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Introduzione
Il test del Disegno della Famiglia (D.d.F.) è stato ampiamente utilizzato
come tecnica psicodiagnostica proiettiva in diverse situazioni, da quelle
cliniche a quelle di ricerca in età evolutiva.
Il termine test rimanda l’idea di uno strumento obiettivo in grado di fornire
risultati che soddisfano i requisiti di validazione propri dei metodi
dell’indagine psicometrica ma, in realtà, tale test manca di criteri
operazionali standardizzati perciò la dizione utilizzata (anche si di uso
corrente) è impropria in quanto è più opportuno parlare del disegno della
famiglia come tecnica proiettiva.
Tale test è stato introdotto da Hulse (1951; 1952) negli Stati Uniti e in
Europa da Potor ( 1952; 1965) mentre Louis Corman (1967), Shearn e
Russel (1970) hanno apportato delle modifiche nella consegna tali da
renderlo lo strumento che oggi viene utilizzato.
Questo strumento è destinato a bambini ed adolescenti dai 6 al 13 anni ( ma
può essere utilizzato anche su soggetti adulti) allo scopo di indagare sulle
relazione che il soggetto ha instaurato con gli altri membri del nucleo
familiare, sulle problematiche che vive nei confronti del gruppo nel suo
insieme e/o di alcune persone in particolare che possono provocare conflitti
più o meno acuti tanto da indurre l’utilizzo di meccanismi di difesa, su come
il soggetto si è evoluto e come si colloca all’interno della matrice familiare
(immagine di sé e sua collocazione nel nucleo familiare) che si ripercuote,
inevitabilmente, sul proprio modo di rapportarsi con il mondo esterno e sul
mondo dei rapporti interpersonali in genere.
Attraverso tale tecnica, dunque, emerge un quadro di rappresentazione della
famiglia che è molto più rivelatore di quanto possa essere verbalizzato
coscientemente e che permette di cogliere la rappresentazione fantasmatica
(che l’individuo ha costruito a livello inconscio) del suo ambiente di origine
e del suo universo emotivo – relazionale.
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La sua valenza proiettiva consente di andare al di là dell’immagine
cosciente che il soggetto ha del suo nucleo familiare, così si ha la possibilità
di mettere a fuoco le modalità inconsce con cui l’individuo si colloca
all’interno del nucleo familiare (che riveste grande importanza per la
definizione dei significati) e che permette di determinare lo sviluppo
psichico del bambino (poiché è il primo fondamentale campo di scambi
affettivi).
Il test, dunque, fa emergere il mondo rappresentazionale interno
dell’esecutore del disegno, quale risultato dell’interazione con le figure
emotivamente significative (madre, padre, fratelli) interiorizzate nei primi
anni di vita e che sta alla base dei successivi rapporti intra ed extrafamiliari
che creerà l’individuo.
Così l’intento dello strumento è quello di far emergere la trama cognitiva ed
emotiva che il soggetto ha intessuto nei primi anni di vita in rapporto
all’intero nucleo familiare, per cui quanto viene raffigurato sul foglio e
commentato nella fase successiva che è quella dell’inchiesta, non è altro che
il risultato delle rappresentazioni affettive, sia reali che fantasmatiche,
sperimentate nella prima infanzia.
L’intento di coloro che utilizzano il test è quello di disporre di uno
strumento utile alla diagnosi di bambini ed adolescenti, strumento di facile
applicabilità e duttilità da leggere in chiave del modello delle pulsioni di S.
Freud.
La rappresentazione della famiglia che emerge quando il soggetto esegue il
test è una “rappresentazione di una rappresentazione” (Tambelli, Zavattini,
Mossi, 1995), ossia il prodotto di una costruzione, non nei termini di una
pura creazione delle fantasie inconsce indifferenti alla sapienza delle
relazioni reali, né di una semplice distinzione di queste, ma come
l’espressione di un meccanismo di proiezione ed introiezione in cui le
rappresentazioni delle relazioni oggettuali interne di natura fantastica
vengono costantemente proiettate sul mondo esterno e, le percezioni di
figure reali del mondo esterne si mescolano alle immagine interne. Così
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questa costruzione diviene narrazione all’interno di una processualità in cui
concorrono da un lato le vicende del ciclo di vita ( Greenspan, 1992) e i
rapporti reali, dall’altro l’opera dei modelli operativi interni ( Reiss 1989;
Stearn, 1989,1994) non assimilabili letteralmente agli eventi reali.
Il disegno come comunicazione implica che il bambino utilizzi una
rappresentazione efficace non attenendosi ad una copia fedele cioè
fotografica della realtà ma che permetta di comunicare la concezione
personale della vita familiare e delle dinamiche affettive.
Il disegno produce, dunque, una vera creazione in quanto permette al
soggetto di rappresentare la sua famiglia secondo il modello relazionale
inconscio che ha interiorizzato e strutturato progressivamente durante la sua
crescita insieme al quadro cosciente che ha di essa.
