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Introduzione
C’è una cosa dei film Disney che suscita in me una grandissima
emozione: è la devozione riservata loro dai bambini; quegli sguardi
immobili, per ore, le battute imparate a memoria e il compromesso
raggiunto con i genitori. Perché non è un cartone qualsiasi, è un classico
Disney e, probabilmente, anche mamma lo saprà a memoria. Ce lo dice
Disney stesso: “You’re dead if you aim only for kids. Adults are only kids
grown up, anyway!”.
Sembrerà un’osservazione superficiale e scontata, ma la genialità della
produzione disneyana parte proprio da qui: dalla semplicità, dal
linguaggio comprensibile a tutti, dal riadattamento di storie che, almeno
noi Europei, forse, non avremmo mai letto, grazie ad uno strumento che,
specialmente negli anni ’30, aveva ancora molto da dire, come il cartone
animato.
Non è un caso, allora, che sia proprio Disney a farla da protagonista in
questo lungo secolo di film d’animazione.
Cercare di indagare genesi, sviluppo e conclusione di ogni film,
sarebbe il lavoro di una vita: ci limiteremo, qui, ad analizzare qualcosa di
più semplice, come l’innegabile rapporto che ha legato
(indissolubilmente) Walt Disney, i suoi film, e la cultura americana.
L’aspetto più accattivante di questo studio è indubbiamente l’indagine sul
rapporto tra Disney e l’America, un rapporto fatto di mille contraddizioni
ma anche di altrettante collaborazioni, pienamente bilaterale: chi è
specchio di chi? L’America dei film Disney o i film Disney
dell’America?
Seguendo questo percorso, sarà inevitabile contestualizzare tutte le
scelte fatte durante la gestazione di ogni prodotto cinematografico
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marchiato “Disney”, per non parlare, poi, dell’inevitabile analisi e
confronto tra “verisone originale” e “versione infedele”.
Perché, alla fine, quelle disneyane sono solo versioni infedeli, talmente
infedeli che noi, a stento, conosciamo l’originale.
La geniale innovazione del film d’animazione Disney (e, nota bene,
non del cartone animato) è la volontà (più o meno espressa) di andarsi a
sostituire o, nella migliore delle ipotesi, di rivisitare, i miti di un folklore
ormai impolverato. Pecos Bill, Johnny Appleseed, Pocahontas: che
possiamo dire di personaggi che, nel folklore americano, non hanno certo
bisogno di presentazioni? Che con Walt Disney rivivono e diventano
universali. Walt Disney si spinge oltre: reinventa la storia e propone al
suo pubblico (americano) un passato carico di nostalgia e idealizzazione.
A partire dagli albori della sua produzione, Disney ha sempre lasciato
una sua firma ben chiara, al di là di critiche sterili, accuse più o meno
fondate e messaggi subliminali: vorrei proporre, in questa tesi, una
panoramica piuttosto ampia e libera sui film che ci hanno fatto sognare
così tanto da farci credere che sia già stato tutti immaginato nel migliore
dei modi possibili, così tanto da far credere a Max Apple che “the borders
of fantasy are closed now”. Niente di più probabile, ma non ne addosserei
certo la colpa al signor Disney, e non ne farei un Re Mida in grado di
commercializzare qualsiasi cosa, anche la nostra immaginazione
individuale.
L’apporto disneyano al rinnovamento della fantasia dell’infanzia è
sicuramente imponente: quanti di noi conoscono perfettamente la
versione cartoon de La Sirenetta ma ignorano felicemente chi sia
Andersen?
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Ma allora, qual è il segreto dei film Disney? Quali sono gli ingredienti
della formula magica del successo, qual è il filo rosso che collega
inesorabilmente le Silly Simphonies agli ultimi grandi successi?
Credo che nessuno meglio di una scrittore sia in grado di narrare una
storia: Disney l’aveva capito. “All you've got to do is own up to your
ignorance honestly, and you'll find people who are eager to fill your head
with information”: ecco, allora, un prezioso susseguirsi di spunti tratti dai
libri di noti scrittori, dagli spartiti di famosi mucisti e di collaborazioni
con attori e personaggi dello spettacolo che prestano la loro voce ai
personaggi più disparati.
