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Introduzione
Ho avuto modo di trattare ed approfondire la questione della digitalizzazione del
patrimonio culturale e delle biblioteche digitali per la prima volta durante il mio
erasmus in Spagna. Ad introdurmi e farmi appassionare all’argomento è stata la
professoressa Maria Angela Celis, docente di Humanidades e información presso
l’Univerdidad de Castilla la Mancha in Albacete. Le prime ricerche (tra cui la
partecipazione alla presentazione del testo Elogio del texto digital avvenuta presso
la libreria Rafael Alberti di Madrid il 7 marzo 2012 e tenuta da Josè Maria Lucia,
autore del libro, docente di Filologia Romanica presso l’Universidad Complutense de
Madrid ed esperto di critica testuale) per effettuare questo lavoro sono state quindi
svolte in Spagna. Una volta tornata in Italia ho trovato nel Professor Fiormonte,
docente del corso di Forme e generi della testualità digitale, tutto l’appoggio
necessario per continuare la mia ricerca.
Obiettivo di questo lavoro è analizzare i maggiori progetti di digitalizzazione del
patrimonio culturale in alcuni paesi europei particolarmente rilevanti per la
questione.
A livello amministrativo, culturale etc… gli open data e la digitalizzazione si
pongono ai giorni nostri come ausili fondamentali ed è chiaro che la sfida più
importante della digitalizzazione al momento è come interfacciarsi alla vita e alla
soggettività del cittadino e dell’utente finale. Ho analizzato quindi, oltre alle
prospettive e alle problematiche tecniche della digitalizzazione anche l’aspetto
dell’utente finale inteso non solo come un’utente qualsiasi ma anche come
ricercatore.
Per effettuare questo lavoro ho avuto modo di partecipare a due conferenze (oltre che
alla presentazione del libro di Rafael Alberti sopracitata):
Il testo è mobile, studiare la letteratura dopo i nuovi media”, conferenza tenuta
presso l’Università degli studi di Roma 3, il 10 gennaio 2012
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Cultural Heritage on line, Trusted Digital Repositories & Trusted Professionals.
International conference. Tenutasi a Firenze l’11 e il 12 dicembre 2012.
La tesi è suddivisa in tre capitoli:
Nel primo capitolo comincio con il definire cosa si intende per digitalizzazione del
patrimonio culturale. Spiegando poi la necessità di una rimediazione necessaria che
chi si occupa di heritage nei giorni nostri deve fare. Acquisita questa prospettiva si
parla successivamente della virtualizzazione delle istituzioni culturali prima
attraverso una breve storia fino ad arrivare allo scenario attuale nel quale, si vedrà, è
richiesto un cambiamento sostanziale di mentalità e di organizzazione per le
istituzione dell’heritage
Il secondo capitolo, dal titolo “il problema della digitalizzazione degli artefatti
culturali”, è decisamente più tecnico e prende in esame tutte le difficoltà e le
preoccupazioni presenti circa la digitalizzazione dei documenti (intesi non solo come
testi ma anche come manoscritti, documenti d’archivio, fotografie, quadri, oggetti
museali, di arte, di architettura ecc.). Come si vedrà nel corso del capitolo le
difficoltà principali riguardano la codifica di tali documenti e la possibilità che con il
passare del tempo questi si deteriorino o addirittura scompaiano. Il capitolo comincia
con lo spiegare cosa vuol dire digitalizzare un documento (con particolare attenzione
verso i manoscritti). Acquisiti questi concetti si cominciano ad esaminare nel
dettaglio quali sono le reali problematiche del digitale, prima tecnologiche (per
questo un paragrafo sarà interamente dedicato ai medatada e alle sue problematiche
interpretative) e poi politiche.
Inteso il funzionamento dei metadata si passerà ad analizzare la loro relazione con le
biblioteche digitali ed infine verrà spiegata la procedura di catalogazione in una
biblioteca digitale.
Il terzo capitolo è quello il più importante del mio lavoro ed è quello che ha richiesto
maggior lavoro di ricerca e di interpretazione personale dei dati raccolti. Il titolo
parla da sé: Le biblioteche digitali e i grandi progetti pubblici.
Dopo essermi fatta spazio tra le varie definizioni presenti sul concetto di biblioteca
digitale passo ad analizzare le biblioteche 2.0, fondamentali in quanto mettono al
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centro del loro operato l’utente e la condivisione attraverso strumenti social del loro
contenuto.
