6
Introduzione
L‟ambiente marino e costiero rappresenta per il nostro paese una risorsa
inestimabile. Il turismo ha spesso assunto in queste aree un carattere
distruttivo, soprattutto con l‟avvento del turismo di massa che ha portato
molte località turistiche a mirare verso obiettivi di breve periodo,
cementificando e distruggendo l‟ambiente naturale costiero per far
fronte all‟incontenibile afflusso di turisti. Accanto a questi fenomeni ed
in riferimento all‟ambiente marino, la pesca gode oggi di tecnologie che
permettono di estrarre enormi quantità di pescato portando ad un sovra
sfruttamento delle risorse ittiche. Tali aree subiscono, quindi, pressioni
consistenti sia dall‟entroterra che dal mare. La necessità di affrontare
queste problematiche pone oggi il tema delle aree marine protette in una
posizione di primo piano. Esse rappresentano per il turismo e non solo,
l‟opportunità di perseguire obiettivi economici senza tralasciare gli
obiettivi di conservazione, in particolare, offrono la possibilità, su scala
locale, di progettare nuove forme di sviluppo sostenibile.
Perché un‟AMP possa considerarsi efficace nel perseguimento dei suoi
obiettivi economici e di conservazione, è però necessario valutare in
maniera efficiente il contesto in cui tali aree si collocano. Ciò che
emerge dall‟analisi delle esperienze passate è che il processo decisionale
che porta all‟istituzione delle AMP si è spesso arricchito di informazioni
riguardanti l‟ambiente biologico di riferimento e raramente di
7
informazioni riguardanti, invece, il contesto socioeconomico in cui tali
aree si collocano. Questo tipo di approcci, spesso usati in paesi poco
antropizzati, risultano inefficienti e sono, per il 90% dei casi, sfociati
nella progettazione di un‟AMP destinata a fallire. Quando le AMP si
collocano all‟interno di una specifica collettività, come sempre accade
in Italia, le esigenze di sviluppo socioeconomico non possono essere
trascurate. Molti studi forniscono importanti risultati al riguardo, in
particolare viene evidenziato come le AMP progettate con criteri
esclusivamente biologici, in luoghi molto antropizzati, raggiungono
ottimi obiettivi ambientali nel breve periodo ma tali risultati svaniscono
completamente nel lungo periodo. Le cause si possono ricondurre alla
nascita di fenomeni di conflittualità sociale sia tra istituzioni e comunità
locale, sia tra i diversi gruppi d‟interesse coinvolti.
Per questi motivi risulta estremamente importante arricchire il processo
decisionale di informazioni riguardanti gli aspetti socioeconomici di tali
aree, rendere partecipi i gruppi d‟interesse per un maggior
coinvolgimento sia nella fase di istituzione e gestione. In questo modo
sarà possibile stabilire un dialogo costruttivo tra le parti cercando di
ricondurre gli interessi di ognuno verso obiettivi comuni.
La presenza di differenti punti di vista e gruppi d‟interesse rendono
particolarmente complessa l‟analisi di questo tipo di realtà ed il
processo decisionale che porta ad istituire un‟AMP si avvale di tecniche
di supporto alla decisione. La valutazione a criteri multipli sociale
(SMCE) assume, in questo contesto, particolare importanza poiché si
adatta perfettamente in una realtà caratterizzata dalla presenza di diversi
attori sociali e diversi punti di vista.
8
Nel presente studio si cercherà, con riferimento ai principi che
caratterizzano la SMCE, di analizzare con un‟ approccio multi-criteri il
contesto sociale ed economico dell‟istituenda AMP di Otranto.
In particolare, nella prima parte del lavoro svolto si ripercorre
l‟evoluzione giuridica e culturale in tema di protezione dell‟ambiente
marino per poi passare, successivamente, all‟analisi dei fattori sociali
che hanno causato l‟insuccesso di molte AMP.
