4
Se quindi Marx ed Engels cercano di dimostrare teoreticamente la
necessità storica e dialettica della lotta proletaria mondiale e della sua
vittoria, nel contempo si impegnano concretamente, e dunque politicamente,
per accelerarne la realizzazione, che doveva avvenire prima di tutto in
Europa.
Questo significava innanzitutto, e in un primo tempo, cioè tra il 1845 e
il 1847, collaborare con le varie associazioni operaie già esistenti, come i
Fraternal Democrats a Londra o la Lega dei Giusti, che aveva comunità in
Germania, Francia, Svizzera e Inghilterra, o fondarne altre, come il Comitato
comunista di corrispondenza a Bruxelles, al fine di organizzare un nuovo
movimento rivoluzionario che non fosse più utopistico ma “scientifico”, ossia
fondato sullo studio delle condizioni politico-economiche, e dunque materiali,
necessarie alla vittoria del proletariato e alla successiva fondazione di una
società comunista.
Ma per aggregare un sempre maggior numero di operai intorno al
programma del “nuovo comunismo” o “comunismo scientifico” occorreva
anche impegnarsi nella sua divulgazione attraverso l’attività pubblicistica e
giornalistica. L’enorme diffusione del Manifesto del Partito comunista, che
era appunto un opuscolo, un libello politico, e la pregnanza del suo messaggio
rivoluzionario sulle masse di tutta Europa sono la testimonianza più evidente
dell’efficacia della filosofia della prassi di Marx ed Engels e del suo effettivo
intervento nella storia dell’uomo e della civiltà.
Ma per comprendere appieno la concretezza del messaggio
rivoluzionario marx-engelsiano e della filosofia che lo fonda occorre andare
oltre il Manifesto, rivolgersi proprio alla copiosa produzione giornalistica dei
5
due autori. Qui, infatti, le generiche indicazioni del Manifesto si
particolarizzano, affrontano la specificità della lotta di classe in ogni singola
nazione europea, definendo meglio le strategie più opportune che il
proletariato di ogni paese deve seguire per avvicinarsi sempre più alla
conquista del potere politico.
Questo compito presupponeva necessariamente l’analisi della situazione
storica di ogni paese considerato, ossia la valutazione del suo profilo
economico-politico-sociale: solo in questo modo, secondo la concezione
materialistica della storia, è possibile calcolare il potenziale rivoluzionario di
ogni nazione e far agire il proletariato di conseguenza, con la consapevolezza
dei propri obiettivi, immediati o futuri.
Per tali motivi l’attività pubblicistica e giornalistica svolta dai due
autori non ha soltanto carattere informativo-interpretativo: quando la
situazione politico-economica di una nazione viene giudicata “matura”, Marx
ed Engels esortano il proletariato a «prendere le armi», all’azione
rivoluzionaria.
Come tutti gli avvenimenti europei, anche quelli relativi al
Risorgimento italiano sono quindi interpretati da Marx ed Engels sempre dal
punto di vista rivoluzionario. Di conseguenza le questioni importanti della
storia italiana, quali la liberazione dal dominio straniero e l’unità del Paese,
vengono certo prese in considerazione, ma in ogni caso subordinate alla
prospettiva rivoluzionaria, ossia al cammino che il popolo italiano deve
compiere, contemporaneamente agli altri popoli europei, affinché si
raggiungano nel modo più rapido quelle determinate condizioni storiche che
in ogni Paese rendono possibile la rivoluzione comunista.
6
È quindi evidente che i nostri autori affrontano la “questione italiana”
mettendo in pratica la loro teoria storico-filosofica, applicando, ma nello
stesso tempo sottoponendo alla verifica della storia i punti cardine del
materialismo storico-dialettico.
L’importante risultato di questo confronto sta anche nell’ampliamento e
nell’approfondimento di alcune delle tematiche appena accennate nel
Manifesto del Partito comunista o ne L’Ideologia tedesca, come la questione
della nazionalità.
Sarà quindi nostro compito anche quello di verificare la coerenza di
queste particolari prese di posizione, suscitate dall’analisi degli avvenimenti
italiani, con la teoria portante del materialismo storico, anche nel caso in cui
i giudizi riguardino questioni immediatamente pratico-politiche, come si ebbe
a proposito del ruolo della Germania nella guerra del 1859.
Riguardo a questi temi il confronto tra teoria e prassi si fa ancora più
interessante, in quanto si tratta proprio del legame tra la filosofia e l’attività
politica di Marx ed Engels, tra la filosofia della prassi e la prassi stessa.
