7
PREMESSA
«Not surprisingly, it was in the era of
globalization that Bollywood cinema entered the
Cinema Studies discourses. (…) Until the 1980s,
critical work on Indian cinema was limited to
iconic figures such as Dadasaheb Phalke, Satyajit
Ray, Shyam Benegal and a few others. (…) It
would be only in the late 1980s that Indian
commercial cinema came to be counted as
“valid” cultural product»
(R. Bhattacharya Mehta, R. V. Pandharipande,
Bollywood and Globalization - Indian Popular
Cinema, Nation, and Diaspora, 2010)
“Bollywood”: ormai tutto il mondo ha familiarità con questo termine che si
riferisce all’enorme produzione cinematografica localizzata a Bombay, ma che ha,
da qualche anno, una diffusione davvero internazionale. Per questo motivo,
«Bollywood è qualcosa di più del cinema hindi commerciale rivolto ai soli indiani.
Milioni di persone, oltre all’India e al resto dell’Asia meridionale, partecipano a
(…) questo cinema».
1
Solitamente, però, gli “esperti” di cinema tendono a definire Bollywood
solo in contrapposizione al cinema cosiddetto “d’autore”, quindi non in modo
lusinghiero. Come sottolinea Edward Johnson, citato in Bollywood: sociology goes
to the movies: «Il cinema indiano in Occidente ha una reputazione fondata più sul
mito che sulla realtà. Registi “d’arte” come Satyajit Ray vengono osannati, mentre
la maggioranza del cinema, quello commerciale, non riceve elogi, anzi è messo alla
berlina da persone che spesso poi confessano di non aver mai visto alcuno dei film
in questione».
2
A dir la verità, questa reputazione negativa del cinema hindi è stata
alimentata dallo stesso governo indiano (come vedremo nel primo capitolo) che,
però, ne ha sempre sfruttato l’appeal commerciale tassandolo pesantemente, ma
persiste tuttora anche perché non è raro che persino gli studiosi di cinema includano
nel termine “Bollywood” -già di per sé piuttosto omnicomprensivo per via delle
1
R. Kumar Dudrah, Bollywood: sociology goes to the movies, Sage Publications India Pvt Ltd, New
Delhi, 2006, p. 31.
2
Ibid., p. 32.
8
caratteristiche del cinema indiano- anche film che non appartengono precipuamente
al cinema commerciale. È per questo che ho intrapreso questo lavoro di ricerca: il
mio scopo è quello di comprendere, nel modo più approfondito possibile, come
l’industria del subcontinente non sia divisa unicamente nei due opposti
schieramenti “film d’autore vs film commerciali” e che esistono delle motivazioni
storiche per cui i secondi dominano le classifiche dei box office. Bollywood può
essere pensato come un grande albero con varie diramazioni che, però, continuano a
ricevere linfa dal tronco centrale. Pertanto ho organizzato la mia analisi
suddividendola in cinque capitoli: il primo descrive le caratteristiche di Bollywood,
la sua struttura, lo sviluppo e le sue radici, con particolare attenzione alla sua
capacità di adattamento ai mutamenti sociali, economici e tecnologici.
Nel secondo e nel terzo capitolo, invece, ho ritenuto essenziale considerare
separatamente i due rami principali che derivano dal cinema hindi: il middle cinema
e il South Asian Diasporic Cinema, due denominazioni che, nelle limitate
pubblicazioni esistenti (in Italia nulle), sono considerate spesso interscambiabili o,
addirittura, confuse indiscriminatamente con il cinema prodotto a Bombay. In
realtà, le due ramificazioni hanno caratteristiche assolutamente inedite e forti
aspirazioni internazionali. Il capitolo 2, quindi, è incentrato sul middle cinema, i cui
autori lavorano in India, ispirandosi a Bollywood, ma puntano soprattutto alla
conquista del pubblico occidentale e degli indiani che vivono all’estero. Proprio tra
questi ultimi ci sono alcuni dei più noti registi originari del subcontinente che sono
riusciti a mediare tra la loro condizione di emigrati e l’egemonia del cinema hindi,
dando vita ad un nuovo cinema: il South Asian Diasporic Cinema, appunto
(capitolo 3).
