1. INTRODUZIONE
La storia del Novecento è, principalmente, storia degli opposti principi di
forma e contenuto e delle differenti articolazioni che essi assumono all'interno
delle discipline che costituiscono il tessuto culturale del secolo appena trascorso.
L'epoca contemporanea nasce dunque nel solco di una frattura, di cui si è preso
coscienza verso il termine degli anni '60 e per la quale è stata prospettata una fine
prossima che, tuttavia, deve molto probabilmente ancora avvenire. L'archeologia
foucaultiana ha messo in luce quanto questa frattura fosse profonda, sia nel senso
del suo potere di influenzare l'intera disposizione dei saperi, sia nel senso di
riuscire a restare sempre subalterna ad essi, nascosta fra le pieghe delle
epistemologie succedutesi in superficie.
La rivoluzione copernicana di Kant inaugurava un dualismo inedito in
campo gnoseologico: l'uomo diventava allo stesso tempo soggetto e oggetto del
suo proprio conoscere. Da allora, i diversi momenti dell'apparire delle cose alla
coscienza, ora sotto l'aspetto empirico, ora sotto quello trascendentale, hanno
formato un particolare circolo dal quale l'illusione lineare del progresso non ha
mai smesso di trarre la propria linfa vitale. L'oscillazione fra i due poli, e l'alterno
prevalere dell'uno sull'altro, rappresentano dunque il modo di produzione
essenziale delle scienze umane e di qualsiasi atto di conoscenza che proceda
dall'orientamento conoscitivo proprio dell'età moderna.
La configurazione dei campi del sapere e i pregiudizi ontologici, tramite i
quali ci avviciniamo al mondo cercando di modificarlo, si trovano totalmente
compromessi con uno schematismo di fondo che, seppur non in maniera univoca,
ne indirizza i discorsi e le asserzioni, veicolando il senso che queste devono
assumere all'interno del contesto generale.
Il post-strutturalismo francese, in primo luogo, assieme ai lavori di altri
pensatori anche distanti da quell'ambiente culturale, ha intravisto e descritto la
matrice profonda che segna il funzionamento del pensiero di ogni epoca storica,
5
cui ha dato il nome, ambiguo ma efficace, di “episteme”. Lungi dal costituire una
sovrastruttura ideologica, che impone regole rigide al ragionamento, l'episteme è
invece un paradigma che traccia tendenze e punti di singolarità attorno ai quali si
articola, in modo prevalentemente inconsapevole, l'universo dei termini e dei
discorsi. Da qui il suo carattere estremamente flessibile e capace di coinvolgere
la configurazione dell'intero apparato sociale, con i suoi strumenti di costruzione
delle identità e di controllo. Non solo astratta teoria della conoscenza, dunque,
ma concreto campo di lotta dal quale emergono e prendono forma le grandi linee
di demarcazione dell'inclusione ed esclusione (la follia, la delinquenza, la
sessualità). Esiliato dal corpo del sovrano, il potere, inteso come capacità di
disciplinamento e produzione di normatività, si sparcellizza e penetra l'intero
tessuto sociale scoprendosi maggiormente efficace, invece che nell'esercizio
classico della repressione, nell'assumersi funzioni positive. Esiste quindi un
lavorio incessante da parte del potere al livello dell'episteme, che non smette di
produrre una certa inclinazione dell'apparire delle cose alla conoscenza.
Vari movimenti, filosofici e non, seguendo questa feconda prospettiva
d'indagine, hanno tentato, non tanto di “smascherare” le ideologie dominanti, in
nome di una concezione superiore del mondo, quanto di analizzarne i
meccanismi di produzione, consci del fatto che i loro stessi tentativi facessero
parte di una trama comune di rapporti di forza dai quali non sarebbe stato
possibile divincolarsi, se non a costo di un generale spostamento dell'assetto
cognitivo e di significativi cambiamenti nella prassi.
Il concetto di “episteme” abbraccia dunque la totalità dei prodotti umani di
una data epoca e impone un metodo d'indagine che si sforzi di essere
“archeologico”, operante, cioè, mediante punti di rottura e discontinuità, anziché
partire da raggruppamenti e aree di somiglianza. La storia appare così un
complesso fascio di “linee di fuga” specifiche e trasversali, in cui il ripercorrere
l'una o l'altra permette di far luce su eventi che correlano ambiti apparentemente
distanti fra loro. L'universo della conoscenza è popolato da elementi
“insignificanti” che, proprio in virtù della loro insignificanza all'interno della
6
narrazione che si produce in superficie, determinano le possibilità d'esistenza
della produzione ufficiale della verità. Individuare queste particelle vuol dire fare
i conti con il caos, affrontare il non-detto, far emergere l'inconscio dal quale il
ragionamento stesso ha origine e si riproduce. In sintesi, significa ricercare le
leggi che governano la costruzione e l'assegnazione di valore dell'ambito che
definiamo come “realtà”.
