Milano, Marzo 2012
Questo lavoro è volto ad approfondire il tema della letteratura elettronica con lo
scopo di individuarne i legami con la letteratura postmoderna e in particolare con
l'opera dello scrittore e saggista Italo Calvino. Le teorie sulla narrativa
combinatoria che egli sviluppò con entusiasmo sono infatti un inevitabile punto di
partenza per molti degli scrittori che si sono dedicati a questo nuovo genere di
composizioni. Credo fermamente che l'utilizzo del computer come mezzo per la
produzione scritta abbia un grande potenziale di resa artistica e letteraria, e che il
lavoro di associazioni come la Electronic Literature Organization sia di notevole
importanza per la diffusione di nuove idee e nuove tecniche di scrittura. È stata
ormai dimenticata “Ra-Dio”, l'opera ipertestuale di Lorenzo Miglioli pubblicata
vent'anni fa: anticipatore dell'estetica cannibale, il giovane scrittore partecipò al
convegno “Ricercare” del 1993, organizzato da Nanni Balestrini e Renato Barilli. Il
pubblico letterario non era però ancora pronto ad accoglierlo: è importante che
lavori di questo tipo trovino il loro spazio all'interno della critica letteraria e
vengano considerati a tutti gli effetti parte del nostro patrimonio artistico e
culturale.
Caterina Vafiadis
5
Teoria dell'ipertesto
L'ipertesto è, al giorno d'oggi, la forma più comune di testo con cui ci possiamo
confrontare: costituito da più parti collegate fra loro in vari modi, si può esplorare
scegliendo fra i vari link e seguendo differenti percorsi. Questa forma di testualità
ha avuto la sua più intensa diffusione negli ultimi venti anni, grazie all'avvento del
World Wide Web, ma già critici come Barthes avevano teorizzato da tempo testualità
interconnesse e strutture reticolari presenti anche nelle opere di scrittori
postmoderni come Borges e Calvino.
6
L'ipertesto e la sua ricezione
La prima caratteristica che viene messa in evidenza quando si parla di letteratura
ipertestuale o elettronica è quella della struttura non-lineare, in contrapposizione al
modello di scrittura che si è tramandato per secoli e che consisterebbe nella
trascrizione sequenziale di caratteri da leggere in direzione univoca. Quello che però
viene più raramente ricordato è come in realtà modelli di letteratura ipertestuale
siano presenti fin dalle più antiche opere da noi conosciute, come ad esempio l'Iliade
e l'Odissea di “Omero”
1
. Come sappiamo, i poemi omerici sono probabilmente frutto
di più mani ed è inverosimile pensare che siano stati scritti da uno stesso autore
identificabile nel celebre poeta ellenico. Essi sono piuttosto una raccolta
enciclopedica di un sapere che veniva tramandato dapprima oralmente, e poi
conservato mediante la scrittura. La trasmissione orale avveniva attraverso la
memorizzazione di racconti che venivano recitati, e cantati in esametri: operazione
facilitata dalla presenza delle “espressioni formulari”, perifrasi di carattere
solitamente descrittivo o sentenzioso che venivano ripetute in corrispondenza della
medesima frase o del medesimo soggetto.
Già da queste poche affermazioni possiamo notare come in realtà, a partire da
quelli che siamo soliti considerare i pilastri della nostra cultura e del pensiero
occidentale, ovvero i poemi omerici e la cultura della Grecia classica, le
caratteristiche di una ipertestualità erano ben presenti e anzi profondamente radicate
nel modo di percepire l'oggetto culturale. Naturalmente, dobbiamo ben distinguere la
Grecia del V secolo a. C. da quella dell'VIII a. C., data approssimativa nella quale si
ritiene che i poemi omerici siano stati scritti. E dobbiamo anche distinguere
quest'ultimo periodo storico da quello, ancora più indefinito, nel quale i miti narrati
sono cresciuti e si sono tramandati di bocca in bocca e, probabilmente, di regione in
regione. È probabile infatti che la sempre maggiore diffusione della scrittura abbia
davvero, come sostengono in molti, modificato anche il modo di pensare e
trasformato l'imprinting culturale delle popolazioni che ne hanno fatto uso: cosicché
nella nostra cultura occidentale tradizionale, l'ipertestualità è meno presente ed
affiora solo nel Novecento grazie all'esplorazione dell'interiorità dell'uomo vista nella
1
Cfr. Ong, Walter J., Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola, Il Mulino, Bologna, 1986, pp.