L’espansione del cinema commerciale di Bollywood, del middle cinema e di
quello della diaspora sta contagiando anche l’Italia ed è a questo interessante e
nuovissimo connubio che è dedicato il capitolo 4, in quanto ritengo che dalla
collaborazione tra le due industrie possa nascere una proficua alleanza. In questa
sezione ho provato ad individuare, tra l’altro, le caratteristiche del pubblico italiano
appassionato di Bollywood e le prospettive che stanno sorgendo, seppur a rilento,
nel nostro Paese, anche attraverso la viva voce dei protagonisti: produttori, registi,
attori. A questo proposito, è stato illuminante poter intervistare il primo attore
9
italiano che ha recitato nel ruolo di protagonista in un film indiano: Vincenzo
Bocciarelli.
Infine, l’ultima parte del mio lavoro consiste nell’esposizione di una ricerca
sul campo che ho condotto su alcuni indiani che vivono in Italia, cercando di capire,
attraverso interviste semi-strutturate, qual è il valore che essi attribuiscono al
cinema indiano e se il consumo dello stesso diminuisca all’aumentare
dell’integrazione o se il cinema sia strettamente connesso con il concetto di identità
culturale e quindi sia parte integrante della vita dei membri della diaspora.
Un altro degli obiettivi primari della mia ricerca è puntualizzare che non
tutto il cinema indiano è Bollywood, anche se quello hindi resta la principale fonte
d’ispirazione per i vari cinema regionali e per i registi che tentano di innovarne lo
stile e gli elementi narrativi, provando, in tal modo, a realizzare film che possano
incontrare i gusti di pubblici differenti, sganciandosi dal pregiudizio imperante che
Bollywood sia solo “un’accozzaglia di brutti film, realizzati unicamente per
guadagnare denaro”. Non per forza il cinema che riesce ad incassare milioni di
dollari al botteghino è deprecabile, e forse, in questo caso, il grande pubblico ha
sempre avuto una visione più lungimirante dei critici che etichettano i film
mainstream indiani come prodotti di serie B. Anche se persino loro stanno
iniziando ad ammettere che «il cinema di Bollywood a volte può essere celebrato
come uno dei casi in cui è un Paese emergente ad essere l’artefice di un prodotto
culturale riconosciuto a livello mondiale. Il cinema di Bollywood, attualmente, ha
un ruolo chiave in (ed è un prodotto di) un milieu culturale globalizzante».
3
Il mio
auspicio, in questo variegato contesto, è che anche l’Italia inizi a prenderne parte,
creando un sistema in cui le parti (in questo caso le due industrie cinematografiche,
indiana e italiana) diano ciascuna il proprio contributo per raggiungere anche il
pubblico europeo ed entrare a far parte di quell’albero secolare che è la “macchina
dei sogni di Bollywood”.
3
P. Raghuram, Tracing an Indian diaspora: contexts, memories, representations, Sage Publications
Ltd, London, 2008, p. 323.
10
«The Bombay film industry [is] the modern version of the medieval
alchemist’s dream: you touch it and it turns to gold.»
Mihir Bose, Bollywood: a History, 2007
11
CAPITOLO 1
BOLLYWOOD: DALLE ORIGINI AI GIORNI NOSTRI
Bollywood
4
ha avuto, dalla fine del decennio scorso, uno sviluppo macroscopico,
qualificandosi come la più grande industria cinematografica del mondo. I dati
parlano chiaro: Bombay
5
, la capitale dello Stato del Maharashtra, produce
annualmente circa 200 film su un totale nazionale di 800 all’anno –contro i 450
realizzati negli Stati Uniti- e una media di tredici milioni di spettatori al giorno.
