INTRODUZIONE
La sex worker non è un’aliena; fa parte fino in fondo di questa società al pari del prete,
della professionista, dell’operaio, della casalinga. Ma perché allora è accettata solo se è
vittima, solo se subisce la sua condizione, solo se non sceglie? Perché nel momento in cui
de-cide in libertà, si qualifica come autore e attore, come individuo sovrano che non deve
rispondere al prete, al caporeparto, al marito. La sua de-cisione la libera, se così si può
dire, dalle responsabilità e da tutti i debiti che in quanto donna ha contratto. È questa ir-
responsabilità a suscitare sdegno, ad alimentare condanne e bandi. (Covre, 2002: 172)
Sono consapevole della difficoltà e delle problematiche connesse alla trattazione di un fenomeno
come la prostituzione, tema ormai ampiamente discusso e documentato in molti dei suoi aspetti,
spesso soggetto a discorsi carichi di ideologie, inevitabilmente connesso con l’etica e con il politico.
Non è facile riuscire ad avere uno sguardo d’insieme sul tema, anche se la trattazione che ne è stata
fatta fino ad oggi ci può indicare quali siano le tendenze attuali riguardo al fenomeno sia nei suoi
termini quantitativi
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(i “numeri” della prostituzione in Italia, gli interventi messi in atto a livello
sociale, etc.), sia nei suoi termini qualitativi
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(quali siano le tipologie di prostituzione, quali i
soggetti coinvolti, come agiscono in relazione al territorio, alle leggi, agli altri soggetti sociali). Ho
deciso di parlare di una sola delle varie tipologie di prostituzione esistenti: quella femminile. In
primo luogo per motivi di praticità: non è facile trovare una documentazione specifica e dettagliata
sulla prostituzione, ad esempio transgender, e tantomeno su quella maschile, né esistono molti casi
di uomini che si rivolgono alle strutture del privato sociale per ricevere assistenza (questo anche
perché non sembra esistere tratta e sfruttamento in ambito maschile), dunque è molto complicato
entrare in contatto con tali soggetti. In secondo luogo, perché è sulla figura della prostituta che si
inscrive tutto un complesso di idee, percezioni, categorie che vanno a costituire un particolare tipo
di donna, un simbolo di alterità estetica e morale. Non solo, la prostituta pare essere una figura
catalizzatrice di interventi assistenziali e umanitari, in quanto ciò che prima di tutto la distingue (e
ciò che sembra una sua caratteristica essenziale) è lo statuto di vittima. Ho cercato dunque di capire
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Per uno sguardo ai dati quantitativi su prostituzione e tratta in contesto italiano e internazionale, cfr. Associazione “On
the Road” (a cura di), 2002, Prostituzione e tratta. Manuale di intervento sociale, Milano, FrancoAngeli e Carchedi F.,
2000, I colori della notte. Migrazioni, sfruttamento sessuale, esperienze di intervento sociale, Milano, FrancoAngeli.
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Una buona panoramica in tal senso la si può avere in Regione Emilia Romagna e On the Road, 2002, Articolo 18:
Tutela delle vittime del traffico di esseri umani e lotta alla criminalità (l’Italia e gli scenari europei) – Rapporto di
ricerca, Martinsicuro, On the Road Edizioni.
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in quali modalità e per quali fini si è creata un certo tipo di rappresentazione, chi è interessato a
riprodurla, chi da questo può trarre vantaggio e, non meno importante, quali siano le conseguenze di
tale rappresentazione prima di tutto per la donna che ne è l’oggetto, la prostituta, cercando di
decostruire il discorso che intorno a lei viene costruito.