I piani di lettura dei film di animazione che prenderò in esame sono
molteplici: l’indagine sulle fonti, la scelta di una determinata storia
piuttosto che di un’altra, la resa tecnica dei personaggi, la loro
caratterizzazione e, infine, per le versioni italiane, il grande problema
della traduzione e dell’adattamento a contesti ben diversi (specilamente in
un’epoca in cui la globalizzazione non era ancora pane quotidiano) di
personaggi, parlate e battute, al contrario, perfettamente inserite in ambito
americano.
Perché Pinocchio ebbe così poco successo in Italia, per esempio?
Ecco, dunque, che andrà motivata la scelta di una Biancaneve e di una
Cenerentola per celeberrimi lungometraggi, a fronte di un Barbablu o di
chissà quante altre fiabe lasciate in disparte; per la tradizione americana,
invece, le opzioni di scelta diventano incredibilmente ampie e non
tralasciano nessuno dei classici della produzione letteraria né musicale.
Il gusto disneyano, ovviamente, andò adattandosi a quello del pubblico,
e al periodo storico in cui il film sarebbe uscito nelle sale: non possiamo
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negare che Three Little Pigs, apparentemente niente di diverso
dall’innocente trasposizione animata della fiaba della tradizione inglese
resa celebre da Jacobs, non sia interpretabile come una metafora del
periodo di ricostruzione e di crisi che stava vivendo l’America. Era il
1933.
Infine, meritano grande considerazione i dettagli tecnici e grafici che
caratterizzano ogni signolo frame di questi capolavori.
Non ci stupisce, quindi, che il volto di Snow White sia ispirato a quello
di Janet Gaynor, vincitrice, nel 1929, del Premio Oscar come Miglior
Attrice Protagonista in Seventh Heaven, o che quello di Prince Philip, il
ribelle, sia ispirato a James Dean.
Il lavoro che sta dietro alla realizzazione di film d’animazione è
moltissimo e accennato, tra l’altro in modo giocoso, in Alice’s
Wonderland, del 1923, in cui la piccola Alice, Virginia Davis, ha la
possibilità di entrare nello studio dove Disney e i suoi colleghi sono al
lavoro, per “watch you draw some funnies”. Lo stesso tema verrà ripreso,
vent’anni dopo, in Saludos Amigos!, che racconta il viaggio in
Sudamerica di un gruppo di disegnatori; il film è realizzato con la tecnica
mista, diviso in 4 episodi, ognuno preceduto da una piccola introduzione,
dalla presentazione dei bozzetti e da un focus sulle caratterizzazioni finali
dei personaggi. Un esempio perfetto di questo procedimento è lo studio
su El Gaucho Goofy, protagonista dell’omonimo episodio.
Insomma, questi sono solo alcuni degli ingredienti che compongono la
formula magica dei classici d’animazione Disney. In ogni capitolo avrò
modo di analizzare il contesto storico, fare un confronto con il resto della
produzione cinematografica del periodo, per poi passare al confronto con
la fonte e alla realizzazione dei disegni, fino alla scelta, mai casuale, dei
doppiatori.
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1. Breve storia del cinema d’animazione
1.1 Dalla Lanterna Magica ai Émile Reynaud
Era il lontano 1646 quando, per la prima volta, qualcosa di
lontanamente riconducibile al cinema venne descritto da Arthur Kircher,
matematico, orientalista e geologo, nel suo Ars Magna Lucis et Umbrae:
era la lanterna magica, un dispositivo forse importato dall’oriente che,
grazie ad un gioco di luci e specchi, proiettava l’immagine, disegnata su
vetro, su una parete; lo strumento, probabilmente, era già noto da tempo
nelle corti europee e, nel giro di pochi anni, fece letteralmente impazzire
il mondo. Ebbe principalmente due usi: uno didattico (proiezione di
immagini di monumenti, piante o animali in modo decisamente più
suggestivo rispetto ad un libro a stampa) e uno di puro intrattenimento.
Dobbiamo ricordare che l’avvento della scienza sperimentale non
aveva del tutto ancora chiarito il confine fra scienza, suggestione e
fantasia, per cui è capitato di trovare alcuni vetrini risalenti alle prime
proiezioni che raffiguravano indistintamente paesi esistenti e città
mitologiche. Non passò molto tempo, infatti, che la lanterna magica
divenne lo strumento prediletto di certi esoteristi, tra cui il nostro
Cagliostro, che lo usavano per ottenere suggestioni di tipo spiritico.