6
“Bollywood” è una parola spesso poco gradita a coloro che lavorano
nell’industria cinematografica di Bombay, poiché sembra rappresentarli come
«parenti poveri o imitatori della Hollywood americana».
7
In realtà, l’industria filmica a Bombay differisce in modo sostanziale, in
termini estetici e culturali, da quella americana: Bollywood è un fenomeno limitato
a Bombay, ed è il prodotto di una combinazione di fattori storici, culturali ed
economici indigeni, che lo rendono assolutamente “altro” rispetto a qualsiasi altra
produzione nazionale, inclusa quella hollywoodiana.
Ma Bollywood è un mondo talmente vario che risulta difficile sintetizzarlo
in una definizione, anche se, probabilmente, lo sforzo più riuscito, in questo senso,
è stato quello di M. Madhava Prasad in Ideologia dei film Hindi: una costruzione
storica, testo pubblicato nel 1998, quando afferma:
4
Il termine Bollywood è stato coniato negli anni ’70 dalla stampa indiana in lingua inglese e deriva
dal connubio tra Bombay e Hollywood. Nonostante “Bollywood” non avesse, in origine,
connotazioni positive e per questo non incontri tuttora l’approvazione di molti addetti ai lavori, il
termine è entrato nell’uso comune per indicare lo sviluppo dell’industria cinematografica hindi a
Bombay, alla quale si fa riferimento anche con le espressioni “cinema popolare” (nell’accezione di
“opposto al cinema d’arte”), “mainstream” e “masālā” (ovvero “mix di spezie”).
5
Nonostante dal 1995 il nome della città sia stato modificato in Mumbai (che deriva dalla divinità
indiana Mumbadevi e da aai che significa “madre” in Marathi) dalla Shiv Sena (L'armata di Shiva),
un movimento politico di estrema destra del Maharashtra, per riferirsi all’industria cinematografica
si preferisce usare il nome più antico, di origine portoghese, che verrà adottato anche qui. (N. R.
Bradley - R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, Marshall Cavendish
Editions, Singapore, 2006, p. 36; T. Ganti, Bollywood – a guidebook to popular Hindi cinema, RFG,
New York, 2004, p. 229)
6
M. Lorenzen – F. A. Taeube, Breakout from Bollywood? - Internationalization of Indian Film
Industry, in «DRUID Working Paper» No. 07-06, p. 32; E. Aime, Breve storia del cinema indiano,
Lindau, Italia, 2005; Amy Kilpin, Bollywood vs Hollywood - You’ve heard the hype: Bollywood is
bigger than Hollywood. But what does big mean anyway?, in «Times Online», 21 febbraio 2007.
7
N. R. Bradley, R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, p. 43; A. Sinanan,
Don't call it Bollywood! - Anil Sinanan brings you the juiciest news and gossip from the world’s
glitziest film industry, in «Times Online», 21 febbraio 2007.
12
Il popolare cinema di Bombay o Bollywood si compone di molte
varietà, alcune delle quali non facilmente distinguibili da altri generi in
linguaggi come il Tamil, il Telugu, il Kannada, il Malayalam, il
Bengali, le cui produzioni di maggior successo –come i film di Mani
Ratnam- sono spesso distribuite nella versione Hindi.
Ma quello che viene identificato più comunemente con il cinema Hindi
o di Bollywood è un particolare tipo di produzione e di montaggio, che
nella sua tendenza e nel suo sviluppo si propone come l’”all-inclusive
cinema”.
8
Questi film “all-inclusive”, della durata di circa tre ore con un intervallo, sono
caratterizzati da una coerenza di montaggio piuttosto fragile, dallo scorrimento
dell’azione ricco di interruzioni, dalla presenza di scene simili ai tableaux, ed altre
improntate al realismo, nonché sequenze di sogni e flashback, con l’inserzione di
numerose ed elaborate coreografie di danza su musiche che mirano a diventare
delle hit nel mercato discografico. Le star hanno un’importanza fondamentale, e
spesso producono i loro stessi film.
