1
INTRODUZIONE
In questo lavoro di tesi si prende in analisi l’universo
concentrazionario nazista che emerge dal volume Da questa parte, per
il gas
1
di Tadeusz Borowski
2
.
1 T. Borowski, Da questa parte, per il gas, a cura di Giovanna Tomassucci, L’ancora
del Mediterraneo, Napoli 2009.
2 Nato nel 1922 in Ucraina, precisamente a Žytomir, da genitori polacchi. Il padre,
membro di un’associazione militare polacca, nel 1926 viene arrestato e deportato
alla Carelia, al di sopra del Circolo Polare Artico, a scavare il famoso canale del
Mar Bianco. Nel 1930 anche la madre viene inviata in un campo di lavoro in
Siberia. Nel 1934 la famiglia si ricongiunge a Varsavia. Nonostante le difficili
condizioni di vita e le difficoltà di sostentamento, Borowski riesce a proseguire i
suoi studi all’interno di un collegio gestito da frati francescani. Quando scoppia la
guerra nel 1939 non ha ancora diciassette anni. Ottiene un lavoro come guardiano
notturno e magazziniere in una ditta che vende materiali da costruzione e nel
frattempo continua a studiare. Frequenta scrittori e poeti, tra cui Czesław Miłosz, e
nel 1942 esce la sua prima raccolta di poesie, Ovunque la terra. Nel 1943 la sua
fidanzata Maria viene arrestata dai nazisti, poco dopo viene anch’egli arrestato e
portato nel Pawiak, una prigione sul confine con il ghetto di Varsavia. Alla fine di
aprile dello stesso anno viene trasportato ad Auschwitz. Sul suo braccio è tatuato il
numero di matricola 119.198. Nell’estate del 1944 i detenuti di Auschwitz
cominciano ad essere evacuati, Borowski viene trasferito prima in un campo fuori
Stoccarda, poi a Dachau. Il primo maggio 1945 il campo viene liberato dalla VII
Armata americana, i prigionieri vengono trasferiti in una ex caserma delle SS a
Freimann, in Baviera. Dopo la liberazione, Borowski non riesce a riprendersi da
quell’esperienza traumatica e nel 1951, probabilmente in preda ad una crisi
ideologica, si suicida. (Cfr. J. Kott, Introduction, in Tadeusz Borowski, This way for the
Gas, Ladies and Gentlemen, NY Penguin, New York 1976, pp. 11-26).
2
Nella trattazione si analizzano gli elementi di originalità che
contraddistinguono questa opera rispetto a tutta la letteratura
memorialistica dedicata ai lager.
Si affrontano temi quali la logica del campo – ossia le
dinamiche che regolano i rapporti tra vittime e carnefici –, la
spersonalizzazione dell’individuo e i meccanismi che accelerano tale
processo, gli elementi esterni concreti (p. es. la natura) o concettuali
(p. es. i numeri o la distorsione della parola) che possono
condizionare l’esistenza umana.
In particolare, nel primo capitolo si mostra che cosa si intende
per alienazione dell’individuo – elemento imprescindibile per
garantire l’esistenza del sistema concentrazionario – e in che modo si
realizza. Si affronta la problematica del rapporto tra vittima e
carnefice, ma soprattutto si analizza il pensiero borowskiano che
individua un processo di importante metamorfosi soprattutto nel
prigioniero, il quale si rivela carnefice non solo degli altri ma anche
di se stesso. Nel prosieguo della trattazione, si passa poi ad
individuare quale sia l’approccio più corretto per affrontare lo
spettro dell’esperienza concentrazionaria.
Nel secondo capitolo si affronta la problematica della continua
violazione della dignità dell’essere umano, mettendo in evidenza la
forza del numero come strumento di spersonalizzazione. A tal
proposito risulta importante esaminare due similitudini: la prima tra
il prigioniero e la bestia; la seconda tra la realtà concentrazionaria e il
mondo naturale.
Nel terzo capitolo, infine, si evidenzia il concetto di lavoro nel
lager, il ruolo della lingua, la violenza della parola, la potenza della
3
fede sia politica sia religiosa nell’intorpidimento delle coscienze e
della volontà. Per concludere, un’analisi degli interessi finanziari che
gravitano intorno al sistema concentrazionario, vera e propria
macchina economica, e degli effetti che la storia, da sempre
caratterizzata da soprusi e violenza, ha sulla società civile e sulla sua
evoluzione.
