3
INTRODUZIONE
È opinione non minoritaria nella storiografia internazionale
che il crollo del Muro di Berlino e la “rivoluzione di velluto”, il
più colossale rivolgimento politico avvenuto senza spargimenti
di sangue nella storia dell’umanità, abbiano preso avvio da
eventi di un decennio anteriore, per la precisione dalla decisione
di dispiegare sul teatro strategico europeo i missili nucleari a
medio raggio, denominati Pershing 2 e Cruise
1
, o più
sbrigativamente euromissili. Sul piano militare si tratta di una
rivoluzione copernicana rispetto al tradizionale quadro della
guerra fredda. Non è più l’ombrello atomico americano a dover
proteggere un’Europa pigmea sul piano delle armi
convenzionali di fronte al titano del Patto di Varsavia; al
contrario, è lo stesso territorio sovietico a poter essere colpito da
un first strike improvviso, che obbligherebbe a risposte concitate
e drammatiche.
La decisione dell’amministrazione Carter, che sarà confermata
e rilanciata nei successivi otto anni di Ronald Reagan, devasta le
speranze sovietiche di finlandizzazione dell’Europa occidentale,
che avevano trovato il loro punto più alto nella conferenza di
Helsinki
2
e costringe il complesso militar-industriale dell’Unione
Sovietica a un surmenage che la necrotizzata economia del
Comecon non è in grado di sopportare. Più ancora, è il mito
1
Missili nucleari statunitensi, dotati di una gittata compresa tra i 1000 e i
5000 km, esclusi dalle riduzioni degli armamenti negoziate nel quadro dei
trattati Salt.
2
I preliminari di Helsinki si svolgono dal novembre 1972 al giugno del 1973,
la successiva fare di preparazione dal settembre 1973 al luglio 1975 e la
conferenza vera e propria dal 30 luglio al 1° agosto del 1975, che si conclude
con la firma solenne dell’Atto Finale di Helsinki, sottoscritto da Aldo Moro
anche a nome della Comunità Europea.
4
della superpotenza invincibile, autentico cemento del regime
comunista, ad essere revocato fortemente in dubbio.
Dal momento in cui cominciano i lavori di sbancamento a
Comiso a quello nel quale una folla di berlinesi plaudenti va a
demolire il Muro della vergogna, la politica europea vive una
complessa e delicata trama di relazioni e svolte. Non tutti e
neppure tanti comprendono come la fine della logica di Yalta e il
crollo del blocco sovietico siano legati a filo doppio a quelli della
riunificazione tedesca e della costruzione politica dell’Unione
europea.
Fra questi felici pochi c’è stato, sin dall’inizio, Francesco
Cossiga, favorito da un’antica passione per la politica
internazionale e dalle circostanze che avevano fatto di quel
periodo l’apogeo di una carriera politica prestigiosissima. Fra il
1979 e il 1992, anno della dissoluzione dell’ex impero sovietico,
Cossiga è stato presidente del Consiglio, presidente del Senato,
presidente della Repubblica. Tre alte cariche e tre cruciali punti
d’intervento che, uniti ad acume e competenza, lo hanno reso
protagonista assoluto di quegli anni.
Il presente lavoro ricostruisce ed esamina il periodo in oggetto
da questa peculiare prospettiva, grazie al contributo di
conversazioni inedite con lo stesso presidente emerito e ad
interviste all’ex-titolare del Ministero degli Affari Esteri Gianni
De Michelis e al capo della “diplomazia del Quirinale”,
l’ambasciatore Ludovico Ortona.
È il caso di annotare che la capacità anticipatrice e
lungimirante di Francesco Cossiga non si è limitata alla politica
estera. L’allora capo dello Stato è stato il primo ad intuire che la
caduta del Muro avrebbe fatto crollare la Costituzione materiale
e i fondamenti della ormai agonizzante Prima Repubblica. Ma la
5
“preveggenza” che a livello internazionale ha garantito a lui e
all’Italia la gratitudine e l’amicizia dei governanti tedeschi, sul
piano interno non gli provocava che attacchi ed amarezze d’ogni
genere. Confermando una volta di più che nemo prophet in patria.