Bollywood, infatti, può vantare «uno dei più affascinanti, seducenti,
avvolgenti, colorati star system del mondo».
9
Nel cinema hindi gli attori e, in
misura minore, le attrici, possono davvero decidere le sorti di un film, anche
perché, nel contesto assolutamente informale di Bollywood, i registi e/o i produttori
hanno bisogno dell’assenso del protagonista rispetto alla storia narrata per iniziare a
girarlo, in quanto spesso i film sono finanziati solo in base alla notorietà del cast.
10
«Le star del cinema sono considerate uno status symbol in India»
11
, e per questo
motivo anche in politica molti partiti si affidano all’immagine di un attore o di
un’attrice per guadagnare un sostegno di massa che nessun altro potrebbe portare
loro.
12
8
P. Kaarsholm, Unreal city: cinematic representation, globalization and the ambiguities of
metropolitan life, in AA. VV., City Flicks – Indian Cinema and the Urban Experience, Seagull
Books, Calcutta, 2004, p. 12 (traduzione mia).
9
I. Bignardi, Bollywood - La tempesta di colori che conquista il cinema, in «Repubblica – Sezione
domenicale», 12 giugno 2005, p. 42.
10
T. Ganti, Bollywood – a guidebook to popular Hindi cinema, p. 55.
11
S. Dé, Notti di Bollywood, Tea, Milano, 2007, p. 128.
12
N. R. Bradley - R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, p. 93; P. Polomé -
V. Broquet, Bollywood. Viaggio alla scoperta del cinema indiano, FBE edizioni, Brescia, 2006, p.
74.
13
Molte delle stelle bollywoodiane appartengono a delle vere e proprie
dinastie che dominano l’industria da decenni, tra cui i Kapoor, i Bachchan e i
Chopra, mentre altre provengono da scuole come il FTII, e cioè il Film and
Television Institute of India, o da una carriera teatrale e televisiva (come
l’insuperabile Shah Rukh Khan), anche se il principale mezzo di accesso resta
l’appartenenza ad una famiglia già inserita nel cinema. In questo modo, però, si
creano delle vere e proprie caste, che rendono difficile ad altri professionisti
riuscire ad emergere. Tutti, però, sperano di poter accedere al Pantheon delle star,
uomini e donne adorati come divinità, tanto che pare «si bruci incenso davanti ai
manifesti del cinema»
13
.
1.1 Le radici del cinema in India
Sin dalla sua nascita, il cinema in India si è inserito perfettamente nel
contesto delle tradizioni artistiche del Paese. Basti pensare a quanto abbiano
condizionato lo sviluppo cinematografico quegli elementi che il Nātyaśāstra di
Bharata, trattato di teoria teatrale redatto tra il II secolo A.C. e il II secolo D.C.,
considerava imprescindibili: l’integrazione di musica e danza nella recitazione, la
prevalenza della componente melodrammatica rispetto al realismo, la finalità di
intrattenimento degli spettacoli
14
, caratteristiche che sicuramente rimandano ad altri
generi teatrali occidentali, come il melodramma, il vaudeville o il varietà, ma che si
affermano nel teatro indiano diversi secoli prima.
Il maggior precursore del cinema indiano è, senza dubbio, il Teatro Parsi,
un movimento teatrale nato nella metà del XIX secolo su iniziativa della comunità
parsi, composta dai seguaci di Zoroastro (Zarathustra) scappati dalla Persia
nell’VIII secolo e rifugiatisi in India occidentale (oggi Stato del Gujarat), che ha
fornito al cinema l’iniziale “squadra” di attori e scrittori e ha continuato a sostenere
l’industria fino agli anni Trenta, quando, con l’avvento del sonoro, è cambiato
anche lo stile filmico.