Nella seconda parte dopo aver descritto la metodologia usata si passerà
alla descrizione dell‟area di studio. Successivamente verranno discussi i
risultati dell‟indagine svolta nell‟Agosto 2011 e riguardanti la
percezione che le diverse parti sociali hanno rispetto a due alternative di
gestione dell‟area marina di riferimento.
Tali risultati ci permetteranno di costruire una matrice qualitativa
d‟impatto sociale e nella parte finale, attraverso l‟utilizzo del software
NAIADE, sarà possibile riflettere sulle visioni contrastanti ed ordinare i
due scenari prescelti rispetto ai livelli di conflittualità sociale che si
potrebbero generare.
9
Capitolo I
Le aree marine protette: evoluzione e quadro normativo
1.1 La protezione dell’ambiente marino e costiero nel contesto
internazionale
1
Il concetto di protezione internazionale dell‟ambiente marino
comincia a formarsi intorno agli anni 50 e 60 di fronte alla necessità di
dover gestire alcuni problemi riguardanti l‟inquinamento marino e
costiero. In questi anni si assiste, infatti, alla ratifica di diverse
convenzioni, come la Convenzione per la preservazione delle acque del
mare dall‟inquinamento da idrocarburi firmata nel 1954 a Londra quella
sulla responsabilità civile degli esercenti di navi nucleari firmata a
Bruxelles nel 1962. Tali convenzioni miravano a prevenire e reprimere
solo alcuni tipi di inquinamento marino e per questo possono essere
considerate come interventi limitati. Un risvolto importante riguarda il
ventennio successivo durante il quale, in seguito a gravi disastri come
quello della Torrey Canyon nel 1967 avvenuto nel canale della manica e
della Amoco Cadiz nel 1978 nel Mar del Nord
2
, nascono una serie di
accordi sul piano regionale. Nel 1975 il programma delle Nazioni Unite
per l‟ambiente elabora insieme ad altre organizzazioni internazionali, un
programma interdisciplinare per il controllo dell‟inquinamento marino
nel Mediterraneo, denominato MAP (Mediterranean Action Plan), con
l‟obbiettivo di estendere la cooperazione tra gli Stati mediterranei. Il
piano trova seguito nella Convenzione di Barcellona per la protezione
1
Redatto su consultazione, Marino D., Le aree marine protette italiane: Stato, politiche,
governance, Franco Angeli, 2011 pag. 36-45
2
La petroliera Torrey Canyon causò il primo disastro ambientale dovuto allo
sversamento in mare di grandi quantità di petrolio con conseguente contaminazione
costiera. Il disastro causato dalla Amoco Cadiz nel Mar del Nord è considerato il primo
rispetto alla grande perdita di vita marina causata.
10
del Mediterraneo del 1976 in cui si manifesta una maggiore
concentrazione sulla protezione dell‟ambiente marino e della regione
costiera del Mediterraneo
3
. L‟Italia, pur essendo stata uno dei promotori
della Convenzione, si è dimostrata però assente nella condivisione dei
principi in essa contenuti, come dimostrano i tempi di ratifica, avvenuta
dopo 8 anni, nel 1985, e le politiche interne adottate, non sempre
coerenti con quanto condiviso a Barcellona
4
.
Nel 1982, durante la Terza Conferenza delle Nazioni Unite nasce la
Convenzione di Montego Bay che rappresenta una novità, includendo
nella settima parte 46 articoli ripartiti in 11 sezioni interamente dedicati
alla protezione e preservazione dell‟ambiente marino. La Convenzione
obbliga gli Stati a proteggere l‟ambiente marino dall‟inquinamento
5
ed
impone ad essi una cooperazione e collaborazione con le organizzazioni
internazionali competenti
6
.
Le aree marine protette non vengono ancora citate fino a quando, nel
1985 il Consiglio Direttivo dell‟UNEP (United Nations Environment
Programme) emana un atto internazionale: “ Linee guida per la
protezione dell‟ambiente marino dall‟inquinamento di origine terrestre”,
attraverso il quale riferisce: “ gli Stati devono prendere tutte le misure
appropriate, come l’istituzione di riserve e santuari marini, per
proteggere al massimo grado possibile determinate aree
dall’inquinamento”.
