6
Introduzione
Negli ultimi anni si è sempre più diffusa, non solo in ambito aziendale ma
nell’intera collettività, il concetto di Responsabilità sociale d’impresa
(dall’inglese Corporate Social Responsibility, CSR). Si tratta dell’idea che
l’impresa abbia precise responsabilità nei confronti della società, vale a dire
la realizzazione di comportamenti responsabili che possono
apparentemente andare contro la logica di mercato secondo cui l’agire delle
imprese sarebbe esclusivamente finalizzato alla massimizzazione del
profitto.
Difficilmente, infatti, si pensa che le imprese vogliano modificare le
proprie strategie compromettendo la propria stabilità economica e
finanziaria, per diventare socialmente responsabili. Per questa ragione,
occorre innanzitutto analizzare i possibili vantaggi legati all’adozione di
codici etici per far sì che le imprese inizino a considerare la CSR come una
possibile fonte di vantaggio competitivo.
Partendo da un’analisi storica del fenomeno e arrivando alla definizione
attuale di CSR, questa tesi si propone di individuare i fenomeni che hanno
generato la necessità di una responsabilità sociale delle imprese e le
metodologie che hanno consentito di applicare questa logica all’interno
della governance aziendale.
L’analisi storica si focalizza sulle due teorie principali in ambito di CSR,
vale a dire il modello del libero mercato di Milton Friedman (detto anche
modello degli stockholders) e il modello degli stakeholders di Edward
Freeman. Si passa poi all’analisi del cambiamento culturale e alla
situazione degli anni ’90 per concludere con la concezione di codice etico
come strumento di definizione della CSR che ha portato ad un
cambiamento della nozione di responsabilità.
7
Il lavoro si concentra poi sull’analisi dei primi tentativi di regolazione del
fenomeno della CSR da parte dell’Unione Europea, con il Libro verde del
2001, i cui obiettivi sono stati poi aggiornati sempre dalla Commissione
con la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al
Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle
Regioni del 2011,
e dell’Italia, attraverso il Piano d’azione nazionale sulla
Responsabilità sociale d’impresa (2012-2014) elaborato dal Ministero del
Lavoro italiano.
Va precisato sin da subito che la definizione di CSR proposta dal Libro
Verde rappresenta più che altro un punto di partenza per successive
elaborazioni teoriche e un punto di riferimento per le imprese che si
affacciano su tale realtà. In generale la CSR è vista come la propensione
dell’impresa a soddisfare nello svolgimento delle proprie attività, le
legittime attese sociali e ambientali, oltre che economiche, dei vari
portatori d’interesse (stakeholders) interni ed esterni.
Vengono infine analizzati, prima di passare alle conclusioni, due main
cases che hanno coinvolto negli scorsi anni due aziende di fama mondiale,
Nike ed Apple, con l’analisi dei fatti e dei codici etici delle aziende.
Vengono inoltre considerati i problemi insorti a causa di alcuni
comportamenti poco etici tenuti in passato di queste due multinazionali.
L’ultimo capitolo, infine, cerca di rispondere a tre importantissime
domande sulla questione della CSR:
1. Come evitare che i codici etici rimangano lettera morta?
2. Come possono le aziende farsi carico delle responsabilità pregresse?
3. Come si può garantire una collaborazione efficace tra le aziende e
tutti gli stakeholders?
Come si vedrà, infatti, una totale integrazione della CSR nella gestione e
nella cultura dell’impresa può tradursi effettivamente in una fonte di
8
vantaggio competitivo solo attraverso la reale condivisione di valori,
principi e scelte. In particolare, molto importante è il carattere volontario
della CSR, interpretata come una libera scelta dell’impresa, non quindi
come un comportamento ad essa imposto.
Per discutere di responsabilità sociale occorre però precisare che questa va
ben distinta dalle opere di filantropia poiché tale distinzione non è sempre
chiara e rappresenta spesso un elemento di confusione. Queste ultime, con
le quali si identificano le opere di beneficenza, sono infatti da considerare
come uno dei tanti possibili comportamenti che rientrano nell’ambito dalla
CSR.
Solo se inserite in un contesto di gestione legato ad iniziative etiche, le
opere di filantropia diventano un comportamento socialmente responsabile.
Non vanno quindi considerate o confuse con la nozione di etica, piuttosto
devono essere viste come un primo passo verso l’introduzione della CSR
nella gestione di un’impresa.
