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PARTE I: LA RESPONSABILITA’ PRECONTRATTUALE IN
AMBITO ECONOMICO
CAPITOLO 1
LE CARATTERISTICHE DELL’ANALISI ECONOMICA DEL
DIRITTO E LE SUE ORIGINI
1.1 ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO: PROFILI GENERALI
L’analisi economica del diritto è ciò che l’espressione sottintende,
ossia la valutazione del complesso di norme, sentenze e quant’altro
si vuole indicare con il termine “diritto”, mediante l’uso di strumenti
economici; essa non ha per oggetto solo la norma già emanata o in
fieri, ma anche gli effetti di provvedimenti giuridici. Anzi, la
valutazione prospettica degli effetti di un certo tipo di regola giuridica,
piuttosto che di un’altra, costituisce proprio la motivazione per la
quale si è sentito il bisogno di utilizzare strumenti economici per
studiare il diritto. L’analisi economica del diritto si basa sulla comune
assunzione economica che gli individui sono massimizzatori
razionali, e studia il ruolo del diritto come mezzo per variare i prezzi
relativi connessi a comportamenti alternativi dei soggetti del diritto.
Secondo questo approccio, una variazione della regola di diritto
condizionerà i comportamenti umani alterando la struttura dei prezzi
– e quindi - il vincolo del problema di ottimizzazione affrontato dai
vari soggetti. La massimizzazione della ricchezza, fungendo da
paradigma per l’analisi del diritto, può quindi essere stimolata o
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vincolata dalle regole di diritto. Uno degli effetti dell’incorporazione
dell’economia nello studio del diritto è stato quello di trasformare
irreversibilmente la metodologia giuridica tradizionale: le norme di
legge hanno cominciato ad essere studiate come un sistema attivo –
un chiaro cambiamento rispetto alla tradizione Langdelliana, che
faceva affidamento quasi esclusivamente sull’autonomo modello
dell’analisi casistica e della classificazione, considerando la legge
poco più che un meccanismo di riempimento. L’economia fornisce il
rigore analitico necessario per lo studio del vasto campo normativo
presente in un moderno sistema giuridico e compito del giurista che
voglia procedere secondo questa impostazione è quello di ricondurre
le categorie giuridiche ad un’unica categoria base giuridico –
economica, detta di entitlement, nel cui ambito ciascun individuo
potrà massimizzare la propria utilità (1). L’analisi economica del
diritto si prefigge lo scopo di compendiare l’esigenza di una
valutazione del fenomeno giuridico sotto la lente del ricorso a modelli
teorici e metodologici propri della scienza economica; alla base di
tale approccio vi è il celeberrimo scritto di Ronald Coase del 1960
sulla questione del costo sociale, l’articolo “The problem of social
cost”, nel quale esso formula quello che è stato definito il “teorema di
Coase” (2).
(1) GISELLA PIGNATARIO, Buona fede oggettiva e rapporto giuridico
precontrattuale, Napoli, Edizioni Scientifiche italiane, 1999.
(2) RONALD H. COASE, The Problem of Social Cost, Journal of Law and
Economics (1960).
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Quest’ultimo ha ribaltato la prospettiva di Pigou relativamente al
concetto di esternalità , ritenendo che le conseguenze negative di
essa – lungi dal costituire una giustificazione dell’intervento pubblico
(come sostenuto da Pigou) – possano essere corrette ad opera dello
stesso meccanismo concorrenziale, purché le parti siano lasciate
libere di contrattare (ossia non vi siano transaction costs) (3) i loro
diritti di proprietà. Se i diritti di proprietà sono, quindi, ben definiti e
liberamente trasferibili, nonché i costi di transazione trascurabili, il
sistema delle contrattazioni sul libero mercato porta a soluzioni
efficienti, indipendentemente dalle modalità con cui sono assegnati
dall’ordinamento i diritti di proprietà. Da questa impostazione
discende che lo strumento migliore per l’implementazione
dell’efficienza allocativa è costituito dal diritto privato, e non dal diritto
pubblico, anzi si sostiene il primato allocativo del common law
definito come “diritto dei giudici”, frutto dell’interazione tra attori,
convenuti, giurie e giudici, sullo “statute law” creato dall’alto e frutto
della scelta di organi politici rappresentativi, troppo spesso soggetti
alle pressioni delle lobby clientelari.
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(3) I transaction costs sono riconducibili a molteplici fattori causali, quali
l’esigenza di aggregare numerose persone ai fini di una contrattazione
efficiente, la sussistenza di escludere i free loaders, ossia i soggetti che
vorrebbero trarre vantaggio dall’accordo senza divenirne parti e sostenere
gli oneri), la sussistenza di un consumo di risorse necessario per l’accordo,
l’impossibilità a contrattare da parte di alcuni soggetti, condizioni di
monopolio bilaterale e tutte le situazioni nelle quali l’attività economica
comporta elevati costi se lasciata solo allo strumento dell’accordo
volontario.
