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INTRODUZIONE
Clint Eastwood, secondo buona parte della critica cinematografica, è l’erede riconosciuto del
cinema classico americano. Tale definizione, tuttavia, appare abbastanza riduttiva, alla luce della
complessità e dei molteplici motivi di interesse dell’autore, che è diventato, col passare degli anni,
uno dei più validi e riconosciuti registi al mondo. Attraverso uno stile ricco, personale, fuori dagli
schemi, l’americano ha saputo stravolgere i confini del classico e del moderno al cinema,
dimostrando in più occasioni la sua poliedricità: attore, musicista, regista, produttore, insomma un
vero e proprio autore a 360%. Con questa trattazione si intende provare a rintracciare elementi
ricorrenti nel cinema eastwoodiano, dopo aver analizzato la figura del regista e aver preso in esame,
in particolare, alcuni suoi film e personaggi. Dalla “trilogia del dollaro”, alla serie di Callaghan, si
studieranno i caratteri distintivi di un personaggio entrato con prepotenza nell’immaginario
collettivo e che ha saputo, nondimeno, rinnovarsi col passare degli anni senza mai cadere nel
banale, anzi riuscendo, quasi sempre in maniera convincente, ad esprimere la sua concezione del
mondo. Si tenterà, infine, di tracciare un confine tra la sua classicità e la sua modernità in qualità di
autore, evidenziando una certa difficoltà nell’etichettare un regista del tutto fuori dagli schemi, un
personaggio dalla fortissima personalità e un perfetto esempio di autore “moderno”, completo, che
rifiuta le categorizzazioni.
Probabilmente quasi nessuno avrebbe scommesso, a metà degli anni Sessanta, che questo cow-boy
dalla bella faccia e i silenzi pieni di mistero sarebbe diventato, quarant'anni più tardi, non solo
un'icona di Hollywood e una star internazionale, ma anche uno dei registi più amati e rispettati, sia
dai suoi colleghi che dai cinefili di tutto il mondo. Insomma, un vero autore. Non ci avrebbero
scommesso nemmeno i pochi critici che, sin dagli inizi, avevano saputo cogliere la grandezza del
suo personaggio. Quel macho per molti sempre ugualmente inespressivo, sempre ugualmente
reazionario: specchio (col distintivo) dei trucidi teppisti o dei bandoleros che combatteva a suon di
pistolettate e cazzottoni. Già da allora Eastwood aveva impresso il suo primo marchio d'autore
dando nascita al primo grande pistolero pop cinico e disilluso: sta proprio nella sua espressione
“sempre uguale” la sua grandezza nell'interpretazione dei diversi personaggi della sua carriera. Che
Clint si muova nel West o nelle strade di New York piuttosto che di San Francisco non fa
differenza; si muove su questa America fondata sulla violenza del West come un solitario, glaciale,
indolente, laconico, eterno non integrato, soprattutto con le istituzioni ma anche con chi non gli va a
genio. Un cow-boy senza bandiere se non quelle della verità e della giustizia o, semplicemente, di
un pugno di dollari. Molti, Pauline Kael in prima linea, hanno etichettato il suo personaggio ruvido
5
e spietato degli anni Settanta come «anarchico di destra»
1
. La critica cinematografica, ai tempi di
Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! (Dirty Harry, Don Siegel, 1971), attaccò sul New Yorker
il personaggio del mitico Callaghan definendolo «fascista» ed «eroe nixoniano». Non tutti sono
d'accordo con questa interpretazione; anzi la maggior parte della critica ha rilevato nell'ispettore uno
che non vuole farsi catalogare e manovrare dalle istituzioni e dalla burocrazia. Lo stesso Eastwood,
di sé, ha detto: «Non penso mai secondo parole d'ordine facili o in categorie già stabilite: razzista,
fascista, comunista, sessista, sinistra, destra; la gente che ragiona così, per me, ha una mentalità
distorta». Non ci sono etichette per i suoi antieroi. Ancor prima che egli diventasse autore a tutti gli
effetti, dunque prima delle regie e dei riconoscimenti internazionali, portava su di sé i segni del
fallimento del sogno americano. Ciò che accomuna tutti gli eroi/antieroi eastwoodiani è l’aver
subito ogni genere di ingiustizia, sopruso e umiliazione; solo dopo questi l'eroe può avere un po’ di
giustizia, ma essa è fragile e personale, condotta attraverso l'uso fai-da-te della pistola, mai
riconosciuta e tutelata dalle istituzioni. «Credo che in tutti i personaggi che ho interpretato ci sia una
specie di debolezza, nascosta sotto una corazza impenetrabile. Sono duri perché hanno perso
qualcosa nella vita. Hanno fallito in qualcosa. C'è sempre un'insoddisfazione. Un rimpianto per
qualcosa che non sono riusciti a fare.»