*
Tra gli avvenimenti più tragici che hanno caratterizzato lo
scenario del secolo scorso, l’ascesa al potere di Hitler rappresenta un
punto determinante: attraverso una politica utopica, nazionalista e
razzista, il Terzo Reich innesca la bomba che causa la distruzione
dell’Europa.
3
Dall’annessione dell’Austria, alla questione dei Sudeti
4
che decreta la fine della Repubblica Ceca, fino a giungere
all’invasione della Polonia il primo settembre del 1939, le truppe
tedesche attuano un cambiamento dello scenario geopolitico del
Vecchio continente. Entrando nel paese, prima alla conquista di
Danzica, poi marciando verso Varsavia – che capitola –, la Germania
cancella la Polonia dalle cartine geografiche, la spartizione del paese
è compiuta, la popolazione viene sottoposta a un regime di doppia
3 «Terzo Impero (dopo il Sacro Romano Impero medievale e quello nato nel 1871)
in cui si realizzava il principio del capo (Fűhrerprinzip) che costituiva un punto
cardine della dottrina nazista», (A. Giardina, G. Sabbatucci, V. Vidotto, Manuale di
Storia. L’età contemporanea, vol. 3, Editori Laterza, Roma-Bari 2002, p. 586).
4
«ossia gli oltre tre milioni di tedeschi che vivevano entro i confini della
Cecoslovacchia» (cit. da Ibidem, p. 607).
4
occupazione: quella tedesca sul versante occidentale e quella russa
sul versante orientale
5
.
La supremazia della Germania è ormai totale, la politica
violenta e xenofoba si scaglia contro le “razze inferiori” che nel corso
degli anni si sono mescolate alla “razza” ariana, “superiore” e
conquistatrice.
6
L’obiettivo del Reich è stabilire un «nuovo ordine
basato sulla supremazia della nazione eletta e sulla rigida
subordinazione degli altri popoli alle esigenze dei dominatori»
7
. Per
mettere in pratica questo progetto non viene risparmiato alcun
mezzo, per raggiungere lo scopo vengono adottate azioni disumane e
moralmente disdicevoli, atteggiamenti a cui l’Europa occidentale
sembra non essere avvezza.
«Un trattamento particolarmente duro e inumano fu riservato ai
popoli slavi, considerati razzialmente inferiori e destinati, nei progetti
di Hitler, a una condizione di semischiavitù […] Circa sei milioni di
civili sovietici e due milioni e mezzo di polacchi senza contare gli
ebrei, morirono durante il conflitto per maltrattamenti, gli stenti e le
5 Patto Molotov-Ribbentrop firmato a Mosca il 23 agosto 1939 dagli omonimi
ministri degli Esteri sovietico e tedesco, un «patto di non aggressione fra i due
paesi che assicurò per entrambe le parti considerevoli vantaggi». Alla Russia
venivano riconosciuti i territori degli Stati Baltici, della Romania e della Polonia,
alla Germania veniva assicurato di risolvere la questione polacca (ne era prevista la
spartizione) «senza correre il rischio di una guerra su due fronti» (Inghilterra e
Francia da una parte, Russia dall’altra), (cit. da Ibidem p. 656).
6 Cfr. Ibidem.
7 Cit. da Ibidem, pp. 669.
5
esecuzioni di massa. Dei quasi sei milioni di prigionieri di guerra
russi, più della metà non fecero mai ritorno in patria»
8
.
L’offensiva nazista più violenta è riservata però agli ebrei
considerati «portatori del virus della dissoluzione morale […] causa e
simbolo vivente della decadenza della civiltà europea»
9
. A sancire in
maniera ufficiale nel settembre del 1935 tale discriminazione sono le
«leggi di Norimberga che tolgono agli ebrei la parità dei diritti e
proibiscono i matrimoni tra ebrei e non ebrei»
10
. Vengono richiusi nei
ghetti, obbligati a portare una stella gialla, maltrattati, trasferiti in
campi di concentramento e qui sfruttati, usati come cavie, gassati in
massa, nel quadro generale di quella soluzione finale che Hitler attua
dal 1941 in poi con lo scopo di realizzarne l’annientamento totale.
