4
INTRODUZIONE
Per molto tempo le donne sono state lasciate nell’ombra della storia.
Poi hanno cominciato a uscirne, grazie anche allo sviluppo dell’antropologia,
all’attenzione dedicata al tema della famiglia, all’affermarsi della storia delle
mentalità, che punta sul quotidiano, il privato, l’individuale. Soprattutto, è
stato il movimento delle donne a portarle alla ribalta, ponendo alcuni
interrogativi sul loro passato e sul loro futuro. Le donne hanno avviato,
dentro e fuori l’università, la ricerca delle loro antenate, per comprendere le
radici del dominio subìto e il significato dei rapporti tra i sessi attraverso il
tempo e lo spazio
1
. La filosofia e le nuove scienze sociali riflettono a lungo
l’abituale sessismo del sociale, definendo una specificità femminile al
servizio dell’uomo e della famiglia. Il modello della madre – moglie, diffuso
dai nuovi media come il cinema, le riviste e la pubblicità, che non lavora
trionfa e allo stesso tempo si democratizza.
Il Quattrocento e Cinquecento furono secoli gloriosi per la donna
italiana. Giustamente scriveva il grande statista Marco Minghetti, che
chiunque prenda a studiare la storia dell’Italia del XV e XVI secolo, deve
persuadersi che le donne, specialmente delle case ricche, erano elevate con
un’estrema cura, e comprendere quale profitto esse facevano dell’educazione
che ricevevano. A quel tempo le donne erano ritenute capaci di elevarsi come
gli uomini coi quali competevano negli studi che erano allora in un fervore
classico e si chiamavano umani. Le donne avevano interamente conoscenza
delle loro meravigliose attitudini, ma non erano superbe e non pensavano
che il governo della famiglia potesse essere un impedimento alle lettere o alla
vita pubblica, nella quale parecchie fra esse ebbero una parte importante.
1
DUBY G., PERROT M., Storia delle donne. Il Novecento, Editori Laterza, Bari 2007.
5
È dunque naturale che le donne siano fiere di quell’epoca, tanto più che
loro vedono nelle donne delle loro antiche famiglie storiche, rinascere un
profondo amore per gli studi, il gusto artistico accoppiato alla conoscenza
della storia dell’arte. Anche nella borghesia le donne vanno a poco a poco
liberando la loro casa da tutto l’ingombro antiestetico portato dai tappezzieri.
Ognuna di esse vuol dare alla casa l’impronta del proprio spirito. Gli studi
divengono, per cosi dire, sempre più personali, e le scuole classiche sono di
anno in anno sempre più frequentate dalle fanciulle
2
.
Nel passaggio tra Settecento e Ottocento si consolida, in molti paesi
europei, un fenomeno di grande rilievo per la storia dell’educazione
occidentale, e cioè la nascita di un sistema scolastico pubblico, l’istituzione
dell’obbligo scolastico e, in alcuni paesi, la gratuità dell’istruzione primaria
3
.
Sulla diffusione dell’istruzione popolare in Europa e sulla costruzione delle
identità nazionali e contenuti culturali e ideologici sono stati svolti molti
studi che hanno messo in rilievo la diffusa tendenza da parte dei ceti
dirigenti a contenere il livello culturale dei ceti da alfabetizzare,
preferendone, al contrario, un’educazione finalizzata al consenso ai valori
patriottici e dell’entità del lavoro
4
. È indubbio, però, che il diritto
all’istruzione, sia stato percepito, a livello politico, non solo come un diritto
da estendere a tutti, ma come premessa per acquisire una soggettività
autonoma a livello sociale.
La consapevolezza sociale del problema appare ancora più complessa
per quel che riguarda l’istruzione femminile, dal momento che si
continuarono a lungo a nutrire dubbi e sospetti sulle possibili conseguenze
dal punto di vista morale e sociale. È evidente che in tutti i paesi europei,
anche i più avanzati, il tasso di analfabetismo femminile sarà, per tutto
l’Ottocento, superiore a quello maschile.
