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INTRODUZIONE
La crisi del 2008 ha messo in dubbio il sistema economico e finanziario nazionale,
portando le amministrazioni locali a ridisegnare le proprie politiche sociali a causa dei tagli
alla spesa pubblica. Il welfare, la voce di spesa più consistente nei bilanci comunali, ha
sofferto questa interruzione di fondi creando sfiducia e senso di abbandono nei cittadini e
in particolare in quel ceto medio già in condizioni drammatiche a causa della crisi
lavorativa e occupazionale. Ogni amministrazione ha cercato, in un modo o nell’altro, di
far fronte a questa situazione tragica ad esempio puntando sul taglio dei servizi in termini
di qualità e quantità.
Differente è il caso della città di Reggio Emilia di cui tratta questo elaborato. È provato da
numerosi studi che la città possiede un tesoro in termini di capitale sociale
l’amministrazione comunale ha trasformato questa colonna portante della società reggiana,
detenuto quasi inconsapevolmente, nel punto di partenza per superare il periodo buio per
l’economia e il sistema socio-assistenziale. Il punto di forza, riconosciuto dallo stesso
sindaco della città, sono le reti tra cittadini e la straordinaria “vivacità associativa” della
comunità reggiana. Con un sistema economico che risente meno la crisi rispetto alle zone
limitrofe e una forte coesione sociale, che però rischia di sfaldarsi se non si interviene con
politiche decise e precise, vi sono i presupposti per puntare sul terzo settore come via
alternativa allo sviluppo e all’erogazione dei servizi sociali in parallelo con il pubblico.
Questa cultura della cooperazione e della solidarietà reciproca trova le sue radici nella
storia della città: dalle esperienze comunali in epoca medioevale alle unioni di contadini,
dalla nascita dei primi movimenti di ispirazione socialista alla resistenza partigiana, dalle
proteste operaie alle scuole per l’infanzia di ispirazione cittadina. Come non citare le opere
di Guareschi, ambientate nella afosa “bassa” dell’Emilia, dedicate alle avventure surreali
di Don Camillo e Peppone dove la collaborazione tra concittadini nelle situazioni più
tragiche, come l’esondazione del Po, prende il sopravvento sulle divisioni politiche. Le
pagine dell’autore parmense trasudano di quel senso di umanità e di solidarietà tipica delle
comunità contadine, ereditate anche da Reggio Emilia. Scrive Guareschi: “anche sperduto
in mezzo alla campagna e sepolto dalla nebbia più densa, un uomo – laggiù nella bassa –
6
non si sente mai staccato dal mondo. Un invisibile filo lo lega sempre agli altri uomini e
alla vita e gli trasmette calore e speranza”
1
.
Scopo di questo lavoro è capire in che modo il comune di Reggio Emilia ha saputo
valorizzare e canalizzare la sua ricchezza nella dotazione di capitale sociale attraverso la
sua più diretta manifestazione: il terzo settore. Rivedere il sistema di welfare attraverso una
concertazione tra pubblico e privato sociale sembra essere la scelta dell’amministrazione
comunale. Il tempo ci darà l’esito, la crisi è lontana dall’essere superata e la paura di non
farcela contando su un bene intangibile come il capitale sociale, lontana dalla logica di
mercato, è giustificata.
Questo elaborato è strutturato seguendo un percorso preciso: nel primo capitolo verranno
esposti i maggiori contributi in campo sociologico ed economico alla definizione del
concetto di capitale sociale, un termine che non ha ancora trovato, e probabilmente non
troverà, una definizione ben precisa. Nel secondo capitolo verrà analizzato il caso italiano
e le differenze di dotazione di capitale sociale in Italia attraverso le opere di Putnam e
Cartocci per comprendere come la forza dei legami ed il senso civico siano determinanti
per qualità del rendimento delle istituzione e sviluppo economico. La seconda parte sposta
lo sguardo sul caso di Reggio Emilia. Il terzo capitolo tratterà della dotazione provinciale e
cittadina di capitale sociale insieme al contesto socio-economico, due ambiti fortemente
legati tra loro e principale causa del benessere diffuso che ha caratterizzato la città fino ai
giorni nostri e sul quale si basano le politiche comunali trattate nel quarto ed ultimo
capitolo dove, attraverso i progetti e le strutture comunali, si sta avviando un percorso che
porterà ad una forte collaborazione tra le realtà del pubblico e del volontariato cittadino
nella gestione ed erogazione dei servizi sociali comunali ed il recupero di situazioni di
disagio economico e sociale causate dall’attuale crisi.
