4
§ 1.1 Introduzione.
Sempre più spesso si parla della nostra società come di una società caratterizzata
da una presenza rilevante del rischio e della sua percezione, tanto è vero che molti
studiosi di diversa formazione parlano esplicitamente di “società del rischio”, in
quanto governata da un principio generale d’incertezza che rende l’insicurezza
stessa la condizione cui soggiace l’uomo e le organizzazioni moderne. Quindi una
società così complessa, in continua mutazione, con un elevato livello di sviluppo
scientifico/informatico ed applicazione delle innovazioni ed invenzioni
tecnologiche in diversi contesti (impresa, sanità, pubblica amministrazione, ecc…)
ed anche allo stesso tempo sempre più produttrice di minacce e di percezione del
rischio, porta sempre più gli individui (aziende o singolo cittadino) alla ricerca
continua di misure di sicurezza e protezione adeguati alla realtà circostante per
trattare o cercare di governare il rischio medesimo. Osservando il problema dal
punto di vista delle organizzazioni, l’attenzione prestata dalle eterogenee realtà
imprenditoriali all’individuazione e attivazione di adeguati modelli di “Risk
Management” deriva dalla maggiore consapevolezza, da parte degli stessi organi
di governo aziendale, che per il conseguimento dell’ equilibrio
economico/finanziario/patrimoniale di lungo periodo, la creazione di valore, la
ricerca del vantaggio competitivo e la protezione e sviluppo del patrimonio
imprenditoriale, possono essere perseguiti solo per mezzo di una politica coerente
e consapevole di gestione e controllo di tutti i rischi a cui l’impresa è sottoposta
nel suo operare. I recenti accadimenti riguardanti alcune realtà industriali nazionali
e internazionali, l’evoluzione normativa nazionale ed internazionale e gli effetti di
adeguamento alle nuove practise operative hanno quindi contribuito ad accelerare
i tempi necessari per mettere in atto interventi verso nuove scelte imprenditoriali,
tese a riorganizzare la struttura aziendale e formulare nuovi modelli di governance
5
e di practise tutti costruiti su innovative politiche di amministrazione e controllo
dei rischi d’impresa. La sempre più rinnovata sensibilità verso il Risk
Management comporta, fra l’altro, alcune attività come il ridisegno di alcuni
processi gestionali interni, la revisione di alcuni aspetti organizzativi, la creazione
di nuove funzioni aziendali e la ricerca di figure esterne e/o la riqualificazione di
profili professionali interni da dedicare alla realizzazione dei cambiamenti indicati
dagli imprenditori. La combinazione e integrazione di tutti questi aspetti
consentono di costruire un framework capace di rispondere alle esigenze di
controllo e gestione delle differenti tipologie di rischio identificate e misurate
dall’impresa. Quindi tutte le imprese, per favorire una sana e prudente gestione
aziendale, devono conoscere e gestire efficacemente tutti i rischi assunti, così da
porre in essere - nei tempi e nei modi adeguati – tutte le eventuali azioni correttive
adatti per sostenere le proprie prospettive di sviluppo economico. Per questo, è
fondamentale che tutte le organizzazioni si dotino, pur con le necessarie
graduazioni e margini di flessibilità, di un efficace sistema di Risk Management.
Specialmente negli ultimi due decenni, le imprese – industriali, finanziarie o di
altra natura- hanno compreso che la capacità nel saper individuare, valutare e
gestire i rischi è uno dei principali fattori che concorre a preservare sia lo stesso
valore dell’azienda e sia la sua capacità di operare profittevolmente. Si chiude tale
introduzione precisando che il presidio dei rischi è un processo complesso, che
coinvolge il management a più livelli, una molteplicità di funzioni aziendali e si
articola in diverse fasi, ugualmente rilevanti e fortemente integrate Per tale motivo,
il risk management rappresenta sempre più una funzione strategica che se ben
strutturata consente di conoscere, controllare e mitigare efficacemente i rischi
aziendali.
7
§ 1.2 Fronteggiamento dei rischi aziendali: ruolo delle conoscenze e
delle relazioni strategiche.