L’ultima parte del capitolo si concentra sull’analisi di quattro progetti pubblici molto
importanti a livello europeo: la Biblioteque Numerique Gallica per la Francia, la
Biblioteca virtual Miguel de Cervantes per la Spagna, la Deutsche digitale Bibliotek
per la Germania e la Biblioteca Italiana per l’Italia.
Per tutte queste biblioteche sono stati analizzati i seguenti aspetti: numero di opere
contenute, tipo di contenuti digitalizzati (tipologia, tipo di codifica utilizzata,
certificazione di qualità della fonte digitalizzata), strumenti e modalità di ricerca,
servizi web e 2.0, partners e collezioni esterne, ulteriori fonti di finanziamento.
Un’ultima parte di questo lavoro verte poi sull’analisi di Europeana, grande
contenitore della maggior parte dei documenti digitalizzati presenti a livello europeo.
Questo lavoro nasce dunque come un prodotto di ricerca, di osservazione, di studio e
di comparazione attraverso la prospettiva non solo dell’umanista digitale, ma anche
dell’utente finale e si propone di essere, tra le altre cose, uno strumento per la nascita
di qualche spunto di riflessione sulla situazione attuale.
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1. II PATRIMONIO CULTURALE DIGITALE
1.1. Cultural Heritage
Con il termine cultural heritage – letteralmente “eredità culturale” – viene tradotto in
patrimonio culturale.
Il patrimonio culturale è l’insieme di cose, dette più precisamente beni, che per
particolare rilievo storico culturale ed estetico sono di interesse pubblico e
costituiscono la ricchezza di un luogo e della relativa popolazione.
Secondo la definizione fornita dall’UNESCO durante il corso della Conferenza
Generale di Parigi del 2003:
“ Si intendono per ‘patrimonio culturale immateriale’ pratiche, rappresentazioni,
espressioni, conoscenze e sapere – così come gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e
gli spazi culturali associati ad essi – che le comunità, i gruppi e, in alcuni casi, gli
individui riconoscono come facenti parte del loro patrimonio culturale. Tale
patrimonio culturale intangibile, trasmesso di generazione in generazione è
costantemente ricreato dalle comunità e dai gruppi interessati in conformità al loro
ambiente, alla loro interazione con la natura e alla loro storia, e fornisce loro un
senso di identità e continuità, promuovendo così il rispetto per la diversità culturale
e la creatività umana”
1
L’articolo 2 della convenzione, oltre a darci la definizione sopracitata, afferma anche
che il patrimonio culturale immateriale si manifesta attraverso cinque ambiti
dell’attività umana:
Tradizioni e espressioni orali, incluso il linguaggio, intesi come veicolo del
patrimonio culturale intangibile;
1
La definizione si trova all’interno della “Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale” stilata dal
Comitato Esecutivo durante la conferenza di Parigi del 2003. E’ possibile trovare il resoconto completo della
conferenza al sito:
<http://www.patrimoniounesco.it/beniimmateriali/documenti/convenzioneparigi2003.pdf>
9
Arti dello spettacolo;
Pratiche sociali, riti e feste;
Conoscenza e pratiche concernenti la natura dell’universo;
Artigianato tradizionale.
Per ognuno di questi ambiti l’UNESCO propone programmi specifici di
salvaguardia incoraggiando i Paesi Membri ad adottare misure legali, tecniche,
amministrative e finanziarie poiché si istituiscano dei dipartimenti per la
documentazione del loro patrimonio culturale immateriale.
1.2 Rimediazione e patrimonio digitale
“ Con l’eclissi delle forme estetiche e politiche del Novecento non si assiste, nel
ventunesimo secolo, a un “ritorno” all’autorità del passato – così come è una favola,
sia detto per inciso, quella del “ritorno” della centralità culturale e della scrittura in
Internet. Si realizza invece uno spostamento, o meglio un decentramento del motore
e della struttura della memoria. L’ heritage, trasmesso e mediato con le tecnologie
digitali, che conservano gli oggetti ri/creandone degli avatar immateriali, diventa
digital heritage: un ambiente virtuale, dove più che con la meditazione di oggetti,
testi e immaginari del passato, siano alle prese con la ri/mediazione - termine che
utilizzeremo per alludere ad una gamma assai larga di possibilità produttive,
conoscitive e creative compresenti e interagenti che vanno dalla riproduzione alla
traduzione alla transcodifica alla ri/immaginazione e re/invenzione”.
