6
INTRODUZIONE
I paesi in via di sviluppo sono sempre stati caratterizzati dalla volatilità economica e da un ambiente
macroeconomico incerto. Mentre i paesi sviluppati hanno goduto della stabilità a partire dagli anni
’80, l’instabilità macroeconomica ha rappresentato un serio problema per il mondo in via di
sviluppo.
Negli ultimi due decenni, in un contesto di forte instabilità economica, l'Argentina ha sperimentato
diversi cambiamenti strutturali e importanti modifiche nel regime macroeconomico, che hanno
avuto un impatto sulla sostenibilità della crescita di lungo periodo. Le riforme strutturali che sono
state realizzate all'inizio degli anni 90
1
, hanno generato inizialmente un importante aumento della
produttività dell'economia argentina, anche se, l'adozione del regime di convertibilità e l'aumento
degli afflussi di capitali esteri, hanno causato un notevole apprezzamento reale della valuta
nazionale, generando un forte disavanzo delle partite correnti.
In effetti, ci si aspettava che un insieme d’input e fenomeni industriali, originatisi nel regime
economico implementato, avrebbe generato aumenti di produttività sufficiente a mantenere e
sostenere la crescita di lungo periodo. L'aumento della qualità degli investimenti, in particolare
attraverso l'incorporazione delle attività ICT nel processo di produzione, il miglioramento del
capitale umano, l'aumento della produttività dei terreni agricoli e la maggiore dinamicità del settore
dei servizi sono alcuni dei fondamenti principali che consentono di mantenere e migliorare la
redditività e la produttività non solo dei settori tradable (di cui i servizi sono una delle principali
componenti di costo), ma di tutta l'economia.
Tuttavia, il regime macroeconomico degli anni Novanta non ha raggiunto i risultati attesi in termini
di sostenibilità della crescita.
La crisi economica, avvenuta all'inizio del 21° secolo, ha mostrato la debolezza interna
dell'economia argentina, causata dalla mancanza di coerenza della politica economica ("twin"
deficit non sostenibili), rivelando un ampio percorso di crescita che fino a quel momento si era
basato sull'accumulo e l'utilizzo di fattori di breve periodo piuttosto che sullo stabile e permanente
incremento di produttività in termini di miglioramenti nell'organizzazione del processo di
produzione, potendo trarre vantaggio dai miglioramenti nella qualità degli input e accrescere i
1
Il Currency Board, l'apprezzamento reale della valuta domestica, il commercio estero e l’apertura finanziaria, le privatizzazioni, la
7
guadagni di produttività nei settori tradable, favorendo non solo una crescita sostenibile, ma anche
un sostenibile equilibrio esterno.
In seguito, il nuovo regime di politica economica ereditato dalla crisi del 2002 basato su un alto
tasso di cambio reale (noto anche come "tasso di cambio competitivo") e sul recupero dei prezzi
delle materie prime, specialmente di prodotti agricoli e di allevamento, nella cui produzione
l'Argentina ha un vantaggio competitivo, nonché su un elevato consumo interno, ha consentito la
ripresa della crescita economica.
Uno dei fenomeni attesi, era la sostenibilità di questo nuovo regime macroeconomico, in altre
parole, la capacità di generare non solo un importante surplus commerciale, ma anche guadagni di
produttività stabili nei settori tradable con una rilevante influenza sulla produttività dell'intera
economia.
Tuttavia, l'attuale inversione del ciclo di crescita economica mondiale, e la tendenza dei prezzi
internazionali, stanno nuovamente mettendo in dubbio la sostenibilità di lungo periodo del nuovo
regime.
8
Capitolo primo
Argentina: dalle origini della crisi alla ripresa economica
1.1 Il contesto storico
L’Argentina è, con il Cile, il paese più europeo dell’America del Sud. Ricca di risorse minerarie e
agricole e con una popolazione dotata di un buon livello d’istruzione, costituisce sul piano
economico un paradosso da cui non è ancora riuscita a liberarsi. Ha conosciuto cicli di crescita e di
crisi maggiori e più rapidi che qualsiasi altro Stato. Per capire questa realtà è necessario inserirla
all’interno di una prospettiva storica, distinguere le tappe dello sviluppo nazionale e includere gli
anni più recenti; è esistita un’Argentina agraria, che va dal 1880 al 1945; un’altra Argentina
industriale, dal 1945 al 1976; e una terza Argentina fondata sulla rendita finanziaria, durata dal
1976 ai primi anni del 2000.
