Introduzione
In questo lavoro di tesi, affronto una tematica molto delicata, che fa parte
della vita di tutti, ma fa paura, così tanta paura da volerla negare e non viverla:
la morte.
Quando una persona muore si dice che i suoi familiari sono in lutto. Questa
parola deriva dal latino lūctus, -us, derivata del tema di lugere «piangere, essere
in lutto». Il dizionario italiano la descrive in due modi: “sentimento di profondo
dolore che si prova per la morte di persona cara, soprattutto di un parente, o in
genere di persone la cui perdita è vivamente rimpianta”; “complesso di usanze
che, in base a tradizioni diverse a seconda dei luoghi, vengono osservate dai
congiunti di un morto, per un periodo più o meno definito dopo il decesso, e in
genere ogni segno esterno con cui il dolore è manifestato, specialmente nel
modo di vestire”.
La morte apre quindi uno scenario alquanto complicato da gestire sia nella
sua componente interiore sia in quella sociale di relazione con il mondo esterno.
In questo lavoro il mio intento è quello di capire cosa succede quando una
persona è in lutto e più nello specifico come un bambino può affrontare la
perdita di un genitore.
Nel primo capitolo, mi sono proposta di indagare le teorie che alcuni tra i più
importanti psicologi hanno elaborato sull'argomento, focalizzando l’attenzione
sulle reazioni di un adulto al lutto e accogliendo una proposta di Chiambretto
per l’integrazione nel DSM di un categoria ad hoc per il lutto.
Nel secondo capitolo, il focus rimane centrato sulle reazioni che la morte di
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un proprio caro suscita, ma guardando a una diversa età che è quella infantile.
Ho cercato di descrivere, teoricamente e attraverso degli esempi, quali possono
essere le reazioni di un bambino alla morte del proprio genitore, scegliendo di
descrivere una reazione in particolare: la non esistenza.
Nell'ultima capitolo invece ho presentato alcuni casi che hanno fatto parte
della mia formazione, inserendoli in una proposta di intervento terapeutico
affrontato con l'utilizzo dello strumento della fiaba.
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Ringraziamenti
E' stato un lungo percorso quello che ho affrontato per scrivere questa tesi.
Alla fine le soddisfazioni sono arrivate, ma non ce l'avrei fatta senza le persone
che mi sono state accanto in questi lunghi mesi e voglio ringraziarvi.
Primo tra tutti Massimo: da due anni a questa parte è stato difficile affrontare
ogni singola nuova giornata cercando il nostro spazio per essere felici, grazie per
esserci stato, per la pazienza, per i sorrisi e i pianti che ho potuto condividere
con te. Grazie per l'amore che mi regali ogni giorno.
Un ringraziamento alla mia famiglia, (con i suoi nuovi acquisti Claudia,
Guido e Stefano), che ha sostenuto il mio percorso fino a qui, tra alti e bassi,
felicità e tristezza, ma non si è mai tirata indietro nell'affrontarle con me. Grazie.
Grazie alla mia grande amica Caterina, senza la quale non avrei trovato le
giuste parole per scrivere ciò che leggerete. Grazie.
Alla mia amica Martina, compagna di scrittura: grazie Marti per aver
condiviso tutti i sentimenti che in questi 17 mesi ci hanno accompagnate.
Grazie anche alla mia amica fredda dell'est Fabiola che mi regala sempre un
raggio di sole con i suoi sorrisi perché con me non riesce a essere fredda!
Grazie alle mie dottoresse che hanno sopportato i miei infiniti sfoghi
regalandomi sempre un sorriso e tanto affetto.
Grazie a tutte quelle amiche e quegli amici che non posso nominare
singolarmente, ma che hanno sostenuto il mio percorso sostenendomi
affettuosamente.
E grazie al professore Borgogno per avermi dato la possibilità di scrivere ciò
che dovevo scrivere.
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Capitolo 1
Teorie psicologiche sul lutto
Vivere e morire sono due facce della stessa medaglia. Il nostro cammino è
continuamente sconvolto dalla perdita di persone amate, che ci esilia in un
dolore profondo, insostenibile, quasi infinito: siamo costretti a rivedere i nostri
progetti per riadattarli alla nuova realtà in atto dopo un lutto.