È inoltre fondamentale chiarire che il semplice rispetto della legge da parte
dell’impresa non rappresenta un comportamento socialmente responsabile,
ma è un presupposto necessario per chiunque voglia introdurre la CSR
nella gestione dell’impresa.
La responsabilità sociale, infatti, presuppone che una società si spinga al di
là di quanto previsto dagli obblighi di legge. Sarebbe d'altronde
impensabile imporre la CSR attraverso disposizioni legislative, in quanto
non è pensabile rendere omogenea la sua applicazione all’interno delle
diverse realtà aziendali: non si possono a tal proposito avere disposizioni
normative pensate su misura per ogni tipo d’impresa e per ogni contesto nel
quale quest’ultima opera.
9
Bisogna, infatti, ricordare che l’impresa socialmente responsabile deve
rispondere alle necessità sociali dei propri stakeholders, che variano di
azienda in azienda, e necessitano quindi di risposte differenziate.
La CSR rappresenta quindi un’iniziativa strettamente legata al contesto, ai
valori aziendali, alla creatività e alle scelte dei manager.
10
Capitolo 1
ORIGINI ED EVOLUZIONE DELL’ETICA D’IMPRESA
1.1 Il modello del libero mercato di Milton Friedman - 1.2 Il modello
degli stakeholders di Edward Freeman - 1.3 Gli anni ‘90 e il
cambiamento culturale - 1.4 Il codice etico come strumento di
definizione della responsabilità sociale d’impresa
1.1 Il modello del libero mercato di Milton Friedman
Il noto economista statunitense Milton Friedman, fondatore della scuola
monetarista e Premio Nobel per l’economia nel 1976,
1
fu il primo studioso
che si confrontò in maniera approfondita con le nozioni di etica nel
contesto delle relazioni d’impresa e di responsabilità sociale d’impresa. I
suoi contributi riguardano vari campi: da quello metodologico al riesame
della funzione del consumo, che egli suggerì di collegare a una prospettiva
di reddito più ampia di quella annuale a imponenti studi di storia monetaria
1
Cfr.
http://it.wikipedia.org/wiki/Monetarismo
(sito
visitato
il
31
gennaio
2013):
“Il
monetarismo
designa
un
insieme
di
vedute
sulle
relazioni
tra
politica
monetaria
e
reddito
nazionale,
ponendo
l'attenzione
sugli
effetti
macroeconomici
del
governo
dell'offerta
di
moneta
da
parte
delle
banche
central i.
Il
fenomeno
è
dovuto
principalmente
al
lavoro
di
Milton
Friedman,
sul
fatto
che
l'inflazione
è
sempre
e
comunque
un
fenomeno
monetario
e
pertanto
è
controllabile
dalle
Banche
Centrali,
le
quali
devono
mantenere
l'offerta
di
moneta
al
suo
valore
di
equil ibrio,
determinato
sulla
base
della
crescita
della
produttività
e
dalla
domanda.
Il
pensiero
monetarista
di
Friedman
si
basa
su
due
fondamenti
quasi
diametralmente
opposti:
le
rigorose
politiche
monetarie
che
hanno
dominato
il
pensiero
sulla
moneta
nel
tar do
XIX
secolo,
e
le
teorie
monetarie
di
John
Maynard
Keynes
il
quale
lavorava
nel
periodo
tra
le
due
guerre
durante
il
fallimento
del
riferimento
aureo
appena
ripristinato,
e
che
allora
propose
un
modello
della
moneta
governato
dalla
domanda
( demand-‐driven
o
"economia
della
domanda")
che
è
stato
il
fondamento
della
macroeconomia.
Partito
da
idee
in
generale
keynesiane,
Friedman
se
ne
è
poi
progressivamente
allontanato,
fino
a
pervenire
a
visioni
molto
lontane
se
non
opposte”.
11
alla riformulazione della teoria quantitativa.
2
Si ricollega principalmente ai
suoi scritti monetari e alle relative controversie l'indirizzo detto
“monetarista”, che attribuisce particolare importanza al controllo
dell'offerta di moneta non soltanto come argine dei processi inflazionistici,
ma anche per assicurare un quadro di stabilità che, nella concezione di
Friedman, favorirebbe lo sviluppo economico più efficacemente di ogni
altra forma d’intervento.