1
Guareschi 1979, p. 87
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CAPITOLO I
Il capitale sociale: definizioni e applicazioni in campo sociologico ed economico
1.1 Il punto di partenza
Negli ultimi anni si può ritrovare il concetto di “capitale sociale” in molti rapporti
sull’economia italiana e non solo. Questi rapporti hanno evidenziato come la componente
del capitale sociale di una determinata società alteri la qualità del sistema finanziario e
istituzionale. Di cosa si parla quando si usa il termine “capitale sociale”? È possibile
partire dalla definizione in ambito economico che vede il capitale sociale come le risorse
investite dagli azionisti nella società finanziando le sue attività. Possiamo trasportare la
definizione economica in campo sociologico. La società può essere intesa come la
comunità o la città, mentre gli azionisti sono i membri che investono risorse (in questo caso
il loro tempo, la propria persona) per mandare avanti la comunità o migliorarne il
funzionamento. È fondamentale andare oltre i semplici dati economici e statistici per
comprendere a pieno le cause di alcune dinamiche nel territorio. Occorre riuscire a cogliere
gli elementi che definiscono l’identità dell’ambiente sociale, un’identità che non è
immutabile, bensì continuamente in evoluzione e influenzata dal contesto temporale,
un’identità che nasce da valori condivisi. Ed è sull’abilità nel creare consenso sui valori
che si gioca la capacità di un territorio di evolvere verso una forma di sviluppo sostenibile,
in grado di coniugare crescita e benessere diffuso.
1.2 La “civicness” di Putnam
Il capitale sociale è diventato un tema di grande attualità nelle scienze sociali. Un successo
cominciato negli anni ’70 e affermatosi definitivamente negli ultimi anni del XX secolo.
Inizialmente il concetto è elaborato da sociologi che vogliono chiarire meglio il
funzionamento del mercato del lavoro e l’organizzazione dell’economia, ma la sua
popolarità cresce soprattutto quando si prova ad applicarlo allo studio dei fenomeni
politici, in particolare con la pubblicazione del volume del politologo Robert Putnam “La
tradizione civica nelle regioni italiane”, nel 1993
2
. L’ambito della ricerca è la qualità delle
istituzioni regionali, nate formalmente nel 1970 con la prima elezione dei consigli regionali
2
Bagnasco, Piselli, Pizzorno, Trigilia 2001, p. 7
8
nonostante fossero previste dalla Costituzione italiana ma prima mai attuate, e valutare le
differenze tra le regioni in termini di efficienza e qualità in base alla dotazione di capitale
sociale territoriale. Putnam analizza principalmente alcuni componenti del capitale sociale:
la comunità civica e il senso civico, racchiusi nel termine “civicness”. La creazione nella
penisola delle Regioni come enti rappresentano l’opportunità che Putnam coglie per
descrivere perché l’esistenza di norme e reti associative di impegno civico condizionino
tanto profondamente il rendimento istituzionale
3
. Nel volume Putnam sostiene che la bassa
qualità ed efficienza delle Regioni meridionali rispetto a quelle settentrionali è da ricercare
non tanto nel divario economico, ma nella minore dotazione di capitale sociale. Il
ricercatore fa risalire queste condizioni alle radici delle comunità, come la nascita dei
Comuni nel nord (nati in principio come associazioni di volontariato, formatesi quando
gruppi di vicini giurarono di assistersi reciprocamente difendendosi a vicenda e
cooperando in campo economico)
4
e la celebre autocrazia feudale normanna al sud, con
una concezione nel settentrione del popolo come cittadini, nel meridione come sudditi
5
.
Altri fattori storici, come la tarda unificazione italiana, hanno contribuito a questa
differenza territoriale.
1.3 Le interpretazioni di Bourdieu, Coleman e Pizzorno
Il sociologo francese Bourdieu nel 1980 propone una distinzione tra il capitale “sociale” e
quello economico e culturale, analizzando la rete di relazioni personali direttamente
mobilitati da un individuo per perseguire i suoi fini e migliorare la posizione sociale.
Secondo Bourdieu “il capitale sociale è la somma delle risorse, materiali o meno, che
ciascun individuo o gruppo sociale ottiene grazie alla partecipazione a una rete di relazioni
interpersonali basate su principi di reciprocità e mutuo riconoscimento”. Il tema è ripreso
da Mark Granovetter che rileva come le relazioni personali influenzino il funzionamento
del mercato del lavoro e nelle forme di organizzazione produttiva mostrando in modo
convincente come le reti aumentino la possibilità di trovare lavoro. Il sociologo americano
dà particolare risalto in un saggio del 1973 alla “forza dei legami deboli”, cioè come la
disponibilità di reti di conoscenze più aperte (in contrasto con i “legami forti” come quelli
familiari) anche se non particolarmente intense, contribuisca ad ampliare le informazioni e
3
Putnam 1993, p. 19
4
Ibidem, p. 145
5
Ibidem, p. 150