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Anche nella visione di Coase, però, non si può non riconoscere un
ruolo fondamentale all’attore pubblico, il quale ha il compito di
assicurare al mercato un corretto processo di definizione dei diritti e
di tutela dei medesimi da comportamenti illeciti, anche mediante
regole di responsabilità (4).
La c.d. “law and economics”, così viene definito il filone di ricerca che
mira all’integrazione di analisi economica e analisi giuridica, valuta
ed interpreta le norme giuridiche sulla base di un computo
matematico dei costi e dei benefici e dunque del contributo che sono
in grado di arrecare al miglioramento dell’efficienza complessiva del
sistema: da ciò discende che il “giuseconomista” non concepisce
l’ordinamento come un complesso di precetti, ma come un insieme di
incentivi e disincentivi rivolti ai consociati.
Tale filone interpretativo pone al centro dell’analisi i concetti chiave
della moderna teoria economica: razionalità ed efficienza. La prima
definisce la chiave di lettura dei comportamenti individuali, visti come
il frutto di scelte coerenti ed intenzionali; la seconda definisce un
criterio di decisione pubblica incentrata sulla congruenza dei mezzi
rispetto ai fini pubblici prefissati.
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(4) RONALD H. COASE, Impresa, mercato e diritto, Società Editrice Il Mulino,
2006.
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L’analisi che ne consegue tende a percepire il diritto come un
sistema di norme in grado di orientare i comportamenti individuali
verso obiettivi condivisi: tali comportamenti sono visti come il risultato
di un calcolo individuale rispetto alle conseguenze dei diversi corsi di
azione possibile, ed è proprio in tal senso che l’analisi economica del
diritto (AED) tende a rappresentare gli individui come attori strategici,
pronti a rispondere al sistema normativo come più loro conviene.
1.2 ORIGINI E STORIA DELL’ANALISI ECONOMICA DEL DIRITTO
I primi anni nello sviluppo dell’analisi economica del diritto furono
caratterizzati dalla difficoltà di alcuni giuristi tradizionali ad accettare
la nozione di massimizzazione della ricchezza come un paradigma
sussidiario di giustizia.
Nonostante molte delle differenze siano a posteriori risultate
terminologiche, due ostacoli continuano ad affliggere il dibattito.
Il primo è legato alla necessità di specificare un complesso iniziale di
entitlements o diritti, come necessario prerequisito per rendere
operativa la massimizzazione della ricchezza.
Il secondo scaturisce dalla difficoltà teoretica di definire l’esatto ruolo
dell’efficienza come ingrediente della giustizia, in raffronto con altre
finalità del diritto e ad altri scopi sociali.
L’analisi economica del diritto si sviluppa nei paesi di cultura
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angloamericana, ossia negli ordinamenti di common low (5), questo
perché essi sono caratterizzati da una maggiore “duttilità” rispetto a
quelli basati sulla tradizione romanistica, ciò che consente loro di
attingere da altri ordinamenti gli strumenti conoscitivi, ma anche di
essere orientati più verso il mercato che verso lo Stato (6). Lo Stato
amministrativo si sviluppa tardi e non completamente, l’assenza di
una grande tradizione di codificazione fa sì che si sviluppi una
regolazione amministrativa incentrata sulle autorità amministrative
indipendenti. Negli anni ’70, nel Regno Unito, già si comincia a
parlare di regulatory failure, di fallimento della regolazione). Il
movimento della law and economics è forse l’esempio di maggior
successo della recente tendenza ad applicare l’economia in aree che
prima erano considerate estranee al campo dell’analisi economica.
L'avvio dello studio di questo nuovo metodo si deve particolarmente
a Ronald Coase, docente all'Università di Chicago, che nel 1960
formula una tesi poi definita «teorema di Coase» dalla quale si
sviluppa poi tutta la letteratura anglo-americana in materia. Si tratta
di una tesi che discute la «indifferenza» delle norme giuridiche che
operano un determinato assetto degli interessi alle valutazioni
economiche,
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(5) si veda G. Chiassoni, Analisi economica del diritto e teorie economiche:
un inventario di strumenti, in G. Alpa.
(6) nel Regno Unito, per esempio, quasi non esiste una storia antica
dell’intervento pubblico nell’economia, perlomeno fino al rinascimento,
periodo in cui i mercati sono regolamentati, ma si tratta di una forma di
autoregolamentazione da parte di corporazioni (guilds).
