3
INTRODUZIONE
La pena di morte ha sempre rappresentato un tratto distintivo della società americana,
ancora prima della nascita degli Stati Uniti d’America. La sua esistenza e la sua
applicazione non sono mai state messe sostanzialmente in discussione. Sono cambiati però
i metodi con cui lo Stato si arroga il diritto di porre fine, attraverso il codice penale, alla
vita di un individuo. Dai linciaggi e dalle esecuzioni sommarie (normalmente per
impiccagione) si è passati alla fucilazione, poi alla sedia elettrica e alla camera gas, per
giungere, ai nostri giorni, a quello che è ritenuto il piø indolore: l’iniezione letale.
Naturalmente il mondo della arti ha avuto parecchio materiale su cui lavorare. In
particolare il cinema ha mostrato, anche per motivi prettamente spettacolari, un particolare
interesse per la tematica, evidenziando, col passare degli anni, una sempre crescente
consapevolezza ed un’attitudine critica nei suoi confronti.
Il primo capitolo della trattazione sarà dedicato ad un breve excursus storico dalle origini
della settima arte fino agli anni Ottanta del secolo scorso con riferimento alle piø rilevanti
opere che avessero come tema predominante la pena capitale.
I successivi tre capitoli si occuperanno invece di tre produzioni degli anni Ottanta che, per
diversi motivi, rappresentano un unicum: si tratta di Daniel (1987) di Sidney Lumet,
attraverso il quale si ripercorre la drammatica e oscura vicenda che condusse i coniugi
Rosenberg sulla sedia elettrica nel 1953, Assassino senza colpa? (Rampage, 1987), di
William Friedkin, antesignano di tanti film aventi come protagonisti killer “senza
apparente motivo”, e La sottile linea blu (The Thin Blue Line, 1988) di Errol Morris,
formidabile esempio di perfetta simbiosi tra giornalismo investigativo e cinema di impegno
civile che contribuì a restituire la libertà ad un uomo ingiustamente condannato a morte.
Dopo una breve ricognizione, nel capitolo 5, su alcuni film e documentari aventi per
protagoniste donne macchiatesi di crimini da pena capitale (Aileen Wuornos, Karla Faye
Tucker, Wanda Jean Allen) l’analisi si sposterà, nel capitolo 6, sul decennio che si è
rivelato particolarmente prolifico, ovvero gli anni Novanta. Film come Last Light (1993),
Dead Man Walking (1995), L’ultimo appello (The Chamber, 1996), Il miglio verde (The
Green Mile, 1999), pur da prospettive diverse, hanno contribuito a tenere alta l’attenzione
4
sul tema, così come, nel decennio successivo, altri film come Monster’s Ball (2001) e The
Life of David Gale (2003) che saranno, assieme ad altri, oggetto del capitolo 7.
Il capitolo 8 avrà come argomento la sconfinata produzione documentaristica (i cui lavori
sono stati spesso di difficile reperibilità) che negli Stati Uniti ha attinto a piene mani da un
tema particolarmente sentito come la pena capitale e il dibattito sempre vivo in ambienti
accademici e giornalistici.
L’ultimo capitolo sarà invece dedicato ad una lettura, dal punto di vista iconografico, del
momento pregnante dei film sulla pena di morte: l’esecuzione. L’analisi riguarderà quindi
quei pochi minuti in cui viene rappresentata la fine della vita di un individuo per mano
dello Stato.