Ognuno di noi ha provato queste sensazioni e, se qualcuno fosse stato così
fortunato da non perdere dei parenti, forse ha perso un animale domestico, che
ricopriva un ruolo della stessa valenza emotiva. Anche questo vuoto lascia una
ferita profonda, come emerge dalla lettura del libro Un tempo per il dolore
(Cancrini, 2010).
Simili eventi riorganizzano i nostri tempi: il passato, a cui ci aggrappiamo
attraverso i ricordi, per selezionare i migliori, e mantenere l'idea che avevamo
della persona perduta; il presente, sconvolto nei suoi ritmi quotidiani, in cerca
della strada per riemergere alla vita; il futuro, revisionato nei progetti per
trasformare il dolore in una nuova esperienza di vita (Gulotta, 2010). Il percorso,
che intraprendiamo per riaffacciarci alla vita, è una lenta elaborazione del lutto,
evento che in psicologia ha suscitato molto interesse e ha portato gli studiosi a
proporre diverse teorie in merito.
Si può qui effettuare una prima classificazione della perdita sulla base delle
dimensioni del lutto (evidenziate già nella definizione riportata
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nell'introduzione): una legata alla soggettività, riguarda l'analisi intra-individuale
che il soggetto fa dell'esperienza e la rivalorizzazione psichica dell'evento, per
integrarla nelle sue conoscenze; l’altra comprende la sfera sociale e inter-
individuale del vissuto, quindi, la condivisione di emozioni, relazioni, usanze,
riti e credenze, all'interno del proprio contesto e famiglia, che segnano il
passaggio a un nuovo quadro sociale. Queste due dimensioni sono elementi
complementari e necessari per spiegare il complesso processo dell'elaborazione
del lutto.
La conclusione “normale” dell'elaborazione del lutto prevede che il soggetto,
dopo un periodo più o meno lungo, integri l'esperienza della perdita nelle sua
quotidianità, senza riportare danni rilevanti per quanto riguarda la sua struttura
psichica. Gli uomini crediamo che sia un percorso facile e comune, soprattutto
perché nella nostra condizione di mortali la morte è inevitabile e quindi prima o
poi anche il dolore della perdita si affievolirà nel cerchio della vita che
ricomincia. Sottovalutiamo così questo aspetto della vita, forse per difenderci da
una realtà troppo difficile da accettare. Il più delle volte accade pertanto che il
lutto non venga superato, perché preferiamo nasconderci dietro luoghi comuni,
costumi e credenze culturali, aprendo di conseguenza le porte alla patologia.
L'elaborazione patologia del lutto è l'area di approfondimenti psicologici e
d'interesse attorno al quale, come ho già detto nell'introduzione, si struttura
questo lavoro di tesi volto a raccogliere, nel primo capitolo, i contributi più
importanti degli autori che si sono interessati al tema. Li presenterò attraverso i
loro scritti, con l'intento di fornire una panoramica generale dell'evoluzione
teorica del tema.
1.1 Approcci intrapsichici: l'introiezione e l'oggetto d'amore perduto
I seguenti autori concentrano, all'interno delle loro teorie, l'attenzione sulla
dimensione soggettiva dell'elaborazione dell'evento luttuoso. Centrali nelle loro
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concezioni sono i costrutti di introiezione dell'oggetto esterno perduto e di
regressione del soggetto ai primi stadi evolutivi che portano a uno sviluppo
patologico del lutto.
Sigmund Freud
Mai come quando amiamo prestiamo il fianco alla
sofferenza, mai come quando abbiamo perduto
l'oggetto amato o il suo amore siamo così
disperatamente infelici.
Freud, 1929, p. 574
Secondo Freud è molto difficile per gli uomini affrontare il discorso della
morte, soprattutto se si tratta della propria, sebbene questa sia una condizione
inevitabile. Solo tra i bambini si sentono frasi come: “Mamma quando sarai
morta io farò l'ingegnere, avrò tre figli e due cani”; gli adulti in genere evitano
questi discorsi. Freud fa risalire questa tendenza alla nostra gestione dell'atto di
morire e si sofferma perciò a lungo sul tema della morte che, secondo lui, per
l'uomo primitivo aveva un duplice significato: i nemici venivano torturati e
uccisi nei modi peggiori, con un conseguente senso di trionfo negli uccisori,
soddisfatti dei propri gesti letali; la propria morte invece si temeva e si piangeva
quella dei propri cari. Fu proprio per fronteggiare questa paura dell'uomo che si
istituirono delle leggi che vietano di uccidere e di qui è nato il concetto di anima,
che trasforma il senso di annullamento della vita in speranza di vita eterna.