3
Liberista convinto, è stato più volte definito l’anti-Keynes, per il suo rifiuto
verso qualsiasi intervento dello Stato nell’economia e il suo sostegno
convinto a favore della politica del laissez-faire, che tanta influenza hanno
avuto sulle scelte di Margaret Thatcher in Gran Bretagna e di Ronald
Reagan negli Usa, pur non avendo Friedman mai rivestito alcun incarico
formale in nessun governo.
4
Un’analisi delle teorie dell’Autore in relazione al tema qui affrontato non
può che partire dalla definizione di responsabilità sociale d'impresa. Per
responsabilità sociale d’impresa (o Corporate Social Responsibility, CSR)
s’intende l'integrazione di preoccupazioni di natura etica all'interno della
visione strategica d'impresa: è una manifestazione della volontà delle
2
Tra
le
opere
di
Friedman
si
r icordano
qui:
Essays
in
positive
economics.
Chicago:
University
Of
Chicago
Press,
1966;
M.D.
Bordo,
M.
Friedman,
The
optimum
quantity
of
money
and
other
essays.
Piscataway:
Aldine
Transaction
1969;
A.
Jacobson
Schwarzt,
M.
Friedman,
A
monetary
history
of
t he
United
States,
1867 -‐
1960.
Princeton:
Princeton
University
Press
1971;
A
theory
of
the
consumption
function.
Whitefish:
Literary
Licensing,
LLC
2011.
3
Cfr.
http://www.treccani.it/enciclopedia/milton-‐friedman
(sito
visitato
il
31
gennaio
2013).
4
Cfr.
http://www.radioradicale.it/scomparso-‐leconomista-‐milton-‐friedman-‐
antiproibizionista-‐libertario-‐liberista-‐il-‐ricordo-‐di-‐radio-‐radicale
(sito
visitato
il
31
gennaio
2013).
12
grandi, piccole e medie imprese di gestire efficacemente le problematiche
d'impatto sociale ed etico al loro interno e nelle zone di attività.
5
Il sistema elaborato da Friedman venne definito modello tradizionale, o
anche modello degli stockholders,
6
non tanto perché fu precursore della
materia, ma perché considerò come base di partenza il modello del libero
mercato, ossia la teoria basata su un mercato in cui i prezzi dei beni e dei
servizi sono raggiunti esclusivamente dalla mutua interazione di venditori e
acquirenti.
In una simile situazione l’unica responsabilità sociale di un’impresa è
produrre il massimo profitto possibile così da garantire un elevato tenore di
benessere per tutti i propri stakeholders, ovvero gli azionisti e i soggetti
dell’ecosistema interno alla stessa. Qui basti sapere che con il termine
stakeholders si fa riferimento a tutti quei soggetti portatori d’interessi nei
confronti dell’azienda che condizionano la gestione aziendale
assicurandone in alcuni casi la prosperità e lo sviluppo oppure, in altri casi,
facendosi portatori di minacce.
Gli stakeholders possono essere interni o esterni: quelli interni si
distinguono in proprietari e non-proprietari. I primi sono i soci detentori di
capitale di rischio, mentre i secondi sono i dipendenti o il management
non-proprietario. Quelli esterni rappresentano tutti i soggetti che operano al
di fuori della sfera aziendale, quali i fornitori, i clienti, i concorrenti, lo
Stato (Onesti, Romano, Taliento 2011).
Di conseguenza, la competenza relativa alla responsabilità sociale spetta
allo Stato, se pure limitatamente alle proprie competenze di tipo
5
Cfr.
http://it.wikipedia.org/wiki/Responsabilità_sociale_d'impresa
(sito
visitato
il
31
gennaio
2013).
6
Cfr.
http://it.termwiki.com/IT:stockholder
(sito
visitato
il
31
gennaio
2013):
”Con
il
termine
stockh olders
si
fa
riferimento
agli
azionisti
di
una
so cietà,
detti
anche
shareholders ”.
13
pubblicistico. L’ambito privato, e dunque anche il libero mercato, devono
infatti restare fuori dalla sfera pubblica e rimanere appannaggio dei privati,
in modo da evitare che i benefici apportati alla collettività da questo
sistema sfumino a causa dell’intervento statale sulla libertà del mercato;
l’unica responsabilità sociale, se così si può chiamare, di un’impresa
dev’essere quella di massimizzare il profitto a favore di tutti i propri
azionisti.