Da come il soggetto esegue il test, il vissuto (cioè l’interiorizzazione
personalmente filtrata dell’esperienza familiare) emerge in maniera
sufficientemente chiara da poter procedere ad un indagine approfondita e
puntuale sia dell’esistenza di un sano equilibrio psichico, che di un
eventuale disagio tale da conferire al disegno della famiglia il titolo di
strumento psicodiagnostico utile anche con soggetti adulti.
Questo strumento offre la possibilità di valutare se l’individuo ha raggiunto
una autentica autonomia o se invece è ancora invischiato in relazioni di
dipendenza, se ha superato o meno il complesso di Edipo, se ha sviluppato
una chiara identità o se vive in uno stato di confusione, se i meccanismi di
difesa sono adattivi o patologici. Si dimostra, perciò, sensibile alle vicende
emotive del soggetto ed evidenzia come lo spazio originario (sia diadico
cioè inteso come interazione madre – bambino,che gruppale, cioè inteso
come interazione bambino – genitori – fratelli) è stato interiorizzato.
Ciò permette di cogliere la struttura di personalità nelle sue diverse
sfaccettature soffermandosi sul concetto di sé, le ansie, i conflitti, i
meccanismi di difesa, il processo identificatorio, le dinamiche edipiche, la
rivalità fraterna e il mito familiare.
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Tutto questo permette di diagnosticare se l’ambiente familiare è stato ed è
tuttora un fattore di crescita o un fattore di ostacolo e se, di conseguenza, il
soggetto vive una situazione di benessere o invece è coinvolto in una
sofferenza, da qui si evince il valore del test in oggetto ai fini di una corretta
prevenzione del disagio psichico individuale e familiare ( in modo da
individuare tempestivamente i segnali che possono rivelare una situazione
di sofferenza psichica che, altrimenti, rischia di strutturarsi
progressivamente in una nevrosi o in una psicosi) e, se ritenuto necessario,
di un eventuale programma di intervento psicoterapeutico.
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Capitolo primo: l’utilizzo dei test grafici nella
psicodiagnostica
Il disegno è uno strumento psicodiagnostico che permette di valutare sia lo
sviluppo intellettivo, che la personalità dell’individuo (Lis, 1998).
In particolare il disegno della figura umana e la sua evoluzione nel disegno
della famiglia sono stati utilizzati per indagare tali aspetti.
L’approccio di Goodenough (1926) si sofferma sullo sviluppo intellettuale e
quello di Machover (1953) sulla comprensione della personalità, l’approccio
di Corman (1967) sarà ben delucidato nel corso dell’intero lavoro sotto
proposto.
1 Il Test dell’ Omino (Draw a Man Test o DMT) di Goodenough
Florence Goodenough negli anni ’20, a partire dall’analisi di circa 3600
bambini americani di età compresa tra i 4 e i 10 anni, osservò che il disegno
rifletteva lo sviluppo cognitivo del bambino, in quanto si arricchiva di
particolari con l’aumentare dell’età e non risentiva delle influenze
socioculturali.
Attraverso i disegni la Goodenough approdava, così, alla misurazione del
quoziente intellettivo basandosi sul presupposto che alcuni aspetti del
disegno sono correlati all’età cronologica del bambino e vengono quindi
considerati parametri di riferimento per una valutazione quantitativa della
maturità intellettiva. Inoltre, i disegni di bambini con deficit intellettivi
risultavano molto simili a quelli di bambini di età inferiore, pur
differenziandosi da un punto di vista qualitativo, specialmente nei
particolari.
Il materiale del Test dell’Omino (Goodenough, 1926), come per tutti i test
grafici, è costituito da un foglio bianco A4 e da una matita di media durezza.
Può essere somministrato sia individualmente che collettivamente, a
bambini di età compresa tra i 4 e i 12 anni circa.
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La consegna è di disegnare con molta cura un ometto.
Tale test è facilmente utilizzabile sia per la semplicità del materiale, che per
la procedura di somministrazione, inoltre ha il vantaggio di superare
problemi come l’assenza del linguaggio e l’appartenenza ad una diversa
etnia.
La valutazione del test viene effettuata assegnando un punto per ogni
dettaglio presente su una scala di 51 dettagli (standardizzati a partire dai
dettagli riprodotti per età anagrafica da un campione rappresentativo)
elencati dall’autrice e ogni dettaglio viene valutato un punto e ad una
somma di punti corrisponde un’età mentale. Successivamente, confrontando
tale valore con il punteggio medio relativo all’età del bambino (Passi
Tognazzo, 1975) ,si calcola il quoziente intellettivo (QI) secondo la formula
di Stern: QI= EM (età mentale) / EC (età cronologica) x 100. Tale quoziente
risulta essere un indice di maturità intellettiva che rileva il livello attuale di
funzionamento del soggetto e non quello potenziale.