Nel XX secolo, il rapporto della conoscenza con la realtà subisce
un'accelerazione o, per meglio dire, si verifica una moltiplicazione degli approcci
possibili da adottare nei confronti di essa. Alcuni fenomeni artistici, come le
cosiddette “avanguardie storiche” o l'invenzione del dagherrotipo e il
conseguente sviluppo del cinema, pongono in maniera chiara il problema della
delimitazione di un “nocciolo” esterno e della minore o maggiore fedeltà che
possa avere la sua “rappresentazione” all'interno di un contesto estetico. Tutto
questo apre la strada a profonde riflessioni, interne all'arte stessa, sul proprio
mezzo d'espressione e sui limiti di raffigurazione che esso impone a chi ne fa
utilizzo. Si scopre, insomma, una oggettività esterna dei linguaggi estetici
rispetto all'artista che non debba più semplicemente veicolare l'opera ma possa
fungere da materiale per la composizione di essa.
In campo scientifico, la teoria della relatività e lo sviluppo della meccanica
quantistica sconvolgono l'assetto generale della fisica classica e impongono una
presa di coscienza dell'influenza di elementi soggettivi nella costruzione di teorie
e metodi di verifica. Il positivismo, dopo un breve periodo di fortuna verso la
fine dell'ottocento, si scontra con la necessità di ridefinire l'insieme dei “meri dati
di fatto” e con la consapevolezza che questo debba avvenire inderogabilmente
tramite un'interpretazione relativa ad altri fattori.
In filosofia, assume un'importanza straordinaria il linguaggio. Complice
anche la “crisi della metafisica”, perpetrata attraverso critiche di stampo
materialistico o relativistico, si fa strada il sogno di “purificare” la speculazione
filosofica da elementi indebiti e confusi, dovuti alla naturale ambiguità del
linguaggio naturale e a un suo utilizzo poco preciso . Si impone, dunque, la
7
pretesa di poter delineare uno spartiacque netto fra senso e non-senso, in cui il
primo venga abbordato con rigore e chiarezza, grazie all'individuazione e
formalizzazione delle particelle elementari che lo compongo e del secondo si
debba, semplicemente, tacere. La “svolta linguistica” rappresenta una cesura
rispetto alla quale sono state assunte posizioni molto diversificate fra loro ma che
segna una divisione ancora operante all'interno del discorso filosofico
contemporaneo. Le concezioni che si scontrano su questo terreno sono tutte
debitrici, in maniera più o meno conscia, delle differenti possibilità di approccio
alla realtà che diventano antitetiche nel loro sviluppo. Il recente sorgere del
fenomeno del “New Realism”, nato principalmente come reazione al movimento
“post-moderno” e alla distruzione del concetto stesso di “realtà”, di cui
quest'ultimo sarebbe fautore, dimostra quale sia, oggi, il campo principale di
dibattito.
In generale, però, è probabile che queste contrapposizioni operino ad un
livello troppo superficiale. Esse sono figlie di un assetto generale del pensiero
che, spesso, manifesta il suo reale funzionamento attraverso temi e fenomeni
distanti dalle tradizionali problematiche filosofiche. Ancora, un'analisi accurata
delle conseguenze del cambio di episteme, avvenuto con l'età moderna, porta a
interpretare posizioni apparentemente antitetiche come complementari all'interno
di una configurazione globale dell'ordine del discorso e a comprendere come esse
nascano, a volte, da una confusione “di campo”. Le proposte di concezioni
riguardanti la realtà sono sempre relative all'instaurazione di un rapporto
dialettico con una dimensione filosofica più ampia, definibile come “totalità”, la
cui tematizzazione diretta ha subito un arresto per via della critica alla metafisica.
L'articolazione di questa categoria all'interno di un pensiero specifico conduce
poi a rendersi conto del fatto che le considerazioni a proposito del “reale”
assumano sia un carattere epistemologico che uno ontologico, i quali devono
rimanere distinti (almeno all'interno di un'interpretazione di quel pensiero che si
sforzi di essere corretta).
8
Infine, è possibile che tali speculazioni si basino su poli di riflessione che
sono comparsi solo recentemente sulla scena del sapere e che, una volta
esauritesi le possibilità di oscillazione all'interno di essi, fungano oramai da
gabbia per il pensiero. L'indipendizzarsi dei concetti di “forma” e “contenuto”
dovuto alla rottura dell'unità cognitiva che li teneva legati nelle epoche
precedenti, ha attraversato il secolo influendo in molte delle sue esperienze, non
da ultima, in quella della filosofia e delle sue manifestazioni. Forse, questo
fenomeno è giunto al suo ultimo stadio di sviluppo, mostrando appieno il suo
vincolo con gli schematismi che l'hanno sostenuto e che ora stanno cambiano,
imponendo anche ad esso la ricerca di un nuovo rapporto interno.