Ciò che mi ha spinto a indagare su questo è stato un caso particolare che mi ha aperto uno spiraglio
su tale universo e in particolare su come esso si manifesta o, per meglio dire, viene manifestato,
all’attenzione pubblica e alla comunità in generale. L’interesse è nato per caso, in seguito ad un
piccolo progetto svolto durante il corso di Tecniche della ricerca etnografica: il progetto iniziale si
basava sulla raccolta di storie di vita di donne riconosciute come vittime di tratta o uscite da un
passato di prostituzione; la cosa più ovvia da fare era rivolgersi alle case di accoglienza che si
occupano di donne in tale situazione, in particolare, a Bologna, la Casa delle donne per non subire
violenza. Il primo impatto con questa associazione non è stato positivo; dopo vari tentativi di
spiegare a qualcuno il mio progetto, sono riuscita a contattare la responsabile del centro, ma il mio
desiderio di incontrare le donne all’interno dei programmi di protezione non ha avuto riscontri: le
politiche del centro sono ferree, solo chi è opportunamente formato può entrare in contatto con le
donne, prima di tutto per motivi di sicurezza delle stesse (quando sei in un programma di protezione
nessuno “all’esterno” deve conoscere il tuo passato), ma anche e soprattutto perché “le donne non
vogliono parlare”; per cui nessuno ha mai chiesto di parlare con loro, ciò che si poteva fare era al
massimo un’indagine sull’associazione in sé, sulla sua struttura, i suoi progetti, i suoi membri. A
partire da questo episodio ho iniziato a riflettere sulla protezione sociale, su quanto mi fosse
sembrata un mondo inaccessibile, un po’ chiuso in se stesso e sulla veridicità della rappresentazione
delle ex prostitute come silenziose. Ho iniziato a pensare alla tratta, alla terminologia usata, al fatto
che si parli sempre di donne vittime di violenza, bisognose di aiuto e protezione, impossibilitate a
parlare e ad agire, soggette e non soggetti. Ho notato che raramente sono le stesse prostitute a
prendere la parola nel discorso sulla prostituzione, al contrario sono operatori sociali, giornalisti,
politici, attivisti che si fanno loro portavoce: in tale discorso le varie rappresentazioni hanno
elementi affini e ricorrenti, caratteristiche che esaltano l’innocenza e l’inconsapevolezza, la
violenza subita e la vittimizzazione. Ho iniziato a riflettere su quale sia la ricaduta di tale retorica
sulle donne stesse e quale sia l’elemento di potere che scaturisce da un certo uso della parola.
Per avere dei riscontri sul tipo di rappresentazione prodotta dagli operatori sociali ho effettuato delle
interviste registrate alle operatrici del centro Pari Opportunità di Arezzo, le quali mi hanno illustrato
la struttura dei programmi di protezione sociale, ma anche di quale sia il loro approccio con le
donne accolte; di conseguenza è emersa anche l’immagine delle donne che in qualche modo
l’associazione vuole trasmettere. Altre interviste (informali e non registrate) sono state fatte ad un
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Ispettore della Questura di Arezzo, attraverso il quale ho conosciuto una donna albanese uscita da
dodici anni dalla prostituzione di strada. Infine, ho partecipato ad alcune uscite con l’unità di strada
di Arezzo, in cui ho potuto incontrare un gruppo di donne nigeriane tuttora coinvolte nell’attività di
prostituzione, per avere un’immagine diretta e non filtrata di come si svolga il lavoro in strada, di
come le donne si approcciano ai clienti, cosa dicono di loro, cosa pensano degli interventi della
polizia, cosa degli operatori. Dalla letteratura a disposizione ho potuto capire il posto riservato alla
prostituzione a livello legislativo e quali siano le politiche adottate per contrastare (più che regolare)
il fenomeno; altre fonti sono state articoli e libri di attiviste femministe che effettuano campagne
contro la tratta ed hanno una certa influenza a livello internazionale, nonché manuali di intervento
sociale redatti dalle associazioni che operano nel settore.
Nel primo capitolo analizzerò i problemi di definizione del fenomeno, concentrandomi sull’uso del
linguaggio e sugli equivoci che può causare una rappresentazione univoca e unitaria della
prostituzione e della prostituta. Farò inoltre una panoramica della legislazione in contesto
internazionale e italiano e tratterò dell’attività delle associazioni, dei programmi di protezione
sociale e di come vengano percepite e rappresentate le ex prostitute all’interno di essi.
Nel secondo capitolo tenterò di spiegare quali siano gli elementi che impediscono alle donne di
auto-rappresentarsi a livello pubblico e il ruolo che hanno in questo frangente le associazioni e i
media; cercherò di decostruire l’immagine vigente della “donna vittima”, sottolineando quali siano
invece le modalità di azione e di scelta della prostituta e quali interessi vi siano dietro alla retorica
della vittima promossa dalle campagne contro la tratta.