5
CAPITOLO 1
QUANDO LO STATO UCCIDE
Rappresentazione della pena di morte nel cinema americano dalle origini agli anni
Ottanta
… E se mi uccidereste e io potrebbe rinascere,
io tornasse davanti a voi giudici
per farmi ammazzare ancora…
Nicola Sacco
1
Il 23 agosto 1927 due immigrati italiani, uno calzolaio e l’altro pescivendolo, furono
mandati a morte nel piccolo Stato americano del Massachussets. Era l’ultimo atto di una
allucinante vicenda giudiziaria apertasi il 5 maggio 1920 quando i due, il pugliese Nicola
Sacco e il piemontese Bartolomeo Vanzetti, furono imprigionati ingiustamente con
l’accusa di aver ucciso un cassiere e una guardia giurata durante una rapina a mano armata
nel calzaturificio “Slater and Morrill” di South Braintree, un sobborgo di Boston. La
condanna a morte giunse, puntuale, nonostante l’indignazione popolare e la subitanea
mobilitazione internazionale: molti intellettuali, tra cui Dorothy Parker, Bertrand Russel,
George Bernard Shaw, John Dos Passos, H.G. Wells si impegnarono infatti attivamente in
una campagna volta ad ottenere un nuovo processo.
E a nulla valse la testimonianza resa nel 1925 da un altro condannato, il portoricano
Celestino Madeiros, che di fatto li scagionava completamente. Nick e Bart, come venivano
chiamati, erano i perfetti colpevoli in una società ancora impreparata a gestire
l’integrazione e il dissenso. In definitiva furono condannati per due motivi tra loro
1
Nicola Sacco, in Vittorio Zucconi, L’aquila e il pollo fritto. PerchØ amiamo e odiamo l’America,
Mondadori, Milano, 2008, p. 93.
6
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti
intrecciati indissolubilmente: perchè emigranti e perchè anarchici.
2
Pochi giorni prima del suo appuntamento con il patibolo Nicola Sacco, l’operaio giunto in
America, la Terra Promessa, il 12 aprile 1909 assieme ad altre migliaia di connazionali,
scrisse dal carcere statale di Charlestown un’ultima, struggente lettera, che è insieme un
estremo atto d’amore per la sua famiglia e un riassunto dell’ultima parte della sua
amarissima, umana vicenda in terra americana:
Mio caro figlio, mio caro compagno, non avrei mai pensato che le nostre due vite
inseparabili si potessero mai separare. Ma il pensiero di sette anni di dolore mi dice
che questo avverrà, benchè nulla sia cambiato nel nostro amore inquieto e palpitante.
Per di piø credo che il nostro amore sia oggi piø grande che mai.
¨ una grande consolazione, ma è anche una gran cosa perchè così puoi vedere cosa
sia l’amore, non solo nella gioia, ma anche e soprattutto nelle lotte e nel dolore.
Ricordatelo, Dante. Noi l’abbiamo provato, e vanità a parte, ne siamo fieri.
Abbiamo molto sofferto durante questo lungo calvario. Protestiamo sempre perchè ci
venga resa la nostra libertà. Se l’altro giorno ho cessato lo sciopero della fame, è
2
La pubblicistica sulla vicenda di Sacco e Vanzetti è molto vasta. Mi limito a segnalare solo alcuni testi di
riferimento: Gridatelo dai tetti. Autobiografia e lettere di Bartolomeo Vanzetti, a cura di Alberto Gedda,
Fusta Editore, Saluzzo, 2005 (riedizione, aggiornata nel testo e ampliata nella documentazione fotografica,
del volume Bartolomeo Vanzetti: autobiografia e lettere inedite, pubblicato da Vallecchi nel 1977, in
occasione dei cinquant’anni dalla morte dei due italiani); Francis Russell, Sacco & Vanzetti. The Case
Resolved, Harpercollins, New York, 1987 (tr.it.: La tragedia di Sacco e Vanzetti, Mondadori, Milano, 2005,
ricostruzione minuziosa del caso dei due anarchici italiani), Bartolomeo Vanzetti, Non piangete la mia morte,
Nova Delphi Libri, Roma, 2010 (costituito da una serie di lettere spedite da Vanzetti ai suoi familiari in Italia
e dall’arringa difensiva tenuta durante il processo); Lorenzo Tibaldo, Sotto un cielo stellato. Vita e morte di
Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, Claudiana, Torino, 2008 (ricostruzione della vicenda con fonti inedite e
la prefazione di Giuliano Montaldo); Fernanda Maria Sacco, I miei ricordi di una tragedia familiare,
Eliotecnica Tipografica Editrice, Torremaggiore, 2008 (scritto dalla nipote di Nicola Sacco, oggi presidente
onorario dell’Associazione “Sacco e Vanzetti”).