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se quelle norme giuridiche di per sé realizzano l'efficienza; o, più
semplicemente, l'indifferenza dell'assetto degli interessi tra privati,
realizzato da norme giuridiche, quando questo assetto rispecchia l'e-
sigenza di assicurare la massima efficienza e un uso razionale delle
risorse.
Ne nasce una autentica «rivoluzione» nell'analisi del diritto, dal mo-
mento che il perseguimento dell'efficienza economica comporta la
predisposizione di precise scelte sia a livello legislativo, sia a livello
di applicazione giurisprudenziale.
L’andamento storico dell’anali economica del diritto dimostra come
dagli anni ’70 abbia visto il numero di studiosi che ad essa si
dedicavano, crescere smisuratamente, soprattutto negli Stati Uniti: al
lavoro dei giuristi di formazione si affianca quello degli economisti, tra
i quali spicca il nome di Stenev Shavell, di Harvard, il quale ha
definito le fondamenta di gran parte dei modelli utilizzati nell’AED.
Nonostante l’analisi economica del diritto sia diventata campo
autonomo di ricerca negli Stati Uniti, si deve precisare come sia in
Europa che si possono rintracciare i suoi maggiori precursori: ci si
riferisce al lavoro di Adam Smith sugli effetti economici della
legislazione (1776) e alla teoria di legislazione e utilitarismo di
Jeremy Bentham (1782 e 1789).
I primi studi riguardavano il diritto societario, il diritto tributario e il
diritto della concorrenza, ma negli anni ’60 grazie al contributo di
Ronald Coase e di Guido Calabresi,
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si sottolineò l’influenza dell’economia in tutte le aree del diritto (7) . Si
possono identificare tre grandi movimenti nello sviluppo della
disciplina, che si susseguono e si intersecano a più riprese. Nel
primo movimento, in cui primeggia la scuola di Chicago, il diritto
viene letto alla luce della teoria economica dei mercati concorrenziali;
l’analisi economica del diritto viene definita come un’applicazione
della “teoria dei prezzi” al diritto. Il secondo movimento dà maggiore
enfasi ai fattori istituzionali alla base dei mercati, focalizzando
l’attenzione sui “costi di transazione”, ovvero i costi legati al
funzionamento dei mercati. In questo ambito è molto forte l’influsso di
Oliver Williamson e della scuola di Berkley: si riprendono e
sviluppano le prime intuizioni di Coase sull’impresa come alternativa
al mercato e si studiano i problemi legati alle relazioni di lungo
periodo che richiedono investimenti specifici delle parti. Il terzo
movimento risente degli sviluppi più recenti della teoria economica, in
cui la nozione di asimmetria informativa fornisce una chiave di lettura
dei fenomeni economici ed è individuata come principale fonte dei
costi di transazione. Si mette a fuoco il concetto fondamentale di
contratto incompleto, da cui nascono nuovi modi di interpretare le
“norme”, da quelle costitutive a quelle implicite nelle relazioni di lungo
periodo; lo strumento analitico di riferimento diventa non più la teoria
dei mercati concorrenziali, ma la teoria dei giochi.
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(7) un grande contributo al successo delle ricerche di analisi economica del
diritto è venuto dalla fondazione di riviste specializzate, la prima delle quali
– il Journal of Law and Economics – fu fondata nel 1958 all’Università di
Chicago.
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1.3 APPROCCI POSITIVI E NORMATIVI NELL’ANALISI
ECONOMICA DEL DIRITTO
Le origini delle scuole di analisi economica del diritto di Chicago e di
Yale sono attribuibili ai primi lavori di Ronald Coese e Guido
Calabresi nei primi anni sessanta: mettendo a confronto il lavoro di
questi due padri fondatori dell’analisi economica del diritto, vengono
alla luce importanti differenze metodologiche con differenze pratiche
sostanziali.
La scuola di Chicago pose molte delle sue basi sul lavoro portato
avanti da Richard Posner negli anni settanta; una importante
premessa dell’approccio di tale scuola è l’idea che la common law
sia il frutto di uno sforzo di generare regole efficienti. Questa
premessa è nota come “efficiency of the Common law hypothesis”:
secondo questa ipotesi, avanzata per la prima volta da Coase (1960)
e più tardi sistematizzata ed estesa da Ehrlich e Posner (1974),
Rubin (1977) e Priest (1977), le regole di Common law cercano di
allocare le risorse secondo il criterio di efficienza di Pareto o di
Kaldor-Hicks. Ancora, secondo la scuola positiva, le regole di
Common law hanno un vantaggio comparativo rispetto ai sistemi di
Civil law e alle regole di produzione legislativa nell’adempiere a
questo compito, dovuto alla selezione evolutiva delle regole di
Common law attraverso il giudizio.