2
Questo concetto, espresso da Bolter nel suo popolare saggio Remediation,
understanding new media
3
sta a significare che i nuovi media rimodellano quelli
2
Capaldi Donatella, Ilardi Emiliano, Ragone Giovanni, I cantieri della memoria, digital Heritage e istituzioni
culturali, Napoli, Liguori editore, 2011. p.7
3
Bolter J.D, Grusin R., Remediation – Understanding New Media, First Edition, MIT Press, 2000
10
vecchi che, a loro volta si trovano costretti a riproporsi in nuove forme per adattarsi
al cambiamento dell’ambiente mediale, per questo, chi si occupa nei giorni nostri di
heritage deve necessariamente entrare a far parte di un mondo nuovo dove la
ri/mediazione è protagonista.
Quali sono le differenze tra questa nuova ri/mediazione e quelle avvenute fino ad
ora?
La dimensione esplosiva del patrimonio digitale accessibile
La convergenza di piani quali immagini fisse e in movimento, suoni e testi negli
ambienti virtuali che, sempre quasi totalmente, sono caratterizzati da una dimensione
ipertestuale.
Base connettiva della produzione in cui i sistemi tradizionale della mediazione
io molti (massmedia) e io tu (conversazione privata) convivono con un sistema
nuovo e reticolare di comunicazione in cui ogni nodo è potenzialmente accesibile.
Questi tre aspetti contribuiscono fondamentalmente a rendere possibile una nuova
attività rimediatrice.
Alla luce di ciò possiamo quindi affermare che:
Il digital heritage è un archivio immenso, più o meno accessibile, interrogabile,
preservabile; ma ancor meglio un ambiente/memoria vivente, dove compiere
esperienze generate da interazioni audio visuali tattili e testuali.
4
Questo “fenomeno” va considerato in primis come un aspetto della rivoluzione
economica, sociale e culturale cominciata verso la fine del ventesimo secolo e la sua
nascita ed evoluzione non può essere capita se non la si contestualizza nel quadro di
produzione informazionale e globalizzante in cui si manifesta e in cui l’informazione
viene trasformata grazie alle nuove tecnologie digitali e soprattutto viene trasmessa
4
Capaldi Donatella, Ilardi Emiliano, Ragone Giovanni, I cantieri della … op.cit., p.9
11
tramite il web e la sua infrastruttura ipertestuale ce connette gli archivi digitali tra
loro permettendo così di sviluppare nuovi prodotti e servizi.
Alla luce di ciò è fondamentale capire e reinterpretare il lavoro dell’umanista non
attenendoci ad una versione “standard” di rappresentazione e conservazione del
patrimonio ma estendendola al vasto mondo del digitale.
La Dichiarazione universale del diritti dell’uomo del 1948 recita :
“Ogni individuo ha il diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della
comunità, di godere delle arti e partecipare al progresso scientifico ed ai suoi
benefici”
5
Considerando quindi di prendere parte alla vita culturale come un diritto
fondamentale dell’uomo è necessario prendere atto della attuale imprescindibilità
dalla possibilità per ognuno di accedere al patrimonio culturale attraverso le
tecnologie informatiche off/on line.
Il termine “accessibile” rientra nel suo significato linguistico rimandando a qualcosa
di raggiungibile, a cui è possibile accedere. In questa ottica si parla comunemente di
contenuti culturali accessibili e di accesso ai contenuti culturali come diritto
fondamentale dell’individuo. La soddisfazione di tale diritto implica l’accesso al
patrimonio culturale tramite le possibilità offerte dalle tecnologie per la sua
conservazione, accesso e diffusione. Nel mondo della rappresentazione e
digitalizzazione del patrimonio culturale i testi occupano un posto centrale insieme
risorse come manoscritti, documenti d’archivio, fotografie, quadri, oggetti museali,
oggetti d’arte e di architettura.
Gli istituti di conservazione hanno avviato numerosi progetti finalizzati a verificare
la situazione delle raccolte digitali nelle biblioteche, negli archivi nei musei e nel
settore delle arti, con l’obiettivo di comprendere lo stato dell’arte in materia e
5
Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo, Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Risoluzione 217 A
(III) del 10 dicembre 1948.
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rilasciare buone pratiche per la salvaguardia del patrimonio culturale nella sua
versione digitale.