7
perchØ in me non c’era piø traccia di vita.
Ho protestato ieri con quello sciopero e protesto ancora oggi, ma in nome della vita e
non della morte.
Ho rinunciato allo sciopero della fame perchØ volevo baciare ancora una volta tua
sorella Ines, tua madre e tutti i cari amici e i compagni di vita e non di morte.
Così, figlio, oggi la vita comincia a rinascere, lenta e calma, ma senza orizzonte e
sempre con la tristezza e la visione della morte.
Che gioia rivederti finalmente, mio piccolo caro, dopo aver tanto parlato con tua
madre e non aver sognato che di te, giorno e notte. Aver parlato con te come
parlavamo insieme nei giorni... in quei giorni.
T’ho detto molte cose durante quella visita, e avrei voluto dirti molto di piø, ma ho
sentito che tu rimarrai lo stesso ragazzo affettuoso, devoto a tua madre che t’ama
tanto, e non voglio insistere perchØ sono certo che tu non cambierai e che ricorderai
sempre ciò che t’ho detto.
Ma ricordati sempre, Dante, nel gioco della felicità non prendere tutto per te, ma
scendi d’un passo e aiuta i deboli che chiamano al soccorso, aiuta i perseguitati e le
vittime, perchØ sono i tuoi migliori amici, sono loro che combattono e cadono, come
tuo padre e Bartolo, hanno combattuto e son caduti ieri per conquistare la gioia e la
libertà per tutti e per i poveri lavoratori. In questa lotta della vita troverai molto amore
e sarai amato.
Ciò che tua madre m’ha detto di te, mentre mi rinchiudevano in questa Casa della
Morte e di iniquità, ciò che m’ha detto mi ha reso felice perchØ ho capito che eri il
caro fuglio che ho sempre sognato.
Ho molto pensato a te quando mi coricavo nella Casa della Morte – le canzoni, le voci
tenere e gentili dei fanciulli in cortile, dov’era tutta la vita e tutta la gioia della libertà
– tra queste mura che rinchiudono l’agonia in attesa dell’esecuzione.
Non so quale effetto avrebbe avuto su dei fanciulli, ma d’altra parte sarebbe utile per il
futuro poter conservare questo orribile ricordo per far capire al mondo la vergogna di
questa crudele persecuzione e di questa ingiusta morte.
Sì, Dante, oggi possono crocifiggere i nostri corpi, e lo fanno, ma non possono
distruggere le nostre idee, che rimarranno per le giovani generazioni future. Dante,
quando ti dico che tre vite sono sepolte, voglio dire che c’è un altro uomo, Celestino
Madeiros, che dev’essere giustiziato con noi.
E’ stato due volte in questa terribile Casa della Morte, che dovrebbe essere distrutta
dai martelli del vero progresso; questa orribile casa che sarà in avvenire la vergogna
dei cittadini del Massachussetts. Dovrebbero distruggerla e mettere al suo posto
un’officina o una scuola per istruire qualche povero orfanello.
Dante, ti ripeto di amare tua madre e di stare molto vicno a lei e ai nostri cari in questi
tristi giorni, e sono certo che, sorreti dal coraggio del tuo cuore e dalla tua bontà,
saranno meno desolati.
E non dimenticare di amarmi un poco, perchè io ti amo, ragazzo mio, e penso tanto a
te.
Tutti i miei pensieri fraterni ai nostri cari, i miei baci alla piccola Ines e a tua madre.
Ti bacio con tutto il cuore”.
Nicola Sacco
3
3
Marco Cinque, Giustizia da morire. Voci umane dai bracci della morte negli Stati Uniti, Multimedia
Edizioni, Salerno, 2000, pp. 27-29.