Questa netta separazione tra sfera pubblica e sfera privata ed il concetto
sopra descritto di responsabilità sociale d’impresa vengono alla luce in
maniera chiara e precisa in un passo dello stesso Friedman, in cui l’autore
afferma che le responsabilità possono essere attribuite soltanto alle persone
fisiche, e che quando si parla di esse relativamente ad un’impresa
commerciale il significato non può che essere vago. Il primo passo da
compiere per fare chiarezza sulla nozione di responsabilità sociale
d’impresa è quello di domandarsi precisamente che cosa essa implichi e per
chi. Nel saggio “Capitalism and Freedom” (1962), Friedman definisce tale
dottrina “fondamentalmente sovversiva” (fundamentally subversive) in una
società libera dove esiste una e una sola responsabilità sociale per
l’impresa: utilizzare le proprie risorse in attività volte ad incrementare il
proprio profitto, pur nel rispetto delle regole del gioco, ossia di una
concorrenza aperta e libera senza inganno o frode di alcun genere (Crane,
Matten, Spence 2007).
7
7
Crane,
Matten,
Spence
2007:
”What
does
it
means
to
say
that
’business’
has
responsibilities?
Only
people
can
have
responsibilities.
A
corporation
is
an
artificial
person
a nd
in
this
sense
may
have
artificial
responsibilities,
but
‘business’
has
a
whole
cannot
be
said
to
have
responsabilities,
even
in
this
vague
sense.
The
first
step
toward
clarity
in
examining
the
doctrine
of
the
social
responibility
of
business
is
to
ask
p recisely
what
it
implies
for
whom.
[…]
That
is
why,
in
my
book
Capitalism
and
Freedom,
I
have
called
it
a
’fundamentally
subversive
doctrine’
in
a
free
society,
and
have
said
that
in
such
a
society,
‘there
is
one
and
only
one
social
14
La dottrina di Milton Friedman rimase sulla cresta dell’onda fino alla fine
degli anni ’60 quando salì alla ribalta la filosofia di pensiero di un allora
giovane Edward Freeman.
1.2 Il modello degli stakeholders di Edward Freeman
Robert Edward Freeman è un filosofo statunitense, attualmente professore
di Business Administration presso la Darden School of Business
dell'Università della Virginia,
8
divenuto noto al grande pubblico per aver
formulato nel 1970 la teoria degli stakeholders (Freeman 2010). Per
Freeman l'attività di un'organizzazione aziendale deve garantire a tutti i
portatori di interesse (stakeholders, per l’appunto, quali gli azionisti, i
clienti, i dipendenti, i fornitori, la comunità entro la quale l'organizzazione
interagisce) un minimum prestazionale, in mancanza del quale essi
abbandonano l'azienda, rendendo di fatto impossibile la continuazione
dell'attività. Un'anticipazione di tali concetti era già apparsa in una
pubblicazione del 1968 dell'economista italiano Giancarlo Pallavicini,
9
ideatore del “Metodo della scomposizione dei parametri” per il calcolo dei
responsibility
of
busin ess
–
to
use
its
resources
and
engage
in
activities
designed
to
increase
its
profits
so
long
as
it
stays
within
the
rules
of
the
game,
which
is
to
say,
engages
in
open
and
free
competition
without
deception
or
fraud”
(26,
32).
8
Cfr.
http://it.wikipedia.org/wiki/Morgan_Freeman
(sito
visitato
il
1
febbraio
2013):
“Dopo
aver
conseguito
il
bachelor
in
matematica
e
filosofia
presso
la
Washington
University
di
St.
Louis
ed
il
Ph.D .
in
filosofia
presso
la
Duke
University
di
Durham
(North
Carolina)
ha
insegnato
presso
l’Università
del
Minnesota
e
successivamente
presso
la
Wharton
School
dell'Università
della
Pennsylvania.
Attualmente
è
Elis
and
Signe
Olsson
Professor
of
Business
Adm inistration
presso
la
Darden
School
of
Business
e
Direttore
del
Business
Roundtable
Institute
for
Corporate
Ethics
e
guida
inoltre
l'Olsson
Center
for
Applied
Ethics
della
Darden
School
of
Business.
Il
28
agosto
2008
è
stato
reso
noto
l'avvio
di
una
sua
collaborazione
biennale
con
la
Business
School
della
George
Washington
University
di
Washington
DC,
come
lecturer
in
Ethics,
Global
business
e
Leadership”.
9
Cfr.
Pallavicini
G.
1968.
“Il
mediocredito
lomba rdo”.
Milano:
Giuffrè