23-55
7
sua complessità, e quindi necessariamente espressa con modalità non prettamente
lineari. Non è forse un caso che il titolo dell'opera-simbolo di questa trasformazione
in campo letterario, l'Ulysses di James Joyce, corrisponda proprio alla figura
principale dell'Odissea e costituisca una figura letteraria più volte ripresa nella storia
della letteratura nell'arco degli ultimi 3000 anni.
L'ipertestualità è innanzitutto un collegamento: e la storia letteraria di tutti i tempi
è un continuo rimandarsi, riprendersi, dialogare dell'uomo con l'uomo e di un'opera
con l'altra, scrivendo la storia di popolazioni e individui, nonché di paesaggi ed esseri
viventi. Individuato l'elemento fondante dell'ipertestualità, ovvero il collegamento,
risulta dunque chiaro come sia possibile definire l'Odissea un'opera a suo modo
ipertestuale: innanzitutto, l'intera narrazione avviene a partire da un flashback,
ovvero da un racconto che rimanda a qualcosa avvenuto in passato. Inoltre, di questo
passato, abbiamo diversi episodi che sono scritti sì in sequenza cronologica ma che
probabilmente nella tradizione orale venivano cantati separatamente, e probabilmente
con sfumature di volta in volta differenti
2
. È peraltro più che legittimo immaginarli
come tanti tasselli, come tante lessie [Barthes, 1970] appunto che sono
cronologicamente interscambiabili l'una con l'altra e collegate alla linea principale
del racconto, il peregrinare dell'eroe prima del suo rientro in patria. Il meccanismo
stesso dei rimandi formulari, inoltre, richiama la meccanicità con cui i calcolatori
sono costituiti: così come (esempio fittizio) a 01 corrisponde luce accesa o luce
spenta, ad “aurora” corrisponde “dita rosate”, ad “Achille” corrisponde “Pelide”, e
così via – gli esempi sarebbero molti. La musicalità interna generata da questa
caratteristica della formularità è incontestabile: più contestata risulta invece la
possibilità di comporre qualcosa di “caldo”, di “umano” e quindi di letterariamente
valido, utilizzando un mezzo informatico come il computer.
Tutt'oggi, nel 2012, il computer viene avversato da molti critici della letteratura e
le tecnologie informatiche costituiscono per di più un terreno assolutamente distinto
rispetto a quello delle scienze letterarie, diversamente da quanto avviene ad esempio
in altri campi umanistici come le scienze della comunicazione. Per quanto riguarda
quest'ultimo settore, il processo è già avvenuto negli ultimi anni: prova ne sono la
2
A questo proposito, possiamo ricordare l'aneddoto riportato da Ong riguardante l'imbarazzo provato
da un narratore Banyanga di fronte alla richiesta di recitare l'epica popolare dell'eroe Mwindo in
ordine cronologico per permettere agli scribi di poterla riportare per iscritto. [Ong, Walter J., Oralità e
scrittura, cit., p. 225]
8
maggiore attenzione alle discipline informatiche nei corsi di laurea di scienze della
comunicazione (almeno a livello teorico) e l'istituzione, nelle facoltà di informatica,
di corsi con un impianto di carattere più umanistico, per la comunicazione e la
ricerca linguistica. Considerando però che i primi studi in merito risalgono ad almeno
30 anni fa, è innegabile che ci sia stato un ritardo in questo senso in Italia, ma non
solo. Come nota giustamente De Kerckhove, utilizzando le parole di Early C. Joseph:
La crescita impiega di solito più del previsto. Nonostante l'opinione molto strombazzata
secondo cui il mondo cambia sempre più in fretta, un'analisi delle innovazioni passate
mostra che ci vuole ancora molto tempo perché una novità abbia successo commerciale.