8
Manifestazione a sostegno di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti
Ci vollero altri cinquant’anni (era il 1977), per la riabilitazione di Sacco e Vanzetti ad
opera del governatore del Massachussetts Michael Dukakis (tristemente conosciuto per la
sua disastrosa corsa alla presidenza USA nel 1988 contro George Bush sr.), il quale
dichiarò che il 23 agosto 1977 sarebbe stato il “Giorno della Commemorazione” per Nicola
Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Lo stesso Dukakis ebbe ad affermare, in merito alla vicenda
giudiziaria, che “i due italiani non ebbero un processo equo; durante tutto il dibattimento
era regnato un clima di isterismo politico; il Procuratore dello Stato e il giudice si erano
ingiustamente accaniti a causa della loro prevenzione contro dissidenti e stranieri”.
Di fatto venne posta la parola fine ad una storia che, al di là delle evidenti implicazioni
morali e politiche, riuscì ad aprire un dibattito, ancora oggi di grande attualità sul rapporto
tra legge e giustizia in una nazione che nella carta costituzionale prevede il diritto di ogni
uomo al conseguimento della felicità ma che permette allo stesso tempo l’omicidio di
Stato giustificandolo di volta in volta con argomenti alquanto discutibili.
Ed è abbastanza significativo come anche il cinema americano abbia quasi rimosso la
vicenda: un riferimento alla storia dei due immigrati italiani venne inserito in Sotto i ponti
di New York, un film del 1935 diretto da Alfred Santell, e soltanto nel 1960 il caso fu
trattato dallo sceneggiatore Reginald Rose con il dramma The Sacco-Vanzetti Story portato
sul piccolo schermo da un giovane Sidney Lumet. Inspiegabilmente la RAI, pur avendone
acquistato i diritti, non lo mandò mai in onda. Si dovrà attendere il 1970 quando Giuliano
9
Montaldo in un film lucido e rigoroso (Sacco e Vanzetti) che si avvalse delle prove
superlative di Gian Maria Volontè e Riccardo Cucciolla (premiato a Cannes) ricostruì la
tragica vicenda
4
. Il film fu accolto generalmente bene dalla critica italiana
5
anche se non
mancarono alcune voci di dissenso
6
.
Sul fronte delle produzioni cinematografiche straniere, la prima venne girata quasi in
tempo reale dall’austriaco AlfrØd Kampf (Sacco und Vanzetti, 1927), mentre il belga Paul
Roland si occupò della vicenda nel 1967 (L’affaire Sacco et Vanzetti). Il testo di Reginald
Rose ispirò altre due produzioni televisive, una tedesca (Der Fall Sacco und Vanzetti,
1963, di Edward Rothe) e una belga (De zaak Sacco en Vanzetti, 1966, di John Van de
Rest)
7
.
Dal 1927 ad oggi migliaia di persone sono state impiccate, gassate, fucilate, uccise con
iniezione letale in nome della ragion di Stato. Spesso erano innocenti, ma per loro non c’è
stato appello di sorta. Non è così semplice dimostrare che l’applicazione della pena di
morte è influenzata da fattori razziali, dato che la popolazione non-bianca ha vissuto in
4
La TV italiana tornò altre due volte sul tema, con due miniserie, entrambe intitolate semplicemente Sacco e
Vanzetti: la prima (del 1977) di produzione RAI, con la regia di Giacomo Colli e interpretata da Achille
Millo e Franco Graziosi e la seconda targata Mediaset (2005), diretta da Fabrizio Costa, con Sergio Rubini ed
Ennio Fantastichini nei ruoli principali.
5
“Certo, Il film è anche una celebrazione postuma, ma ciò nulla toglie al valore civile di un’opera che si
colloca con piena dignità nel filone del film politico italiano ricco di opere particolarmente felici tra la fine
degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta, cominciato con Rosi e validamente continuato da Petri”. (Alfredo
Baldi in Fernaldo Di Giammatteo, Dizionario del cinema italiano, Editori Riuniti, Roma, 1995, p. 292).