2
Il suo è il primo eroe a prendere botte, proiettili, sfregi in quasi ogni film. Il personaggio di Clint è
quasi sempre un eroe più a suo agio con i perdenti e i diseredati d'America. Nel Texano dagli occhi
di ghiaccio (The Outlaw Josey Wales, 1976) "ricostruisce" idealmente la famiglia che gli è stata
massacrata dai nordisti insieme a un vecchio pellerossa, una squaw, un cane spelacchiato, una
vecchia logorroica e sclerotica e una ragazza virginale ed eterea (la sua ex compagna Sondra
Locke). Oppure è un carcerato che come compagni occasionali si trova bibliotecari neri, pittori
dall’animo fragile, creature deboli che hanno per amico un minuscolo topo (Fuga da Alcatraz,
Escape from Alcatraz, Don Siegel, 1979). In Bronco Billy (1980) è un improbabile cow-boy del
New Jersey che guida un gruppo di circensi scalcinati. Frequenta scimmioni, alcolisti e rissosi e fa a
pugni coi neonazisti (Filo da torcere, Every Which Way But Loose, James Fargo, 1978; Fai come ti
pare, Any Which Way You Can, Buddy Van Horn, 1981). È un pistolero stanco che prende le difese
delle prostitute in Gli spietati (Unforgiven, 1992). Porta dentro di sé il cuore trapiantato di una
donna messicana in Debito di sangue (Blood work, 2002). È ben consapevole, con Scott Fitzgerald,
che «non ci sono secondi atti nelle vite americane» (con questa frase in esergo, lettere bianche su
fondo nero inchiostro, si apre un altro suo film: Bird, 1988). Per arrivare ai due film che lo hanno
1
P. Kael, FilmInt., Film International, 2007, p. 22
2
R. Silvestri, a cura di, Macchine da presa, Minimum Fax, Firenze, 1996, p. 49
6
consacrato definitivamente come autore, due capolavori sui perdenti d’America: Mystic River
(2003) e Million Dollar Baby (2004), pellicole che parlano del lato più cupo degli Usa, l’una con la
grandezza epica di una tragedia della provincia americana, l’altra con i risvolti del dramma sportivo,
i cui toni da commedia virano progressivamente nel lutto. Il primo racconta, a partire da un
romanzo di Denis Lehane, ancora una volta storie di strada che vedono protagonisti dei proletari
americani dal destino marchiato col sangue sin dall’infanzia. Il secondo parte da una serie di
racconti di F.X. Toole, ex pugile, per seguire le gesta di una ragazza pugile molto volenterosa che
cerca il riscatto da una vita vissuta in una roulotte. Sembra che ce la faccia ma, inevitabilmente, ha
la peggio come tutti i deboli d’America e del mondo, come diversi personaggi trattati da Clint
Eastwood nel suo cinema vero, secco e onesto. Egli tratta col solito grande stile anche il tema della
guerra; nello specifico, la sanguinosa battaglia di Iwo Jima, del 1945, in due film girati quasi
contemporaneamente: Flags of our Fathers (2006), in cui racconta la battaglia dal punto di vista
degli americani, e Lettere da Iwo Jima (2006), visto dalla parte dei giapponesi. Per arrivare poi a
Changeling (2008), un drammatico che ha per protagonista una donna (una grande Angelina Jolie)