Ciascuna azienda può essere vista come il risultato della combinazione di più
componenti
1
(mezzi, persone, organizzazione), che opera nell’ambiente
economico di propria competenza per mezzo di continui scambi di risorse tangibili
e intangibili con le altre realtà imprenditoriali che sono inserite nel contesto
competitivo. Questa specifica e naturale affermazione introduttiva è molto utile,
poichè ci permette di vedere l’azienda come un sistema
2
di tipo:
aperto dal momento che scambia in continuazione con l’ambiente esterno
materie prime, energia e conoscenze;
dinamico in quanto contraddistinto da relazioni vitali tra gli elementi della
sua struttura e le organizzazioni esterne, con un grado di intensità mutevole;
economico dato che svolge l’attività di trasformazione dei fattori produttivi
per la produzione (o consumo) di beni o servizi economici;
complesso in considerazione della varietà e variabilità degli elementi della
sua struttura organizzativa e del conseguente dinamismo delle relazioni;
probabilistico poiché gli obiettivi/risultati da ottenere sono sottoposti
all’incertezza o imprevedibilità che caratterizza proprio il futuro, ovvero al
rischio di non raggiungere i livelli di performance pianificati e desiderati.
Il concetto di sistema (sopra definito) usato nella disciplina aziendale per definire
l’azienda è molto utile per evidenziare la complessità della realtà impresa, e per
capire che ciascun’azienda è diversa da ogni altra in ragione delle specifiche
relazioni interne/esterne che emergono nell’ambiente competitivo. Dalle
considerazioni effettuate in precedenza si avverte, in modo particolare, la necessità
di approfondire il concetto di ambiente, poiché l’impresa è influenzata nella sua
1
P.E. Cassandro, TRATTATO DI RAGIONERIA. L’ECONOMIA DELLE AZIENDE E IL SUO CONTROLLO,
Cacucci, Bari-1985, pag 33.
2
G. Ferrero, IMPRESA E MANAGEMENT, Giuffrè, Milano-1987, pag 5 e ss.
8
struttura organizzativa e nel suo modo di agire da molteplici situazioni che lo
caratterizzano. Infatti, l’ambiente offre opportunità, ossia fattori che possono agire
procurando vantaggi, oppure minacce (rischi), o meglio limiti di natura diversa
posti all’attività aziendale. Esso può essere distinto in ambiente generale (o
macroambiente) e ambiente specifico (o microambiente). Il macroambiente
3
può
essere descritto individuando alcuni sottosistemi che lo compongono:
ambiente fisico/naturale, che comprende le caratteristiche territoriali,
naturali e climatiche dello spazio in cui opera l’impresa (clima, risorse
naturali disponibili, infrastrutture, ecc..);
ambiente politico/istituzionale, che riguarda il ruolo esercitato dagli organi
del potere politico ed anche l’insieme delle norme che definiscono
l’ordinamento giuridico;
ambiente socio/culturale, rappresentato dall’insieme dei valori culturali ed
etici e dalle conoscenze (esempio conoscenze tecnologiche/scientifiche) che
esprimono in un dato contesto incentivi ed ostacoli all’affermazione
dell’attività d’impresa;
ambiente economico-generale, in riferimento allo stadio di sviluppo di una
data economia ed anche il tipo di economia esistente (economia capitalista,
collettivista e mista).
Il microambiente è costituito da tutte le organizzazioni e da tutti gli attori con cui
l’azienda interagisce sulla base di liberi scambi di mercato funzionali per lo
svolgimento dei propri processi di trasformazione economica. Infatti, si parla di
mercato delle materie prime, mercato del lavoro, mercato delle tecnologie, mercato
di sbocco, mercato dei capitali, ecc... . Se però desideriamo specificare
maggiormente e dettagliatamente l’ambiente specifico/competitivo in cui
l’impresa opera, possiamo avvalerci di differenti strumenti analitici, tra cui riveste
3
Giaccari Francesco, LEZIONI DI ECONOMIA AZIENDALE, Cacucci, Bari-2003, pag. 28-30.