La generazione del 1880 fondò un nuovo paese sulla base dello sfruttamento agricolo e pastorizio in
seguito inseritosi nel commercio mondiale attraverso l’Impero Britannico. S’istituirono
un’istruzione elementare e una massiccia immigrazione; fu costruita un’infrastruttura di porti e silos
e nello stesso tempo, sorsero nuovi modelli culturali, politici e sociali.
Verso il 1930 questo modello agrario ha cominciato a indebolirsi ed è nato quello industriale, il cui
predominio si consolida nel 1945; il mercato interno guida dunque il modo di produrre, consumare
e distribuire. Si è passati dall’economia agraria a una sostituzione con le importazioni, con
egemonia del settore industriale, che ha portato a una maggiore giustizia sociale e al rinnovamento
quasi totale dell’élite politica. Il modello industriale durò, con diverse vicissitudini, fino al 1976.
Quell’anno, il governo militare di Videla-Martínez de Hoz instaurò il modello neoliberale della
rendita finanziaria le cui caratteristiche principali sono state: crescente indebitamento di Stato,
dipendenza dagli Stati Uniti, liberalizzazione del sistema finanziario, apertura estera commerciale e
finanziaria; vi è stata inoltre una politica contro l’inflazione basata sulla sopravvalutazione della
moneta nazionale. Tali mezzi sono stati in grado di distruggere lo schema di crescita del
dopoguerra, ma non di imporne uno nuovo vista l’alta dipendenza dall’indebitamento estero.
Questo modello portò il paese allo smembramento dell’apparato produttivo e al sovra-
indebitamento estero e interno. Le conseguenze del modello di rendita finanziaria instaurato nel
1976 non sono state del tutto positive.
2
A livello politico è stata alienata la sovranità nazionale, è
2
Le cause di ciò vanno ricondotte a tre fattori fondamentali: 1) l'epoca non era più quella della potenza capitalistica sudamericana fra
le due guerre, seppure già allora in declino; 2) pesanti condizioni internazionali, come la crisi messicana, la ben più vasta crisi
9
stato disarticolato lo Stato, sono scomparse le imprese pubbliche e la corruzione è stata sistematica
(nel 2002 ha ricoperto la posizione numero 70 su 102 paesi come evidenziato dal Corruption
Perception Index elaborato da Transparancy International)
A livello economico e sociale, il prodotto interno lordo per abitante (a prezzi costanti)
3
nel 2002 è
stato inferiore del 12% rispetto a quello esistente nel 1975; la disoccupazione ufficiale, che nel 1976
era del 4,5% della popolazione economicamente attiva, è arrivata al 23% nel 2002; il settore
industriale nel 1976 produceva il 32% del prodotto interno lordo, mentre nel 2000 scese al 16%; vi
erano 18 milioni di poveri (il 51% della popolazione totale), dei quali 8 milioni indigenti (non
riescono a coprire le spese per l’alimentazione).
I risultati economici dei tre modelli, misurati in base al prodotto per abitante, mostrano che
l’Argentina agraria (1890-1945) è cresciuta annualmente dell’1,29%; quella industriale (1945-1976)
del 2,10%; e quella della rendita finanziaria (1976 fino al 2000) dello 0,24%. Questi dati appaiono
nello studio dell’OECD realizzato da Angus Maddison fino al 1994, completato con dati della
CEPAL fino al 2000.
Dopo il secondo conflitto mondiale, l’Argentina costituiva il paese-guida dell’America Latina,
diversamente, oggi il baricentro e il polo di attrazione del continente è divenuto il Brasile.
Quest’ultimo ha assunto una posizione più moderata e collaborativa nei riguardi degli USA rispetto
a quella dell’Argentina di K.F. Kirchner, la quale - influenzata dal populismo peronista - è portata
ad allinearsi con i fautori della cosiddetta “rivoluzione Bolivariana
4
”, rappresentati dal presidente
venezuelano Chávez e dal boliviano Morales.
asiatica e il boom delle borse a partire da Wall Street, facevano confluire i capitali mondiali verso i centri di accumulazione
finanziaria anglo-americani; 3) la parità col dollaro eliminava l'iper-inflazione ma impediva che il valore delle merci prodotte in
Argentina si confrontasse, tramite un equivalente-denaro nazionale, con le altre merci sul mercato estero: in pratica gli argentini
producevano in pesos e scambiavano sul mercato estero in dollari. Ciò impediva l'adattarsi del prezzo al valore, e la riforma
monetaria poté funzionare soltanto sulla carta. Infatti, secondo la legge del valore, solo se si produce alle stesse condizioni dei paesi
concorrenti e solo se si mantiene una bilancia commerciale in perfetto equilibrio la parità può funzionare.