che combatte quasi da sola per ritrovare il figlio rapito, contro polizia, media e opinione pubblica
che non le danno retta, e a Gran Torino (2008), dove Eastwood interpreta Walt Kowalski, veterano
della guerra di Corea, ormai in pensione e vedovo, che si ritrova a fare quasi da padre a un ragazzo
asiatico che ha cercato di rubargli l’auto (una Ford Gran Torino, appunto) per farsi accettare dalla
gang del cugino. Quest’ultimo film rappresenta una summa dei grandi temi trattati nei precedenti
film: «torna sul tormentato rapporto con Dio, già accennato in Million Dollar Baby; sulla
contemplazione disperata di un tessuto politico e sociale devastato, come in Changeling; sulla
necessità di lottare con i propri demoni per salvarsi l’anima, come in Gli spietati. Soprattutto,
definisce una figura tragica straordinaria, Kowalski, titanico nella sconfitta e nella resurrezione».
3
Torna anche sul tema della famiglia “ufficiale”, presentata in termini negativi e caricaturali così
come aveva fatto in Million Dollar Baby. C’è poi chi ha rilevato, non del tutto a torto, alcuni legami
con Dirty Harry, in particolare nelle caratteristiche del personaggio: così come Harry Callaghan,
anche Walt Kowalski è razzista, sebbene durante il corso del film riesca ad integrarsi abbastanza
con i vicini orientali che all’inizio disprezza; è fautore di una giustizia personale e violenta, ha dei
valori rigidi in cui crede fortemente. Tuttavia, qualche differenza si può riscontrare nei finali dei
due film: alla fine di Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo! il protagonista getta via il distintivo
della polizia: non c’è posto nelle istituzioni per l’eroe solitario, a prevalere è la legge del singolo.
3
M. Gervasini, Clint Eastwood e l’ideale di una civiltà che coincide con il Sogno americano più autentico e per questo
utopistico. Un cineasta capace di elaborare il senso del tragico per tentare di fare (ri)nascere una Nazione, in
«Filmtv», 2009, p. 25
7
Nelle ultime scene di Gran Torino Eastwood continua a stringere in mano la sua medaglia
dell’esercito, quasi a voler sottolineare l’importanza che essa ha per lui. È inoltre un personaggio,
quello di Gran Torino, molto più affabile e ben disposto di Harry, sebbene all’inizio faccia di tutto
per risultare antipatico a chiunque gli giri intorno. Nel 2009 gira Invictus- l’invincibile, in cui
Morgan Freeman interpreta (magistralmente) Nelson Mandela, neo eletto presidente africano alle
prese con la riunificazione del paese, tramite uno sport ivi molto diffuso: il rugby. La sua penultima
opera è Hereafter (2010), completamente diversa per temi e forma dalla precedente: vi si narrano le
storie parallele di tre persone che hanno conosciuto, in qualche modo, la morte. Nella sua ultima
fatica, J. Edgar (2011), racconta la storia dell’ex capo dell’FBI.
La sua grande capacità, non solo attoriale e registica ma più specificamente autoriale, è da ricercarsi
nei molteplici generi da lui affrontati, ottenendo quasi sempre ottimi risultati.