Mettere in luce l’interpretazione marx-engelsiana del Risorgimento
italiano è oltremodo interessante dal punto di vista storiografico e politico, in
quanto, eccettuata una tarda e retrospettiva considerazione di Engels presente
in Violenza ed economia nella formazione del nuovo impero tedesco, essa si
discosta dalla lettura tradizionale della storia italiana, presentando una critica
radicale della soluzione monarchica con cui il Risorgimento italiano si venne
compiendo.
7
1. LA QUESTIONE ITALIANA NELLA PROSPETTIVA DELLA
RIVOLUZIONE PROLETARIA EUROPEA
Nel dicembre 1847, al secondo congresso della Lega dei Comunisti a
Londra, Marx ed Engels vengono invitati a riassumere in un manifesto
pubblico i principi fondamentali del comunismo e del suo programma
rivoluzionario.
Sebbene i referenti ideali del messaggio comunista fossero i proletari di
ogni nazione europea nei loro differenti gradi di sviluppo storico, dipendenti
dal grado di sviluppo del capitalismo all’interno dei rispettivi paesi, a mio
avviso i destinatari immediati del Manifesto marx-engelsiano erano
specificatamente le classi operaie delle nazioni più avanzate
capitalisticamente, in primo luogo l’Inghilterra. Infatti il messaggio centrale
del Manifesto del partito comunista è rilevabile nella giustificazione storica e
morale della rivoluzione proletaria di massa contro l’ordine borghese
costituito, il quale, secondo la lettura marx-engelsiana della storia, è la
necessaria espressione sociale e politica del capitalismo avanzato.
Ma alla fine del 1847, nell’analisi di Marx ed Engels, la borghesia era
unica classe dominante solo in quattro paesi europei: Inghilterra, Francia,
Belgio e Svizzera. Nelle altre nazioni il capitalismo o era solo ai suoi inizi,
come in Austria, o era a metà strada, come in Germania e in Italia. Se di
conseguenza in Austria il potere politico ed economico era ancora detenuto
8
dall’aristocrazia feudale, negli altri due paesi il potere della nobiltà
cominciava a essere sgretolato dall’avanzare dell’economia capitalistica e
dalla corrispondente ascesa delle classi borghesi, sempre più combattive
politicamente nella richiesta di riforme e rappresentanza legislativa.
In questa fase di evoluzione storica, secondo Marx ed Engels, il
proletariato era ancora in via di formazione, non si era ancora costituito in
una vera e propria classe sociale; il suo svilupparsi in grandi masse
organizzate doveva seguire la diffusione della grande industria e del mercato
mondiale, la sua forza doveva crescere insieme a quella della borghesia. Solo
quando la vecchia classe dominante aristocratica subisce il crollo finale, in
conseguenza della sostituzione dell’economia latifondista feudale con il
capitalismo, e contemporaneamente la borghesia riesce a conquistare anche il
potere politico del suo Stato, allora maturano, secondo Marx ed Engels, le
condizioni storiche ed economiche che permettono la rivoluzione proletaria e
la sua vittoria.
Queste condizioni sono date per un verso dalla costituzione di una forte
classe operaia organizzata, per l’altro dallo svilupparsi dialettico delle
contraddizioni economiche insite nel capitalismo, fino al punto estremo in cui
queste contraddizioni necessitano il superamento, e dunque la trasformazione
dell’economia borghese nell’economia che risolve tutte le contraddizioni,
quella comunista. La necessità dialettico-economica del passaggio dalla
società capitalistica della proprietà privata alla società comunista della
proprietà comune è per Marx ed Engels il fondamento reale, concreto, delle
speranze della classe operaia in un futuro migliore, in cui si ponga fine per
sempre alle ingiustizie sociali e all’alienazione umana.