6
CAPITOLO I
1.1 Francesco Cossiga: totus politicus
Uomo totus politicus
3
, Francesco Cossiga è stato un
protagonista assoluto della politica italiana dell’ultimo mezzo
secolo, accompagnandone sia il percorso ufficiale e solenne, sia
quello più inapparente e carsico.
Docente di Diritto Costituzionale mentre molti dei suoi
colleghi erano ancora all’esame di Diritto Privato
4
, è stato il più
giovane sottosegretario alla Difesa
5
, il più contestato ministro
degli Interni
6
, il primo presidente del Consiglio democristiano
“scelto” dai socialisti
7
, il pioniere della diplomazia dell’amicizia
personale. È diventato inaspettatamente presidente della
Repubblica al primo turno e con un numero di voti inferiore solo
allo scrutinio che aveva portato sul Colle Sandro Pertini
8
. Grazie
al metodo Cossiga, escogitato in realtà dall’allora presidente
della Dc, Ciriaco de Mita
9
, un esercito sterminato di Grandi
3
F. Cossiga con P. Chessa, Italiani sono sempre gli altri – Controstoria d’Italia da
Cavour a Berlusconi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2007, pp. 240 e ss.
4
Si laurea a 20 anni nel 1948 e diventa assistente del prof. Guarino,
successivamente ordinario di Diritto Costituzionale all’Università di Sassari.
5
III governo Moro, 23 febbraio 1966. In questa occasione aveva partecipato
all’apposizione degli omissis sul Rapporto Manes, la relazione conclusiva
della commissione ministeriale di inchiesta sul “Piano Solo”.
6
12 febbraio 1976 – 11 maggio 1978 (V governo Moro, III e IV governo
Andreotti).
7
Cossiga I: 4 agosto 1979 – 4 aprile 1980; Cossiga II: 4 aprile 1980 – 18 ottobre
1980. Sulla scelta di Cossiga premier cfr. G. Andreotti, Diari 1976-1979,
Milano, Rizzoli, 1981, pp. 352-354.
8
Elezione del 3 luglio 1985 (75,4%), 752 voti su 997.
9
Nel 1985 il segretario democristiano Ciriaco de Mita aveva firmato la trama
del piano per l’elezione di Cossiga. Per funzionare occorreva che il candidato
appartenesse ad un partito della maggioranza, ma non a quello del
presidente del Consiglio, così si partiva con i voti di due gruppi. Poi si
preparava una rosa di nomi da offrire agli alleati e agli oppositori, ma
sapendo già qual era il nome che avrebbe messo d'accordo tutti. Infine un
uomo solo faceva il giro delle “sette chiese” per trovare l'intesa sul candidato,
lasciando a tutti l'illusione che fossero loro a scegliere. De Mita era stato così
7
Elettori si era ritrovato, quasi casualmente, a far convergere i
voti sul presidente cattolico.
«Il senso di rettitudine e di correttezza che ispira l’ha portato ad
essere eletto al primo turno di votazioni in un parlamento così nervoso
e irritabile come quello italiano, in cui i dirigenti del partito della
Democrazia Cristiana si combattono più aspramente di quanto
combattano i socialisti o i comunisti
10
» – così Jim Hoagland, illustre
editorialista del “Washington Post”, aveva spiegato oltreoceano
l’elezione del politico sassarese.
Nella storia italiana del secondo dopoguerra, sarcasticamente
battezzata “età democristiana”
11
, il ruolo di Francesco Cossiga ha
rappresentato il fulcrum, la prospettiva dalla quale vedere
contemporaneamente passato, presente e futuro.
Autodefinitosi una Pizia alla Dürrenmatt
12
, con una mente scissa
tra fantasia e profezia, il presidente emerito riconduce, senza
alcun indugio, molte sue doti alla “sardità
13
”.
