I
Introduzione
Con il presente lavoro si vogliono mettere in luce aspetti di una piccola
parte della produzione goldoniana, molto significativa se guardata
nella prospettiva della riforma in divenire. A partire dall’intermezzo Il
quartiere fortunato, punto d’avvio del lavoro goldoniano sul tema della
guerra, si affrontano in sequenza cronologica L’amante militare,
commedia che ancora presenta echi dell’Arte, e La guerra, opera ormai
riformata. Analizzando opera per opera, separatamente, ed inoltrandosi
inizialmente anche nel merito della storia musicale, per dare supporto
all’analisi dell’intermezzo, il proposito è quello di mettere in parallelo le
due commedie, rintracciando in esse similitudini e differenze.
Lo ‘spettacolo’ della guerra è da intendere non solo nel senso teatrale
del termine, guardando alle opere che hanno lo scopo di essere messe
in scena, ma è da intendere nel senso della guerra come uno
‘spettacolo’, ossia quell’irrazionale gioco con la morte da parte di quei
militari che ne esaltano gli aspetti dell’onore, della gloria e dei piaceri
che questa porta con sé, come il sesso, il vino, le carte. La guerra in
questione è quella che si combatte ai tempi di Goldoni, e che l’autore
ricorda in alcune pagine delle Memorie, guerra di ancien régime, che si
II
fonda sulla spettacolarizzazione di sé stessa: le sfilate davanti ai
cittadini, gli schieramenti perfettamente simmetrici, le uniformi
colorate, le stesse modalità del combattimento. Un’immagine carica di
valore estetico, percepita e vissuta e come un’avventura, nonostante la
durezza delle battaglie e i rischi, che erano motivo per lo più
dell’accentuazione della baldanza soldatesca.
Carlo Goldoni non è un uomo favorevole alla guerra ed è tuttavia
errato catalogarlo sotto il termine di pacifista per l’anacronismo di simile
definizione. Va invece sottolineato il suo modo di non gridare contro i
mali della guerra, che in ogni caso egli non dimentica, limitandosi
piuttosto a rappresentarli. Questo atteggiamento può generare
confusione, come è accaduto presso alcuni critici, e far credere, da quel
che narra nelle sue Memorie, che la guerra sia soltanto il ritrovo festoso
negli accampamenti. In realtà, il suo parlare di “più stupefacente
spettacolo”, riferendosi all’accampamento durante l’armistizio, oppure
di “spettacolo rarissimo”, quando assiste alla battaglia di Parma nel
1734, non è da leggere come ‘cosa bella da vedere’, ma come ‘cosa da
osservare’ nel Mondo e da riportare nel Teatro; lo conferma il fatto che
la parola “spettacolo” si accompagna alle espressioni di disgusto e alla
tristezza per la visione dei cadaveri sul campo dopo la battaglia. Sono i
costumi umani che vanno in scena, naturalmente nei tempi e nelle
modalità teatrali, ma con la forza dell’occhio attento di Goldoni, sempre
interessato a dare vita a personaggi tratti dal vero. Negli ultimi anni, tra
l’altro, si è riscoperto un Goldoni ‘notturno’, lontano dal semplice
divertimento, come fin dall’Ottocento si è pensato bene di credere. Un
Goldoni, che, a differenza del suo scherzoso insistere sull’allegria
connaturata fin dalla fanciullezza, avanza in palcoscenico sotto la luce
III
di un personaggio inquieto e turbato. Svincolato dallo stereotipo di
‘buon papà’, lungo l’itinerario tracciato dalla sua stessa riforma, si
manifesta un’insicurezza interiore, riflessa anche nell’evolversi della
struttura delle sue opere. Se si pensa a Goldoni come ad un cinico
dinanzi alla guerra, ci si inganna sulla natura del suo teatro; le sue
osservazioni infatti, attente agli aspetti sia negativi che positivi,
costituiscono lo strumento di chi sa che i messaggi seri e forti passano
più attraverso il comico che non attraverso il tragico. Lo ‘spettacolo’
della guerra proposto da Goldoni, non è soltanto mera occasione di
riso, ma il mezzo con il quale, grazie al meccanismo del riso, può
mostrare la crudeltà, i vizi, le presunte virtù, come gli ideali e le
speranze, che alla guerra si accompagnano. Goldoni in virtù dello
straniamento del comico riesce a penetrare i mali della guerra con
maggiore profondità di una messinscena tragica.