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1. LA FIGURA DI CLINT EASTWOOD: GLI ESORDI
Clinton Eastwood Jr. nasce il 31 maggio 1930 a San Francisco. Per diversi anni suo padre, Clinton
Sr., ex contabile, porta la famiglia in giro per la California a bordo di una roulotte, alla ricerca di un
lavoro. Il giovane Clint resta molto spesso in campagna dalla nonna, ed è proprio qui che impara ad
andare a cavallo. In seguito si trasferisce ad Oakland insieme ai genitori. Qui gioca a pallacanestro,
nuota nella squadra del liceo e si dedica nottetempo alla musica, in particolare al jazz be-bop di
Charlie Parker e Dizzy Gillespie. Una volta preso il diploma di liceo, nel ’48, Clint se ne va
nell’Oregon a fare il taglialegna e a svolgere diverse professioni: guardiano notturno, bagnino e
impiegato amministrativo. Ai tempi della guerra di Corea, nei primissimi anni Cinquanta, viene
arruolato nell’esercito a Fort Ord, California, ma non partirà mai per il fronte.
La sua carriera cinematografica comincia nel 1954, quando firma un contratto da 75 dollari a
settimana. Interpreta, spesso come comparsa, sovente nemmeno accreditato, il più delle volte senza
nemmeno una battuta, pellicole di serie B, filmacci tra il pop e la fantascienza più trash.
«Il mio primo ruolo è stato in un film che s’intitolava La vendetta del mostro. Interpretavo
l’assistente di uno scienziato in un assurdo laboratorio. Era una scena assolutamente idiota ma
serviva a riempire il film. Ho dovuto fare una quindicina di ruoli di quel tipo, poi, nel giro di un
anno e mezzo, mi hanno messo alla porta».
4
E’ la tv a dare una prima svolta alla sua carriera. Per il piccolo schermo interpreta, dal 1959 al 1966,
per un totale di 217 episodi, il personaggio del mandriano Rowdy Yates nella mitica serie western
Rawhide (colonna sonora di culto di Tiomkin e Washington, rifatta anche dai Blues Brothers). Per il
popolare telefilm, ispirato al Fiume rosso (1948) di Howard Hawks, Clint guadagna 700 dollari a
episodio. Ma soprattutto è proprio grazie al personaggio del giovane ranchero da piccolo schermo
che, nel 1964, viene notato e scelto da Sergio Leone come protagonista del suo primo western,
remake non autorizzato di Yojimbo - La sfida del samurai (1961) di Akira Kurosawa. Inizialmente il
film doveva intitolarsi Il magnifico straniero e Leone avrebbe voluto, come protagonista, Henry
Fonda o James Coburn, ma costavano troppo. Scelse allora Eastwood, che stava per rifiutare
l’offerta di 15.000 dollari fattagli dal regista italiano; poi, per fortuna, la moglie Maggie lo convinse
ad accettare. L’incontro con Leone e la creazione dello spaghetti western sono destinati a lasciare
un segno non solo nella storia del cinema, ma anche nella carriera e nella vita di Eastwood. I due,
sul set, discutono spesso, anche se Clint non sa una parola d’italiano né Leone una d’inglese:
«L’unica volta in cui l’intervento dell’interprete si rivelò indispensabile fu quando suggerii di
4
R. Thompson, T. Hunter, The Eastwood Direction, in «Film Comment», XIV, 1, p. 33, 1978
9
sforbiciare i dialoghi, che mi sembravano eccessivi...».
5
Per un pugno di dollari (1964) e i due capitoli successivi – Per qualche dollaro in più (1965) e Il
buono, il brutto, il cattivo (1966) – gli consentono di diventare una star internazionale. Prima in
Italia, poi, dal 1967 anche negli Usa, dove fino ad allora era conosciuto sempre e solo come
coprotagonista belloccio e dinoccolato di Rawhide (a proposito, i costumi di scena per la trilogia se
li portò, su consiglio di Leone, proprio dagli Usa, in parte saccheggiando i set del serial tv). La sua
recitazione, fatta di sottrazione totale, sguardo di ghiaccio, sopracciglio aggrottato e qualche parola
biascicata, lascia il segno. Barba incolta, faccia bruciata dal sole e poncho (la leggenda vuole: mai
lavato nell’arco dei tre film), diventa grazie alla “trilogia del dollaro” anche un sex-symbol. Per
qualche dollaro in più e Il buono, il brutto, il cattivo vedono salire il cachet di Eastwood dai 15.000
dollari del primo capitolo a 50.000 e poi 250.000, più una percentuale sugli incassi (il 10%). Prima
di rientrare negli Usa, Clint lavora con Vittorio De Sica, che lo etichetta come «il nuovo Gary
Cooper», e gli affida il ruolo di protagonista, al fianco di Silvana Mangano, nell’episodio Una sera
come le altre del film Le streghe.
