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CAPITOLO PRIMO
LE MOLESTIE SESSUALI ALL’INTERNO DELLA PIÙ
AMPIA FATTISPECIE DEL MOBBING
1. Mobbing e molestie sessuali: fattispecie a confronto.
Il D. Lgs n. 81 del 2008
1
, ha accolto all’art. 2 la definizione di “salute”
fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, quale «stato di completo
benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di
malattia o d’infermità»
2
, inoltre, con il successivo art. 28, ha inserito tra i
rischi lavorativi oggetto della valutazione che ogni datore di lavoro è
obbligato ad effettuare ai sensi del medesimo decreto, quelli:
«riguardanti gruppi di lavoro esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli
collegata allo stress da lavoro, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di
gravidanza, nonché quelli connessi a differenze di genere»
3
.
La normativa prevede quindi la protezione dei lavoratori dai rischi sociali,
tra i quali, in primis, quelli legati al mobbing e alle molestie sessuali, perché
in grado di incidere sulla salute psicologica e sulla dignità del lavoratore,
rendendo l’ambiente di lavoro un luogo di emarginazione ed umiliazione.
Anche se l’ordinamento distingue i due fenomeni, essi presentano punti di
1
Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro.
2
La definizione è inserita in apertura dell’Atto costitutivo dell’Organizzazione mondiale
della sanità, ratificato l’11 aprile 1946 dall’Italia, ed entrato in vigore il 7 aprile dell’anno
successivo.
3
NADIA GIRELLI, La protezione del benessere psicofisico dei lavoratori: mobbing,
molestie sessuali, straining, LG, 2012.
10
contatto che incoraggiano un confronto tra le fattispecie, utile per una
riflessione sull’efficacia della tutela offerta alle vittime.
4
Il termine mobbing è stato mutuato dalla tradizione etologica. Fu infatti
l’etologo Konrad Lorenz ad utilizzare nel 1971 questo vocabolo per indicare
l’attacco di un gruppo di animali ai danni di un altro animale. Nei primi anni
ottanta, il Prof. Heinz Leymann, prese in prestito la parola per descrivere,
stavolta all’interno degli ambienti di lavoro, situazioni in cui sono presenti
forme di violenza psicologica, continuate nel tempo e che si esprimono in un
insieme di comportamenti messi in atto ai danni di colleghi o di subordinati.
Il termine deriva dal verbo “to mob”, che nella lingua inglese indica
essenzialmente due tipi di azioni, 1) affollarsi, accalcarsi intorno a qualcuno;
2) assalire, malmenare, aggredire
5
. Il concetto, infine, è stato introdotto in
Italia nel 1996 grazie allo psicologo tedesco Harald Ege, che ha definito il
fenomeno come:
«un’azione o una serie di azioni che si ripete per un lungo periodo di tempo
compiuta da uno o più mobber per danneggiare qualcuno, quasi sempre in
modo sistematico e con uno scopo preciso».
6
Le forme che il mobbing può assumere sono molteplici: dalla semplice
emarginazione alla diffusione di maldicenze, dalle continue critiche alla
sistematica persecuzione, dall’assegnazione di compiti dequalificanti alla
compromissione dell’immagine nei confronti di clienti e superiori.
Nell’azioni più gravi si arriva anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni
illegali.
7
4
N. GIRARDELLLI, op. cit. p. 9.
5
A. CASILLI, Stop mobbing. Resistere alla violenza psicologica sul luogo di lavoro.
www.carloanibaldi.com, 2000.
6
H. EGE, Mobbing, Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro, 1996.
7
A. CASILLI, op cit. p. 10.
11
Dalla psicologia al diritto il passo è breve: la prima condanna per mobbing
arriva dopo pochi anni dal Tribunale di Torino. E’ una pronuncia a favore di
una lavoratrice sottoposta ai continui insulti del caporeparto e relegata a
lavorare in un posto isolato
8
.
La pronuncia dichiarando la responsabilità del datore di lavoro in base alla
violazione dell’art 2087 c.c., per non aver impedito o perlomeno fatto cessare
il comportamento del capo reparto, va a sanzionare così il cuore del
fenomeno
9
. L’originalità della sentenza sta nell’attribuzione
dell’antigiuridicità ad un insieme di condotte, che prese singolarmente
risulterebbero lecite, ma che tali non sono se valutate complessivamente in
quanto finalizzate ad un solo obiettivo illecito.