Dal punto di vista statistico il test correla mediamente con altri test di
intelligenza mentre ha basse correlazioni con test di rendimento scolastico.
È necessario ricordare che il punteggio risente dell’influenza di fattori legati
all’affettività e misura l’intelligenza in modo molto valido solo se non ci
sono disturbi nevrotici o psicotici (Passi, Tognazzo, 1999).
Esiste una revisione pubblicata da Harris nel 1963 che sostituisce la nozione
di intelligenza con quella di maturità intellettuale.
Per maturità intellettuale l’autore intende le abilità di percepire, di
classificare gli oggetti in categorie e di generalizzare.
Un’ulteriore versione di questo reattivo è stata rinominata test di
Goodenough - Harris (G– H) e può essere somministrata a bambini dai 5 ai
14 anni sia individualmente che collettivamente.
Gli autori standardizzarono il Test dell’Omino su un campione di 1045
soggetti maschi e femmine in numero proporzionato di età compresa tra i 3
e i 15 anni.
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La consegna consiste nel richiedere tre disegni eseguiti ognuno su un foglio
A4: un uomo, una donna e se stessi, si chiede, inoltre, esplicitamente di
disegnare le figure per intero e in modo accurato, avendo a disposizione
tutto il tempo necessario per farlo.
Alla somministrazione individuale segue un’inchiesta informale allo scopo
di chiarire gli aspetti imprecisi prodotti e questo è un momento importante
per la valutazione.
Il risultato consiste in un punteggio che esprime il QI del soggetto (ottenuto
dal confronto con un campione normativo di coetanei).
La valutazione viene effettuata prendendo in considerazione non soltanto la
presenza degli elementi di ciascuna figura, ma anche il loro grado di
elaborazione su una scala di 144 item di cui 73 per la figura maschile e 71
per la figura femminile.
Da un punto di vista statistico il G – H presenta una buona attendibilità,
mentre la sua validità i costrutto non è stata sufficientemente dimostrata
poiché non è strettamente correlato con i test di intelligenza maggiormente
utilizzati.
2 Il Test della Figura Umana (Draw a Person o DAP) di Machover
A partire dalle considerazioni della Goodenough relative al disegno
dell’omino e sull’influenza che i tratti di personalità e i fattori emotivi
potevano avere sul QI, alcuni autori cominciarono a studiare il significato
proiettivo del disegno (Buck, 1947; Machover, 1951).
In particolare la Machover (1949) cominciò ad usare il test della figura
umana non più come la sola espressione dell’evoluzione intellettiva, ma
anche delle dinamiche della vita affettiva ed emotiva attraverso una
valutazione delle caratteristiche della personalità del soggetto sottoposto al
test.
L’autrice ritiene che il disegno di una persona rappresenti l’espressione di
sé o del corpo nell’ambiente.
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Poiché non necessariamente la proiezione è relativa alla propria immagine
corporea o auto rappresentazione, nel disegno vengono proiettate la propria
immagine ideale, i sentimenti rivoti a qualcun altro, l’atteggiamento verso
l’esaminatore o, in senso più ampio, le modalità di interazione con
l’ambiente (Levy, 1950).
Il materiale del DAP consiste in fogli bianchi di dimensione 21-28 cm. (A4)
disposti a pila in modo che il soggetto sottoposto al test possa scegliere il
foglio che preferisce, inoltre i fogli vanno sistemati in senso verticale, con il
lato più corto verso il paziente.
Una matita di media durezza in modo da garantire una costanza nel tratto e
nello spessore e una gomma per cancellare (lo psicodiagnosta annoterà
quando il soggetto la utilizzerà e su quali parti del disegno).
In genere il test della figura umana viene usato per bambini ogni volta che
c’è bisogno di informazioni sullo sviluppo intellettivo o quando si
sospettano problematiche affettive o traumi emotivi.
Il test può essere somministrato,a differenza del DMT, anche ad adolescenti
ed adulti in fase diagnostica o durante un percorso terapeutico con la
seguente consegna: “disegnami un persona” (Machover, 1953).
Con i bambini la somministrazione di questo test è molto agevole ed è
facilitata dalla spontaneità e dall’approccio piacevole che questi hanno con
il disegno. Negli adulti, però, proprio il disegnare crea imbarazzo, per cui
talvolta le persone possono ritenersi incapaci di eseguire la consegna
lamentando scarse capacità artistiche, in tal caso bisogna rassicurare il
soggetto spiegando che non sarà valutato in base al proprio talento ma in
base alla strategie messe in atto nell’eseguire la figura.
Il test si può somministrare al singolo soggetto oppure in gruppo.
Nel caso della somministrazione al singolo si deve instaurare una relazione
tra il diagnosta e il soggetto per somministrare al meglio la prova e, se si
tratta di bambini, può assistere alla prova una figura di riferimento se la
somministrazione avviene in fase iniziale di relazione.