Cosa significa
riabilitare?
Chi può essere
riabilitato?
Fino a che punto si può
riabilitare?
Chi sono i soggetti della riabilitazione e
chi gli operatori?
INTRODUZIONE
Le precedenti domande rappresentano i punti fondamentali da cui sono partito, nell’osservazione di
questo vasto argomento che è la riabilitazione in campo psichiatrico, che ho deciso di portare come
tema principale della mia tesi di laurea. L’interesse per questo argomento è maturato sia nel corso
dei miei studi.
Questa tesi ha l’obiettivo di tentare di fare luce, sulla lunga storia della psichiatria e parallelamente
della riabilitazione psichiatrica, fornendo anche esempi di progetti terapeutici e casi clinici, al fine
di rendere più chiaro tutto il lavoro di indagine e fornendo anche idee per ulteriori approfondimenti,
poiché la riabilitazione è un processo in continua evoluzione.
Quando inizia la storia della
riabilitazione?
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Capitolo I
1 ELEMENTI DI STORIA DELLA PSICHIATRIA
La psichiatria è la disciplina che si occupa della prevenzione, cura e riabilitazione dei disturbi
mentali.
Quella del disturbo mentale è una condizione psichica, in cui la sofferenza, non trovando via
d’uscita, si è clinicizzata, cioè trasformata in sintomi psichiatrici specifici, come deliri, ossessioni;
mentre il termine disagio mentale indica una condizione di sofferenza mentale non clinicizzata che
si manifesta cioè con sintomi aspecifici: ansia lieve, lieve depressione, insonnia ecc. il disagio
mentale, anche se entro certi limiti è parte dell’esistenza normale (Piccione 1995).
La psichiatria è sì un fatto medico, perché alcuni disturbi psicologici nascono da sicure lesioni
cerebrali che necessitano di un normale trattamento medico, ma è anche un fatto psicologico, si
pensi che molti disturbi psichici, anzi la maggior parte di essi, vengono considerati da molti
psichiatri senza base biologica e psicologicamente determinati; si aggiunga poi che in tutti i casi,
con o senza ricovero, l’aspetto centrale dell’intervento psichiatrico si risolve in un colloquio
terapeutico, che consiste nell’incontro e lo scambio verbale tra due persone: il paziente ed il
terapeuta.
La psichiatria è anche un fatto sociologico, si pensi alle strette connessioni esistenti tra la qualità e
la diffusione dei disturbi psichici e la condizione sociale ed economica del paziente.
La psichiatria è anche un fatto giuridico, infatti tale disciplina è l’unica specializzazione medica che
permette, allo psichiatra, di costringere una persona adulta, contrariamente al proprio volere, a
curarsi per una malattia non contagiosa, partendo dal presupposto che la persona in questione possa
essere incapace di prendere le decisioni per lei necessarie; inoltre ogni cittadino che compie un
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reato, può essere non chiamato a rispondere penalmente, qualora uno psichiatra, riesca a convincere
il magistrato che l’azione delittuosa sia stata commessa mentre il soggetto era affetto da un disturbo
psichico.(Piccione, 1995).
La psichiatria ha dunque un raggio d’azione molto vasto ed una pratica molto delicata e complessa.
Conoscere le tappe principali della lunga e travagliata storia della psichiatria, risulta essere di
fondamentale importanza per capire l’attuale pensare ed agire psichiatrico.
La psichiatria è una scienza umana, che se pur in diverse forme, ha accompagnato gli individui e le
comunità fin dall’antichità. In ogni periodo storico, ci sono stati dei modi di interpretare trattare i
disturbi del comportamento umano e del pensiero.
Nel periodo greco romano pre - ippocratico, veniva attribuita alla follia, un origine divina, i
trattamenti a tale problema, erano ignoti e le poche pratiche venivano svolte dal sacerdote nei
templi; mentre nel periodo post - ippocratico, le cause della follia, venivano considerate di origine
biologica e dovute a squilibri degli umori, salassi, diete, erbe e purganti erano le metodologie di
cura praticate da medici.
Nell’alto medioevo, l’origine dei disturbi mentali era attribuita a fattori demonologici, magici e
astrologici, l’esorcismo era il rituale più diffuso praticato da sacerdoti e maghi; nel basso medioevo,
invece, i folli, venivano bruciati sul rogo e giudicati da sacerdoti, considerati la massima autorità
deputata a giudicare e condannare.