I proiezionisti diventarono protagonisti di molte delle illustrazioni del
tempo, che li ritraggono in giro per le città con le loro lanterne, una sorta
di primo cinema ambulante.
L’invenzione della fotografia rappresenterà una svolta nelle proiezioni
della lanterna magica, nonché il primo passo verso il cinematografo dei
fratelli Lumière, anche se bisognerà aspettare il 1826 per l’invenzione di
Joseph Nicéphore Niépce. Nel frattempo, gli strumenti di proiezione si
moltiplicarono, e diventarono i più disparati: la più famosa, forse, fu il
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Mondo Nuovo che, grossomodo, seguiva i principi della lanterna magica,
ma la proiezione avveniva all’interno del macchinario; poi, fu la volta del
fanachistoscopio, il più diretto antenato della pellicola cinematografica. Il
cineografo, poi, fu una vera e propria innovazione perché, grazie alla sua
forma (un libro tascabile di cui bisognava far scorrere le pagine tra le
dita), permise di rappresentare una, seppur molto semplice, sceneggiatura.
Nel 1876, poi, Émile Reynaud apportò delle modifiche fondamentali
allo zootropio inventato da Horner nel 1834, inserendo all’interno dello
strumento un prisma di specchi, che permise la proiezione delle immagini
su una parete; nel 1892, poi, Reynaud aveva perfezionato la sua
invenzione, il teatro ottico, che era pronta a debuttare con una proiezione
di un minuto circa, al Musée Grevin. Le théâtre optique funzionava sulla
base di una serie di lastre di vetro, dipinte a mano, montate su strisce di
pelle, agganciate al tamburo rotante che funzionava come una moderna
bobina cinematografica e permetteva la proiezione continua delle
immagini.
1.2 Dai fratelli Lumière al cinema in senso moderno
Il 28 dicembre 1895 esordì il cinematografo, inteso come proiezione di
una pellicola stampata in una sala, l’invenzione dei fratelli Lumière che,
però, non capirono la possibilità di sfruttarlo a scopo di intrattenimento e
non solo documentaristico.
Il loro apparecchio permetteva di proiettare su uno schermo bianco
delle immagini stampate con un procedimento di tipo fotografico, che
permettevano di dare l’illusione del movimento, come sempre, arricchite
dal realismo delle immagini.
Quattro anni dopo, l’americano Thomas Edison inventò il kinetograph,
una sorta di prima telecamera che scattava fotografie in serie, su una
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pellicola da 35mm; queste, poi, potevano essere viste, anche se da un solo
spettatore, tramite il kinetoscope.
Nel 1900, il mercato venne liberalizzato e il cinema cominciò a
mostrarsi per quello che era: un mezzo di intrattenimento di massa e,
soprattutto, un’arte. Nel 1903, The Grat Train Robbery, uno dei primi
film riconoscibili come tali, ossia con una sceneggiatura completa e senza
salti temporali, riscosse un successo incredibile presso il pubblico e girò
per i cinema d’America per almeno due anni. Nel 1905 era ancora la
maggior attrattiva del nickelodeon.
Di lì a poco, il cinema cominciò a fare passi da gigante; pietra miliare
della sua storia fu The Birth of a Nation, del 1915, diretto da David Wark
Griffith, il primo film in senso moderno, la cui ‘grammatica’ visiva viene
utilizzata ancora oggi. Nel frattempo, infatti, il cinematografo, dopo la
sua prima crisi, vissuta intorno al 1906, si era trasformato in cinema: non
si trattava più di uno spettacolo da baraccone, ripetitivo e, ormai, noioso
per il pubblico, ma di uno spettacolo proiettato in una struttura fissa, il cui
circuito ebbe il merito di mantenere prezzi abbastanza bassi da rendere il
cinema fruibile anche alle classi più povere.
1.3 L’animazione
Se le prime forme di rappresentazione animata per l’intrattenimento
risalgono probabilmente all’antico Egitto o alle ombre cinesi, l’inventore
di questo genere in senso moderno è sicuramente il francese Émile Cohl
che si limitò a lavorare come artigiano dell’animazione per tutta la vita,
senza nemmeno depositare il brevetto della sua invenzione, che venne
presto assorbita dall’industria cinematografica statunitense.