2
BISI ALBINI S., La donna italiana, in “Vita femminile italiana”, anno VII, 1913, mese di agosto.
3
TALAMO G., La scuola dalla legge Casati all’inchiesta del 1864, Giuffrè, Milano 1964.
4
Un’ampia e aggiornata bibliografia sulla saggistica storiografica relativa allo sviluppo
dell’istruzione popolare è contenuta in BONETTA G., Storia della scuola e delle istituzioni educative,
Giunti, Firenze 1997.
6
Con l’Ottocento, oltre all’istruzione, si apre un nuovo capitolo nel
cammino della libertà femminile, infatti esso è stato celebrato come l’età
d’oro del privato. Lavoro, tempo libero, permanenza in casa, vita di famiglia,
sono attività separate non soltanto da pareti ma da divisioni molto
formalizzate tra esterno e interno
5
.
L’istruzione mista si fonda sul principio dell’uguaglianza delle capacità
naturali fra i due sessi; man mano, con il passare degli anni, ha fatto cadere le
limitazioni educative che venivano imposte alle ragazze allo scopo di
eterizzare la posizione di subalternità delle donne; e i risultati ottenuti da
queste ultime hanno largamente provato la validità del principio della parità
dei sessi. Dalla fine del XIX secolo le battaglie delle donne per i diritti politici
e sociali, per il diritto di cittadinanza e per l’assistenza, furono strettamente
collegate e i movimenti delle donne concentrarono la loro attenzione, più di
quanto fosse mai avvenuto prima, sui bisogni e sugli interessi delle donne
delle loro classi inferiori e sulla povertà femminile. Molte donne
combattevano per il suffragio e il pieno diritto di cittadinanza, non tanto per
ottenere un’eguaglianza formale con gli uomini, ma per tentare di modellare
le politiche sociali in maniera favorevole alle donne
6
.
È noto che l’Ottocento fu il secolo nel quale si posero alcune
significative premesse per il lento affermarsi dei diritti femminili, nonostante
la continuità di progetti formativi improntati alla superiorità naturale
maschile e la sostanziale convergenza culturale di cattolici e positivisti in
merito alla posizione subordinata della donna. Se i modelli pedagogici
restavano ancorati alla concezione della donna votata al sacrificio, dedita alla
famiglia, modesta e consapevole della propria inferiorità, tuttavia
emergevano anche figure di donne colte, intraprendenti, capaci di sostenere
brillantemente i propri diritti. Il processo di riscatto, per l’acquisizione della
5
BONACCHI G., DAU NOVELLI C., (a cura di), Culture politiche e dimensioni del femminile
nell’Italia del ‘900, Rubbettino Editori, Catanzaro 2010, p. 18.
6
Ivi, p 417.
7
capacità di far valere i propri diritti, avvenne anche per il tramite della
scuola. L’alfabetizzazione delle fanciulle, che sino all’Unità d’Italia, con
l’eccezione delle Lombardia austriaca e del Piemonte sabaudo, era,
soprattutto nel Meridione, limitatissima, ricevette un forte impulso grazie
all’imposizione dell’obbligo scolastico
7
.
Nel 1905 la femminista tedesca Kathe Schirmacher
8
dichiarò che il
lavoro domestico della donna era un “vero lavoro”, un “lavoro che crea
valore”, un “lavoro produttivo”, anche se “può sembrare di nessuna
importanza”; in particolare “non c’è lavoro più produttivo di quello della
madre che, completamente da sola, crea il valore dei valori, cioè un essere
umano”. Parlò dettagliatamente della durezza del lavoro della donna in casa
e del fatto che lo stesso lavoro veniva pagato quando era svolto sul mercato.
Protestò contro lo “sfruttamento della casalinga e madre”, sostenendo che le
donne non avrebbero dovuto aver bisogno, per raggiungere l’emancipazione,
di aggiungere un’altra forma di sfruttamento, cioè quello del lavoro
retribuito, ma che la società avrebbe dovuto concedere loro il riconoscimento
sociale, politico ed economico del lavoro domestico
9
.