“Montaldo legge in prospettiva attuale la storia, evocando piø volte il ricordo dell’anarchico Giuseppe
Pinelli, indiziato per la strage di Piazza Fontana del 1969, misteriosamente “suicidatosi” con un tuffo dalla
finestra di un ufficio di polizia”. (Gian Piero Brunetta, Il cinema italiano contemporaneo. Da “La dolce vita”
a “Centochiodi”, Editori Laterza, Bari, 2007, p. 264).
6
“L’attualizzazione del documento e la ricostruzione storica finiscono per evidenziarsi in qualche modo solo
grazie al noto “scandalo”, in cui i due protagonisti assurgono al ruolo di veri e propri eroi; l’esasperato
manicheismo che ne deriva impedisce al film di approfondire la realtà e il significato di quel processo e porta
il pubblico ad identificarsi con i protagonisti stessi, con un conseguente falso atto liberatorio”. (Giorgio
Cremonini, in AA.VV., Storia generale del cinema, Orsa Maggiore Editore, Roma, 1987, vol. 3, p. 6).
7
Tra i documentari che trattarono la vicenda sono poi da ricordare tre produzioni americane, In Search of
History: The True Story of Sacco and Vanzetti (2000), The Diary of Sacco and Vanzetti (2004) di David
Rothauser e Sacco and Vanzetti (2006) di Peter Miller.
10
condizioni di emarginazione e quindi, per ragioni sociologiche, è stata piø incline a
commettere crimini. E’ un dato di fatto, comunque, che negli Stati del Sud c’è una
significativa incidenza di persone di colore fra i condannati a morte: sono quegli Stati in
cui hanno attecchito maggiormente le associazione razziste, la piø attiva delle quali rimane
sempre il famigerato Ku Klux Klan
8
.
Naturalmente con il passare degli anni il mondo delle arti si è rivelato progressivamente
piø sensibile al tema che sarà la spina dorsale della mia trattazione. Il cinema americano
in particolare ha fornito diverse prove di notevole spessore che, con alterna fortuna (anche
commerciale), hanno toccato i nervi scoperti di una società che non ha ancora
definitivamente fatto i conti con le proprie paure ataviche e con la propria storia, se è vero
che ancora nel novembre 2010, secondo un sondaggio Gallup, il 64% degli americani si è
detto favorevole alla pena capitale (ma la percentuale dei “pro-death penalty” scende al
49% se viene proposta l’alternativa dell’ergastolo)
9
. A quanto pare, nemmeno il nuovo
corso rappresentato dall’elezione di Barack Obama ha fatto registrare una significativa
inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti. Ci sono Stati dove la “libertà di
pistola”, ovvero la possibilità di procurarsi con estrema facilità un’arma (solo “per difesa
personale”, sostengono in molti) e la pena di morte vanno a braccetto, trovando spesso
giustificazione di ordine morale e religioso. Non è certo una novità, inoltre, che la carriera
di molti sceriffi, procuratori distrettuali e politici (sia repubblicani che democratici) sia
legata a doppio filo alla propria capacità di assicurare alla patrie galere uomini da condurre
sul patibolo. ¨ ragionevole sostenere, quindi, che un candidato alla Casa Bianca che si
dichiari nettamente contrario alla pena di morte, avrebbe poche possibilità di essere eletto.
Negli Usa la pena capitale è prevista in 37 Stati, e, nonostante la moratoria targata ONU
del 2011, ancora quest’anno (2012) in America sono stati messi a morte altri esseri umani,
ben 21 nei primi cinque mesi dell’anno. Dal 1977 ad oggi il totale delle esecuzioni capitali
ammonta a 1298 (circa 36 all’anno, una ogni dieci giorni), mentre sono ben 140 gli
innocenti rilasciati dai bracci della morte dal 1973 al 2012. Ad essi si vanno ad aggiungere
i probabili innocenti in attesa di revisione del processo e i tanti giustiziati sulla cui
8
Fonte: xoomer.virgilio.it/brguiz/mondial/penadimorte.htm, consultato il 20.02.2012.