15
In questo genere teatrale gli spettacoli erano piuttosto
lunghi, comprendevano musica e danza e, solitamente, proponevano adattamenti
dall’epica o dalla mitologia, ma, non di rado, anche rivisitazioni di pièce teatrali.
13
Ibid., p. 32, p. 111.
14
E. Aime, Breve storia del cinema indiano, p. 18.
15
N. R. Bradley, R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, p. 49.
14
Questa forte tradizione, quindi, non ha solo facilitato la diffusione del cinema in
India, ma, soprattutto, ne ha forgiato lo stile.
1.2 L’avvento del sonoro
Nel 1929 Jamshedji Framji Madan organizzò all’Elphistone Palace di
Calcutta la proiezione di Melody of Love di Arch Heath, realizzato dalla Universal.
Fu questa la prima proiezione di una pellicola sonora in India.
16
La portata
rivoluzionaria del suono all’interno del cinema indiano fu da subito evidente, in
quanto avrebbe consentito di inserire nei film quegli elementi così importanti in
tutte le forme d’arte del Paese: la musica e la danza.
Infatti solo due anni più tardi fu realizzato il primo film sonoro interamente
girato e prodotto in India dalla Imperial Film Company: Alam Ara (Bellezza del
mondo) di Ardeshir Irani, proiettato il 14 marzo 1931 al cinema Majestic di
Bombay. Il film, basato sulla storia del drammaturgo Joseph David, già
rappresentata nel teatro parsi, narra la rivalità fra due regine, Naubahār e Dilbahār
del regno di Kumarpur. A seguito della previsione di un fachiro, che annuncia la
prossima maternità di Naubahār, Dilbahār, gelosa, cerca di sedurre il generale Ādil,
che viene imprigionato per le false accuse della regina. La sposa di quest’ultimo,
anche lei incinta, fugge dal palazzo e trova rifugio presso una tribù di nomadi. Qui
dà alla luce una bambina, Alam Ara appunto, la quale, una volta cresciuta, si reca di
nascosto al palazzo con lo scopo di liberare il padre. Anche il capo della tribù
penetra fino alla prigione dell'amico Ādil, appena in tempo per salvarlo dal pugnale
di Dilbahār. Con la rivelazione della verità, si conclude la vicenda, coronata dal
matrimonio di Alam Ara con il principe ereditario.
17
Tre settimane dopo, la Madan Theatres di Calcutta fece uscire il suo Jamai
Sashti di Amar Choudhury e, subito dopo, Shirin Farhad di J.J. Madan che riscosse
un successo incredibile. Purtroppo, però, per problemi finanziari, la Madan fu
costretta a chiudere i battenti pochi anni dopo.
18
Ma l’industria di Calcutta poté
continuare a svilupparsi grazie alla neonata New Theatres, fondata da Birendranath
16
E. Aime, Breve storia del cinema indiano, p. 41.
17
T. Ganti, Bollywood – a guidebook to popular Hindi cinema, op. cit., p. 11; E. Aime, Breve storia
del cinema indiano, p. 42; C. Cossio, ĀRDESHIR ĪRĀNĪ (1885-1969): Parole e musica, in
«ASIAMEDIA», http://venus.unive.it/asiamed/india/schede/parole.html
18
M. Bose, Bollywood: a history, Tempus, Stroud Gloucestershire, 2007, p. 66.
15
Sircar nel febbraio del 1931 e subito nota per l’atmosfera familiare che si respirava
al suo interno. Kanan Devi, una delle attrici-cantanti più note dello studio, raccontò
al regista Swapan Mullick che un’automobile andava a prendere ogni mattina gli
attori e i professionisti e li portava agli studi, dove trascorrevano tutta la giornata,
pranzando insieme e prendendo lezioni di musica. Nelle pause, poi, giocavano a
nascondino o a badminton.