Infine nel terzo capitolo parlerò del dibattito internazionale e degli approcci femministi al
fenomeno, anch’essi inevitabilmente intrisi del “mito culturale” dalle radici antiche che ha come
protagonista la figura della prostituta. La domanda cruciale è se la prostituta – subalterna, “Altro”,
silenziosa, vittima – abbia la possibilità di auto-definirsi, di produrre un’immagine diversa, di essere
agente e portavoce di se stessa. Se il suo silenzio pubblico sia da considerarsi come assenza di
potere o se sia necessario indagare su forme di potere altre; e se il potere del discorso “pubblico” è
davvero quello più influente, quali sono gli attori che impediscono alla donna prostituta di ottenere
questo potere? Il sito internet di Casa delle donne recita: “le donne sono le protagoniste attive del
proprio percorso finalizzato all’autonomia”
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, ma l’attività e il protagonismo che si percepisce non è
quello delle donne accolte, quanto piuttosto quello delle operatrici che le accolgono, che parlano per
loro, sanno cosa vogliono e di cosa hanno bisogno, le rappresentano a livello pubblico alimentando
tuttavia lo scarto e la distanza tra quelle stesse donne e il resto degli attori sociali e riproducendo
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http://www.casadonne.it/cms/
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(nonostante il rifiuto di assistenzialismo) l’immagine di donne quasi incapaci di gestire se stesse
senza prima aver affrontato un percorso di “rieducazione” e “normalizzazione”. Il rischio è uno
solo, ovvero il fatto che l’esperienza delle donne sia quasi sempre filtrata da soggetti che si
interpongono fra loro e la società: se prima ci sono il protettore e la maman, più tardi ci saranno gli
operatori sociali, gli attivisti e i giornalisti, in un circolo vizioso che non restituisce legittimità né
alla figura della prostituta costretta né a quella della prostituta per scelta e che fa della
vittimizzazione uno strumento di protezione.
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CAPITOLO 1
1.1 Problemi di definizione
Ritengo necessaria una precisazione preliminare, ovvero una riflessione sulla terminologia. Questo
perché ho l’impressione che quando si parla di prostituzione (soprattutto nei media, ma anche “noi”
nel nostro quotidiano, nella percezione e nel discorso comune o addirittura nella rappresentazione
degli “addetti ai lavori”, ovvero i soggetti del privato sociale o delle istituzioni che si occupano di
prostituzione) ci sia un’idea generale a cui tutti facciamo ricorso e che permette la comprensione
immediata di ciò di cui si parla, ma credo anche che questa idea abbia contorni molto sfumati, non
ben precisati e che contenga in sé molti elementi che il semplice termine prostituzione non può
rappresentare in toto. Prima di tutto, cosa intendono i soggetti sociali per prostituzione? Offrire il
proprio corpo (cioè se stesse) in cambio di denaro e/o doni di altro genere. Non è un caso che abbia
usato “se stesse”: nell’immaginario comune la prostituzione è qualcosa di ben connotato a livello di
genere, qualcosa di specificamente femminile, che riguarda il corpo della donna, in particolare la
sua sessualità. Sessualità, non sesso. Dire che l’atto del prostituirsi riguarda il sesso di un individuo
presuppone ammettere una dissociazione tra ciò che l’individuo offre (il suo sesso appunto) e ciò
che l’individuo è (uomo, donna, transgender e così via). Al contrario, l’immaginario comune non ha
mai attuato questa distinzione, anzi, nell’atto del prostituirsi è sempre rimasto implicito un fatto,
ovvero che la sessualità (della donna) ˗ intesa come essenza intima del soggetto e modalità di
(auto)rappresentazione ˗ dovesse necessariamente essere compresa nel “pacchetto” di prestazioni
offerte al cliente (uomo).
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Questa concezione ha costituito un forte ostacolo per quei soggetti che
hanno deciso di lottare per definire la loro attività, la prostituzione, come un lavoro (parlerò più
avanti del movimento delle sex workers). Tornando al punto da cui eravamo partiti, si pone il primo
problema di uso della terminologia: nonostante l’immaginario comune stenti a modificarsi, la realtà
dei fatti è un’altra, la prostituzione non è un fenomeno che vede implicati solo soggetti femminili.
Eˈ vero che questi ultimi rimangono la parte più consistente degli attori coinvolti, ma è necessario
prendere in considerazione molti altri tipi di sex workers: sto pensando a uomini, transgender,
travestiti. Queste tipologie rientrano nell’universo della prostituzione, esistono, anche se in modo
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Cfr. Tabet P., 2004, La grande beffa. Sessualità delle donne e scambio sessuo-economico, Soveria Mannelli,
Rubbettino Editore. L’autrice qui sottolinea l’importanza che dovrebbe essere attribuita al concetto di sessualità
femminile e alla sua corrispondenza con quella maschile, ovvero una “sessualità di puro gioco o piacere fisico fuori da
ogni altro legame” che tuttavia non trova corrispondenza nella concezione comune, la quale identifica invece le donne
con il solo sesso, privandole della possibilità di definirsi come soggetti attivi e partecipi dell’atto sessuale.
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