9
Per la concezione materialistica della storia «La storia di ogni società
sinora esistita è storia di lotte di classi»
1
, di lotta tra classi dominanti e classi
oppresse, «una lotta che finì sempre o con una trasformazione rivoluzionaria
di tutta la società o con la rovina comune delle classi in lotta»
2
. Secondo la
teoria cardine del materialismo storico in ogni periodo storico le classi
dominanti sono tali grazie al sistema economico, al modo di produzione da
esse imposto a tutta la società, da sempre fondato sulla proprietà privata,
inevitabile conseguenza della crescente complessità della divisione del
lavoro
3
. Ma all’interno di ogni modo di produzione si assiste sempre
all’accrescimento e al progresso dei mezzi e delle forze produttive. Ad un
certo punto del loro sviluppo queste, secondo i nostri autori, entrano in
contraddizione con i rapporti di produzione costituiti, intesi questi ultimi
come il sistema dei rapporti sociali corrispondente a un determinato modo di
produzione, e quindi inevitabilmente si ribellano ad essi, in quanto la loro
forza di espansione non è più contenibile all’interno dell’ordinamento sociale
esistente. La gloriosa Rivoluzione francese del 1789 e la prolungata lotta
politica della borghesia inglese culminata nel Reform Bill del 1830 sono, per
Marx ed Engels, la testimonianza storica più evidente della vittoriosa
ribellione delle sempre più sviluppate forze produttive borghesi contro il
vecchio ordinamento monarchico-feudale in cui erano nate.
1
K. Marx - F. Engels, Manifesto del partito comunista, Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 5.
2
Ibidem.
3
Si veda K. Marx - F. Engels, L’ideologia tedesca, in: K. Marx - F. Engels, La concezione
materialistica della storia , Editori Riuniti, Roma, 1986, p.74.
10
Nel Manifesto del partito comunista i nostri autori ci descrivono
efficacemente ciò che avvenne in Francia e in Inghilterra:
«Abbiamo però veduto che i mezzi di produzione e di scambio sulla cui
base si eresse la borghesia, furono generati in seno alla società feudale. A un
certo grado dello sviluppo di questi mezzi di produzione e di scambio, le
condizioni nelle quali la società feudale produceva e scambiava, vale a dire
l’organizzazione feudale dell’agricoltura e della manifattura, in una parola i
rapporti feudali di proprietà, non corrisposero più alle forze produttive già
sviluppate. Quelle condizioni, invece di favorire la produzione, la
inceppavano. Esse si trasformavano in altrettante catene. Dovevano essere
spezzate, e furono spezzate.
Subentrò ad esse la libera concorrenza con la costituzione politica e
sociale ad essa adatta, col dominio economico e politico della classe
borghese»
4
.
Ma secondo Marx ed Engels un processo analogo di scontro tra forze
produttive e ordinamento sociale esistente si sta svolgendo di nuovo, ora,
proprio in quelle nazioni, come Inghilterra e Francia, in cui la borghesia è al
potere da almeno un secolo:
«Da qualche decina d’anni la storia dell’industria e del commercio non
è che la storia della ribellione delle moderne forze produttive contro i
moderni rapporti di proprietà che sono le condizioni di esistenza della
borghesia e del suo dominio»
5
.
4
Ivi, pp.11-12.
5
Ivi., p.12.
11
Le crisi commerciali dovute alla sovrapproduzione, fenomeno che in
ogni altra epoca storica sarebbe apparso un controsenso, sono per Marx ed
Engels la testimonianza più esplicita della ribellione delle moderne forze
produttive rispetto alle regole dell’economia capitalistica:
«Le forze produttive di cui essa [la società] dispone non giovano più a
favorire lo sviluppo della civiltà borghese e dei rapporti della proprietà
borghese; al contrario, esse sono divenute troppo potenti per tali rapporti,
sicché ne vengono inceppate; e non appena superano questo impedimento
gettano nel disordine tutta la società borghese, minacciano l’esistenza della
proprietà borghese. I rapporti borghesi sono diventati troppo angusti per
contenere le ricchezze da essi prodotte»
6
.
Significa quindi che nel capitalismo avanzato le forze produttive, il
motore dell’economia, sono entrate in contraddizione proprio con la moderna
forma di proprietà, quella borghese. E questa, per Marx ed Engels, «è l’ultima
e la più perfetta espressione di quella produzione e appropriazione dei
prodotti, che poggia sugli antagonismi di classe, sullo sfruttamento degli uni
per opera degli altri»
7
.
Nei paesi in cui il capitalismo è ai massimi livelli di sviluppo
economico, la proprietà privata è dunque giunta, dialetticamente, attraverso la
trasformazione storica, al proprio compimento. L’opposizione tra i suoi
elementi costitutivi, lavoro e capitale, è diventata contraddizione assoluta,
che quindi necessita il superamento.
6
Ivi, pp.12-13.
7
Ivi, p.24.