19
Con il sonoro, il mercato subì una notevole frammentazione dovuta alla
moltitudine di lingue e dialetti parlati nel subcontinente: la lingua del cinema
commerciale divenne l’hindustani, una sintesi tra la urdu di origine persiana e la
hindi di derivazione sanscrita, parlata da circa 150 milioni di persone, e Bombay
assunse presto il ruolo di capitale della produzione cinematografica in questa
lingua, nonostante nella città dominassero il Marathi e il Gujarati, facendo di essa la
sola città in cui la produzione dell’industria cinematografica fosse realizzata in un
linguaggio diverso da quelli dominanti; Madras monopolizzò, invece, il cinema in
tamil; Calcutta la produzione in bengali.
20
La distribuzione di pellicole straniere risentì notevolmente di questa
divisione della produzione su basi linguistiche conseguente all’introduzione del
sonoro, anche perché l’inglese, imposto dall’Impero britannico, era parlato solo
dalle élite indiane, rappresentanti una parte esigua della popolazione, e le pellicole
in questa lingua non ebbero un grande pubblico. Conseguentemente, entro dieci
anni dall’arrivo dei film sonori, la proiezione di pellicole estere rappresentava solo
il 10% del totale, per cui il cinema in India poté svilupparsi in maniera indipendente
dal cinema hollywoodiano sia a livello tematico sia sul piano stilistico.
21
Hollywood, però, rimase il punto di riferimento per l’organizzazione produttiva, e
le società principali si dotarono di teatri di posa sonori, laboratori e uffici, nel
tentativo di imitare il modello americano.
22
19
E. Aime, Breve storia del cinema indiano, op. cit., p. 53; M. Bose, Bollywood: a history, p. 89.
20
N. R. Bradley - R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, p. 50; T. Ganti,
Bollywood – a guidebook to popular Hindi cinema, p. 12.
21
N. R. Bradley - R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, p. 50.
22
D. Bordwell - K. Thompson, Storia del cinema e dei film, Editrice Il Castoro, Milano, 1998, pp.
356-357.
16
1.3 La Grande Guerra e l’era degli studios
Il periodo della Prima Guerra Mondiale incise in maniera negativa
sull’economia del subcontinente, soprattutto a causa della pesante tassazione
imposta dal governo britannico
23
, ma il movimento di liberazione nazionale riuscì
ad infondere nella popolazione una rinnovata fiducia nella possibilità di ottenere
l’indipendenza del Paese; tale sentimento si estese ben presto al campo artistico e
culturale. Infatti, nonostante nel 1918 il governo coloniale avesse introdotto la
censura delle pellicole, i registi iniziarono a esprimere la loro ideologia
nazionalista, come fece Baburao Kroshnarao Mistrà, noto come Baburao Painter
per la precedente attività di pittore. Egli si fabbricò una macchina da presa e fondò,
nel 1919, una casa di produzione, la Maharashtra Film Company e, nel 1925,
produsse Savkari pash (Lo strozzino indiano), considerato oggi il primo film a
soggetto sociale della storia del cinema indiano.
24
Spinte nazionaliste, però, emersero in numerose nazioni a seguito della
brusca interruzione al flusso di importazioni causata dalla Prima Guerra Mondiale.
Prima di questo evento, infatti, il cinema era un’industria sostanzialmente
internazionale, pertanto stili e professionisti avevano la massima libertà di
circolazione. Ma i costi della guerra e la necessità di un numero elevato di soldati o
impiegati nell’industria bellica costrinsero la maggior parte dei Paesi, inclusi quelli
che avevano dominato il panorama mondiale fino ad allora (Francia e Italia in
particolare), a rallentare decisamente la produzione di film. Alcune nazioni, però,
trassero giovamento da questa situazione poiché la domanda interna non era
diminuita, mentre la concorrenza aveva subito un netto tracollo. Si svilupparono, in
questo modo, stili cinematografici tipici delle singole nazioni.