9
2. LE SVOLTE
2.1 Arte
A culmine di un processo di cui possiamo ravvisare gli inizi, in maniera
approssimativa, verso la seconda metà dell'Ottocento, nei primi decenni del XX
secolo, nascono e si sviluppano, in campo artistico, le cosiddette “avanguardie
storiche” (espressionismo, cubismo, futurismo, surrealismo).
1
Esse segnano un
punto in cui l'allontanamento, se non, nei casi più radicali, il totale abbandono, di
una rappresentazione “realistica” o, per meglio dire, “figurativa” della realtà si
manifesta in modo diretto ed esplicito
2
. Se, fino ad allora, aveva prevalso una
pratica artistica in cui le opere raffigurassero oggetti facilmente riconoscibili
come “reali” (sebbene spesso combinati fra loro in composizioni di stampo
simbolico o metaforico), da quel momento le differenti correnti tenderanno
sempre più verso l'astrattismo, ovvero verso contenuti che, a prima vista, non
trovano una corrispondenza nel mondo comune.
Nonostante la storia dell'arte possa essere letta come una progressiva
conquista dei mezzi per rappresentare fedelmente la realtà nella sua articolazione
spaziale (in questo senso, la prospettiva rinascimentale è certamente uno
spartiacque e un punto d'arrivo
3
), è altrettanto vero che, a un esame più accurato,
occorre distinguere varie fasi in cui una particolare concezione della funzione
sociale dell'arte si lega alla specifica rappresentazione della realtà che essa mette
in atto. Panofsky
4
ha fatto notare come la strutturazione dello spazio nelle varie
epoche storiche non segua la linea di un crescente perfezionamento, bensì
corrisponda a differenti scelte nei confronti delle problematiche sollevate dalla
questione delle proporzioni. L'evoluzione degli stili è correlata, dunque,
1 Cfr. M.De Micheli, Le avanguardie artistiche del ‘900”, Milano 2010, pp.12 ss.
2 Cfr. G.C.Argan, Salvezza e caduta dell'arte moderna, Milano 1964, pp.11 ss.
3 Cfr. G.C.Argan, Il rinascimento, Milano 2005 pp.61 ss.
4 Cfr. E.Panofsky, Il significato nelle arti visive, Torino 2010, pp.61 ss.
10
all'orientamento adottato di fronte a tre configurazioni possibili che può assumere
il rapporto tra dimensioni cosiddette “tecniche” e a quelle cosiddette
“oggettive”
5
. In relazione a una teoria delle proporzioni che riguarda in particolar
modo la figura umana, vengono definiti come “oggettivi” i rapporti matematici
che intercorrono fra le parti e il tutto di un oggetto in sé, indipendentemente dalla
sua trasposizione su un qualsiasi mezzo di rappresentazione
6
. Viceversa, le
dimensioni “tecniche” rispondono all'esigenza di quantificare il rapporto tra le
parti di un oggetto e quella parte della tela o del blocco di marmo che
corrisponde al tutto nella realtà
7
. Si tratta, quindi, di poli contrapposti di fronte ai
quali l'accento può essere posto su uno a scapito dell'altro, oppure fare in modo
che coincidano. Il rapporto, tuttavia, è complicato da altri tre fattori che possono
scongiurare la coincidenza dei due poli. Innanzitutto, il problema del moto: un
corpo organico in movimento modifica necessariamente le dimensioni della parte
da cui scaturisce l'azione e, allo stesso tempo, dell'insieme. In secondo luogo, la
posizione dell'artista rispetto all'oggetto: colui che rappresenta vede ciò che
intende rappresentare da un certo scorcio, di cui può tener conto o meno nella
raffigurazione. Infine, il punto di vista dello spettatore: lo stesso fruitore
dell'opera entrerà in contatto con essa da una particolare prospettiva, che influirà
sulla percezione delle sue proporzioni
8
.
Nell'arte egizia nessuna di queste condizioni si verifica, a favore di una
rappresentazione geometrica degli oggetti e della figura umana, ossia di una
concezione dell'arte in cui il polo delle dimensioni oggettive coincide con quello
delle dimensioni tecniche. Il canone di questa epoca è basato sull'impiego di un
reticolo a maglie quadrate regolari che precedeva la rappresentazione, in virtù del
quale la figura assumeva dei rapporti di dimensioni costanti
9
.