3
tale espediente è adottato al fine di superare le difficoltà che potrebbero sorgere dalla non omogeneità dei prezzi nel tempo a causa
degli effetti inflazionistici; adottando un unico sistema di prezzi riferito ad un determinato anno si rende possibile comparare nel
tempo le variazioni reali intervenute nell'aumento del prodotto nazionale.
4
La "rivoluzione bolivariana": si riferisce a un movimento sociale e ad un processo politico di sinistra in Venezuela guidata dal
presidente venezuelano Hugo Chávez, fondatore del Movimento Quinta Repubblica (sostituito dal Partito Socialista Unito del
Venezuela nel 2007). La "rivoluzione bolivariana" prende il nome da Simón Bolívar, leader rivoluzionario del Venezuela e
dell’America latina del 19 °, distintosi nelle guerre di indipendenza ispano-americana per raggiungere l'indipendenza della maggior
parte del nord dell’America Latina dal dominio spagnolo. Secondo Chávez e altri sostenitori, la "rivoluzione bolivariana" cerca di
costruire un movimento di massa per attuare la politica Bolivariana: la democrazia popolare, l'indipendenza economica e la
distribuzione equa dei ricavi in Venezuela. Essi interpretano le idee di Bolívar da una prospettiva socialista.
10
Solo grazie all’aiuto del primo riesce a collocare i propri bonds dopo il default del 2001. In cambio,
Kirchner coopera a gran parte dei progetti chauvisti: Telesur, Petrosur, Banco del Sur, ecc., volti
soprattutto a contrastare l’attuazione del Project for Americas e la creazione di una Zona di Libero
Scambio delle Americhe (FTAA), per estensione del NAFTA (North American Free Trade
Agreement), che già unisce USA, Messico e Canada e cui sono associati Cile, Perù e Uruguay. Di
conseguenza, oltre che condannarsi all’isolamento, l’Argentina non attira il flusso d’investimenti
diretti esteri (IDE) che sarebbero necessari per la sua crescita. La scarsa attrattività del sistema-
paese contribuisce al suo senso di frustrazione nei confronti del Brasile – accusato tra l’altro di non
aver sostenuto l’Argentina in occasione della crisi finanziaria. Esso acuisce le tradizionali tensioni
esistenti fra i due paesi sin dal secolo XIX, bloccando il decollo del Mercosur, concepito alla sua
nascita (1991) come una sorta di Unione Europea, in cui l’intesa argentino-brasiliana avrebbe
dovuto giocare un ruolo simile a quello dell’“asse franco-tedesco”, cioè di polo di aggregazione
dell’intero continente. Ne avrebbe favorito la modernizzazione, con una politica economica più
liberale, e la competitività esterna; infine, l’avrebbe messo in condizioni di trattare in modo più
paritario con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea – e oggi anche con la Cina. Invece, il
populismo, il nazionalismo, il protezionismo, gli enormi divari socio-economici, e i contrasti con gli
Stati Uniti e con le istituzioni finanziarie internazionali (IFI) hanno mantenuto frammentato - e in
parte isolato - il continente. L’Argentina ne è stata particolarmente danneggiata. L’Occidente non è
privo di responsabilità al riguardo. Ha prevalso la disattenzione, attenuatasi - almeno in parte – solo
oggi per la preoccupazione che la crescente presenza cinese in America del Sud suscita a
Washington. Gli USA stanno puntando sul Brasile. Ciò accentua l’isolamento dell’Argentina e le
sue tendenze al protezionismo e al populismo nelle politiche economiche e sociali, e
all’antiamericanismo in quella estera.
Anche la crescita economica - registrata a partire dalla seconda metà del 2002 - non è solida come il
governo della presidente Kirchner si sforza di dimostrare. La rendono instabile talune fragilità di
base. Ha una classe media potente, ma oggi impoverita, un élite dirigente colta, che però in passato
contribuì a costruire una repubblica conservatrice e oligarchica, che utilizzò i colpi di stato militari
per conquistare il potere a discapito del governo popolare, dell'Yrigoyenismo e del peronismo.
Il governo di Perón segnò, infatti, un momento di generale benessere dello Stato argentino,
trasformando la struttura industriale del Paese, ma fu un periodo breve.
Le prospettive economiche dell’Argentina non possono essere esaminate se non nel contesto delle
realtà sociali e politiche; quindi, senza un esame preliminare della storia del paese e delle sue
istituzioni. Solo in tal modo è possibile individuare i motivi che fanno definire “paradossale” la sua
11
situazione economica, che sembra caratterizzata da un “male oscuro” che ha depauperato un paese
dotato di tutte le potenzialità per il proprio benessere.