1.1 DALLA MALPASO ALLE PRIME REGIE
Con i soldi incassati con la trilogia del dollaro, Clint fonda nel 1967 la sua compagnia di
produzione: la Malpaso (letteralmente “passo falso” in spagnolo) Company, che prende il nome dal
torrente che attraversa il terreno di sua proprietà a Carmel. La politica della Malpaso è quella di
evitare gli sprechi, stare nel budget e nel piano di lavorazione previsto, girare (e alla svelta) su
location e non in teatri di posa. Dal ’68 ad oggi, ovvero dal primo film coprodotto – il western
Impiccalo più in alto (Hang ‘Em High, Ted Post, 1968) – agli Oscar per Gli spietati e a quelli per
Million Dollar Baby, la strategia e la “famiglia Malpaso” (Eastwood ama circondarsi da sempre di
un gruppo di stretti collaboratori fissi) hanno partorito successi, capolavori, ma anche fiaschi
commerciali, anche se il più delle volte i flop al botteghino sono dei grandi film, come La notte
brava del soldato Jonathan (The Beguiled, Don Siegel, 1971) o Bird. Il suo personaggio-regista,
ricalcato sul grande John Huston, in Cacciatore bianco, cuore nero (1990), dice emblematicamente:
«chi fa un film deve fregarsene altamente di chi va a vederlo». Il primo film che coproduce e
interpreta, per Malpaso, è un western del 1968 piuttosto convenzionale ma che riscuote un grande
successo di pubblico (17 milioni di dollari al botteghino Usa): Impiccalo più in alto. Sempre nel
’68, l’attore inizia l’altro sodalizio artistico che dà una svolta ulteriore alla sua carriera e al suo stile,
5
L. Barisone e G. D’Agnolo Vallan, a cura di, Clint Eastwood , La Biennale/ Il Castoro, 2000, p. 22
10
una collaborazione, questa volta rafforzata da un’amicizia, con il regista americano Don Siegel.
«Don era un amico. […] è stato sempre un sostegno per me».
6
Il primo film che i due girano
insieme è il western urbano L’uomo dalla cravatta di cuoio (Coogan’s Bluff, 1968), al quale
seguono la commedia western Gli avvoltoi hanno fame (Two Mules For Sister Sara, 1970), il crudo
La notte brava del soldato Jonathan, in cui per la prima e quasi unica volta l’eroe muore, Ispettore
Callaghan: il caso Scorpio è tuo! e, infine, Fuga da Alcatraz. Il sodalizio con Siegel è
fondamentale, perché non solo consacra definitivamente Eastwood come star anche negli Usa, ma
dà una matrice di stile e mestiere anche alla sua futura carriera registica. Da Don impara molto, ha
modo di partecipare attivamente alla realizzazione del film, anche grazie alla propensione di Siegel
a chiedere pareri anche agli attori e agli altri collaboratori. Con il primo capitolo di Callaghan, ha
l’opportunità di mostrare le sue doti dietro la macchina da presa: gira la scena in cui l’ispettore
salva l’aspirante suicida. Il montaggio rapidissimo, la scelta di molteplici punti di vista differenti, la
secchezza e l’asciuttezza narrativa sono marchi di uno stile che Eastwood fa suo. A partire dalla sua
prima regia del 1971: il thriller drammatico Brivido nella notte (Play misty for me, 1971), storia di
un’attrazione fatale tra un dj e una pazza che, dopo una notte con lui, pretende un amore totale. La
pellicola regala anche un cammeo all’amico-mentore Don Siegel (fa il barman).