L'arte greca del periodo classico, invece, si libera completamente del
sistema egiziano, spostando decisamente l'attenzione sulle componenti oggettive
della raffigurazione, allo scopo di fornire una rappresentazione quanto più
5 Ibidem, p.62
6 Ivi
7 Ivi
8 Ibidem, p.63
9 Ibidem, pp.64 ss.
11
efficace del movimento organico in relazione allo scorcio da cui esso viene
percepito
10
. Per raggiungere ciò, deve costruire un'accurata “antropometria”
11
,
ovvero una teoria d'insieme che definisca in maniera dettagliata le proporzioni
delle singole membra fra loro e con l'intero corpo e presupponga anche una serie
di correzioni “euritmiche” per armonizzare e, allo stesso tempo, amplificare
l'impressione del moto. Non un principio di identità meccanica, ma di “organica
differenziazione”
12
.
I due sistemi di rappresentazione non sono uno l'evoluzione dell'altro, ma si
trovano su un piano di netta contrapposizione. Da ciò risulta evidente che le
intenzioni con cui queste civiltà intraprendono la pratica artistica sono differenti,
poiché differenti sono il significato e il valore che attribuiscono ad essa. Se, da
una parte, gli egizi mirano a cogliere ciò che vi è di non mutevole e non
transitorio nell'oggetto, i greci, dall'altra, cercano di catturare la sua esistenza in
atto, sintetizzando questa ricerca nell'osservazione della trasformazione che il
movimento imprime ai corpi
13
. È possibile ravvisare qui già uno scarto rispetto
alla conquista di una dimensione più “essenziale” dell'arte, “essenziale” nel senso
di più vicina alla concezione che noi abbiamo attualmente di essa. La profondità
della rottura dei greci rispetto ai loro antecedenti consiste nel fatto che l'adozione
di una maggiore elasticità nella rappresentazione implica l'apertura di uno spazio
di libertà inedito. Il canone egiziano presuppone una matematizzazione assoluta e
oggettiva dei rapporti di dimensione interni all'oggetto, cosicché essi siano
perfettamente replicabili e omogenei
14
. Ciò significa che il soggetto che li mette
in atto deve semplicemente applicarli, senza alcun apporto propriamente
“creativo” da parte sua. Si tratta di una forma di artigianato, dove la completa
riproducibilità del codice garantisce l'univocità delle sue trasposizioni
iconografiche. Questo, lungi dal rappresentare una svalutazione o una
primordialità della pratica artistica, è un metodo per far proprio un certo tipo di
conoscenza della realtà raggiungibile tramite essa. O, forse più semplicemente,
10 Ibidem, pp.69 ss.
11 Ivi
12 Ibidem, p.71
13 Ibidem, p.68
14 Ibidem, p.66
12
un particolare aspetto della realtà rispetto ad un altro, il che corrisponde a quello
che viene definito come “funzione sociale” dell'arte
15
e, più in generale,
dell'atteggiamento estetico
16
. I rapporti di forza che si creano in una specifica
epoca circoscrivono l'area in cui tale prassi umana debba canalizzarsi,
determinando così lo scopo di fondo attorno al quale si articolano i metodi e gli
stili che la attraversano. Così, la particolarità della condizione greca schiude la
possibilità di una maggiore autonomia del soggetto individuale nei confronti
dell'oggetto da rappresentare, e fonda la specificità del personale approccio
estetico al mondo nell'operazione mimetica, su cui tanto pone l'accento
Aristotele
17
.
Durante l'età medievale, invece, assistiamo a un percorso che si muove in
direzione opposta, pur presupponendo le due esperienze precedenti. Si cerca di
determinare, infatti, le dimensioni “tecniche” a scapito di quelle “oggettive”,
contrariamente a ciò che avevano fatto i greci, ma includendo nella struttura
bidimensionale la libertà di movimenti che è stata resa possibile dalle scelte di
questi ultimi
18
. Vengono introdotte nelle tele posture che risultano
necessariamente “appiattite” dalla loro trasposizione bidimensionale (il “tre
quarti” costituisce infatti la regola, rispetto al piano frontale o di profilo
19
). Ciò
che preoccupa maggiormente è l'organizzazione dello spazio materiale della
rappresentazione, in cui convogliano forme di vario tipo (il punto di vista di
alcune tele potrebbe essere definito “scorciato” da un punto di vista tecnico,
sebbene l'effetto visivo non è propriamente quello di uno scorcio, poiché
mancante di alcuni correggimenti ottici che verranno introdotti solo in seguito).
La teoria delle proporzioni, insomma, è ricondotta a “espediente tecnico”
20
per
rispondere in maniera soddisfacente alle diverse esigenze poste dalle due
tradizioni precedenti.
15 Cfr.T.W.Adorno, Teoria estetica, Torino 2009, p.260
16 Cfr. A.Ghelen, Le origini dell'uomo e la tarda cultura, Milano 1994, pp.35 ss.
17 Cfr. Aristotele, Poetica, Milano 2006, pp.131 ss.
18 Cfr. E.Panofsky, Il significato nelle arti visive, Torino 2010, pp.77 ss.
19 Ibidem, p.77
20 Ibidem, p.90
13