1.2 Le ragioni di una crisi
L’Argentina moderna si è formata fra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, con ondate massicce
d’immigranti (soprattutto italiani e spagnoli). Tra il 1860 e il 1930, essi ammontavano a sei milioni
di persone, più del doppio della popolazione esistente. Sebbene spopolato, il suo territorio era già
diviso fra poche migliaia di estancieros o terratenientes, che praticavano un capitalismo agro-
esportatore, avvalendosi anche della circostanza che le ventitré province godevano di una larga
autonomia ed erano dominate da tali latifondisti, per il tramite della “Società Rurale”. Quest’ultima
era legata all’esercito e al clero ed esercitava una grande influenza politica, facendo leva su un vero
e proprio potere di ricatto nei confronti del governo.
L’Argentina accumulò capitali propri attraverso lo sfruttamento estensivo delle pampas e attrasse
investimenti stranieri – soprattutto britannici – arricchendosi durante le due guerre mondiali,
quando divenne un’importante fornitrice di grano e carne dell’Europa. Protagonista politico di tale
periodo fu il presidente Juan Domingo Peron, il quale, forte dell’ampio consenso che si estendeva
dai sindacati ai proprietari terrieri e alle forze armate, gli consentì di promuovere la politica del
“giustizialismo”, basata sulla redistribuzione alle popolazioni urbane povere di parte dei profitti
accumulati nel corso del secondo conflitto mondiale. Tale politica si tradusse in un incremento dei
costi di produzione, nel mancato rinnovamento delle dotazioni infrastrutturali, in una carenza
d’investimenti nell’industria, e in un deflusso di capitali nazionali e stranieri. A ciò si sommava la
forte contrazione delle importazioni agricole europee, per effetto della ripresa agricola nel
continente e dell’introduzione della PAC (politica agricola comune).
Benché Peron fosse stato estromesso da un colpo di Stato militare, il peronismo e il “giustizialismo”
- che ne costituiva la “formula” e il programma politico e che aveva un grande potere d’attrazione e
di mobilitazione delle masse diseredate delle grandi città - rimasero l’ideologia politica fondante,
nelle tendenze sia di sinistra sia di destra, sia dei guerriglieri filo-castristi - chiamati “montoneros” -
che delle giunte militari, rimaste al potere dal 1976 al 1983, cioè dopo il disastro delle
Falkand/Malvine. Durante la dittatura militare l’Argentina conobbe una grave recessione,
nonostante l’URSS – colpita dall’embargo cerealicolo americano a seguito dell’invasione
dell’Afghanistan – fosse divenuta un importante importatore di grano argentino.
12
Anche i governi civili che seguirono la dittatura militare – a partire da quella del presidente
Alfonsin del 1983 – non furono in grado di contrastare la crisi, sintetizzabile in pochi dati: il debito
pubblico passò dai 2 miliardi di dollari del 1960 ai cinquanta miliardi nel 1990; negli anni ottanta –
denominati il “decennio perduto” – il tasso annuo d’inflazione si attestò di solito oltre il 200%, per
superare un tasso del 3000% nel 1989 (Grafico 1.1).
Il tasso di disoccupazione aumentò più del doppio, salendo dal 3,1% del 1983 al 7,0% nel 1989;
l’emorragia di capitali verso gli USA e l’Europa, ma soprattutto verso i paradisi fiscali, fecero il
resto. Si preparavano così tutte le premesse per la disastrosa crisi del pesos e per il default dello
Stato.
Il “decennio d’oro” di Carlos Saul Menem (che rimase al potere quasi dodici anni, dal 1989 al 2001,
succedendo al governo di Alfonsin) fu economicamente caratterizzato da fasi alterne. In una
tendenza generale – ancorché molto contenuta - di crescita, si registrarono due gravi episodi di crisi:
l’iperinflazione (172% nel 1991) e la disoccupazione, esasperando la popolazione e il
sottoproletariato, spingendoli al saccheggio di mercati e negozi (in un paese in grado di alimentare
una popolazione 12-15 volte superiore a quella esistente).
La situazione socio-economica e politica ereditata da Menem era già complicata. Nei sei anni della
presidenza Alfonsin il paese si era de-industrializzato e il PIL cresciuto a un misero tasso annuo
dello 0,3% (rispetto a un aumento annuo della popolazione pari all’1,5%, con un’inevitabile
riduzione del reddito pro capite). Menem si presentò alle elezioni con un programma peronista.