Tra il ’68 e il ’71 Eastwood interpreta ben otto film, oltre all’esordio alla regia. Tra gli altri ci sono
due film bellici, Dove osano le aquile (1969) e I guerrieri (1970), e due sonori fiaschi commerciali:
La ballata della città senza nome (Paint Your Wagon, Joshua Logan, 1969), un musical western,
scritto dagli autori di My Fair Lady, in cui Clint mostra sullo schermo le sue doti canore (in seguito
anche in Bronco Billy, 1980), e il già citato La notte brava del soldato Jonathan in cui, dopo avere
approfittato di alcune fanciulle di un collegio femminile, viene fatto prigioniero dalle stesse,
torturato e massacrato fino alla castrazione e alla morte. Da allora, alterna scelte più commerciali
come attore-produttore, a volte regista, a pellicole molto rischiose per il botteghino. Nella prima
categoria troviamo, ad esempio, l’insapore western Joe Kidd (1972) di John Sturges e i vari sequel
di Dirty Harry. Tra le pellicole meno commerciali, invece, rientrano Breezy (1973) e Honkytonk
Man (1982), in cui Clint, per la seconda volta, muore sullo schermo.
1.2 I FILM DI GUERRA
Tra i generi “visitati” da Eastwood non manca il war movie. Il primo film da regista in cui si
accenna alla guerra è Firefox- Volpe di fuoco (1982), da molti critici considerato uno dei suoi
6
G. Di Claudio, Directed by Clint Eastwood, Chieti, Libreria Universitaria, 1994, p. 16
11
peggiori. Qui interpreta un pilota di jet in congedo, scelto dai servizi segreti per rubare un aereo da
guerra sovietico invisibile ai radar, con uno scudo quasi inaccessibile ai missili nemici e che
funziona solo con un pilota che pensa in russo. Si tratta, evidentemente, di un thriller fantapolitico
di ideologia reaganiana. Ma è con Gunny (1986) che Eastwood realizza veramente un film di
guerra. Esso racconta l’intervento di 5.000 marines nell’isola di Grenada nel 1983, intervento sul
quale Reagan impose il silenzio dei media. Dopo essere già stato asso dei cieli per il Governo in
Firefox, realizza dunque il suo primo vero war movie. Gunny, come farà un anno dopo Full Metal
Jacket di Stanley Kubrick, è un film di guerra che, per la maggior parte, racconta la preparazione
alla battaglia e mette piuttosto in scena la simulazione e la possibilità della morte. Il sergente che
interpreta l’attore-regista americano è odiato dai superiori per i metodi bruschi e l’inosservanza
delle regole militari (tornano, in un certo senso, alcune delle caratteristiche “callaghaniane” del
personaggio), si ritrova, dopo alcune malefatte dovute anche all’alcol e alla sua abitudine a fare a
botte, a comandare un plotone di esploratori del tutto inesperti e lasciati allo sbando dal sergente
precedente. Gunny sottopone i suoi marines ad un duro ma motivante addestramento,
guadagnandosi pian piano la loro stima e il loro rispetto, e alla fine si ricongiungerà con la moglie.
Eastwood in questo film ironizza sul patriottismo e sull’istituzione militare, sebbene siano
considerati da lui valori importanti. Come in molte altre sue opere, emerge una contraddittorietà di
fondo nel tratteggio del suo Paese: apprezzamento da un lato, insofferenza dall’altro, ironia ma al
tempo stesso amarezza. Flags of Our Fathers, invece, uscito nel 2006, è ambientato durante la
seconda guerra mondiale e racconta la storia di un gruppo di soldati americani impegnati nella
sanguinosa battaglia di Iwo Jima: la vicenda è raccontata attraverso il punto di vista degli americani.