9
Fonte: http://www.ilpost.it, consultato il 20.02.2012.
11
colpevolezza pesava un enorme punto interrogativo. Proprio a causa dell’elevato numero di
prigionieri erroneamente consegnati al boia nel suo Stato, il Governatore dell’Illinois,
George Ryan, nel 2003 commutò in ergastolo tutte le condanne a morte, mettendo di fatto
una pietra tombale sulle esecuzioni. Lo Stato con la maggior propensione a far uso della
“soluzione finale” è il Texas, dove, dal 1976 sono stati mandati a morte ben 482 individui
(corrispondente al 37,13% del totale nazionale).
10
Un dibattito molto interessante si è sviluppato negli ultimi tempi riguardo alle controverse
teorie sulla “morte dolce”, ovvero sul metodo di eliminazione dei condannati ormai piø in
voga negli Usa, l’iniezione letale. I suoi sostenitori fanno uso di un mix di ideologia e
utopia per far passare il concetto di medicalizzazione dell’esecuzione capitale: la pena di
morte sarebbe, piø che altro, un “procedimento amministrativo” che “elimina” il
condannato in modo indolore e scientifico. Il giustiziato è assistito da medici rassicuranti,
ma va incontro ai piø atroci tormenti (che durano circa sette minuti) quando nelle sue vene
inizia a scorrere il mix letale di Pentothal Sodium, Pavulon e cloruro di potassio. Il
penalista e criminologo dell’Università di Berkeley Franklin E. Zimring ha sottolineato
inoltre come la percezione della pena di morte negli ultimi decenni in America abbia subìto
una sorta di “trasformazione simbolica”: si è passati infatti dal concetto di legittimo atto
punitivo dello Stato nei confronti dei colpevoli di odiosi delitti, al concetto di rimedio
volto ad arrecare conforto alle vittime del reato, come “programma di sollievo” per i
parenti delle vittime. Il fine ultimo è quello di rendere piø accettabile all’opinione pubblica
l’idea stessa della pena di morte come inevitabile soluzione dei mali della società.
11
Ma torniamo a Hollywood. Sin dalle sue origini la settima arte ebbe modo di trattare il
tema dell’”omicidio di Stato” con forme e contenuti differenti. Uno dei quattro episodi che
costituiscono il kolossal Intolerance (1916) di David Wark Griffith, La madre e la legge,
ambientato nell’epoca moderna, narra la storia di un operaio, che, sullo sfondo di una
società attraversata da violenti conflitti, (si parla soprattutto di lotte operaie, e lo spunto
venne anche da un fatto di cronaca criminale, l’affare Steilow) viene ingiustamente
10
Fonti: http://www.people.smu.edu/rhalperi/summary.html, http://www.deathpenaltyinfo.org,
http://www.tuttoamerica.it, consultati il 14.06.2012
11
Vittorio Grevi, Se la pena di morte è un conforto, in “Corriere della Sera”, Milano, 2 settembre 2009, p.39.
12
accusato di omicidio e condannato a morte
12
. Massacrato dalla critica, che lo accusò di
gigantismo autocompiaciuto e schematismo strutturale, il film propone una visione non
certo ottimista di alcune vicende dell’umanità in cui il leit-motiv è rappresentato da
violenza e intolleranza, ma, soprattutto nell’episodio che tratta anche di pena di morte, si
chiude comunque con una nota di speranza. Resta, confermata anche da altri film di
Griffith come Nascita di una nazione (The Birth of a Nation, 1915) o Giglio infranto
(Broken Blossoms, 1919) “una visione del mondo autenticamente radicata nel dramma del
nostro secolo: il conflitto tra l’individuo e la collettività, sullo sfondo di una violenza
praticata e sofferta come regola fondamentale dei rapporti sociali”
13
. Stilisticamente,
nell’episodio moderno, il film è molto complesso: l’azione, infatti, si svolge
contemporaneamente nella cella dove un uomo innocente attende di essere condotto al
patibolo, che è stato montato nel cortile della prigione, sul treno su cui è in viaggio il
governatore che può concedere la grazia al condannato e sull’auto che a sua volta insegue
il treno per portare al governatore le prove dell’errore giudiziario. Come ha scritto Georges
Sadoul, “è un dramma contemporaneo che forma il nocciolo di tutto Intolerance, e intorno
ad esso gli altri episodi si raggruppano come tre gigantesche metafore”
14
.
