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I° CAPITOLO
LA LUSSURIA NELLA STORIA DELLA LETTERATURA E DELLA
PITTURA: ESEMPI
La lussuria è il più umano dei vizi capitali, considerati “abiti del male” dal filosofo
Aristotele. Nella classifica stilata nel VI secolo da Papa Gregorio Magno, occupa
l’ultimo posto, piazzandosi dopo superbia, invidia, ira, accidia, avarizia, gola.
Dante Alighieri la intese come un appetito eccessivo dei beni terreni (cupidigia).
Nel primo canto dell’inferno della Divina Commedia (I, v. 32) la descrisse come una
lonza, un felino simile al leopardo e alla pantera, un animale crudele, leggero, veloce e
di pelo maculato che, nella selva oscura, gli blocca la strada verso il colle, illuminato
dai raggi del sole. Insieme alla lupa – simbolo di avarizia - e al leone – simbolo di
superbia - la lonza raffigurò per Dante la lussuria, un’ acquiescenza continua al piacere
sessuale fine a se stesso, che ostacola il pentimento e la conversione del peccatore.
La visione allegorica del poeta fiorentino tradusse in immagini il pensiero di Tommaso
d’Aquino che, nella Summa Teologica, aveva riassunto le passioni umane in tre
abituali disposizioni al male: la cupidigia dell’ occhio (avarizia), la concupiscenza
della carne (lussuria) e la presunzione di sé (superbia).
Dante ha posato sulla realtà uno sguardo poetico sapendo, per esperienza personale,
quanto sia devastante la sottile perversione dei più nobili affetti in un’anima calda e
generosa per natura. Lo ha descritto, con turbata commozione, nel quinto canto
dell’Inferno, di fronte alle anime dei due celebri amanti di Rimini, Paolo Malatesta e
Francesca da Polenta, travolti, in vita, dalla furia della passione e, nell’oltretomba
dantesco, trascinati, senza posa, da una bufera di vento che investe il secondo cerchio,
dove sono dannati “ i peccatori carnali che la ragione sottomettono al talento” (V, vv.
38 – 39).
Sono i lussuriosi: Semiramide che “al vizio di lussuria fu si rotta/ che libito fe’ licito in
sua legge/ per torre il biasimo in che era condotta” (V. vv. 55-57), Didone, Cleopatra,
ma anche Achille; amante di Polissena, Paride di Elena di Troia, Tristano di Isotta,
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personaggi del mito e della storia che un amore insano e mal riposto condusse al
suicidio o alla morte per tradimento.
“Amor ch’a nullo amato amar perdona […] condusse noi ad una morte” (V, vv. 103-
106): è l’amore che non tollera di non essere ricambiato, è l’anima sollecitata ad amare
chi la ama, sempre, comunque, ad ogni costo, anche a quello impagabile della vita.
L’atteggiamento dell’animo umano lussurioso è molto diverso da quello suscitato
dall’eros e dallo slancio vitale del desiderio d’amore.
L’erotismo si nutre di attesa, di assenza, o di fugaci presenze; proprio per questa
ragione non è mai sazio. L’essere umano, animato da eros, valica continuamente la
propria solitudine e trascende, scoprendo qualcosa di sé per dono di un altro. Il
desiderio d’amore muove, commuove, conduce all’estasi e in questo movimento verso
l’altro, “il diverso da sé” , l’eros è sinonimo di vita.
Al contrario la lussuria è una passione che si autoreferenzia, che riduce l’altro a
strumento di piacere carnale o che usa il prossimo, non tanto per trarre felicità dalla
reciproca conoscenza, quanto per raggiungere un godimento prettamente egoistico.
In lussuria si esprimono il disordine e l’eccesso sessuale
1
, “lussuria è un ardente, e
sfrenato appetito della concupiscenza carnale senza osservanza di legge, di natura, né
rispetto d’ordine, o di sesso”, diceva agli inizi del Seicento Cesare Ripa
2
.
La radice del termine è forse la stessa di lusso e di luce, qualcosa che abbaglia e che,
acceca, confonde. Qualcosa che splende in modo eccessivo e che fa pensare al fulgore
di Lucifero, l’angelo più bello che si ribellò a dio, suo creatore.
Se da un lato, la lussuria, è il lusso della carne (l’etimologia della parola latina luxus
indica, appunto, un’esagerazione), dall’altro potrebbe attingere il suo senso profondo
dal termine greco loxos, da cui lussazione, che significa deformazione o divisione.
Qualcosa di piegato da una parte, di obliquo, come è il vizio originario della
prodigalità, cioè di chi dà con eccessiva larghezza, di chi, spendendosi troppo, si butta
via, di chi sporgendosi in avanti, perde l’equilibrio e cade.
1
Baldassarri-Mojana 2004, pp. 6, 18.
2
Ivi, p.16; Ripa 1992, p. 258.
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Nella storia della pittura europea, la lussuria è dipinta in modo allegorico, spesso
nascosta dietro amori mitologici o metafore moraleggianti e, secondo la morale e i
costumi del tempo, trova più felice espressione nelle prove grafiche, nelle incisioni a
stampa, in fogli leggeri e segreti, da custodire per la privata contemplazione, piuttosto
che da esibire in grandi quadri da stanza, appesi alle pareti dei saloni di palazzi o di
ville fuori città
3
.