Nel 1983 aveva definito la sua carriera atipica, perché orientata
alla dimensione cristiana. Sin dall’origine, infatti, aveva inteso la
politica non come potere, ma «Come misteriosa scelta della
Provvidenza, una forma molto difficile dello Spirito di Carità e di
abile che Cossiga si era potuto defilare in Portogallo. Rientrato in Italia,
ormai consapevole della sua imminente investitura, era andato a trovare
l'amico segretario e, regalandogli una bibbia, gli aveva mormorato
profeticamente: «Non lasciatemi solo.» Cfr. S. Messina, I dieci comandamenti per
arrivare al Quirinale - La Repubblica.it/Dossier, 2 marzo 1999. Sul metodo De
Mita cfr. G. Mazzà (a cura di), “Vita Italiana”, Presidenza del Consiglio dei
Ministri, n. 6-7 anno XXXV, p. 25.
10
J. Hoagland, Cossiga: ‘The Power of Moderation’, “Washington Post”, 10
ottobre 1989, in Herald International Tribune.
11
F. Cossiga con P. Chessa, Italiani sono sempre gli altri – Controstoria d’Italia da
Cavour a Berlusconi, cit., pp. 125 e ss.
12
F. Cossiga, Mi chiamo Cassandra, Soveria Mannelli (CZ), Rubbettino Editore,
2008, p. 14.
13
F. Cossiga, Non ci capite a noi sardi, “Il Foglio”, 27 maggio 2006; cfr. anche F.
Cossiga, Mi chiamo Cassandra, cit., p. 13.
8
giustizia
14
», che ha cercato di esercitare in tutte le sue
declinazioni.
Eppure ci ha confidato
15
, dopo oltre sessant’anni di cursus
honorum, che non è riuscito ad essere proprio quello che
desiderava più ardentemente. Un anelito che, ripercorrendo a
ritroso le tappe della sua vita politica, appare oggi come un
insospettato paradosso: l’unico ruolo a cui ha ambito per tutta la
sua vita non è mai riuscito a ricoprirlo. «Solo per un brevissimo
periodo ad interim
16
», ci confessa con un po’ di rammarico.
Il suo sogno era guidare il Ministero degli Affari Esteri e poter
dare sfogo, in modo “lecito”, alle sue convinzioni ed intuizioni
di politica internazionale. Istituzionalmente Cossiga non ha mai
fatto il diplomatico, anche se può fregiarsi di questo titolo senza
usurparlo affatto. È incontrovertibile che l’“uomo solo
17
” abbia
diretto le fila della politica estera italiana fin dall’esordio della
sua carriera e che mai si sia sottratto all’irrefrenabile desiderio di
agire nel complesso scacchiere dell’Europa post bellica.
Tacito, nei suoi Annali, ha ricostruito la Roma classica
attraverso poche figure significative, usando spesso singoli
personaggi per spiegare un intero periodo. Francesco Cossiga
sarebbe stato senz’altro uno dei suoi soggetti preferiti: il simbolo
concreto di un momento peculiare della storia del Belpaese.
Dopo l’enorme tragedia della seconda guerra mondiale, la
politica ha assistito al conservarsi nel tempo di un precario
equilibrio internazionale derivato dalla drammatica divisione
14
E. Biagi, Le grandi interviste – Repubblica Atto II, video tv, 1983.
15
Conversazioni del presidente emerito Francesco Cossiga con l’autrice,
Roma, 3 novembre 2009.
16
Nell’VIII Legislatura il presidente del Consiglio Cossiga è stato ministro
degli Affari Esteri ad interim dal 24 novembre 1979 al 20 dicembre 1979. Ha
guidato la Farnesina dalle dimissioni di Franco Maria Malfatti (Dc) alla
nomina di Attilio Ruffini (Dc).
17
P. Guzzanti, Cossiga uomo solo, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1991,
p. 8.
9
dell’Europa, effetto della conferenza di Yalta e dei successivi
accordi di Potsdam.
Dall’America, nel 1943, due studiosi italiani si interrogavano:
«What to do with Italy?»
18
. Le evidenti difficoltà di un Paese
dilaniato dalla guerra civile, e in balia di eventi subitanei e non
sempre gestibili dall’interno, si erano riflessi nell’ardua ricerca di
una nuova identità nazionale.