A questa prima sentenza ne sono seguite altre, grazie alle quali la
giurisprudenza ha potuto modellare la definizione di mobbing in termini
giuridici, fino a renderla abbastanza stringente e precisa da non sovrapporsi
ad altre definizioni ed istituti già previsti nell’ordinamento e capace di
garantire adeguata tutela ai soggetti che ne sono vittima.
10
La fattispecie che ne è nata, e che si è oggi ormai consolidata, è
particolarmente complessa perché per mobbing si intende:
«una condotta costituita da sistematici e reiterati comportamenti ostili, che
assumono forme di prevaricazione o di persecuzione psicologica da cui può
conseguire la mortificazione morale e l’emarginazione del dipendente, con
8
N. GIRELLI, op. cit. p. 9.
9
Trib. Torino 16 novembre 1999, La responsabilità dell’impresa per il danno psicologico
subito dalla lavoratrice perseguita dal preposto (a proposito del c.d. mobbing), RIDL., 2000
con nota di G. PERA.
10
N. GIRELLI, op. cit. p. 9.
12
effetto lesivo del suo equilibrio psico-fisico e del complesso della sua
personalità »
11
.
Anche se in materia sono stati presentati diversi progetti di legge
12
,
soprattutto dopo l’adozione della Risoluzione A5-0283/2001 fatta dal
Parlamento Europeo, con la quale gli Stati membri sono stati invitati a «
verificare ed uniformare la definizione della fattispecie di mobbing»,
l’ordinamento non contempla ad oggi, una disciplina del fenomeno.
13
La giurisprudenza è oscillante nell’individuare le diverse ipotesi di reato
che possano ricondursi al mobbing. Di recente lo configura nell’art. 572
c.p.
14
, la cui integrazione richiede i parametri del durata nel tempo delle
azioni ostili al fine di valutarne il complessivo carattere persecutori
15
Risulta infine importante riportare un’iniziativa dello Stato a tutela delle
donne vittime di violenze nei luoghi di lavoro, le quali avranno la possibilità
di rivolgersi alla Consigliera di parità
16
con sede presso la Provincia
d’appartenenza , la quale potrà attivare gratuitamente procedure ed azioni in
giudizio, per sostenere le donne vittime di molestie sessuali, discriminazioni e
mobbing di genere.
17
11
Fra le tante, Cass., sez. lavoro, 27 Dicembre 2011, n. 28962 in RIDL; Cass., sez. lavoro, 6
marzo 2006, n. 4774, in RIDL, 2006, con nota di M. PARPAGLIONI, Mobbing: definizione,
tipologie di danno, onere di allegazione e di prova del danno esistenziale.
12
Fra le più recenti, la proposta di legge Miglioli: Disposizioni per il contrasto della violenza
fisica e della persecuzione psicologica nell’ambito dell’attività lavorativa (mobbing),
presentata alla Camera l’11 maggio 2010.
13
N. GIRELLI, op. cit. p. 9.
14
Art 572 c.p.: Maltrattamenti commessi da soggetto investito da autorità.
15
D. CASCIARO, Molestie sessuali e Mobbing nei luoghi di lavoro, www.biancolavoro.it,
2010.
16
Figura istituzionale nominata con decreto del Ministero del Lavoro. Cfr. cap. 3 par.
17
D. CASCIARO, op. cit. p 12.
13
Tuttavia, fino a che il legislatore non deciderà di intervenire, il mobbing
continuerà ad essere definito secondo l’elaborazione operata dalla
giurisprudenza, diversamente dalla nozione di “molestia sessuale sul lavoro”,
che ha trovato specifica regolamentazione nella legislazione nazionale
attraverso il d.lgs. 198/2006
18
, il quale ha fatto proprie, unificandole, gran
parte delle norme elaborate dal legislatore in materia di promozione delle pari
opportunità, prevenzione e contrasto delle discriminazioni per motivi
sessuali.
19
In ogni caso che si parli di mobbing o di molestia sessuale, l’attenzione
riservata al benessere del lavoratore ha esteso i confini della responsabilità del
datore di lavoro, il quale deve controllare costantemente l’evolversi delle
relazioni tra i dipendenti; egli è chiamato a rispondere per inosservanza
dell’obbligo di sicurezza di cui all’art 2087 c.c., dei pregiudizi generati non
solo dalle sue condotte, ma anche da quelle realizzate dai dipendenti, i quali
peraltro, risponderanno comunque delle loro azioni in solido
20
con il datore di
lavoro, secondo quanto disposto dall’art 2043 c.c.