Nel di poco successivo Lettere da Iwo Jima tratta la medesima battaglia vista però dal punto di vista
dei giapponesi. In questi altri due war movie Eastwood non appare come attore, ma si dedica solo
alla regia: in Flags of Our Fathers ci viene mostrata soprattutto la finzione dei media, l’utilizzo
cinico e sprezzante che i politici fanno della gente. Il motore della storia è la foto che venne scattata
durante la battaglia di Iwo Jima. L’istantanea (falsa) ritraeva sei soldati americani uniti nello sforzo
di innalzare la bandiera a stelle e strisce e dunque simbolo dell’orgoglio americano. Il regista mette
in scena due violenze: quella dura e cruda delle battaglie, da una parte, e quella subdola della
politica, dall’altra. È percepibile lo sforzo di Eastwood di aver voluto ricostruire il più fedelmente
possibile la storia, senza eccedere in sentimentalismi, nel suo solito stile asciutto, concreto, che bada
al sodo. Lettere da Iwo Jima, come già accennato, ripercorre la stessa battaglia, vista però dal punto
di vista del “nemico”. Quasi interamente girato in lingua giapponese, il film ha il pregio di
avvicinarsi, per quanto possibile, a una cultura opposta a quella del regista, che sceglie di ricostruire
soprattutto il volto “privato” della guerra, scegliendo come protagonista un generale che conosce
12
l’America. Il punto di vista, qui, è quello di chi ha perso. La vicenda è ricostruita attraverso il
ritrovamento di alcune lettere scritte dai soldati semplici e dal generale Tadamichi alle famiglie,
durante i giorni della battaglia e sepolte nelle sabbie vulcaniche dell'isola. Qui i combattimenti
vengono ridotti all’essenziale, per lasciare spazio agli uomini, alla descrizione delle loro paure, dei
loro bisogni. Se in Flags of Our Fathers i soldati giapponesi apparivano come mere ombre, qui
avviene il contrario; c’è identificazione tra i due popoli, entrambi sono mossi dagli stessi sentimenti.
Sebbene quelli su citati siano i film dove direttamente Eastwood parla di guerra, in altre sue opere
sono riscontrabili “tracce”, nel vissuto del protagonista, che hanno a che fare con essa. Tra gli
ultimi, Gran Torino ha per protagonista Walt Kowalski, un reduce della Guerra di Corea (sorta di
alter ego dello stesso Eastwood). Il suo modo di essere e di agire è una diretta conseguenza del suo
passato (il razzismo, la diffidenza, le sue sentenze lapidarie), e dunque anche qui la guerra assume
un ruolo fondamentale nella definizione del protagonista e del suo mondo.
1.3 EASTWOOD E LA MUSICA
Fin da bambino, Eastwood si nutre di musica. Inizia piccolissimo a suonare il piano del nonno, poi
la tromba e il flicorno, spesso canta accompagnato dal padre che suona la chitarra. Si appassiona
presto al jazz, sin da quando l’adorata madre gli passa i dischi a 78 giri dei pianisti Fats Waller e
Art Tatum. Ama particolarmente il boogie woogie e il be-bop di Dizzy Gillespie. A sedici anni
inizia a suonare alcuni classici blues in una cantina. È sempre il ’46 quando sente, alla radio, il sax
di Charlie Parker: da allora comincia a frequentare molti jazz club. Tutto il suo cinema, non a caso,
è intessuto di musica; fin dal film d’esordio alla regia, Brivido nella notte, in cui fa la parte di un dj
radiofonico e viene ossessionato da una pazza sulle note di un famoso pezzo del 1954 di Errol
Garner, Misty, riinciso appositamente dall’autore per il film, il cui titolo originale richiama il nome
del pezzo: Play Misty for Me. In La ballata della città senza nome (1969) e Bronco Billy canta,
esibendo la sua piacevole voce baritonale. I suoi film sono quasi sempre costellati di oggetti,
strumenti e segni musicali. Egli stesso ha dichiarato che «il jazz, con il blues e il western, è una
delle poche forme artistiche originali dell’America; che quando dirige un film di lascia andare come
un jazzista che improvvisa su un tema; che il jazz lo ispira persino nel montaggio»
7
. In
un’inquadratura de Il texano dagli occhi di ghiaccio, il suo eroe salva Sondra Locke da uno stupro.