Il contesto internazionale era capzioso: il 5 marzo 1946
iniziava una fase involutiva per la politica internazionale. A
Fulton, nel Missouri, Winston Churchill, che aveva perso da
pochi mesi la guida del governo ma conservava intatto il suo
prestigio personale, aveva pronunciato un discorso destinato ad
avere un’enorme risonanza, in cui denunciava apertamente
l’inizio di una nuova epoca: «Da Stettino, sul Baltico, a Trieste,
sull’Adriatico, una cortina di ferro è calata sul continente
19
.»
La collaborazione tra le due superpotenze era ormai giunta al
capolinea. Al suo posto subentrava quella che il giornalista
americano Walter Lippmann aveva efficacemente battezzato
“guerra fredda”: non guerra guerreggiata ma irriducibile ostilità
tra due blocchi contrapposti di Stati
20
. Si apriva così una stagione
di conflittualità ideologica, in cui le azioni diplomatiche e gli
interventi militari erano orientati all’annientamento
dell’avversario. Jean Monnet l’aveva definita la prima fase dei
preparativi di guerra
21
, nefasta previsione fortunatamente non
verificatasi, almeno nel teatro occidentale.
18
G. Salvemini – G. La Piana, What to do with Italy?, New York, 1934,
riprodotto in La sorte dell’Italia, Roma, Firenze, Milano, 1945.
19
Sull’approfondimento del discorso di W. Churchill cfr. E. Di Nolfo, Storia
delle relazioni internazionali 1918-1992, Roma-Bari, Laterza, 1994, p. 658.
20
G. Sabbatucci – V. Vidotto, Storia Contemporanea. Il Novecento, Roma-Bari,
Laterza, 2003, p. 211.
21
M. G. Melchionni, Quale domani per questa Europa?, Roma, Edizioni
Studium, 2004, p. 31.
10
Osservando ex post il contesto minaccioso di quegli anni, è
intuibile l’angoscioso stato d’animo della nascitura classe politica
italiana, a cui spettava l’ingrato compito di sollevare le sorti di
un Paese devastato economicamente e psicologicamente dalla
tragedia bellica. La prima azione decisiva della Farnesina,
l’adesione sollecita dell’Italia al piano Marshall, dettata dalla
necessità di uscire da un temuto isolamento, era stata
formalizzata il 20 giugno 1947, attraverso le parole dell’allora
ministro degli Esteri Carlo Sforza: «Per far sentire al mondo che
volevamo di nuovo farci valere
22
.»
Intanto, il brillante studente sardo aveva deciso di non
rimanere estraneo al difficoltoso contesto politico italiano e
iniziava a ritagliarsi con passione un ruolo di spicco. Nel 1944,
appena diciassettenne, si era iscritto alla Democrazia Cristiana,
distinguendosi da subito come militante attivo e molto
dinamico, e a ventotto anni diventava segretario provinciale
della Dc sassarese.
Oggi, alla domanda su come sia nata la sua passione per la
politica risponde in modo schietto e sincero: «Da giovani si
contesta sempre qualcosa o qualcuno. Si tentano nuove strade
ascoltando un richiamo o seguendo una propensione. Io ho vissuto la
politica in modo coinvolgente. Ai miei tempi però c’era una società in
cui i giovani facevano ancora politica per i valori
23
.»
E così, pervaso da passione ed entusiasmo, il giovane Cossiga
iniziava la sua ascesa verso i palazzi del potere. Il 1956 era stato
l’anno del suo debutto nella politica nazionale, in quanto
delegato a rappresentare la Sardegna al Congresso della Dc di
Trento.
22
C. Sforza, Cinque anni a Palazzo Chigi: la politica estera italiana dal 1947 al
1951, Roma, Atlante, 1952, p. 42.
23
Conversazione del presidente emerito Francesco Cossiga con l’autrice,
Roma, 3 Novembre 2009.
11
Era stato anche l’anno della denuncia dei crimini di Stalin al
XX Congresso del Pcus, della crisi di Suez, dell’invasione
dell’Ungheria, della nascita de “Il Giorno”, quotidiano
meneghino antagonista del “Corriere della Sera”, finanziato
dall’Eni di Enrico Mattei. Sempre nello stesso anno, in Sardegna,
sulle suggestioni del “dossettismo”, un gruppo di giovani
militanti democristiani aveva guidato un ben congegnato colpo
di Stato generazionale, una sorta di “rivoluzione bianca”, che
aveva spodestato l’intero gruppo della Dc sassarese affermatosi
all’ombra del potere di Antonio Segni.