Il riferimento alle aree marine protette viene ribadito nel 1992 a Rio de
Janeiro durante la Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e
3
La Convenzione di Barcellona del 1977, modificata nel 1995, mirava ad una maggiore
protezione dell‟ambiente marino e costiero del Mediterraneo incoraggiando piani
regionali e nazionali per contribuire ad uno sviluppo sostenibile.
4
www.areemarineprotette.it
5
Convenzione Montego Bay art. 192
6
Convenzione di Montego Bay art 197
11
sviluppo. In questa occasione, venne avviata la firma e cioè l‟adesione
dei paesi partecipanti alla conferenza, della Convenzione sulla Diversità
Biologica, adottata a Nairobi nel mese precedente (Maggio ‟92). Tale
Convenzione, prevedeva il raggiungimento di 3 obbiettivi principali,
attraverso l‟adozione di un piano strategico comune. Tali obbiettivi
riguardavano:
la conservazione della diversità biologica
l‟uso sostenibile delle sue componenti
la giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dallo
sfruttamento delle risorse genetiche.
A Rio de Janeiro nasce Agenda 21, il programma di azione concordato
dai 183 paesi partecipanti in cui viene ribadita la necessità di proteggere
habitat e aree marine ecologicamente vulnerabili, sia che queste si
trovino sotto giurisdizione nazionale, sia in alto mare. Il capitolo 17 di
Agenda 21 si concentra sulla necessità di adottare un approccio
integrato nella gestione delle coste attraverso la ICZM (Gestione
integrata delle zone costiere). È però, solo nel Febbraio del 2009 che
viene pubblicata la Decisione del Consiglio dell‟Unione Europea in
relazione alla firma della parte più importante della Convenzione nata a
Barcellona e cioè quella relativa alla gestione integrata delle zone
costiere del Mediterraneo.
7
I lavori di Rio de Janeiro hanno dato vita al mandato di Jakarta sulla
diversità biologica marina e costiera adottato nel 1995 ed aggiornato nel
2004 che permette di puntare l‟attenzione della Convenzione di Rio
sulla conservazione e sfruttamento sostenibile della biodiversità marina
7
Decisione del 4 Dicembre 2008 concernente la firma da parte della comunità europea
del protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del mediterraneo. Gazzetta
Ufficiale della Unione Europea, 4 Febbraio 2009
12
e costiera. Il programma d‟azione prevede l‟implementazione della
Convenzione sulla Diversità biologica in riferimento alla gestione
integrata delle aree marine e costiere e l‟analisi delle problematiche
relative alle aree marine e costiere protette.
1.2 La protezione dell’ambiente marino in Italia
Fino agli inizi degli anni 90 la protezione dell‟ambiente marino in Italia
è stata affidata al Ministero delle marina mercantile. Con l‟avvento della
legge quadro sulle aree protette tale competenza passò al Ministero
dell‟ambiente. Quest‟ultimo è oggi il principale soggetto di riferimento
per le questioni riguardanti l‟ambiente marino ed ha recentemente
acquisito la nuova denominazione di “Ministero dell‟ambiente e della
tutela del territorio e del mare”.
8
Il mare, nella normativa italiana, è stato a lungo considerato
esclusivamente rispetto ad esigenze legate alla difesa militare ed alla
portualità. Qualche novità si ebbe nel 1982 con la cosiddetta legge n.
979 “Disposizioni sulla difesa del mare”, che rappresenta ancora oggi il
testo fondamentale di riferimento e che prevedeva un piano nazionale
per le coste e l‟istituzione di una serie di riserve marine.
Tale legge, dopo un acceso confronto tra Stato e Regioni sulla
ripartizione delle competenze, riaffermava fortemente la competenza
dello Stato anche se nell‟attuazione di un piano nazionale delle coste si
esigeva il coinvolgimento della Regione. La previsione di istituire una
serie di riserve marine era accompagnata da un elenco allegato alla
8
Nel 2006 il Governo Prodi trasferisce la competenza sul mare al Ministero
dell‟ambiente e della tutela del territorio che assunse la denominazione di Ministero
dell‟ambiente e della tutela del territorio e del mare.
