenti sono la nascita di movimenti locali di re-
sistenza che lottano per difendere un’identità culturale o un equilibrio
economico da cambiamenti percepiti come emarginanti, e
l’attivazione di iniziative di solidarietà su temi che non riguardano un
ambito d’azione locale, come la difesa di diritti di popolazioni lontane:
da un lato l’apertura dei mercati fornisce alla “società civile” nuovi fo-
cus su cui mobilitare le proprie risorse, dall’altro la sempre più inten-
sa circolazione di informazioni amplia le prospettive di impegno e di
cooperazione.
L’azione dei dimostranti che hanno contribuito al fallimento del
Millennium Round della WTO, nel dicembre 1999, è un esempio elo-
quente: quelli che sono stati frettolosamente definiti “movimenti con-
tro la globalizzazione” si sono valsi proprio dei vantaggi
dell’integrazione globale delle comunicazioni per attivare i contatti
necessari a mettere in scena la performance di Seattle, radunando
per via telematica una popolazione variegata per provenienza e inte-
ressi politici.
La globalizzazione influisce quindi sui modelli di mobilitazione,
da un lato mettendo in discussione interessi sui quali possono coa-
lizzarsi forme di resistenza o di solidarietà diverse per provenienza
geografica e matrice ideologica: il successo della manifestazione di
Seattle è stato favorito dall’ampiezza delle questioni toccate dai ne-
goziati dell’OMC, dalla deregulation degli scambi commerciali
all’ingegneria genetica, che ha portato in piazza un campionario as-
sortito di sensibilità politiche. Dall’altro, proiettandone l’attività su
scenari più ampi, fa in modo che le organizzazioni di base si attrezzi-
no per la raccolta del consenso e delle adesioni necessarie per dar
corpo ad una mobilitazione adeguata alla dimensione “globale” delle
questioni in campo. Lo sviluppo di una più o meno accentuata di-
mensione transnazionale fa emergere tratti identitari comuni, che
permettono a soggetti diversi di cooperare efficacemente superando
le diversità.
Va sottolineato come, almeno finora, la “globalizzazione delle
resistenze
3
” non abbia dato luogo a movimenti transnazionali para-
gonabili per articolazione organizzativa e disponibilità di risorse ai
grandi operatori economici ed alle istituzioni sovranazionali (WTO,
FMI, Banca Mondiale) contro le quali i manifestanti si scagliano: la
tendenza attuale (e non potrebbe essere altrimenti) è quella di attiva-
re una fitta rete di contatti che colleghi il maggior numero possibile di
soggetti capaci di mobilitazione a livello locale.
In questo scenario mantengono un ruolo di primo piano i movi-
menti che hanno consolidato uno status transnazionale (Greenpea-
ce, Friends of the Earth, Amnesty International, Organizzazioni Non
Governative di vario genere). Si può dire che queste organizzazioni
abbiano avuto un’esperienza precoce della globalizzazione del con-
fronto politico. La conseguenza più visibile è stata una crescente
formalizzazione delle strutture, resa necessaria da esigenze logisti-
che, ma anche dalla necessità di stabilire rapporti di cooperazione
con le istituzioni politiche sovranazionali, dall’ONU in giù (e quindi di
essere formalmente riconosciuti come interlocutori, promotori di pro-
getti e destinatari di finanziamenti). Una “burocratizzazione” che tut-
tavia non ne ha intaccato la natura reticolare né la propensione a
3
Per questa definizione cfr. Houtart, Polet, 2000.
forme d’azione non convenzionali, anche se per lo più non- violente.
Inoltre l’esperienza acquisita ha determinato un’evoluzione a livello
ideologico dell’approccio alle questioni politiche: più realista e prag-
matico, non orientato a trasformazioni politiche violente ma piuttosto
all’azione esemplare mirante alla sensibilizzazione (Della Porta,
Kriesi, 98).
Accanto a queste organizzazioni crescono attori meno formaliz-
zati, molti dei quali hanno un numero di militanti esiguo, una limitata
disponibilità di risorse, un raggio d’azione esclusivamente locale. Il ci-
clo di mobilitazione che in Seattle ha il suo riferimento simbolico sem-
bra prefigurare l’affermazione di un modello che mette al centro que-
sti soggetti, valorizzandone la disponibilità ad attivare rapporti di rete.
In un panorama di questo genere le stesse gerarchie fra i sog-
getti della rete sono tutt’altro che scontate. Non è detto, cioè, che
siano il numero di militanti o l’esperienza o la solidità organizzativa a
dare l’ultima parola alle organizzazioni “storiche”: accanto alla dispo-
nibilità di risorse e di adesioni cresce l’importanza della qualità e
quantità di informazioni e contatti attivabili su cui ogni attore può con-
tare. Le reti informatiche, rendendo le comunicazioni più rapide ed
alla portata di soggetti con scarsa disponibilità di risorse, hanno ac-
cresciuto l’influenza e la “competitività” di gruppi più piccoli e informa-
li.
* * *
Nel precedente paragrafo abbiamo accennato ad alcune ricadu-
te della globalizzazione sui temi e sulle modalità operative che carat-
terizzano i cicli di mobilitazione della società civile organizzata, con
particolare riguardo alle maggiori opportunità di partecipazione incisi-
va che il modello che si va affermando offre a realtà poco formalizza-
te e “povere” di risorse.
Abbiamo anche fatto cenno alla manifestazione di Seattle con-
tro l’Organizzazione Mondiale del Commercio come riferimento sim-
bolico di un intero ciclo di mobilitazione.
Ripercorrendo in sintesi alcune tappe del percorso che ha por-
tato a questo evento, cercheremo spunti per qualche valutazione che
vada al di là delle semplificazioni interpretative cui la manifestazione,
proprio in quanto simbolica, si è prestata. In particolare ci sofferme-
remo su alcuni degli strumenti che, rispondendo all’esigenza di coin-
volgere una “massa d’impatto” adeguata alla dimensione globale dei
processi ai quali il movimento si oppone, hanno “preparato il terreno”
offerto spazi d’impegno e di protagonismo a soggetti abituati ad un
agire politico più “silenzioso”, come quelli che prenderemo in esame
più avanti.
I “controvertici” sono da diversi anni fra le più tipiche forme di
protesta della società civile organizzata: centinaia di associazioni,
gruppi e ONG si riuniscono in occasione degli incontri delle istituzioni
economiche internazionali. Alcuni esempi
4
.
Il “Cerchio dei popoli” è un cartello di associazioni internazio-
nali costituitosi in concomitanza con il vertice del G7 a Napoli (1994).
Con la collaborazione di “The Other Economic Summit”, che da anni
organizza controvertici in tutto il mondo, ha riunito un vertice simboli-
co dei “sette poveri” del pianeta con il compito di elaborare
un’agenda alternativa dei problemi economici mondiali.
L’Assemblea dei Popoli delle Nazioni Unite, promossa a Pe-
rugia dalla “Tavola della Pace” (un cartello di associazioni ed enti lo-
cali), è stata convocata per la prima volta nel 1995, in occasione del
cinquantesimo anniversario dell’ONU, per discutere della riforma del-
le istituzioni sovranazionali. La seconda Assemblea, nel 97, ha riuni-
to 200 esponenti della società civile internazionale per confrontarsi
sull’economia globale, mentre la terza (99) si è concentrata su “i
nuovi soggetti del cambiamento” e sulla costruzione di una “società
civile globale”. Un percorso che ha fornito un quadro d’insieme delle
iniziative realizzate da centinaia di soggetti che in tutto il mondo lavo-
rano per un modello alternativo di relazioni economiche internazionali.
4
Pianta, 99.