Per esempio, i transistor sono stati inventati più di quarant'anni fa dalla Bell Labs. Ci
sono voluti quasi dieci anni perché i nuovi congegni fossero usati nei computer e altri
decenni prima che entrassero a far parte dei beni di consumo. [...]
3
Considerando che i primi personal computer hanno cominciato a diffondersi in
Italia solamente a partire dagli anni Novanta, non c'è nulla di cui sorprendersi se la
letteratura elettronica risulta praticamente del tutto sconosciuta, congiuntamente alle
potenzialità offerte dall'informatica in campo letterario
4
. Del resto, l'esperienza
letteraria ipertestuale è strettamente connessa ad un'esperienza culturale, quella del
postmoderno, che è stata trattata in maniera esplicita solo dagli anni '70 (Lyotard,
Foucault, Derrida) e di cui ancora vengono messi in discussione l'entità e il
significato. Nella sua opera, Lyotard mette in stretta relazione il postmoderno con la
crisi del determinismo dal punto di vista scientifico, e con la crisi della legittimità del
sapere e della narrazione nel campo del sapere. Inoltre, fin dalle prime pagine della
sua opera appare chiaro come questa rivoluzione socioculturale coinvolga ogni parte
della vita dell'uomo e sia orientata verso la scoperta di quello che le nuove tecnologie
informatiche, e non solo, possono offrire.
La nostra ipotesi di lavoro è che il sapere cambi di statuto nel momento in cui le società
entrano nell'età detta postindustriale e le culture nell'età detta postmoderna. […]
Piuttosto che costruire un quadro necessariamente incompleto, partiremo da una
3
De Kerckhove, Derrick, La pelle della cultura: un'indagine sulla nuova realtà elettronica, trad. di
Maria Teresa Carbone, Costa & Nolan Genova, 2000, p. 18
4
Se escludiamo, naturalmente, il recente interesse per gli ebook che si è sviluppato in Italia in seguito
al boom della loro uscita da parte delle grandi case editrici fra il 2010 e il 2011: ma questo è un
discorso che riguarda più che altro il formato elettronico, e non la struttura interna delle opere che
rimangono per lo più di impianto “tradizionale”, lineare.
9
caratteristica che determina immediatamente il nostro oggetto. Il sapere scientifico è una
specie di discorso. Si può dire che da quarant'anni le scienze e le tecnologie cosiddette di
punta vertano sul linguaggio: la fonologia e le teorie linguistiche, i problemi della
comunicazione e la cibernetica, l'algebra moderna e l'informatica, gli elaboratori e i loro
linguaggi, i problemi di traduzione dei linguaggi e la ricerca di compatibilità fra
linguaggi-macchina, i problemi di memorizzazione e le banche di dati, la telematica e la
messa a punto di terminali “intelligenti”, la paradossologia: eccone alcuni esempi
evidenti, e l'elenco non è esaustivo.
5
Il problema del postmoderno coinvolge, dunque, in pieno la letteratura
ipertestuale e si può dire che ne costituisca, dal punto di vista letterario, il grande
precursore. Se esaminiamo le opere di due grandi maestri postmoderni infatti, come
Borges e Calvino, non possiamo fare a meno di notare come l'impianto narrativo si
distacchi prepotentemente da quanto era stata la struttura dominante in campo
letterario fino a quel momento, raggiungendo anche alti livelli di metanarratività e
metatestualità. È del resto ormai noto come l'interazione con il lettore, cui spesso e
volentieri entrambi gli autori si rivolgono in maniera diretta, sia una delle
caratteristiche della letteratura elettronica che prevede, inoltre, la possibilità di
interazione da parte del lettore agli stimoli che gli vengono rivolti. Questa
connessione con un determinato contesto culturale è uno degli elementi che ci
aiutano a capire come mai la letteratura elettronica, ancora in Italia quasi del tutto
sconosciuta, rimane al momento solo un settore di nicchia e dedicato a pochi
appassionati. A questo proposito appare illuminante la breve raccolta di articoli
proposta nel volume di Tirature '04, dal titolo Che fine ha fatto il postmoderno?, a
cura di Vittorio Spinazzola. I saggi di Brioschi e di Rollo infatti forniscono spunti
interessanti sulla percezione che si ha avuto di questa nuova rivoluzione culturale in
Italia. Solamente dal titolo del suo articolo, Il postmoderno e la lingua della tribù,
possiamo intuire come il contatto fra il concetto di postmoderno e la realtà virtuale
come oggi la conosciamo sia molto profondo. Semplicemente la scelta lessicale della
parola tribù, che connota il concetto di comunità in una sfera senz'altro primitiva, è
decisamente vicino a quello di villaggio globale [McLuhan]. Perché la scelta di
utilizzare un lessico appartenente al nostro passato e non al presente delle metropoli,
5
Lyotard, Jean-François, La condizione postmoderna: rapporto sul sapere, trad. Carlo Formenti,
Feltrinelli, Milano, 1997 [La condition postmoderne], pp. 9-10
10
per definire una situazione che si è andata a costituire in seguito all'incremento
sempre maggiore dello sviluppo industriale prima e delle tecnologie elettroniche poi?