Sulla tragedia dell’Olocausto
11
, come è stato spesso
impropriamente definito, si è sviluppata una vasta letteratura:
8 Cit. da Ibidem, pp. 669-670.
9 Cit. da Ibidem, p. 583.
10 Cit. da Ibidem, p. 588.
11 «Antico sacrificio religioso, nel quale la vittima animale veniva bruciata
sull'altare» (Dizionario della Lingua italiana Sabatini Coletti online,
http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/O/olocausto.shtml). «La parola
deriva dal latino holocaustum, che è il greco holòkauston, da hòlos “tutto” e
kaustòs “bruciato”, dal verbo kaìein “bruciare”. Per estensione, Sacrificio,
soprattutto della propria vita, ispirato da una dedizione completa al proprio ideale.
Questa parola è stata impropriamente adottata per definire lo sterminio degli ebrei
europei durante la Seconda guerra mondiale. Come si capisce dall’etimo, infatti,
non definisce correttamente l’evento. Implicherebbe cioè una volontà delle vittime
nell’offrirsi in sacrificio per un ideale, cosa ovviamente impensabile. Ecco perché si
preferisce l’uso della parola ebraica Shoah [...] che significa “desolazione,
6
memorie, diari, testimonianze dei sopravvissuti, racconti degli
aguzzini, tutto materiale che inizia ad emergere tra il 1945-1946 con
l’avvio del processo del tribunale militare di Norimberga
12
, intentato
nei confronti di capi nazisti accusati di aver perpetrato crimini contro
l’umanità.
Al di là della terrificante macchina di morte messa a punto
dalla politica del Fűhrer
13
, ciò che appare più sconvolgente è il
tentativo postbellico di additare la Germania come sola e unica
responsabile dell’eccidio di massa perpetrato in maniera sistematica
nei lager, in particolare ad Auschwitz-Birkenau. Un tentativo tanto
eticamente scorretto quanto inutile, volto – in maniera molto
superficiale – a sollevare da qualsiasi coinvolgimento, partecipazione
catastrofe, disastro”. Questo vocabolo venne adottato per la prima volta nella
comunità ebraica di Palestina, nel 1938, in riferimento al pogrom della cosiddetta
“Notte dei Cristalli” (Germania, 9-10 novembre 1938). Da allora definisce nella sua
interezza il genocidio della popolazione ebraica d’Europa, perpetrato durante la
Seconda guerra mondiale» (tratto dal sito
http://www.binario21.org/ilsignificato.htm).
12 Il processo «si concluse con la condanna a morte di alcuni fra i principali
collaboratori di Hitler. Destò grande scalpore in tutto il mondo e costituì un
precedente di notevole rilievo», (cit. da A. Giardina, G. Sabbatucci,V. Vidotto, op.
cit., p. 692).
13 Capo, «equivalente di “duce”, non era soltanto colui al quale spettavano le
decisioni più importanti, ma anche la fonte suprema del diritto; non era solo la
guida del popolo, ma anche colui che sapeva esprimerne le autentiche aspirazioni.
Era insomma fornito di quel potere che Max Weber, ai primi del secolo, aveva
definito carismatico, in quanto fondato su un dono, su una presunta qualità
straordinaria (appunto il carisma)» (Ibidem).
7
e responsabilità, come pure da ignavia di ogni genere, sia i vinti che i
vincitori.
Nello scenario odierno, sempre più cosmopolita, consumista e
globalizzato, continuamente proiettato al futuro, regolato da leggi di
mercato, caratterizzato da una vita frenetica e cannibalesca, è facile
che la Storia sia vittima di dimenticanza, che la memoria si assopisca
e che si tenda a considerare immani tragedie come storie del passato,
racconti lontani, quasi leggende. Partendo dall’edizione italiana del
libro di Borowski, Da questa parte, per il gas, a cura di Giovanna
Tomassucci, questo lavoro di tesi vuole approfondire la visione della
realtà concentrazionaria nella narrativa dello scrittore polacco,
superando l’aspetto propriamente luttuoso della Shoah, tragedia che
offende non solo il popolo ebraico ma l’intera umanità.