La carrozza della donna e della madre è stata saccheggiata: resta quasi tutto completamente
distrutto. Per un attimo, tuttavia, in campo restano Eastwood, un cane e un pianoforte abbandonato
7
A. Castellano, L. Pfeiffer, B. Zmijevsky, Clint Eastwood, Gremese, 1988, p. 27
13
in pieno deserto. Si tratta di un’immagine molto “musicale”, non solo per la presenza dello
strumento nell’inquadratura, ma anche per la figura dello stesso attore-regista, che si fonde
perfettamente con la musica. Ha suonato il piano in Per piacere… non salvarmi più la vita (1984) di
Richard Benjamin e in Nel centro del mirino. Ha composto diverse canzoni per le pellicole da lui
dirette, tra cui spiccano la struggente Claudia’s Theme de Gli spietati e Doe Eyes, tema principale
de I ponti di Madison County. Anche le suite originali di Mystic River e Million Dollar Baby
portano la sua firma. È con Honkitonk Man, tuttavia, che Eastwood dà forse maggior prova del suo
talento musicale: interpreta un immaginario musicista country, alcolizzato e malato di tubercolosi.
Perfettamente nella parte, l’autore californiano realizza un film fortemente personale, dove la
musica ha forse il ruolo maggiore rispetto a tutti gli altri suoi film. Nell’88 omaggia il jazzista
Charlie Parker in Bird, vincitore dell’Oscar per il miglior suono. Nella sua lunga carriera, Eastwood
si è sempre avvalso di validissimi compositori che hanno saputo cogliere l’essenza della sua idea di
musica, fondendo alla perfezione i personaggi con la storia. Dalla collaborazione con Dee Barton
per le prime due regie, Brivido nella notte e Lo straniero senza nome, passa a John Williams per
Assassinio sull’Eiger e a Jerry Fielding per Il texano dagli occhi di ghiaccio e L’uomo nel mirino,
fino ad arrivare alle atmosfere notturne della serie di Callaghan, intensificate dal mood urban-
jazzistico, molto efficace, di Lalo Schifrin. Ma è in Lennie Niehaus, compagno di leva di Eastwood
della Guerra in Corea, e autore della musica in più di dieci suoi film (da Il cavaliere pallido, a
Gunny, a Bird, a Gli spietati, a Un mondo perfetto, fino a I ponti di Madison County e Fino a prova
contraria) che si rintraccia forse la controparte migliore della sua idea musicale. Da Mystic River a
Million Dollar Baby, arrivando agli ultimi film, invece, Eastwood è egli stesso autore della musica
dei suoi film, da solo oppure insieme con il figlio Kyle.
1.4 IL CONTROVERSO RAPPORTO CON LE DONNE
Le donne hanno rivestito e rivestono per Eastwood una grande importanza: sebbene sia stato
accusato, probabilmente a ragione in certi casi, di misoginia, non si può negare il ruolo di primo
piano svolto dalle protagoniste femminili di diversi suoi film: sono loro a scrollarlo dal suo
nichilismo, a coglierne l’identità, a scuoterlo e a ridargli vita o anche morte (come nel caso de La
notte brava del soldato Jonathan). Ne L’uomo dalla cravatta di cuoio l’assistente sociale
interpretata da Susan Clarke gli dice: «Tu parli poco e sempre a mezze parole… hai presente la
Sfinge?». In L’uomo nel mirino la prostituta interpretata da Sondra Locke intima a Clint, nei panni
di uno sbirro: «Parla, lo sai che ti voglio bene, apri quegli occhi…ti ammazzo». In Million Dollar
Baby Hilary Swank ridà valore all’esistenza e alla professione del vecchio allenatore, ormai segnato