È indubbio che con lo sviluppo di Internet si sta avendo una forma di ritorno
all'oralità, come è già stato ricordato da molti [Ong, De Kerckhove], nel senso che la
parola scritta acquisisce connotazioni di immediatezza che prima non poteva avere e
conseguentemente assume caratteri tipici del linguaggio parlato. Non vi sono regole
grammaticali precise, non vi è più un'attenzione allo standard linguistico ma abbiamo
una trasposizione di quello che è il linguaggio dell'oralità – anche dei più bassi, nel
“linguaggio scritto” delle chat o dei messaggi e-mail. Allo stesso modo, molti dei
romanzi postmoderni (un esempio per tutti, Burroughs) si caratterizzano per un
linguaggio drasticamente scurrile, fino a risultare quasi alienante: non vi è cura per la
forma, anzi sembra quasi che l'obiettivo principale sia quello di rendere l'informe,
l'osceno, la mancanza di strutturazione in una sorta di estetica del brutto di carattere
linguistico e contenutistico. Non possiamo non collegare questa voluta scelta estetica
di un linguaggio “basso” a quello che, già avvenuto in letteratura negli ultimi anni,
avviene nell'ormai mondiale rete dei social network ed etichettarlo a pieno diritto
come lingua della tribù. Quale tribù? La tribù sono, in questo caso, tutti, ormai
connessi mediante Internet in una maniera che talvolta risulta essere ancora più
intima del rapporto reale. Infatti, mentre da un lato la comunicazione virtuale
presenta grosse mancanze sia a livello fisico che umano, a livello puramente
speculativo presenta dei vantaggi che fino a poco tempo fa erano inimmaginabili. Lo
schermo fa da filtro ad eventuali emozioni, o pregiudizi derivati dal contesto,
dall'aspetto esteriore dell'altro, da odori e rumori, e permette di fare in modo che le
parti in gioco comunichino il proprio pensiero ad un livello più puro di come
verrebbe trasmesso sul piano della fisicità reale. Il concetto, attraverso la rete, può
passare esattamente come passava attraverso i libri ma con una velocità di scambio e
di approfondimento, qualora lo si desiderasse, decisamente maggiore. In questo c'è
sicuramente una grande rivoluzione: in questo, la morte dell'autore andrebbe forse
intesa come una sua resurrezione. L'autore che prima era inarrivabile, specialmente
se straniero, l'autore che era prima posto su un piedistallo d'argento è ora
raggiungibile con una “twittata”, con un commento su Facebook, con una e-mail. È
possibile un dialogo, qualora naturalmente si renda disponibile, e anche in questo
11
senso il lettore partecipa dell'opera dei suoi autori. Autori che osservano il lettore, o
meglio i lettori, attraverso i loro interventi su Facebook, i loro commenti sui blog, è
una letteratura che sta andando verso un piano della reciprocità che era forse
inimmaginabile prima dell'avvento di Internet
6
.