7
1. Goldoni, gli intermezzi per musica e il libretto.
È nel campo della librettistica che Carlo Goldoni fa il suo esordio
teatrale, lavorando per la compagnia di Giuseppe Imer al Teatro San
Samuele, e gli intermezzi “exercent une influence considérable sur la
formation du talent goldonien en le faisant evoluer vers la comédie”
1
.
È lo stesso autore a capire e a ricordare, nelle sue Memorie, come il
lavoro affrontato negli intermezzi, seppure ancora sottomesso “alla
tirannia e ai capricci dei cantanti, dei maestri, dell’impresario e del
pubblico”
2
, nonché alle morse della convenzione, presenti in forme
embrionali l’opera futura:
1
I. MAMCZARZ, Les intermèdes comiques italiens au XVIIIème siècle en France et en Italie, Paris, Centre
National de la Recherche Scientifique, 1972, p. 139. Per l’intermezzo cfr. anche voce Intermezzo, e
Dal sec. XI al XVIII, voce Italia, Enciclopedia Italiana, vol. XIX, pp. 393-394, e, Ivi, pp. 1006-1013; P.
M. CARRER, Intermezzo, DEUMM, Torino, UTET, 1983, vol. II (Il lessico), pp. 537-540.
2
G.ORTOLANI, Appunti sui melodrammi giocosi, in Il teatro di Goldoni, Bologna, Il Mulino, 1993, p.
327.
8
I tratti comici che andavo adoperando negli intermezzi erano come la sementa che
spargevo nel mio campo, e che m’avrebbe recato un giorno maturi e gradevoli
frutti
3
.
Il talento ancora immaturo dell’autore veneziano può contare su una
tradizione che affonda le proprie radici fino nel secolo XVI, quando
vengono scritti i primi intermedi: “à l’époque de la naissance en Italie
du mouvement de l’Arcadie. L’idéal de retour à la simplicité et au
naturel, proposé par ce mouvement, devient celui des auteurs des
intermèdes”
4
. Sono inizialmente interessate città come Roma e
Firenze, ferventi di arte e cultura: la città medicea, in particolar modo,
con la sua corte e il fermento intellettuale del secolo XVI, favorisce “la
frequenza di quel bizzarro genere di divertimento e trattenimento […],
episodio di per sé stante e indefinibile nella molteplicità degli aspetti,
essendo verbale, mimico, scenico, e d’ogni specie di argomenti,
musicale e d’ogni sorta di musica, colta o popolare, monodica o corale,
vocale o strumentale, o l’una e l’altra insieme”
5
. Tanto si mostra
nuovo e brillante che “diviene spettacolo nello spettacolo e la parte più
desiderata di esso”
6
; oltretutto l’intermedio nasce, come altre forme di
intrattenimento, dalla decadenza della sacra rappresentazione, spinta
dal rinnovato teatro umanistico profano, con esordi di carattere
pastorale e mitologico, dapprima in forma di semplici “scene buffe”
facenti parte della stessa trama dell’opera seria rappresentata:
fenomeno riscontrato fino agli anni a cavallo fra i secoli XVI e XVII,
dopo di che tali scene vengono lentamente espulse dall’opera seria e –
3
C. GOLDONI, Memorie, Milano, Biblioteca Universale Rizzoli, 2002, I, 35, p. 178.
4
I. MAMCZARZ, Les intermèdes comiques, cit., p. 69
5
Musica, Dal sec. XI al XVIII, voce Italia, cit., p. 1006.
6
Ibidem.