9
un ruolo essenziale il modello delle cinque forze competitive proposto da Michael
E. Porter
4
, dove i cinque elementi competitivi del settore sono:
concorrenti nel settore cioè le pressioni competitive associate alle manovre
operative e strategiche e alle politiche di mercato di tutte le imprese
esistenti, operanti già nel settore ed in concorrenza fra loro per ottenere la
preferenza di tutti gli acquirenti esistenti e di quelli potenziali;
nuovi entranti potenziali ossia pressioni competitive che possono derivare
dalle minacce di nuovi entranti potenziali nel settore;
prodotti sostituti cioè pressioni competitive derivanti dal tentativo di
imprese di altri settori di attirare i clienti con i propri prodotti sostitutivi;
fornitori ovvero pressioni competitive dettate dal potere contrattuale dei
fornitori di materie prime e dalla collaborazione tra fornitori e venditori;
acquirenti ovverosia pressioni competitive dettate dal potere contrattuale
degli acquirenti del prodotto e dalla collaborazione fra acquirenti e venditori.
La rappresentazione del micro/macro ambiente sopra riportato è molto utile poichè,
ci fa capire bene come l’attuale contesto ambientale in cui l’azienda opera
quotidianamente abbia raggiunto livelli di complessità tali da decretare
inevitabilmente un innalzamento del livello di rischio
5
gravante sulle stesse
imprese. Tutto questo richiede che il MANAGEMENT dell’impresa abbia le
capacità e le competenze ottimali per fronteggiare i molteplici rischi aziendali che
quotidianamente le si presentano. Infatti, spetta all’organo di governo aziendale
individuare, valutare e realizzare tra le diverse strategie gestionali
6
quella che
4
Giovanni Battista Dagnino e Rosario Faraci, STRATEGIA AZIENDALE, FORMULAZIONE ED
ESECUZIONE, McGraw-Hill, Milano-2009, pag 114.
5
Tale rischio, definito in letteratura rischio economico d’impresa, trova proprio la sua origine nell’imprevedibilità
concernente la futura evoluzione del complesso ambiente in cui l’azienda opera e interagisce. Trattasi in tal caso
chiaramente di un rischio speculativo, poiché gli effetti connessi agli eventi futuri possono essere sia positivi che
negativi. Tale definizione di rischio è presente in: G. Golinelli, L’APPROCCIO SISTEMICO AL GOVERNO
DELL’IMPRESA, Cedam, Padova-2000, pag 143 e ss.
6
V. Coda, L’ORIENTAMENTO STRATEGICO DELL’IMPRESA, Utet, Torino-1988, pag 107 e ss.
10
riesce meglio a neutralizzare e contenere il rischio, nel senso di limitare al
massimo gli effetti negativi per la sua specifica azienda, tutto ciò attraverso
l’adozione di regole di buona amministrazione e di atteggiamenti diretti alla ricerca
dei giusti equilibri e quindi della “perdurabilità” come condizione per la
creazione del valore. Il rischio è, in un contesto di libero mercato come il nostro
(economie occidentali), una condizione cui soggiacciono tutte le realtà
economiche, ed esso può condurre nei casi più estremi alla scomparsa
7
delle
aziende stesse. Infatti, in un “economia di mercato” l’impresa deve agire cercando
di superare quotidianamente le minacce (nel gergo economico rischi) che le si
presentano dinanzi per le naturali interconnessioni con il contesto di riferimento.
Questo risultato (vale a dire la possibilità di scomparire dal mercato), se da un lato
genera esiti negativi sulla collettività in termini (per esempio) di effetti
occupazionali, da un altro lato spinge tutte le imprese a migliorarsi, ossia a
concepire comportamenti innovativi ed efficienti e quindi a decretare l’estinzione
di tutte quelle realtà inefficienti che distruggono le risorse presenti nel sistema. Da
questo ragionamento si può dedurre che essendo la sopravvivenza
8
il fine ultimo
delle realtà economiche esistenti, un modo per raggiungere tale obiettivo è
l’informazione, poiché essa consente di fronteggiare gli eventi dannosi (ostacoli =
rischi) e permette di preservare un equilibrio interno (va precisato che la
sopravvivenza, pur essendo una condizione ricercata in qualsiasi momento e da
qualsiasi impresa, essa è maggiormente perseguita dalle aziende nella fase di start-
up, dato che tali nuove imprese sono nei primi anni di vita più esposte agli ostacoli
7
Maizza Amedeo, LA GESTIONE D’IMPRESA TRA VITALITÀ E RISCHIO DI CRISI, Cacucci, Bari-2006,
pag 2 e ss.