Tornando al discorso dell'avvento del postmoderno nel nostro paese, come nota
Rolli in Gli sbarchi del postmoderno in Italia, questo è avvenuto per gradi, e
decisamente in ritardo rispetto alla scena americana. Infatti, mentre negli anni
Settanta il postmoderno nelle arti e nella letteratura statunitensi era già consolidato,
in Italia «la dimensione “pop”, l'arte “intermediale” (l'aggettivo è di Barth), la
strategia parodica del riuso di materiali esistenti, l'aspetto serissimamente giocoso del
racconto che racconta se stesso, le connessioni internazionali (Messico e Sudamerica,
innanzitutto), tutto ciò, nella cultura italiana degli anni sessanta-settanta, non
emerge.»
7
Da notare come due caratteristiche tipiche della letteratura degli ultimi
anni e che vengono amplificate grandemente grazie ad Internet e all'introduzione di
strumenti elettronici nella composizione letteraria, come l'internazionalità e l'essere
“intermediale”, sono già presenti nella letteratura americana di quegli anni e
costituiscono quindi parte integrante dell'essenza letteraria postmodernistica, nonché
della cultura postmoderna in genere. Rolli prosegue individuando un quinquennio,
dal 1979 al 1984, nel quale invece il postmoderno in Italia venne conosciuto e
trattato quasi ossessivamente; è in quegli anni, ricorda, che viene pubblicato per la
prima volta La condizione postmoderna di Lyotard per Feltrinelli e che il dibattito su
questo tema in Italia è decisamente intenso. Del resto, non possiamo non ricordare
che i primi prosecutori dell'estetica “Burroughs” in Italia cominciarono a scrivere
solo nei primi anni Novanta, e vennero fatti conoscere al grande pubblico solo in
seguito agli incontri di Ricercare, il convegno già citato che ebbe inizio nel 1993. Se,
dunque, abbiamo dovuto aspettare quasi trent'anni per una completa assimilazione
del cambiamento di carattere contenutistico avvenuto in campo letterario negli Stati
Uniti, non è escluso che dovremo aspettarne altrettanti per l'accettazione del
mutamento formale che si è avuto in seguito alla prima composizione ipertestuale in
campo narrativo: quella di Michael Joyce, datata 1987. I tempi sono quasi maturi
6
Ma già auspicato da Nelson, 1990
7
Rollo, Alberto, Gli sbarchi del postmoderno in Italia, in Tirature '04, Il Saggiatore, Milano, 2004, p.
21
12
insomma, e la diffusione dei supporti elettronici e-book che si è avuta in Italia
soprattutto a partire dalla Fiera del Libro di Francoforte del 2010 - foriera peraltro di
numerosi dibattiti, potrebbe essere un'ottima rampa di lancio. Tuttavia, lo scenario si
mostra ancora controverso e soprattutto in campo editoriale l'Italia non sembra
assolutamente preparata ad accogliere l'avvento delle tecnologie e dell'elettronica,
poiché si basa ancora su modelli tradizionali e non dispone di team organizzati e
preparati con comunicatori informatici competenti a livello sia umanistico che
letterario.