9
in seguito all’affermarsi della riforma zeniana – raccolte per essere
eseguite alla fine dell’opera principale. Lo scopo di tale genere non è,
anche nella circostanza della ‘cacciata’ dall’opera seria, la trasmissione
di precetti morali o principi etici, ma il puro e semplice gioco teatrale,
principale artefice del suo successo: l’intermedio si afferma così con
libretti ben riconoscibili e modi di rappresentazione connessi alla
commedia dell’arte, all’improvvisazione, alla maschera e al
travestimento, e mentre l’opera seria o maggiore richiede un certo
impegno anche dal punto di vista dell’identificazione, mischiando vari
tipi di sentimenti e caratteri, “l’Intermezzo assume solo l’ottica
giocosa, caricaturale e deformante, […] e in questo principalmente
consiste la sua funzione di intrattenere divertendo”
7
, primo segno di
un genere tutto inserito nel Teatro. “Intermezzo significa
contemporaneamente un genere e un tempo teatrali”
8
e si inserisce in
un particolare spazio con le sue regola di ‘libertà’; ‘separatezza’ dallo
spettacolo maggiore; ‘incertezza’ dell’esito della trama;
‘improduttività’ di logica della storia; ‘regolamentazione’ esistente a
livello convenzionale, che rende credibile la finzione scenica
9
.
Il 1670, a Venezia, è l’anno di svolta dell’intermedio: insieme al primo
abbozzo della sua struttura, esso prende il posto delle scene buffe,
configurandosi come nuova realtà autonoma. A sottolineare il
cambiamento che si sta vivendo, “au début du XVIII
e
la dénomination
intermezzo se substitue à celle d’intermedio en même temps que
7
F. ANGELINI, “In maschera voi siete / senza maschera al volto?”; le regole del gioco teatrale nei primi
intermezzi goldoniani (1730-36), in “Studi goldoniani”, 1982, n. 6, p. 114.
8
Ivi, p. 116.
9
Cfr. Ivi, p. 117.
10
s’effectue un changement fondamental du caractère de ce genre”
10
.
L’intermezzo Lesbina e Milo (1706), eseguito al Teatro Sant’Angelo,
all’interno del melodramma serio Paride in Ida, viene ricordato dagli
storici del teatro musicale come una tappa importante nell’evoluzione
del genere; esso, insieme ai balletti (primi ‘riempitivi’ dei tempi morti
durante le rappresentazioni maggiori), inaugura definitivamente il
nuovo genere in chiave di parodia pastorale. Primo vero e proprio
intermezzo ‘indipendente’, che, anche se stampato a parte rispetto
all’opera maggiore nella raccolta dal titolo Nuovi intermedii per musica,
mostra il forte legame al pastiche di arie e duetti caratteristico delle
scene buffe, quindi una ancora inesistente unità originale. Ciò accade a
Venezia, dove l’intermezzo assume le principali caratteristiche del
genere comico, musicalmente lontano dai cliché estetici classici
dell’opera seria: quelle che vengono portate sui palchi sono piccole
situazioni dai dialoghi maliziosi e ambigui, e personaggi (solitamente
da 1 a 4) riscontrabili nella vita reale, ma nascosti dietro strani nomi.
Ed è l’aspetto realistico che comincia a caratterizzare le
rappresentazioni proprio nel secolo XVIII: “En dépit du mélodrame et
du genre noble que le classicisme a éloignés de la vie quotidienne,
l’intermède se tourne vers la réalité ou reprend les sujets du théâtre
pré-classique. Ainsi son contenu gagne en pittoresque et en valeur
documentaire; son langage, en vigueur. L’intermède se plaît à montrer
les détails réalistes et caricaturaux de la vie quotidienne”
11
.
Fra il 1710 e il 1720, si assiste ad un’ulteriore evoluzione dei libretti:
essi vengono concepiti separatamente dal dramma principale, con
10
I. MAMCZARZ, Les intermèdes comiques, cit., p. 14.
11
Ivi, p. 72.