21
2 La molestia sessuale sul posto di lavoro.
2.1 Premessa.
Secondo il Codice delle pari opportunità
22
, «sono considerate come
discriminazioni le molestie sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati
18
C.d. Codice delle Pari Opportunità tra uomo e donna.
19
N. GIRELLI, op. cit. p. 9.
20
Cfr. Cass., sez. lavoro, 9 settembre 2008, n. 22858, ADL, 2009, 460; Cass., sez. lavoro, 29
agosto 2007, n. 18262, GC, 2008, 11, 2490, con nota di F. BUFFA, La responsabilità del
datore di lavoro per il mobbing orizzontale subito dal lavoratore.
21
. N. GIRELLI, op. cit. p. 9.
22
D. Lgs n. 198 11 aprile 2006.
14
a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale,
aventi lo scopo o l'effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un
lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o
offensivo».
23
Un comportamneto si identifica come molestia sessuale quando:
esso è sconveniente, indesiderato ed offensivo per chi è costretto a
subito;
l’accettazione o il rifiuto di tale comportamento sia motivo di
decisioni che vanno ad influenzare il corso del rapporto lavorativo,
come assunzione, promozione, mantenimento, licenziamento e
qualsiasi altra decisione riguardante il lavoro, col risultato di creare un
ricatto sessuale;
24
crea un ambiente di lavoro intimidatorio;
Tali atti possono consistere in:
comportamenti fisici a connotazione sessuale, ad esempio contatti
fisici indesiderati;
comportamenti verbali a connotazione sessuale, come inviti, frasi a
doppio senso ed allusioni;
comportamenti non verbali a connotazione sessuale, in grado di
suscitare disagio come foto oggetti pornografici o gesti;
25
2.2 Le diverse tipologie di molestie sessuali.
23
.Art. 26, D. Lgs 198/2006.
24
L. BASSO, Tutela della dignità delle donne e degli uomini sul lavoro. Molestie sessuali e
mobbing, Padova, 2006.
25
L. BASSO, op. cit. p. 14.
15
Le molestie possono presentare, come sopra accennato, una pluralità di
manifestazioni esteriori che si riconducono all’alternativa tipologica fra
ricatto sessuale e molestia ambientale
26
.
Tale bipartizione non attinge da elementi connotativi del fatto molesto in
sé, ma si caratterizza per il diverso contesto di riferimento entro cui i
comportamenti a sfondo sessuale non graditi alla vittima si collocano
2728
.
Per questo motivo rilevano elementi ulteriori rispetto al fatto oggettivo.
Tali aspetti rinviano alla sfera volitiva dell’agente nel caso del ricatto
sessuale, ove l’intenzione di compiere una molestia si colora della minaccia,
in caso di rifiuto, di precludere alla vittima determinate attività lavorative, o
di infliggere sanzioni punitive quali licenziamento, trasferimento,
demansionamento. Quindi in sostanza la minaccia di un danno ingiusto.
Diversamente, nella molestia ambientale tali elementi esterni consistono
nella creazione di un ambiente di lavoro ostile ed umiliante in cui la
tolleranza genera esclusione e le condizioni di lavoro della vittima degradano
sino a pregiudicare il rendimento e l’integrazione produttiva.
29
26
Ovvero molestie coercitive e non coercitive. Tale contrapposizione ricalca, sotto il profilo
concettuale, la menzionata alternativa fra ricatto sessuale e molestia ambientale ed è stata
avanzata per la prima volta nella dottrina statunitense da R. Tong, Woman, Sex and the Law,
Totowa N.J., 1983. Cfr in tal senso
27
A. PIZZOFERRATO, Molestie sessuali sul lavoro. Fattispecie giuridica e tecniche di
tutela, CEDAM 2000.
28
«Anche quando non si verifica la perdita di alcun tangibile employment benefits, è ben
documentato che la molestia sessuale abbia conseguenze sfavorevoli per il benessere
psicologico, emotivo e fisico della vittima. La molestia sessuale può avvelenare l’ambiente di
lavoro e l’ambiente in cui il dipendente deve lavorare può essere considerato come una
condizione d’impiego quindi si può affermare che le donne che devono lavorare in un
contesto offensivo sotto il profilo sessuale godono di condizioni di lavoro meno favorevoli di
quelle offerte ai loro colleghi maschi»: M RUBENSTEIN, M. INEKE De VRIES, How to
combat sexual harassment at work, cit. 23.
29
A. PIZZOFERRATO, op. cit. p. 15.