Ted Nelson e il sogno ipertestuale
Tornando alle origini di quella che è stata la grande rivoluzione ipertestuale nel
campo della comunicazione e del sapere, non possiamo non citare Ted Nelson che
nel suo Literary Machine descrive uno scenario del tutto simile a quello che stiamo
vivendo in questi anni ma con un anticipo di più di un decennio. Nel 1990 infatti,
data di composizione dell'opera, il Web non esisteva ancora e probabilmente agli
occhi dei più, o meglio di quasi tutti, lo scritto di Nelson doveva sembrare utopistico
e visionario. Per certi aspetti, bisogna ammettere che il tono utilizzato nell'opera è
quello di un sognatore, e non si può non notare il fine sarcasmo che percorre i
capitoli, unito ad alcuni aspetti linguistici, lascia trasparire anche una forte
componente passionale nella descrizione di Xanadu. Questo progetto, ancora
reperibile on-line ma ormai pressoché abbandonato, può essere descritto a grandi
linee come l'archiviazione di tutto lo scibile umano in digitale, rendendo così
reperibile ogni opera letteraria o scientifica in maniera immediata e provvedendo a
fornire collegamenti intelligenti fra le varie parti e scienze del sapere:
Nel 1965 fece la sua comparsa il “successore” del progetto di Vannevar Bush: dalle
ceneri del teorizzato Memex prendeva vita Xanadu, un software per l'archiviazione, la
gestione e la distribuzione delle informazioni, in grado di articolare il contenuto dei dati
in moduli interconnessi. A differenza del Memex tale progetto estendeva gli obiettivi
connaturati all'idea di Vannevar Bush, volendo proporsi anche come sistema di editoria
istantanea e collettiva. Ciò significava non accontentarsi più di una ricerca veloce e
13
intelligente del singolo dato, ma spingersi fino alla possibilità di articolare una rete di
utenti in grado di interagire con le informazioni e produrne di nuove. Anche se il primo
prototipo di tale software vide la luce solo nel 1987, le teorie che gravitavano intorno alla
sua ideazione influenzarono radicalmente il panorama degli anni successivi.
8
A questo proposito non possiamo dimenticare che, storicamente, tentativi di
questo tipo erano già stati fatti molti secoli, forse anche millenni addietro. In
particolare, possiamo ricordare le enciclopedie e i vocabolari medievali (che
soprattutto in origine non erano ben differenziati gli uni dalle altre), strumenti che
presentano chiaramente un impianto di carattere non-lineare. Oltre alla celebre
Fabrica del Mondo dell'Alunno, nella quale i vocaboli vengono presentati in diverse
classi con una tassonomia che si può rendere facilmente e con efficacia in maniera
ipertestuale, va ricordata assolutamente l'Ars magna generalis et ultima di Raimondo
Lullo. Questi glossari medievali di carattere enciclopedico erano organizzati in
categorie di vario tipo, chiamati subjecta e che prevedevano temi e soggetti come
Dio, le cose celesti, le cose terrestri, gli animali, il corpo umano. L'obiettivo
principale era di racchiudere tutto lo scibile umano esattamente come si propone di
fare, più di cinque secoli dopo, Ted Nelson col suo progetto informatico – sebbene
nel caso delle raccolte medievali il livello di interazione si mostri molto limitato e
dipendente da limiti spaziali e cronologici certo non irrilevanti. Per capire meglio,
vediamo come vengono descritte queste opere da Claudio Marazzini nella sua
trattazione della storia dei vocabolari italiani:
Quest'ultima [l'arte combinatoria] ha mostrato come si diffondessero libri e manuali di
uso universitario (ma anche divulgativo) nei quali trovavano posto schemi e prospetti a
cui era demandato il compito di favorire e facilitare l'invenzione, cioè la costruzione dei
vari discorsi possibili. Per la maggior parte, questi schemi e modelli rientrano nel campo
di competenza della retorica: servono a suggerire schemi di orazioni, oppure associazioni
tra parole, associazioni tra argomenti. L'utilizzatore di queste «macchine» cartacee
produttrici di significato deve seguire un percorso lungo gli snodi di un grafico, o lungo i
bordi di una figura geometrica, oppure deve utilizzare una ruota che gira su di un perno
(vera e propria piccola macchina cartacea), creando in tal modo combinazioni variabili
[…]
8
Ciastellardi, Matteo, La nascita della pratica ipertestuale, in D'Alessandro, Domanin, Filosofia
dell'ipertesto, Apogeo, Trento, 2005, pp. 80-81
14
Gli schemi e le ruote della Ars magna generalis et ultima del Lullo, così come sono
presentate nelle stampe del XVI secolo (ho sottomano l'edizione di Lione, 1517), sono
stati studiati da Paolo Rossi e poi da Umberto Eco proprio come prova e documento di
un universalismo combinatorio che arrivò fino a Leibniz, e che si collega direttamente
alla figura dell'arbor scientiarum, allo scopo di creare una raffigurazione della realtà, un
sistema del sapere in cui tutto doveva e poteva essere racchiuso.