Relegate nella sfera del privato, escluse dall’esercizio dei diritti,
funzioni e professioni che potevano sollecitare o rafforzare l’incontro con la
cultura scritta, le donne avrebbero raggiunto quella meta più lentamente, in
forme più deboli e lungo itinerari in buona misura diversi rispetto ai maschi
della stessa età e condizione sociale. L’alfabetizzazione femminile rimase
sempre arretrata rispetto a quella maschile, ciò dipende dal fatto che, per la
società, l’istruzione femminile resta sempre un impegno di secondaria
importanza.
7
GHIZZONI C., POLENGHI S., L’altra metà della scuola. Educazione e lavoro delle donne tra Otto
e Novecento, SEI, Torino 2008, p. VII.
8
SCHIRMACHER K., Die Frauenarbeit im Hause, ibre okonomische, rechtliche und soziale
Wertung (1905), Leipzig 1912, pp. 3- 8, parzialmente ristampato in BRINKER – GABLER G. ( a cura
di), Frauenarbeit und Beruf, Frankfurt a M. 1979; resoconto in “Die Frauenbewegung”, XI (1905), n.
20, pp. 153 – 55.
9
Ivi, pp. 420 – 421.
8
La scelta del nuovo Stato italiano di dar vita a una scolarizzazione di
massa anche in campo femminile, di presentare l’istruzione in sé come un
bene, come una ricchezza per l’individuo e per la società, per la nazione e per
lo Stato, per gli uomini come per le donne, fece sì che la scuola si imponesse
come il crocevia e il traino di una svolta storica, come il luogo e il simbolo
per eccellenza dell’emancipazione possibile dalle catene millenarie
dell’ignoranza e della superstizione, dell’immobilismo e della subalternità.
La scelta ontologica di una serie di articoli di Sofia Bisi Albini dedicata
all’educazione delle giovani, si impongono agli occhi delle lettrici moderne
con tutta l’evidenza di una precisa volontà di fare memoria e di trasmettere il
senso e le parole di una protagonista del dibattito politico e culturale delle
donne nell’Italia prebellica.
La linea d’indagine della tesi , verterà su come i concetti di
“educazione” e “istruzione” siano, e siano stati, sempre strettamente correlati
e su quanto sia stato difficile il percorso della scolarizzazione femminile. La
prima parte del lavoro svolto ci porterà a conoscere i livelli di
alfabetizzazione nell’Italia tra ‘800 e ‘900, andando a focalizzare l’attenzione
su diversi punti ritenuti, a mio avviso, fondamentali per poter arrivare a
comprendere la filosofia di Sofia Bisi Albini: la nascita di luoghi specifici
riservati all’istruzione femminile e le relative differenze sessuali in questi
spazi, il graduale movimento della donna verso i più alti livelli di
alfabetizzazione fino ad arrivare all’immagine della donna nella scuola, non
più solo come alunna, ma come insegnante.
La Lombardia in generale, e Milano in particolare, è ed è stata, a partire
dal XIX secolo, un centro di produzione tipografica editoriale di primaria
importanza in Italia ( 1786, anno di pubblicazione della prima rivista
femminile milanese, “Giornale delle Dame e delle Mode di Francia”, esplicito
richiamo al “Journal des Dame set des Modes”). Una parte consistente di
questa produzione tipografico - editoriale occupa la produzione della stampa
periodica, dai quotidiani alle riviste. E questo non solo sotto il profilo
9
quantitativo, ma anche, sotto il profilo qualitativo. Milano fu anche la patria
di editori – imprenditori che alle motivazioni del sapere seppero coniugare le
ragioni del profitto. Essi infatti erano ben consapevoli che se un’azienda
voleva rimanere in vita doveva essere accompagnata dal successo
economico. A questo fine, quando gli stampatori milanesi presero coscienza
della ristrettezza del mercato che avevano a disposizione si posero il
problema di come allargare il pubblico di lettori che all’inizio erano
principalmente dotti e uomini di chiesa. Fu allora che essi pensarono di
rivolgersi ad un genere di consumatori sino a quel momento sostanzialmente
trascurato: le donne
10
.