8
Esistono molteplici posizioni sul fine proprio dell’impresa, tra cui si ricordano: la teoria della realizzazione del
profitto come compenso spettante all’imprenditore; la teoria della creazione e diffusione del valore in favore
di tutti i soggetti interessati alle sorti dell’impresa; la teoria manageriale dello sviluppo dimensionale come
garanzia per la stessa sopravvivenza grazie alla maggiore competitività ottenibile dalla crescita dell’impresa.
Queste teorie sono trattate in: Sciarelli S., ECONOMIA E GESTIONE DELL’IMPRESA, Cedam, Padova-2002,
pag 74 – 79.
11
da superare proprio nella fase d’avviamento/costituzione). Si potrebbe affermare
che rischio e conoscenza sono espressioni diverse, ma complementari tra loro per
la vitalità dell’azienda. Il rischio, infatti, deve considerarsi parte integrante
dell’informazione, giacché grazie ad essa si manifesta e può essere
successivamente contenuto. Il soggetto economico con un alto bagaglio
conoscitivo riesce molto meglio ad analizzare e comprendere i fenomeni complessi
che minacciano la stessa sopravvivenza dell’impresa, anche se una corposa
conoscenza non potrà mai portare ad una piena comprensione degli stessi e ad una
previsione futura esatta del sistema analizzato. Questo ragionamento ci può portare
anche a definire una macro classificazione delle imprese, distinguendo quelle che
“conoscono” da quelle che “non conoscono”. Le imprese innovatrici sono quelle
che sviluppano attivamente la conoscenza, utile per individuare le opportunità e i
pericoli presenti nell’ambiente in cui operano e guidare la struttura verso lo
sviluppo. Un ruolo residuale spetta alle imprese chiuse e imitatrici, o meglio a
quelle realtà che dinanzi ad un fenomeno nuovo non si adoperano attivamente alla
comprensione dello stesso. La conoscenza la possiamo definire come una
particolare risorsa immateriale che non si usura con il passare del tempo, ma si
autoalimenta dalle informazioni da cui essa stessa discende. La conoscenza, per di
più, è fondamentale, poiché da essa si può generare quella “cultura del rischio”
che se diffusa in modo pervasivo dal management in tutti i sub-sistemi del sistema
impresa permette di prendere decisioni a tutti i livelli nel modo più razionale
possibile. La vitalità dell’impresa dipende anche dalle relazioni che essa riesce ad
instaurare con l’ambiente di riferimento, in quanto da esso trae le stesse
informazioni, idee, sensazioni che poi rielabora internamente generando analoghi
flussi in uscita. L’organo di governo ha il dovere di distinguere, nei confronti dei
soggetti con cui si relaziona, quali sono quelli di ordine superiore e quelli di
12
ordine inferiore. Tutto questo perché con i sovra-sistemi
9
esso deve cercare di
instaurare e preservare relazioni forti e durature, in quanto questi ultimi esercitano
un livello di influenza tale da condizionare la perdurabilità nel tempo dell’impresa
stessa. Basti pensare, ad esempio, al ruolo esercitato dallo Stato, ossia tutti i vincoli
(come le sanzioni) che esso stesso pone attraverso la sua attività di regulation, utile
per il corretto funzionamento del mercato nell’interesse della collettività. Anche le
relazioni (come la conoscenza) sono una risorsa intangibile, poichè non esistendo
fisicamente non sono percepibili in modo inequivocabile. Questo non ci deve
indurre nell’errore che esse non siano utili, giacché relazioni stabilizzate
garantiscono equilibrio e adattamento nell’ambiente in cui opera l’impresa
medesima. La pluralità degli operatori presenti soprattutto nell’attuale contesto,
comporta l’esistenza di scambi illimitati che rendono così necessaria una lettura