«Ci chiamavano Giovani Turchi e suonava bene perché evocava quel
gruppo di giovani ufficiali “modernisti” che aveva deposto il sultano
Abdul-Hamid tra il 1908 e il 1909
24
». Una sofisticheria intellettuale
decisamente velenosa se si pensa che il sultano turco, una volta
tornato sul trono, aveva fatto decapitare tutti gli ufficiali ribelli
senza pietà. Fortunatamente non era andata così per il giovane
Cossiga che a soli 30 anni, nel 1958, faceva il suo trionfale
debutto a Montecitorio.
Subito dopo era arrivato il momento della “correzione
dorotea”, nata come opposizione al metodo Fanfani, strategia
attraverso la quale il politico toscano pensava di poter
impersonare il ruolo di leader all’inglese, cioè capo del governo
in quanto segretario del partito che aveva vinto le elezioni. La
riunione nel Convento di Santa Dorotea sul Gianicolo a Roma,
aveva visto tra i suoi protagonisti anche il giovane sardo, e tra
l’altro in quella occasione era stato definitivamente sancito il
compromesso attraverso il quale lo Scudo Crociato si poneva
24
F. Cossiga con P. Chessa, Italiani sono sempre gli altri – Controstoria d’Italia da
Cavour a Berlusconi, cit., p. 160.
12
come punto di equilibrio tra potere e società, interessi e ideali,
etica e politica
25
.
Cominciava così l’escalation politica di Francesco Cossiga, che
lo avrebbe portato ad entrare nel III governo Moro come il più
giovane sottosegretario alla Difesa della storia repubblicana,
occasione peraltro per dimostrare le sue spiccate doti
diplomatiche. Incaricato dal presidente del Consiglio di seguire
l’indagine sul caso Sifar e sul presunto tentativo di colpo di Stato
nell’estate del 1964, Cossiga aveva avuto il gravoso compito di
custodire uno dei più reconditi e controversi segreti della
Nazione. In quel periodo il giovane sottosegretario godeva della
massima fiducia del socialdemocratico Roberto Tremelloni,
ministro della Difesa negli ultimi anni della IV Legislatura e, per
un appassionato di John Le Carré e di romanzi di spie, ricoprire
quell’incarico doveva essere stato un invito a nozze. Cossiga è
tra i pochissimi, infatti, ad essere a conoscenza della versione
integrale del “piano Solo”, nome in codice del progetto di golpe
architettato del generale Giovanni De Lorenzo, capo del servizio
segreto militare; sarebbe spettato proprio al futuro presidente
della Repubblica apporre gli omissis e suggerire al premier Aldo
Moro le parti del documento da celare alla magistratura e
all’opinione pubblica.
Quel ruolo di “furiere” nella gestione amministrativa delle
liste segrete di Gladio gli avrebbe procurato numerosi problemi
negli anni successivi. Sergio Flamigni avrebbe coniato per il
presidente l’epiteto di “cardinale degli omissis
26
” e, per il
presunto coinvolgimento in quella torbida vicenda, Cossiga
25
F. Cossiga con P. Chessa, Italiani sono sempre gli altri – Controstoria d’Italia da
Cavour a Berlusconi, cit., p. 163.
26
S. Flamigni, I fantasmi del passato. La carriera politica di Francesco Cossiga,
Milano, Kaos Edizioni, 2001, p. 41.
13
sarebbe stato il primo e l’unico presidente della Repubblica
Italiana messo formalmente in stato d’accusa dal Parlamento.
A quel tempo si parlava di “tintinnar di sciabole”, citazione
attribuita a Pietro Nenni per spiegare la soluzione forzata della
crisi di governo con un nuovo centro-sinistra nel luglio del 1964.