12
Come Marx ci ha spiegato nei Manoscritti economico-filosofici del
1844, nel capitalismo avanzato il lavoro, ossia l’essenza soggettiva della
proprietà privata, è tale solo in quanto è esclusione della proprietà, mentre il
capitale, ossia il lavoro oggettivo accumulato, è tale solo in quanto è
esclusione dal lavoro. Il superamento della contraddizione può quindi aversi
soltanto con l’abolizione della proprietà privata e la trasformazione del
capitale in proprietà comune.
Per Marx ed Engels il capitalismo avanzato è quindi sul punto di
collassare su sé stesso (come Marx cercherà poi di dimostrare
scientificamente nel Capitale), ma il proletariato, la classe oppressa, costretta
dal capitalismo a vivere nella miseria più assoluta e nell’alienazione totale,
non deve attendere inerte questo accadimento per potersi emancipare.
L’emancipazione degli operai si ha solo a partire dal loro essere operanti
nella storia, dal loro farsi soggetto della storia, e questo significava acquisire
concretamente una coscienza di classe e organizzare un movimento
rivoluzionario; d’altro canto, secondo la legge dello sviluppo dialettico della
storia, le condizioni del superamento della società borghese stanno proprio
nella ribellione delle sue forze produttive, e fra queste quelle decisive sono
appunto costituite dai lavoratori salariati.
Se quindi il proletariato di nazioni come l’Inghilterra e la Francia
dev’essere spronato alla lotta aperta contro la borghesia, lo stesso messaggio
non può essere però rivolto ai lavoratori dei paesi meno avanzati
capitalisticamente, come appunto l’Italia, in cui la borghesia non ha ancora
compiuto la propria rivoluzione.
13
In questa fase del processo storico il proletariato in via di formazione
deve, al contrario, appoggiare la borghesia, sostenere la lotta che essa sta
conducendo contro l’ordinamento feudale: il compito storico del proletariato
è, in questa fase iniziale, quello di spingere verso il realizzarsi della
successiva fase storica, quella borghese, appunto perché solo in questa
maturano le condizioni che rendono possibile la rivoluzione comunista. Del
resto, secondo Marx ed Engels, in questo decisivo momento del suo cammino
la stessa borghesia ha bisogno della forza d’urto delle masse popolari per
rovesciare l’aristocrazia, ed è anche in possesso di tutti i mezzi per
conquistare il loro appoggio, come aveva dimostrato la Rivoluzione francese
del 1789. Rispetto alla società feudale la borghesia si presenta infatti come
forza rivoluzionaria, progressista, che chiede riforme democratiche e liberali;
il proletariato non può quindi che condividere, anche se momentaneamente, le
sue aspirazioni, ma nella certezza della successiva rivoluzione proletaria e
della sua vittoria:
«anche la classe operaia è interessata a ciò che aiuta la borghesia a
conquistare il dominio illimitato.
Solo quando non esiste più che una classe sfruttatrice e oppressiva,– la
borghesia, – quando il bisogno e la miseria non possono più essere addebitati
ora a questo, ora a quel ceto, o unicamente alla monarchia assoluta con i suoi
burocrati, solo allora s’ingaggia l’ultima lotta decisiva, la lotta tra i
possidenti e i non possidenti, tra la borghesia e il proletariato»
8
.
8
F. Engels, “Dazio protettivo o sistema di libero scambio” in Deutsche Brusseler Zeitung, 10 Giugno
1847, in: K. Marx - F. Engels, Opere Complete, vol. VI, Editori Riuniti, Roma 1973, p.95.
14
Certo, nello stesso Manifesto del partito comunista Marx ed Engels
esortano il proletariato dei paesi avviati al capitalismo a questa prima fase
della lotta rivoluzionaria da condurre a fianco della borghesia, ma questo
messaggio acquista molta più risonanza e spessore storico quando Marx ed
Engels commentano da vicino, nei numerosi articoli giornalistici, le vicende
dei diversi Risorgimenti nazionali europei, in primo luogo quello italiano.
Ciò che Marx ed Engels mettono in primo piano nell'analisi della situazione
storica europea succeduta al Congresso di Vienna del 1815 non è
l’aspirazione all’indipendenza e all’unità nazionale dei numerosi popoli
sottomessi alle grandi potenze vincitrici di Napoleone, questione messa
invece in rilievo dalla storiografia tradizionale. Secondo la concezione
materialistica della storia marx-engelsiana il sentimento di appartenenza
nazionale diffuso in quell’epoca storica è solo un fattore sovrastrutturale, è
un’ideologia, non costituisce la motivazione reale delle numerose
insurrezioni, battaglie e guerre che contraddistinsero il 1800. Per Marx ed
Engels le ragioni primarie degli eventi storici sono sempre da ricercare nella
sfera dell’economia. Inoltre in rare occasioni i nostri autori difesero il diritto
alla nazionalità. Il Manifesto era stato chiaro: «Gli operai non hanno patria»
9
,
in quanto nella futura società comunista mondiale «A misura che viene
abolito lo sfruttamento di un individuo per opera di un altro, viene abolito lo
sfruttamento di una nazione per opera di un’altra.