tempestiva ed una capacità di adattamento al mutevole ambito operativo. Inoltre, il
management deve cercare di regolare i flussi fisico/informativi con i sistemi esterni
sostenendo il suo potenziale relazionale
10
, facendolo diventare un vero e proprio
asset aziendale poiché il suo capitale relazionale è anche necessario per lo
svolgimento della gestione aziendale. Quindi si può sostenere che, essendo che
l’impresa riesce a vivere se è capace di tessere relazioni di diversa natura con le
altre realtà, allora il management deve cercare di sostenere le relazioni positive ed
estinguere o almeno ridurre quelle potenzialmente rischiose. Per finire, possiamo
brevemente smentire la teoria neoclassica, quando riconosce nell’efficienza come
l’unico elemento che decreta la sopravvivenza delle imprese, ripetendo che anche
l’assenza di relazioni e conoscenze possono configurarsi come le altre principali
variabili che insieme all’inefficienza possono incidere sulla perdurabilità del
sistema impresa.
9
G. Golinelli, L’APPROCCIO SISTEMICO AL GOVERNO DELL’IMPRESA, Cedam, Padova-2000, pag 113.
10
Maizza Amedeo, LA GESTIONE D’IMPRESA TRA VITALITÀ E RISCHIO DI CRISI, Cacucci, Bari-2006,
pag 74 e ss.
13
§ 1.3 Concetto di rischio, suoi elementi e suo governo.
Sono molteplici le crescenti motivazioni che spingono gli operatori ad analizzare e
cercare di gestire i diversi
11
rischi aziendali presenti nel sistema economico. Una
prima motivazione si può addebitare al fatto che esso è correlato con lo
svolgimento dell’attività d’impresa, quindi un suo probabile manifestarsi in un
determinato intervallo temporale può influire negativamente sul processo di
creazione della ricchezza
12
, ricchezza necessaria per rigenerare i fattori produttivi
impiegati ed in via residuale a remunerare il capitale originariamente investito.
Un'altra motivazione può essere ricercata nel fatto che l’impresa nell’attuale
sistema socio-economico è sempre più legata, per tale motivo si assiste ad un
progressivo aumento della complessità dei fattori ambientali. Tutto questo produce
una crescita in numero e dimensione dei rischi stessi, perciò si richiede
un’adeguata attività di pianificazione delle risorse e delle azioni di difesa utili per
cercare di limitarne le possibili conseguenze negative. Quindi, dove non è possibile
rimuoverli (i rischi) occorre comprendere e prevedere le circostanze in cui possono
manifestarsi, dal momento che non fare questo significherebbe rispondere agli
eventi dannosi solo dopo che essi si sono verificati, con danni e perdite non
indifferenti. Un’ultima motivazione, che deriva sempre dal complesso rapporto
impresa-ambiente, attiene alla vulnerabilità del sistema impresa causata da un
numero maggiore di variabili da gestire e dall’imprevedibilità di alcune di esse che
rende il contesto nella quale opera sempre più aleatorio. Le motivazioni sopra
citate ci fanno capire bene come nella nostra moderna società il governo dei rischi,
a livello sia strategico sia operativo, esprime il massimo risultato solo quando esso
11
In questo caso il rischio d’impresa è inquadrato come rischio sistemico, cioè viene visto come l’insieme dei
rischi specifici sia nella loro natura (rischi finanziari, rischi di mercato, rischi operativi.) sia nella
dimensione temporale (di breve, medio o lungo periodo) che gravano su tutti i portatori di interesse nell’azienda.
Tale definizione di rischio è presente in: S. Sassi, IL SISTEMA DEI RISCHI D’IMPRESA, Vallardi, Milano-
1940, pag 106 e ss.
12
P. Onida, ECONOMIA D’AZIENDA, Utet, Torino-1971, pag 55 e ss.