Con questo lavoro vorrei focalizzare l’attenzione sulla scrittrice
milanese Sofia Bisi Albini, su ciò che ha voluto costruire ed esprimere
durante il suo percorso di attività editoriale. Il suo modo di dare
importanza al mondo femminile è stato lo spunto per poter iniziare a
guardare a questo mondo con occhi diversi, mettendo in rilievo e dando la
giusta importanza alla figura femminile. Nata a Milano nel 1856 da una
famiglia alto borghese, ho modo di formarsi una salda cultura nella villa di
famiglia a Robbiate, in Brianza, dove suo padre aveva raccolto un’importante
biblioteca di opere classiche. Si interessa ai problemi dell’educazione, in
modo specifico di quella femminile, con particolare attenzione alla
componente spirituale. Si distingue per la sincerità e profondità della fede
personale che ispira, da una parte, la sua opera educatrice e, dall’altra, quella
di animatrice di una nuova corrente femminista.
Sostenitrice di nuovi modelli pedagogici, a partire da quello
Montessori, dà vita a circoli per le signorine e alla biblioteca per le operaie.
Scrive novelle, romanzi, bozzetti. In diverse occasioni la sua firma appare
sotto lo pseudonimo di Miss Conny, oppure semplicemente con il nome
Sofia. Collabora alla “Perseveranza” e al “Corriere della Sera”. Fonda e dirige
10
GIGLI MARCHETTI A., Le risorse del repertorio dei periodici femminili lombardi, in
FRANCHINI S., SOLDANI S., (a cura di), Donne e giornalismo. Percorsi e presenze di una storia di
genere, Franco Angeli, Milano 2004, p. 295.
10
anche due riviste: “Rivista per le Signorine” nel 1893 e “Vita femminile
italiana” nel 1907.
Durante la prima guerra mondiale si trova ad essere molto impegnata
nelle attività di sostegno al fronte interno. Al riguardo, sulla “Nostra Rivista
Femminile”, da lei diretta, cura una rubrica dal titolo Le conferenze di Sofia
Bisi Albini. Alla sua morte (1919), Ada Negri, per la quale la Bisi Albini
aveva scritto una lunga prefazione a Fatalità, compone un elogio funebre in
cui la proclama Donna d’amore per eccellenza
11
.
Attraverso un’accurata ricerca presso la Biblioteca Nazionale Centrale
di Firenze (BNCF), mi è stato possibile accedere alla consultazione e alla
lettura delle opere di Sofia Bisi Albini, che, oltre a essere argomento
principale della tesi, hanno rappresentato un prezioso contributo per lo
studio e la conoscenza della storia dell’educazione della donna tra la fine
dell’Ottocento e i primi del Novecento. Prendendo spunto da queste opere,
mi sono soffermata ad approfondire cioè che l’autrice pensava riguardo
all’educazione e all’istruzione della donna, in che modo si è approcciata ad
essa e quali sono stati i metodi utilizzati per cercare di promuoverla, come ad
esempio la fondazione del Circolo femminile “Luigi Rossari”. Passerò poi a
prendere in esame alcuni numeri delle riviste
12
fondate da Sofia Bisi Albini
che incoraggiano le donne a far da sé, e ad essere indipendenti. La stampa
che si rivolgeva alle donne cominciò ad apparire in epoca risorgimentale, per
stimolare la loro partecipazione agli avvenimenti che dovevano condurre
all'unità d'Italia
13
. Sempre più popolari dal 1830 ad oggi, le riviste femminili,
raggiungono un vasto pubblico femminile. Attraverso immagini e parole,
esse sostengono e lodano i valori del miglioramento estetico,
dell’eterosessualità e del nucleo familiare. Pur rimanendo entro confini
prestabiliti, esaltano la conquista e il cambiamento. Le lettrici vengono
11
PISANO L., (a cura di), Donne del giornalismo italiano. Da Eleonora Fonseca Pimentel a Ilaria
Alpi, Franco Angeli, Milano 2004, p. 52.