11
conseguente scelta di nuovi personaggi e momenti ‘storici’ diversi
dall’opera seria, a cui prima essi erano legati: “l’Intermezzo si
definisce anzitutto come differenza; mentre lo spettacolo maggiore
organizza una trama complessa […] conducendo l’azione dal caos e
dall’impedimento alla sua soluzione e superamento, l’Intermezzo si
limita a rappresentare la situazione caotica […] senza proporsi di
risolverla. In ciò il suo carattere di frammento simile alle azioni
‘secondarie’ nei componimenti maggiori, salva la differenza però della
sua completa autonomia da azioni principali”
12
. Ciò avviene
principalmente grazie ad autori come Girolamo Gigli e Antonio Salvi:
la loro produzione, insieme a quella di tanti altri librettisti, è andata a
confluire, nel 1723, nella Raccolta copiosa di Intermedi, redatta da
anonimo e composta da 54 libretti; la Raccolta è il primo documento
che attesta la presenza di regole letterarie applicate all’intermezzo
comico, ‘elevandolo’ così a genere del tutto autonomo e degno.
L’intermezzo acquista naturalezza espressiva e dinamicità nell’azione,
si rinnova nella versificazione, allontanandosi dalla sentenziosa e
statica poetica dell’opera seria. Inoltre, l’interazione dei personaggi
inizialmente conflittuale conduce ad una conciliazione, dove “il
trapasso (ad una nuova classe più agiata) avviene mediante i più
disparati meccanismi della drammaturgia comica, spesso basati sul
travestimento”
13
.
Appena l’anno precedente alla compilazione della Raccolta, la scuola
musicale napoletana dà nuovo impulso al genere dell’intermezzo
(Cavana era stato fra quelli che, dopo i successi veneziani del secondo
12
F. ANGELINI, “In maschera voi siete / senza maschera al volto?”, cit., p. 115.
13
F. PIPERNO, Gli intermezzi, in Musica e Scena. Storia dello spettacolo musicale, diretta da Alberto
Basso, Torino, UTET, 1996, vol. II, p.138.
12
decennio del ‘700, aveva esportato con trionfo il nuovo genere a
Napoli), che va ad intrecciarsi con la riforma metastasiana del
melodramma e l’opera buffa. L’intermezzo napoletano più famoso
rimane La serva padrona di Pergolesi (1733) su libretto di Federico: “Il
tipico soggetto della serva scaltra che ha la meglio sul vecchio e ricco
padrone-tutore, trattato dal librettista in maniera garbata, viene
rivisitato dal compositore, cosicché i 2 personaggi, Uberto e Serpina, si
muovono con disinvoltura in un mondo quotidiano, seppure con
qualche nota irreale e farsesca […], accompagnati dalla musica nelle
loro reazioni realistiche, talvolta prevedibili, ma lontane dalle
emozioni stereotipate degli eroi del melodramma”
14
. Assieme a questo
ulteriore definirsi della struttura drammaturgica va il modo d’utilizzo
dell’intermezzo, divenuto oramai un campo di sperimentazioni,
invenzioni e giochi teatrali, ricco di virtuosismi e contaminazioni fra
stili, che certamente l’opera seria non può concedere; anche le
improvvisazioni fanno parte del gioco e “à côté de pièces d’une
grande qualité […], les intermèdes comptent quantité d’improvisation
sans prétentions littéraires”
15
, insieme all’uso di un linguaggio spesso
volgare
16
e perfino dialettale. Alla luce di tale ’privilegio’, la
possibilità di sperimentare, e trovandosi fra un atto e l’altro,
l’intermezzo si pone “come un frammento organizzato su una
situazione iniziale, di amore contrastato e/o di beffa, svolta nelle
norme di intrigo semplice, che arriva o no alla sua soluzione mediante
un’azione scenica”
17
, la cui “’semplicità’ presuppone una nozione
14
P. M. CARRER,Intermezzo, cit., p. 539.
15
Cfr. I. MAMCZARZ, Les intermèdes comiques, cit., p. 123.
16
Ivi, p. 128.
17
F. ANGELINI, “In maschera voi siete / senza maschera al volto?”, cit., p. 114.