Una delle poche commedie che si è occupata della pena capitale è datata 1931 e porta la
firma di Lewis Milestone
15
; si tratta di The Fronte Page, tratto da un dramma teatrale di
12
Gli altri tre episodi, che hanno come tema dominante “l’intolleranza che perseguita l’amore e la carità”
sono La passione di Cristo, che si occupa di tre parabole evangeliche (le nozze di Cana, Maria Maddalena e i
farisei nel Tempio), La notte di San Bartolomeo, che ha come argomento la strage di ventimila Ugonotti
avvenuta tra il 23 e il 24 agosto 1572 su ordine del re di Francia Carlo IX, istigato dalla madre Caterina de’
Medici, e La caduta di Babilonia, ambientato nel 509 a.C. quando, dopo aver respinto l’attacco dei Persiani
di Ciro il Grande, il principe Belshazzar, a seguito dei festeggiamenti indetti per il suo matrimonio, espone la
città al ritorno in forze dei nemici.
13
Gianni Rondolino, Casa Ejzenstejn, La Stampa Editrice, Torino, 1990, p. 16.
14
Georges Sadoul, Histoire di cinØma mondial des origines à non jours, Flammarion, Paris, 1964 (tr.it. di
Mariella Mammalella: Storia del cinema mondiale, Feltrinelli, Milano, 1972, p. 126).
15
Nome americanizzato di Lev Milstein, nato in Moldavia nel 1895 ed emigrato giovanissimo negli Stati
Uniti. Tra i suoi film migliori sono da segnalare l’antimilitarista All’Ovest niente di nuovo (All Quiet on the
Westerner Front, 1930), tratto dal romanzo di Erich Maria Remarque, Uomini e topi (Of Mice and Men,
1939), cupa riduzione del romanzo di John Steinbeck, Lo strano amore di Marta Ivers (The Strange Love of
Martha Ivers, 1946), un giallo a tinte forti con Barbara Stanwyck e un esordiente Kirk Douglas, e Gli
ammutinati del Bounty (Mutiny on the Bounty, 1962), interpretato da Marlon Brando e Trevor Howard.
13
Ben Hecht e Charles Mac Arthur.
Caratterizzata da una serie di dialoghi brillantissimi e girata in un unico ambiente, la
redazione di un grande giornale, si tratta di una commedia d’inseguimenti i cui protagonisti
sono il direttore del giornale (interpretato da Adolphe Menjou), un cronista giudiziario (Pat
O’Brien), una prostituta (Mae Clarke) e un condannato a morte appena evaso dal carcere
(George E. Stine). Al di là dei meriti di aver affrontato, seppure tangenzialmente, il tema
della pena di morte, The Front Page fu molto apprezzato dai critici americani che
considerarono Milestone come l’erede di Griffith
16
.
Una scena di The Front Page (1931) di Lewis Milestone
Il film infatti, girato agli albori del cinema sonoro, introdusse diverse innovazioni
stilistiche che fecero scuola. “Trovandosi, suo malgrado - scrive Georges Sadoul - nelle
identiche condizioni un tempo tanto ricercate dal Kammerspiel, Milestone ricorse a
soluzioni analoghe, e per spezzare la monotonia dei dialoghi nervosi e vivaci ma troppo
abbondanti, organizzò una vera e propria danza della macchina da presa intorno agli attori.
Questa innovazione diede vita a una formula convenzionale per i film molto dialogati, così
16
AA.VV. Storia generale del cinema, Orsa Maggiore Editrice, Roma, 1987, vol. 2, p. 588.