12
Purtroppo, nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze , della rivista “Vita femminile italiana” è
presente solo l’annata 1913 dal mese di gennaio al mese di settembre.
13
PARCA G., L’avventurosa storia del femminismo, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1981.
11
esortate a migliorare il loro aspetto, ad esprimere la propria individualità, ad
amministrare in modo più efficiente le loro case, con economia e con amore,
nonché a trionfare sulle avversità. La lettrice di riviste femminili viene
incoraggiata ad assumere il controllo della propria situazione, senza però
mettere in discussione la situazione stessa
14
.
Misurarsi con il tema dell’educazione femminile consente di analizzare
da una prospettiva nuova le debolezze e le contraddizioni della società civile,
la forza di inerzia di consolidati modelli e di profonde sacche di arretratezza,
il faticoso prendere forma di mutamenti nella società, nella famiglia e nel
costume in un periodo cruciale della storia d’Italia, quando la formazione
dello Stato nazionale e più tardi dell’avvio dell’industrializzazione innescano
un significativo processo di modernizzazione, che lentamente riuscirà a
toccare la periferia, le classi subalterne e le donne
15
.
14
DUBY G., PERROT M., Storia delle donne. Il Novecento,cit. p. 401.
15
PORCIANI I., Le donne a scuola. L’educazione femminile nell’Italia dell’Ottocento, Ed. Il
Sedicesimo, Firenze 1987, p. 8.
12
CAPITOLO PRIMO
STORIA DELL’ISTRUZIONE E DELL’EDUCAZIONE IN ITALIA
TRA ‘800 E ‘900
Il 17 marzo 1861 segna la costituzione e l’inizio del Regno d’Italia. Il
compito, e il primo obiettivo, più urgente di fronte al quale si trovò il nuovo
governo fu quello di costruire l’immagine stessa dell’Italia attraverso una
serie di rilevazioni sistematiche che rendessero ben visibile l’identità del
paese. A questo scopo fu subito avviata la macchina del primo censimento
generale della popolazione che aveva indubbiamente scopi conoscitivi, ma
che si proponeva anche un fine più sottile, quello di far sentire agli italiani la
presenza di un nuovo governo. Gli uomini che avevano fatto l’Italia erano
lungi dal sospettare quali cocenti delusioni sarebbero derivate da queste
minuziose indagini. E men che meno sospettavano che la stragrande
maggioranza della gente non conoscesse neppure le lettere dell’alfabeto
16
.
Quando furono resi noti i dati dell’analfabetismo lo stupore fu enorme: i tre
quarti della popolazione sopra i cinque anni di età non sapeva né leggere né
scrivere. Nel complesso delle nazioni europee, il nostro paese si collocava sui
gradini più bassi dell’istruzione popolare. Verso la metà dell’Ottocento, la
Svezia aveva un tasso di analfabetismo inferiore al 10%, la Prussia e la Scozia
non superavano il 20%, l’Inghilterra e il Galles si attestavano appena sopra il
30%, Belgio, Francia e Impero Austriaco tra il 40 e il 50%. In fondo alla scala,
con un analfabetismo che sfiorava l’80%, si trovavano Italia, Spagna e
Portogallo. Alle loro spalle restava soltanto lo sterminato Impero russo,
simbolo della più oscura arretratezza
17
. Due osservatori stranieri, all’inizio
del Novecento, scrivevano:
L’istruzione è il capitolo più triste della storia sociale italiana, un
16
SOLDANI S., TURI G., (a cura di), Fare gli italiani. Scuola e cultura dell’Italia contemporanea. I.
La nascita dello Stato nazionale, Il Mulino, Bologna 1993.
17
Statistica del Regno d’Italia, Istruzione pubblica e privata. Istruzione primaria. Anno scolastico
1863-64, parte prima, Istruzione primaria, Torino 1865, p.IV.