L’argomento di cui tanto si è detto e scritto, e che risulta
perciò ben noto, viene analizzato da un punto di vista nuovo, crudo,
realistico e distaccato seppur molto personale. Una chiave di lettura
originale che realizza un approccio “diverso” e che racconta la
tragedia attraverso un resoconto dettagliato di vita del lager,
sottolineando soprattutto il processo di trasformazione psico-fisica
del prigioniero. Nel sistema concentrazionario la vittima diviene a
sua volta carnefice non solo degli altri ma anche di se stesso. Una
agghiacciante riflessione che accomuna Borowski a Levi, soprattutto
se si raffronta Pożegnanie z Marią con I sommersi e i salvati: carnefici
sono quei prigionieri che, acquisito un ruolo di preminenza
all’interno di un block o di un kommando, utilizzano il loro potere per
sopraffare i più deboli.
8
Il poeta polacco non scrive semplicemente un libro di
memorie, ma stende una vera e propria cronaca della vita nel campo;
un resoconto che a prima vista può apparire freddo, distante e cinico,
ma che in realtà racchiude un fuoco, un insieme di sensazioni e
sentimenti soffocati. Il lager non è solo una macchina di morte in cui i
prigionieri lottano giornalmente per la vita ma anche un microcosmo
dove viene meno la distinzione tra bene e male, un sistema in cui
risulta facile smascherare la mancanza di morale
14
e la debolezza
della natura umana.
14 Cfr. J. Święch, Poeci spełnionej apokalipsy, [w zbiorze:] Jerzy Święch, Literatura
polska w czasach II wojny światowej. Wyd. Naukowe PWN, Warszawa 1997.
9
«Tadeusz Borowski si pone in maniera totalmente
nuova e diversa rispetto al modo ormai tradizionale di
scrivere dell’occupazione nazista e dei lager. Infatti, ha
creato testi di grande valore in cui ciò che lo interessa è
soprattutto la vita quotidiana. Un simile metodo comporta
una diversa scelta dei fatti: vuole riprodurre un quadro
rappresentativo, medio, di fenomeni e di sensibilità.
Così i racconti mostrano tanto le forme composite
della vita sotto l'occupazione, fondata su un commercio
patologico e pericoloso, quanto la lotta per la
sopravvivenza nei lager, una lotta brutale e tragica perché
fa emergere nella natura umana i suoi lati primordiali.
La sua sincerità senza precedenti, addirittura
imbarazzante, non risparmia nessuno né tace nulla. Così
sono nate le pagine di questo libro che imprimono
indelebilmente nella nostra memoria le devastazioni
operate nella psiche umana dai meccanismi
dell'occupazione e soprattutto del lager. E l’autore si
astiene dal fare una propria diagnosi, lascia al lettore il
compito di trovare delle definizioni adeguate a simili
10
devastazioni: l’indifferenza verso gli altri, la scomparsa
delle più elementari reazioni del cuore, l’avidità,
l’egoismo»
15
.
Wisława Szymborska
15 T. Borowski, Da questa parte, per il gas, op. cit.
11
CAPITOLO I
Logica e metodologia d’approccio alla struttura
della realtà concentrazionaria
I.1. Alienazione, sopraffazione e spersonalizzazione
Con parole semplici, ma cariche di significato e tragicità,
Tadeusz Borowski riassume il comportamento dell’essere umano
lagerizzato
16
: «Siamo insensibili come alberi, come pietre. E tacciamo
come alberi abbattuti, come pietre spaccate»
17
. L’autore, ritenendo
che la dignità dell’uomo risieda esclusivamente «nei suoi pensieri e
nei suoi sentimenti»
18
e che solo grazie al ricordo della propria storia
personale sia possibile sfuggire all’alienazione e alla
disumanizzazione, mette a fuoco la realtà concentrazionaria, ne svela
il disegno: realizzare, attraverso un sistematico insieme di azioni
deplorevoli, l’annientamento di ogni interiorità. Il fine, dunque, è
16 «uomo che pensa solo attraverso le categorie della vita del campo e si comporta
secondo la moralità concentrazionaria» (T. Borowski, Espressioni di Auschwitz, in
Idem, Paesaggio dopo la battaglia, a cura di R. Polce, Il quadrante edizioni, Torino
1988, p. 207).
17 Cit. da T. Borowski, Da questa parte per il gas, p. 88.
18 Cit. da Ibidem, p. 84.