L'angoscia di morte, però, perseguita l'uomo anche oggi, poiché emerge a partire
dal senso di colpa: lo stesso dell'uomo primitivo (Freud, 1915a).
Il tema del lutto che segue le riflessioni sulla morte, viene approfondito da
Freud nella ricerca di una spiegazione dei processi depressivi. Nel testo Lutto e
melanconia (1915b), in particolare, l'autore descrive il sentimento conseguente
la perdita come: “l'invariabile reazione alla perdita di una persona amata o
un'astrazione che ne ha preso il posto, la patria, o la libertà”. A tali perdite segue
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ciò che Freud definisce processo di elaborazione del lutto: un lavoro molto
faticoso per la psiche di lento e doloroso ritiro dell'investimento libidico
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dall'oggetto perduto, per poter poi reinvestire su altri oggetti reali e non. Tutto
questo origina sentimenti di tristezza, estraniamento dalla realtà, pertinace
adesione all'oggetto, malinconia nel soggetto, che quindi, nella visione
freudiana, entra in uno stato depressivo.
La conclusione positiva del processo comincia quando si accetta l'esame di
realtà, cioè la presa di coscienza della perdita reale; così può attuarsi il
disinvestimento libidico che libera il soggetto dal legame con l'oggetto perduto.
Soltanto allora il soggetto sarà libero di creare altre relazioni oggettuali e il
processo luttuoso potrà dirsi concluso.
Al contrario, quando il soggetto non riesce ad accettare la realtà e quindi la
perdita, il legame con l'oggetto diventa più forte: la persona crea un sostituto
dell'oggetto che poi incorpora, cioè si identifica
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con l'oggetto vissuto, però,
come aggressivo. L'Io tenta di aggredire il suo aggressore per punirlo, ma,
essendo identificato con esso, castiga se stesso. Così Freud dà una spiegazione
soprattutto di quelli che sono i comportamenti autopunitivi che arrivano a
sfociare anche nel suicidio, ultimo gesto possibile e soluzione estrema per
liberarsi dalle proprie angosce.
Il lutto e la melanconia, secondo l'autore, sono due stati d'animo che tendono
a essere confusi, perché hanno in comune sentimenti di tristezza, dolore e ritiro
1 Freud definisce la libido come la forza attraverso la quale si esprime l'istinto sessuale, e
analizzandola concluse che questa attraversa un complesso sviluppo, che va dall’autoerotismo del
bambino fino alla finalità riproduttiva. Nel testo del 1905, Tre saggi sulla teoria della sessualità, Freud
espone le sue argomentazioni in merito. Queste fecero molto scalpore e vennero molto criticate. La
libido è originata da energia psichica innata, biologicamente determinata e legata al principio di
piacere. Questa energia deve essere scaricata e ciò viene fatto investendola su un oggetto esterno
(libido oggettuale), o sull'individuo stesso (libido narcisistica). Alla nascita nella fase orale, non si
distingue Io-altri, quindi la libido è interamente narcisistica.
2 In L'Io e l'Es (1923), Freud suppone che l'Io si identifichi con l'oggetto per autoimporsi all'Es
come oggetto d'amore, per risarcirlo della perdita subita, avendo dovuto rinunciare al suo oggetto
d'amore, e rendere il distacco più semplice. Si può concludere, secondo Freud, che l'Io sia la somma
degli investimenti libidici dell'Es, e che questi, quando diventano troppi e contrastanti, possano portare
a una frantumazione dell'Io e quindi a processi patologici quali personalità multipla o conflitti interiori
che riguardano le identificazioni coscienti dell'Io.
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dalla realtà. Il primo, però, è un processo di elaborazione che tende ad avere una
conclusione “normale” e il proseguimento con altri nuovi investimenti libidici.
La seconda, invece, è una reazione “anormale” del soggetto, che, oltre alle
reazioni descritte a proposito del lutto, porta l'Io all'impoverimento, alla
riprovazione morale, a una bassa valutazione di sé, alla "regressione
narcisistica"
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, poiché, in questo caso, l’Io incorpora l’oggetto, si identifica con
esso e con il dolore per la perdita. La persona non può perciò disinvestire
l'oggetto se non eliminando se stesso: l'elaborazione del lutto non può avvenire.