1.3 La virtualizzazione nelle istituzioni culturali
Se fino alla fine degli anni ’80, prima della rivoluzione digitale, la memoria storica
era racchiusa nelle grandi istituzioni (statali, politiche…), oggi le istituzioni
tradizionali della memoria stanno affrontando un processo di trasformazione
radicale.
Il cambio di paradigma comincia ad avvenire subito dopo la seconda guerra
mondiale, con la radio, il cinema, la televisione, ecc. Le nuove arti visive che si
incamminano sulla strada della performance audio video, forniscono all’utente
enormi possibilità di documentazione e contestualizzazione di autori, opere, oggetti
e ambienti antichi e moderni offerte dalla fotografia e dal documentario. La svolta
decisiva avvenne poi negli anni ’90 con l’industria della comunicazione,
l’economia dell’informazione, i new media, lo sviluppo intensivo delle ICT ed i
servizi telematici.
Fu così che nelle istituzioni culturali nacque la catalogazione informatica, l’inizio
di una locale comunicazione digitale e una crescente cultura e valorizzazione
dell’heritage, che portò a vedere luoghi e dei musei come risorsa economica, ed a
considerare la ri/mediazione come un’operazione indispensabile per promuovere a
livello turistico i patrimoni artistici e culturali. L’effetto è una perdita di centralità
delle classiche forme delle istituzioni culturali e del loro modo tradizionale di
comunicare.
Con il nuovo secolo l’industria culturale è integrata perfettamente nel cyberspazio
digitale. “La convergenza tra le reti, i sistemi della comunicazione, i media, ma
anche il diffondersi a livello di massa di un internet by doing permettono a milioni
di attori in Internet di diventare anche produttori di contenuti e di simboli in
ambienti di interazione. Università, fondazioni, musei, (biblioteche), possono
poggiarsi su contenuti prodotti dalla digitalizzazione e su materiali prodotti
direttamente in digitale. Ma anche essere reinventati, parzialmente o
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sostanzialmente. Diventare istituzioni che esercitano la loro attività
prevalentemente o parzialmente in ambienti digitali”
6
.
Questa rivoluzione tecnologico-culturale ha dato il via ad una crisi dell’idea
tradizionale di apprendimento come “travaso di conoscenze” e ha fatto emergere
un nuovo modello di relazioni tra apprendimento, conoscenze e lavoro incentrato
sulla possibilità di avere a che fare con molte diversificate esperienze: ricercare,
sintetizzare, insegnare, cooperare in rete… .
Frequentemente, visitando un museo o frequentando un corso universitario ci
troviamo oggi in una situazione poco lineare, quasi schizofrenica: tecnologie e
pratiche digitali fluttuano intorno a noi come una presenza potenziale che però si
fonde solo parzialmente con i luoghi.
La causa fondamentale di questo problema è che i contesti e i codici delle
istituzioni, anche quando esse fanno uso di tecnologie digitali, tendono a non
esprimersi con i linguaggi del visitatore/studente/ ”cliente finale”, che sono quelli
della ri/mediazione ovvero i linguaggi prevalentemente audio visuali di internet. A
causa di questo processo la funzionalità sociale e culturale delle istituzioni può
venire minata e si apre la possibilità che a causa della pressione delle esigenze di
conoscenza e costruzione di milioni di attori si finisca per ridisegnare altre vie o
addirittura istituzioni radicalmente nuove.
Qui entra in gioco il digital heritage.
Come sostiene Giovanni Ragone
7
è probabile che le istituzioni saranno ridisegnate
dagli attori stessi del digital heritage, vari tipi di attori, o alleanze tra vari tipi di
attori, e diventeranno ambienti in omeostasi con l’ambiente digitale. Secondo
un’indagine
8
condotta all’Università di Roma “La Sapienza” nel periodo 2008-
2010, il panorama italiano riporta effettivi segnali di cambiamento:
6
Capaldi Donatella, Ilardi Emiliano, Ragone Giovanni, I cantieri della … op.cit., p.25
7
“Digital Heritage: memoria, cultura, tecnologia e istituzioni ibride” , I cantieri della memoria, digital
Heritage e istituzioni culturali 2010, pp. 4/65
8
L’indagine, che prende il nome di Osservatorio 2010 sulla comunicazione on line del patrimonio culturale
delle istituzioni italiane, è parte integrante del progetto PRIN CoOperare ed nata con l’obiettivo di esaminare e