25
In India, anche grazie all’apporto di registi come Baburao Painter, Bombay
si impose in questo periodo come capitale della produzione cinematografica
indiana. E dai primi anni Trenta, la produzione cinematografica iniziò a competere
con quella tessile, il maggior business della città.
26
In questo periodo l’India, con
23
Gli effetti della tassazione inglese sono ben raccontati nel film del 2001 Lagaan – C’era una volta
in India di Ashutosh Gowariker.
24
E. Aime, Breve storia del cinema indiano, pp. 33-34.
25
D. Bordwell - K. Thompson, Storia del cinema e dei film, pp. 106-108.
26
N. R. Bradley - R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, p. 49; T. Ganti,
Bollywood – a guidebook to popular Hindi cinema, p. 11.
17
oltre cento pellicole all’anno, riuscì a superare la produzione di Inghilterra, Francia
e URSS, raggiungendo i 200 film all’anno a metà degli anni Trenta.
27
Dopo la paralisi del cinema nel periodo della Grande Guerra, in seguito alla
quale gli Stati Uniti divennero i principali fornitori di pellicole nel mercato
mondiale, il cinema indiano riuscì a risollevarsi cercando di imitare il solido
modello americano attraverso la nascita di nuove case di produzione, soprattutto
nella regione del Maharashtra, la cui capitale è Bombay, e alcune anche a Calcutta e
Madras. I produttori indiani cercarono di riprodurre la struttura degli studios
hollywoodiani con registi, attori, tecnici e professionisti legati da un contratto alla
casa cinematografica, ma «non riuscirono a realizzare un oligopolio con una
concentrazione di tipo verticale
28
».
29
Diversamente da Hollywood, infatti, la
maggior parte degli studi indiani non fu in grado di integrare produzione,
distribuzione ed esercizio.
30
Nonostante ciò, fino allo scoppio della Seconda Guerra
Mondiale, il sistema degli studios si mantenne piuttosto stabile.
31
Due erano i principali studi attivi a Bombay: la Imperial Film Company,
fondata nel 1926 da Ardeshir Irani, e la Bombay Talkies, la prima compagnia
indiana registrata come “public limited company” nel 1934 da Himanshu Rai
insieme a sua moglie, l’attrice Devika Rani.
32
La Imperial continuò la sua attività
fino al 1938 distinguendosi sia per la produzione di film in diverse lingue (hindi,
urdu, gujarati, marathi, tamil, e telugu), sia per le sue innovazioni tecnologiche;
produsse, infatti, il primo sonoro indiano Alam Ara (Bellezza del mondo) e il primo
film a colori Kisan Kanya (La figlia del fattore, 1937), e fu la prima compagnia ad
utilizzare lampade incandescenti per le riprese notturne. Un altro motivo di vanto
dello studio era l’aver scritturato il giovane Prithviraj Kapoor, e cioè il capostipite
di quella che sarebbe diventata la prima e più durevole dinastia di attori.
33
27
D. Bordwell - K. Thompson, Storia del cinema e dei film, cit., p. 356.
28
Si ha integrazione verticale quando un’impresa si sposta a monte o a valle dello stadio di
produzione, acquisendo il controllo di uno stadio antecedente o susseguente al proprio campo di
attività. Fonte: V. Oddone, Le strategie aziendali, in F. Contò, L. Montano (a cura di), Economia e
gestione delle imprese e delle risorse umane, Franco Angeli, Milano, 2004, p. 59.
29
Cit. tratta da D. Bordwell - K. Thompson, Storia del cinema e dei film, p. 356.
30
T. Ganti, Bollywood – a guidebook to popular Hindi cinema, p. 15.
31
E. Aime, Breve storia del cinema indiano, p.77.
32
N. R. Bradley - R. J. Elliot, Bollywood – Behind the scenes, beyond the stars, p.52.
33
T. Ganti, Bollywood – a guidebook to popular Hindi cinema, p. 16.