9
Ancora più illuminante si presenta la descrizione della Tipocosmia di Alessandro
Citolini, opera enciclopedica pubblicata nel 1561 e descritta in base alle parole di
Viglio Zwichem:
Quest'ultimo raccontava di essere entrato nel modello ligneo del «teatro» ancora da
edificare: qui, sotto figure simboliche, collocate forse in una gradinata o anfiteatro, si
aprivano cassettini pieni di schedature riportate su fogli di carta, fino a raccogliere tutto
quello che la mente umana poteva concepire.
10
Niente di più simile ai modelli ipertestuali delle origini che meglio conosciamo,
dal Memex a Literary Machines, passando per molti altri. Questo fascino per
l'archiviazione del sapere e per una sua efficace fruizione grazie a collegamenti o
stratagemmi anche di carattere meccanico, viene peraltro espresso in maniera
piuttosto evidente in uno dei racconti di Finzioni di Borges. Il grande maestro
postmoderno infatti, nella sua Biblioteca di Babele
11
descrive l'Universo intero come
metafora di una gigantesca biblioteca formata da esagoni che si possono spostare ed
esaminare, accessibili attraverso l'utilizzo di marchingegni misteriosi. La relazione
fra Xanadu ed un sistema-biblioteca risulta più facile se pensiamo alla definizione
data da Domanin del progetto di Nelson come di «un'immensa biblioteca virtuale
consultabile per via telematica»
12
.
Il rapporto fra Literary Machine e la letteratura, è peraltro confermato attraverso
altri aspetti. Esso, ad esempio, mantiene un imprinting di carattere utopistico e
talvolta anche avvenirista, forse influenzato dalla letteratura fantascientifica in quegli
9
Marazzini, Claudio, L'ordine delle parole, Il Mulino, Bologna, 2009, pp. 83-84
10
Ivi, p. 89
11
Borges, Jorge Luis, La biblioteca di Babele, in Finzioni, Einaudi, Torino, 2005
12
Domanin, Igino, L'ipertesto: scrittura cooperativa e pensiero connettivo, in D'Alessandro P.,
Domanin I., Filosofia dell'ipertesto, cit., p. 62
15
anni molto diffusa e amplificata dai colossal cinematografici del medesimo genere.
A titolo di esempio, riportiamo un inciso che ad oggi suonerebbe piuttosto curioso:
Fra quarant'anni (se la specie umana sopravviverà), ci saranno centinaia di migliaia di
file server [...]
13
Questo senso di catastrofismo deve probabilmente la sua presenza anche
all'influenza del pluricitato George Orwell, cui il libro è dedicato in prologo
unitamente a Douglas Engelbart. Inoltre, il valore utopistico del progetto appare fin
da uno dei primi paragrafi del volume, intitolato La speranza:
I valori cambiano ogni volta che cambia l'universo.
E questo cambia ogni volta che noi ne ridefiniamo una porzione abbastanza grande; e lo
facciamo di continuo, attraverso un processo di scoperta che scoperta non è, ma solo
l'invenzione di una nuova versione di come sono le cose.
14
Possiamo riscontrare in questo esordio un nuovo parallelismo con il racconto di
Borges La biblioteca di Babele, il quale descrive una biblioteca dalle caratteristiche
molto simili al progetto di Nelson e che presenta questo esordio:
L'universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d'un numero indefinito, e forse
infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse
ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente.
La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in
ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella
stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d'una biblioteca normale.
15
In entrambi i casi, notiamo come il tema principale non sia né la Biblioteca in sé,
né il progetto Xanadu nello specifico, ma l'Universo, appunto, di cui entrambe le
opere intendono essere specchio ed archivio. Proprio come nelle enciclopedie
medievali.
Non è forse un caso che un'idea di questo tipo venga ripresa proprio da uno
scrittore postmoderno e rielaborata in chiave pratica da Ted Nelson nel suo
13
Nelson, Theodor Holm, Literary Machines 90.1. Il progetto Xanadu, Franco Muzzio Editore,
Padova, 1992, p. 0/11
14
Ivi, p. v
15
Borges, Jorge Luis, La biblioteca di Babele, cit., p. 96