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Fantasmagorie, suo primo lavoro, è del 1908. Sono 700 disegni, per un
minuto totale di animazione, tratto nero su foglio bianco, poi sviluppato
in negativo per ottenere il tipico ‘effetto lavagna’.
Notevole anche il secondo lavoro di Cohl, Le Cauchemar du Fantoche
(1910), disegno animato di addirittura 5 minuti, per un totale di circa
5200 disegni.
La data che segna la nascita dell’animazione italiana è il 1914 quando
Giovanni Pastrone, con il suo kolossal Cabiria, usò dei pupazzi per
ottenere un effetto speciale. Userà la stessa tecnica qualche anno dopo,
nel 1917, ne La Guerra e il Sogno di Momi, per animare i due soldatini
protagonisti del sogno di Momi che, ascoltata la lettura delle lettere del
padre partito per la guerra, sogna battaglie e combattimenti.
1.4 Ladislas Starevich
Nato a Mosca da genitori polacchi, Starewicz è conosciuto con la
variante francesizzata del suo nome ma, soprattutto, come grande regista
e inventore della stop motion. Ispirato dalla visione di Les animées
allumettes, di Émile Cohl, Starevich pensò di riprodurre una battaglia tra
coleotteri, sostituendo le loro zampe con del filo fissato al torace con
della cera lacca; nacque così Lucanus Cervus, primo film d’animazione in
stop motion, andato perduto. Due anni dopo, è la volta di Прекрасная
Люканида (Prekrasnaja Ljukanida) in cui i due coleotteri protagonisti si
contendono l’amore di Elena: il film ebbe una vastissima diffusione e lo
spiccato realismo fece ipotizzare ad alcuni commentatori londinesi che si
trattasse di due coleotteri ammaestrati da un non meglio specificato
scienziato russo
1
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1
Giannalberto Bendazzi, Cartoons. Il cinema d’animazione, 1888-1988, Marsilio Editori, Venezia
1988, p. 52.
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La svolta di Starevich avvenne nel 1912 con La vendetta
dell’operatore cinematografico, in cui i suoi insetti cominciano ad
assumere pose e comportamenti sempre più palesemente antropomorfici; gli
scarafaggi cominciano a fare le valigie e andare in bicicletta, le libellule si
dedicano al teatro mentre le cavallette si cimentano con la pittura e la fotografia, in
una atmosfera dal velato sapore grandguignolesco
2
.
I film che girò in seguito, tra cui La Cicala e la Formica, che venne
premiato addirittura dallo zar in persona, Nicola II, li ricorderemo più per
l’audacia delle trovate tecniche che per l’effettivo valore espressivo:
infatti, più che fornire una personale interpretazione di ciò che filmava,
ne forniva piuttosto un’illustrazione.
Starevich, comunque, esercitò un’incredibile influenza sul cinema a
venire e, sicuramente, possiamo individuare in Tim Burton uno dei suoi
fans: pensiamo a The Nightmare before Christmas (peraltro, ricorda The
Night before Christmas di Starevich) o The Corpse Bride.
1.5 Winsor McCay
Dall’altra parte dell’oceano, nel 1914, Winsor McCay esordì con
“Gertie, the wonderful trained dinosaur”, un cortometraggio di 12 minuti,
in tecnica mista, in cui McCay, ripreso vicino alla proiezione di Gertie, ne
dirigeva i movimenti. Inaudita, per l’epoca, la caratterizzazione del
personaggio della dinosaura, che spesso disobbedisce agli ordini del suo
creatore, obbligandolo a sgridarla. In questa specie di spettacolo da circo,
in cui McCay univa animazione e vaudeville, l’interazione è forte, così
come la partecipazione del pubblico, coinvolto in ogni azione di Gertie
(“Be a good girl and bow to the audience”).
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L. Taricco, I primi cortometraggi, da Starevich a Edison, in Storia delle immagini, 27 febbraio 2011,
http://www.storiadelleimmagini.it/2011/02/primi-cortometraggi-cinema-d-animazione-starevich-
blackton-edison/