Nel Quattrocento, l’artista più famoso che diede un’immagine nuova della lussuria, fu
il fiammingo Hieronymus Bosch ( 1450 circa–1516).
Questo vizio è rappresentato, insieme con gli altri, nella tavola raffigurante I sette vizi
capitali conservata al museo del Prado, Madrid (vedi Tavola 1), realizzata dall’artista
tra il 1475 e il 1480. L’opera fu fatta trasportare nel 1574 da Filippo II all’Escorial, e
precisamente nella sua stanza da letto, dove svolse anche il compito di favorire
l’esame di coscienza quotidiano del re. Secondo un costume che, nel corso del
Seicento, diventò comune anche nelle classi meno nobili della società, la
raffigurazione pittorica di vizi e difetti assunse un forte intento moraleggiante, di
monito e di richiamo, soprattutto nell’ Europa del Nord, borghese e protestante
4
.
Il motivo della vita e della morte è il tema unitario della straordinaria tavola di Bosch,
che si compone di un cerchio centrale maggiore e di quattro laterali più piccoli. Il
cerchio maggiore, identificabile con l’occhio di Dio, reca nell’iride l’immagine di
Cristo risorto, eretto sul sepolcro. A sua volta l’iride allude alla raggiera solare; da qui
l’identificazione di Cristo col sole, di antica ascendenza biblica.
Nella cornea, coincidente con il globo terrestre, sono distribuiti i sette vizi capitali
designati, dalle rispettive scritte disposte a ruota, in scomparti trapezoidali
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.
Al centro, in basso, è raffigurata l’ira e proseguendo in senso orario, troviamo
l’invidia, l’avarizia, la gola, l’accidia, la lussuria e la superbia.
Agli angoli della tavola, troviamo i quattro medaglioni rappresentanti la Morte di un
peccatore, il Giudizio Universale, il Paradiso e l’Inferno, nel quale sono ripresi i sette
3
Ivi, p.6,9,10.
4
Ivi, p.16.
5
Ivi, p.18.
5
vizi, dove ogni peccato riceve la punizione appropriata; se osserviamo in particolare la
rappresentazione della lussuria (vedi Tavola 2), vediamo dentro una tenda semiaperta,
due coppie che amoreggiano in un convito campestre, rallegrate da due buffoni. L’arpa
per le lodi al Signore, lasciata in disparte, allude alla dimenticanza del Dio vero, per la
sopraggiunta idolatria del piacere carnale e disordinato. Il letto dei lussuriosi è assalito
da mostri: la coppia dei due amanti nudi, sotto coperte rosse e protetti da un
baldacchino verde, è minacciata da un coccodrillo fantastico e nero, che avanza sul
lettone, mentre i demoni catturano le due anime dannate
6
.
La figura del coccodrillo la ritroviamo anche in una nella descrizione della lussuria di
Cesare Ripa: “ una giovane, che abbia i capelli ricciuti e artificiosamente acconci, sarà
quasi ignuda, ma che il drappo, che coprirà le parti, sia di più colori e renda vaghezza
all’occhio, e che sedendo sopra un coccodrillo, faccia carezze ad una pernice, che tiene
con una mano […]”
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(vedi Tav.3); “ … si dipinge con li capelli ricciuti, e
artifitiosamente acconci, e col drappo suddetto, perché la lussuria incita, e è via
dell’Inferno e scuola di sceleratezze. Si rappresenta quasi ignuda, perché è proprio
della lussuria il dissipare, e distruggere non solo i beni dell’animo, ma anche i beni di
fortuna che sono danari, gioie, possessioni e giumenti. Siede sopra il Cocodrillo percio
che gli Egittij dicevano che il Cocodrillo era segno della lussuria, perché egli è
fecondissimo, e genera molti figliuoli, e come narra Pierio Valeriano nel lib. 29. È di
così contagiosa libidine, che si crede, che nella sua dritta mascella i denti legati al
braccio diritto concitino, e commovano la lussuria. Tiene, e fa carezze alla pernice, la
quale bene spesso è da tanta rabbia agitata, pel coito, e è accesa da tanta intemperanza
di libidine, che alle volte il maschio rompe l’uova, che la femmina cova, essendo ella
nel covar ritenuta, e impedita dal congiungersi seco”
8
. Seguendo questa interpretazione
Bosch intese l’animale del Nilo come simbolo di fecondità e libidine.
6
Bosch 1977, tavola n.2, pp. 87-88..
7
Baldassarri-Mojana 2004, p.16; Ripa 1922, p.257.
8
Ripa 1992, p.258, 259. Le definizioni più note di Lussuria, sempre secondo Cesare Ripa, la
descrivono come un “...Fauno con una corona d’erica, e un grappo d’uva in mano, per fingersi il
Fauno libidinoso, e l’erica per invitare, e spronare assai gl’atti di Venere” oppure “ gli antichi usavano
dipingere Venere sopra un montone, per la lussuria, mostrando la soggettione della ragione al senso, e
alle concupiscenze illecite”.