La melanconia è pertanto il risvolto patologico del lutto.
Nel testo Inibizione, sintomo e angoscia (1926), Freud riprende il tema della
perdita analizzando tre stati emotivi: angoscia, dolore e lutto. Sono tutti e tre
sentimenti legati alla perdita dell'oggetto d'amore, hanno in comune reazioni
comportamentali e sentimentali e l'autore li descrive e distingue in base allo
stato della perdita. L’angoscia è il sentimento che si prova quando si sente il
pericolo di perdere l’oggetto d’amore: per esempio è una sensazione molto
frequente nei bambini quando la madre si allontana da loro. Il dolore, invece, si
avverte quando la perdita è concreta e l'oggetto è perduto, ma solo con la
consapevolezza della perdita dell'oggetto possiamo provare il lutto, terzo stato
emotivo preso in considerazione dall'autore. E’ chiaro come, per Freud, l’esame
di realtà abbia un ruolo fondamentale nell'elaborazione della perdita.
La tendenza dell'Io è quella di difendesi dalle situazioni angosciose e
pericolose. Nel caso del lutto il pericolo è quello di non accettare la perdita
(diniego) e di regredire al narcisismo primario. Ciò crea dei danni irreversibili
all'equilibrio psichico dell'individuo, causando nuovi conflitti interni. I conflitti
interni e l’aggressività sono da far risalire, secondo Freud, alla pulsione di
morte
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(Freud, 1920), che si contrappone a quella di vita.
3 La regressione narcisistica si verifica quando il soggetto, ritirato l'investimento libidico
oggettuale, lo reinveste sul Sé, diventando così libido narcisistica. Si verifica cioè una sublimazione
della libido, un re-indirizzamento, una regressione alla fase orale.
4 La pulsione di morte è postulata da Freud nel 1920; contrapposta alla pulsione di vita, essa
ricondurrebbe l’uomo alla riduzione delle tensioni fino allo stato inorganico, agendo dapprima
dall’interno e poi verso l’esterno come aggressione e distruzione.
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La teoria freudiana vede quindi il lutto patologico come una soluzione
regressiva, che spesso sfocia in disturbi depressivi. Il pericolo, per i soggetti che
non superano il lavoro di elaborazione della perdita, è di regredire alla fase
orale, con conseguenti problemi psichici poiché non sarà loro più possibile
distinguere tra l'oggetto e il proprio Io.
Gli autori, successivi a Freud, hanno approfondito l'argomento della perdita,
apportando notevoli arricchimenti alla teoria freudiana. Il contributo di Freud
allo studio del lutto è comunque stato prezioso, soprattutto nell'interpretazione
che dà del lutto come lavoro di elaborazione.
Karl Abraham
Il lutto contiene la consolazione: l’oggetto amato
non è perduto, perché ora lo porto in me e non posso
più perderlo.
Abraham, 1924, p.301
Abraham
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fu un grande amico e collega di Freud, a lui molto vicino nelle
concezioni teoriche, soprattutto per quanto riguarda la teoria sessuale, che in
quegli anni Freud discuteva all’interno della comunità psicoanalitica. Abraham
era solito confrontarsi con Freud e spesso i suoi interventi apportavano notevoli
approfondimenti, molto apprezzati, ai contributi freudiani.
Anche per questo autore, l’argomento del lutto si colloca all’interno delle
osservazioni e delle teorizzazioni sulla depressione, ricondotta a una fissazione
orale. L'autore però amplia questa fase rispetto alla concezione freudiana: la fase
orale infatti comprende due organizzazioni: una cannibalica e una sadico-anale.
Nella prima organizzazione, l’attività sessuale non è ancora separata
dall’assunzione di cibo, con la quale coincide, per cui per soddisfare la propria
5 Abraham conobbe Freud nel 1904; cominciarono il loro scambio epistolare nel 1907, grazie al
suo inserimento a Zurigo nella clinica dove lavorava Jung. Freud apprezzava molto le idee e gli
approfondimenti di Abraham rispetto ai suoi contributi. Il loro rapporto crebbe in intimità fino alla
scomparsa prematura di Abraham che si ammalò di tumore. Questo fatto scosse molto Freud e tutta la
comunità psicologica dell'epoca.
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