Con lo sparire dell’antagonismo fra le classi nell’interno delle nazioni
scompare l’ostilità fra le nazioni stesse»
10
.
9
K. Marx - F. Engels, Manifesto del…, cit., p.31.
10
Ibidem.
15
Ciò che Marx ed Engels lasciano intendere è che nel pronosticato
comunismo mondiale le istituzioni di Nazione e di Stato vengono a perdere le
loro condizioni di esistenza, per lasciare il posto ad un’associazione mondiale
«nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero
sviluppo di tutti»
11
; «Soltanto attraverso quel passo i singoli individui
vengono liberati dai vari limiti nazionali e locali, posti in relazione pratica
con la produzione (anche spirituale) di tutto il mondo e messi in condizione
di acquistare la capacità di godere di questa produzione universale di tutta la
terra (creazioni degli uomini)»
12
.
Dall’analisi di tutti gli scritti di Marx ed Engels che riguardano la
questione della nazionalità e cercandone la concordanza col materialismo
storico si deduce che, nell’ottica dei nostri autori, la questione della
nazionalità viene a porsi come tematica dominante, a livello culturale e
politico, proprio nell’epoca dello sviluppo borghese per precise ragioni
economiche: affinché il capitalismo progredisca è necessario che l’industria e
il libero mercato abbiano a disposizione aree geografiche sempre più estese
soggette alle stesse leggi e alla stessa moneta, come Engels spiegò a
proposito della guerra civile svizzera del 1847:
«Finora i borghesi svizzeri avevano già abbastanza mano libera per il
loro commercio e la loro industria in quasi tutti i cantoni. Le corporazioni,
per quel che esistevano ancora, ostacolavano poco i loro progressi. Dogane
interne praticamente non ce n'erano.
11
Ivi., p. 35.
12
K. Marx - F. Engels, L’ideologia tedesca, cit., p.79.
16
Dove la borghesia si era in qualche misura sviluppata, il potere politico
era nelle sue mani. Ma mentre nei singoli cantoni essa faceva progressi e
trovava appoggio, le mancava proprio la cosa principale, la centralizzazione.
Mentre il regime feudale, patriarcale e piccolo-borghese si sviluppa in
province separate e in singole città, la borghesia per svilupparsi ha bisogno di
un terreno il più possibile esteso; invece di 22 piccoli cantoni, le occorreva
una sola grande Svizzera. La sovranità cantonale, la forma più adatta per la
vecchia Svizzera, per i borghesi era diventata un intralcio opprimente. Essi
avevano bisogno di un potere centrale abbastanza forte per assegnare una
determinata direzione alla legislazione dei singoli cantoni, per appianare con
la sua preponderanza le differenze tra le costituzioni e le leggi, per eliminare
i resti della legislazione feudale, patriarcale e piccolo-borghese, e per
rappresentare energicamente all’estero gl’interessi dei borghesi svizzeri»
13
.
Anche nel Manifesto del partito comunista Marx ed Engels
sottolinearono le ragioni economiche delle aspirazioni nazionali:
«La borghesia sopprime sempre più il frazionamento dei mezzi di
produzione, della proprietà e della popolazione. Essa ha agglomerato la
popolazione, ha centralizzato i mezzi di produzione e concentrato la proprietà
in poche mani. Ne è risultata come conseguenza necessaria la centralizzazione
politica. Province indipendenti, quasi appena collegate tra loro da vincoli
federali, province con interessi, leggi, governi e dogane diversi, sono state
strette in una sola nazione, con un solo governo, una sola legge, un solo
interesse nazionale di classe, un solo confine doganale»
14
.
13
F. Engels, “I movimenti del 1847”, in Deutsche Brüsseler Zeitung, 23 gennaio 1848, in K. Marx -F.
Engels, Opere Complete, vol. VI, Editori Riuniti, Roma, 1973, pp. 535-536.
14
K. Marx - F. Engels, Manifesto del…, cit., pp.10-11.