Se si trattasse o meno di un colpo di Stato resta tutt’oggi un
arcano difficile da risolvere. Gli storici sono divisi: dall’ipotesi di
Giorgio Galli che interpreta il piano non come un vero golpe, ma
come il mezzo per evitare la concreta possibilità di una svolta a
destra della Dc, a quella di Giuseppe Tamburrano che parla di
“profilassi antisovversiva”. Non mancano, tuttavia, opinioni che
sostengono l’effettiva matrice golpista del piano
27
.
Un quarto di secolo dopo, Cossiga ammetterà alla chetichella
un aspetto della sua attività di allora: «Discriminavamo i
comunisti, gli sparavamo addosso […] io sottosegretario alla Difesa
davo le istruzioni perché ai figli dei comunisti che dovevano fare gli
ufficiali di complemento venisse trovato il vizio cardiaco […] incaricato
di Gladio mi aveva messo Moro, e io presiedevo alla discriminazione dei
comunisti
28
.»
Adempiuti euristicamente i suoi compiti, Francesco Cossiga si
era guadagnato il salvacondotto per i due governi successivi, nei
quali avrebbe continuato ad occuparsi di sicurezza: Leone II (24
giugno 1968 – 12 dicembre 1968) e Rumor I (12 dicembre 1968 – 5
agosto 1969); mentre avrebbe ottenuto il suo primo Ministero,
seppur senza portafoglio, nel IV governo Moro (23 novembre
1974 – 12 febbraio 1976), diventando ministro per la riforma
della Pubblica Amministrazione.
27
Per il democristiano di sinistra Ruggiero Orfei il “piano Solo” era stato un
colpo di Stato in piena regola, non attuato ma ben organizzato e minacciato.
28
Cossiga accusa il Sisde: “Mi ha spiato”, articolo non firmato, “L’Unità”, 20
maggio 2004, p. 11. Cfr. anche S. Flamigni, I fantasmi del passato. La carriera
politica di Francesco Cossiga, cit. p. 51.
14
Lo scenario internazionale appariva esiziale e fuori dal
“Palazzo” l’opinione pubblica era poco attenta alla politica.
Il decennio 1970-1980, caratterizzato dalla conflagrazione della
“questione mediorientale” con la conseguenza delle due
drammatiche crisi petrolifere, dal crollo degli accordi di Bretton
Woods e dall’instaurazione della Repubblica Islamica in Iran, ha
visto in Italia il raggiungimento di un livello parossistico di
violenza politica, culminato negli anni di piombo del terrorismo
e dello stragismo.
Intanto Cossiga continuava a collezionare successi senza
precedenti nella sua folgorante carriera politica. La svolta
decisiva era avvenuta il 12 febbraio 1976 quando, con un colpo a
sorpresa, Aldo Moro lo aveva nominato ministro dell’Interno.
Così, a soli 48 anni, succedeva a Luigi Gui, costretto a lasciare il
Viminale a causa del suo coinvolgimento nello scandalo
Lockheed
29
, da cui peraltro sarebbe stato scagionato.
All’inizio Cossiga piaceva agli italiani: era giovane, disponibile
a mostrarsi di frequente all’opinione pubblica attraverso i
media
30
; in un certo senso, incarnava l’homo novus nella
democrazia congelata
31
degli anni di piombo. Tuttavia, l’attività
al Viminale avrebbe segnato ineluttabilmente la sua vita politica,
erigendolo a capro espiatorio dei trent’anni di “malgoverno
democristiano
32
”.
29
Grave caso di corruzione che aveva coinvolto Giappone, Paesi Bassi,
Germania e Italia. La Lockheed Corporation, azienda aereonautica statunitense,
era stata accusata di aver fornito aerei mediante corruzione. In Italia lo
scandalo riguardava la fornitura degli aerei da trasporto C-130, ricevuti
dall’Aereonautica Militare a partire dal 1972.
30
In occasione del terremoto in Friuli (maggio 1976), Cossiga aveva
affrontato la situazione in modo perentorio, guadagnando numerosi elogi da
parte della stampa nazionale.
31
G. De Michelis, La lunga ombra di Yalta, Venezia, Marsilio Editori, 2002, p.
19.
32
L’espressione era diventata il tormentone dell’epoca, citata e consacrata
come luogo comune da Nanni Moretti nel suo film Ecce bombo (1978), in cui il