13
legge che specificava le aree da sottoporre a tutela. Anche se lo Stato e
le Regioni avevano posizioni non paritarie, la legge rappresentava in
quel momento uno strumento importante per intervenire in ambienti
delicati come le coste ed il mare e per combattere abusivismo e
speculazione.
La legge affidava alla Commissione di riserva
9
, la gestione delle riserve
marine escludendo Regioni ed Enti locali, con una visione centralistico
burocratica che faceva fatica a comprendere le finalità delle AMP
poiché basata su una visione della protezione poco incline alle esigenze
più generali del territorio.
10
La successiva legge quadro sulle aree protette 394/91, della quale
verranno successivamente esposti gli aspetti principali, interviene con il
fine di promuovere un‟azione coordinata tra Stato, Regioni ed enti
locali, e con l‟art‟ 18, ridisciplina in parte le riserve naturali marine ed
aggiunge con l‟art. 2, la possibilità di istituire dei parchi, sia nazionali
che regionali, costituiti da aree terrestri, lacuali o marine.
1.3 Gli aspetti più importanti della legge quadro 394/1991 sulle aree
protette
La legge quadro n.394 è stata approvata alla Camera dei deputati il 20
Novembre del 1991 entrando in vigore il mese successivo (28
Dicembre). Ciò che caratterizza la legge quadro 394/1991 è l‟approccio
globale nei confronti delle aree protette con l‟obiettivo di promuovere e
9
Oggi la Commissione di riserva affianca l‟ente delegato alla gestione della riserva,
formulando proposte e suggerimenti circa il corretto funzionamento della riserva
medesima( vedi paragrafo 1.8).
10
Cfr R.Moschini, Le Istituzioni e la gestione delle aree protette, Quaderni del centro
studi Valerio Giacomini sulle aree protette
14
garantire, sia la conservazione che la valorizzazione del patrimonio
naturale. Tale legge „ detta i principi fondamentali per l’istituzione e la
gestione delle aree naturali protette, al fine di garantire e di
promuovere, in forma coordinata, la conservazione e la valorizzazione
del patrimonio naturale del paese’ (Titolo I, comma 1). I vincoli di
tutela vengono quindi imposti non soltanto per obiettivi di
conservazione della specie animale e vegetale ma anche per la tutela dei
processi culturali, degli equilibri idraulici, idrogeologici ed ecologici.
Lo Stato può istituire nuovi parchi nazionali e la legge è un
provvedimento-istituzione: stabilisce ed elenca i nuovi parchi nazionali.
In riferimento alle competenze legislative viene stabilito che le Regioni
hanno potestà legislativa oltre che amministrativa in materia di parchi
naturali regionali e sono tenute ad adeguarsi ai principi generali della
legge quadro ed alle norme di riforma economico sociale contenute
nell‟art. 22. L‟istituzione e la gestione dei parchi nazionali si basa sul
principio di leale collaborazione tra Stato, Regioni ed Enti locali. La
distinzione tra aree naturali protette internazionali, nazionali e regionali
avviene rispetto alla dimensione degli interessi e dei valori e l‟autorità
politica distingue tali aree anche tenendo conto delle indicazioni e
risultati forniti dalla ricerca scientifica. Vengono, con la legge quadro,
attuati gli articoli 9 e 32 della Costituzione che ne rappresentano la base.
L‟art. 9 secondo cui la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e
la ricerca scientifica e tecnica e tutela il patrimonio storico e artistico
della nazione, e l‟art. 32 secondo cui la Repubblica tutela la salute come
fondamentale diritto dell‟individuo ed interesse della collettività.
Le aree naturali protette non possono essere istituite ovunque ma
saranno le valutazioni scientifiche a stabilire se sia opportuno o urgente