Nel periodo che intercorre tra il seicento e settecento, la causa delle malattie mentali, era attribuita
al biologismo meccanicistico, la cura dei folli era l’internamento e l’abbandono, deciso da autorità
amministrative e medici, in istituti di segregazione.
“Mendicanti e vagabondi, nullatenenti, disoccupati, sfaccendati, delinquenti, individui
politicamente sospetti ed eretici, donne di facili costumi, libertini, vengono in tal modo resi
inoffensivi, e, per così dire, invisibili insieme con sifilitici e alcolisti, pazzi, idioti e stravaganti,
nonché mogli odiate, figlie disonorate e figli che sperperavano il loro patrimonio”(Dorner, 1975).
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Gli Istituti per la segregazione della non ragione erano luoghi per alcuni versi, simili al carcere, per
altri all’ospizi: le persone erano in parte assistite ed in parte punite; il trattamento era molto duro, le
condizioni igienico sanitarie precarie, il medico, figura marginale di tale istituzione, vi entrava
raramente, solo in caso di malattie fisiche gravi; ed il folle, una delle tante forme della non ragione,
era recluso con gli altri e non riceveva alcun trattamento particolare.
Nella prima metà dell’ottocento, le cose iniziano a cambiare, le cause della follia vengono attribuite
a problematiche psicosociali, il trattamento del paziente prevedeva l’internamento e il trattamento
morale ad opera del medico alienista, nei primi istituti manicomiali. Tale evento porta alla nascita
della psichiatria ed insieme del paradigma psichiatrico moderno, l’origine di tale imponente
fenomeno risale ad alcuni avvenimenti verificatisi durante la Rivoluzione Francese:
- Abolizione degli istituti di segregazione
- Liberazione dei reclusi in tali istituti e trasferimento degli stessi in ospedale
- Pubblicazione da parte pi P.Pinel, psichiatra Francese, del “trattato medico-filosofico
sull’alienazione mentale, o mania”.
Pinel, è il fondatore del Trattamento Morale, un sistema di rieducazione che prevedeva:
l’istituzione di un luogo , il manicomio, rivolto ad accogliere esclusivamente gli alienati, dove
regnasse un ordine sereno e la vita del ricoverato fosse regolata e scandita. Medici e sorveglianti,
numerosi e sempre presenti, dovevano rappresentare l’Autorità dando l’immagine che ogni forma di
ribellione era impossibile. Non dovevano essere utilizzati ceppi e catene , e solo in estremi casi la
camicia di forza.(Piccione, 1995).
L’Europa della prima metà dell’ottocento, vedrà gli psichiatri impegnati nell’applicare,
perfezionare, e diffondere il trattamento morale, parallelamente all’impegno di sensibilizzare la
comunità e le pubbliche autorità ad impegnarsi nella creazione e nel funzionamento dei nuovi
istituti perché siano più efficienti.
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Ma l’atteggiamento verso il malato di mente, nella seconda metà del secolo cambia e alcuni
progressi nel campo della medicina contribuiscono all’abbandono della posizione socio umanitaria,
l’origine del male è definita di natura biologica, vi era la convinzione che alla base delle malattie
mentali ci fosse sempre un danno organico del cervello. Tale visione diede da una parte l’avvio ad
ampi studi e progressi in neurologia, ma in campo psichiatrico determinò la riduzione del folle ad
organismo mal funzionante, abbandonando la precedente ipotesi che collegava i disturbi psichici sì
a motivi biologici, ma anche a motivi di natura psicologica e sociale. In quest’ottica il
comportamento del paziente psichiatrico tornò ad essere incomprensibile, anche perché la
comprensibilità non interessava più lo psichiatra, volto ad individuare un germe e un alterazione
cerebrale. Conseguenza di tutto ciò fu l’abbandono del trattamento morale. In questo periodo gli
psichiatri cessarono di occuparsi delle condizioni degli internati e la vita e il trattamento nei
manicomi peggiorarono. L’organicismo psichiatrico, nato nella seconda metà dell’ottocento, rimase
l’atteggiamento dominante per i primi decenni del secolo successivo, ma fa sentire la sua voce
anche oggi, presso alcuni psichiatri che dimenticano il paziente e curano una malattia ancora
convinti di scoprirne l’alterazione biofisica e biochimica.(Piccione 1995).
La psichiatria del XX secolo, almeno fino alla seconda guerra mondiale, è caratterizzata dal
perfezionamento del paradigma manicomiale che si andrà arricchendo di nuovi modelli di
riferimento; contemporaneamente si assisterà ad una lenta ma progressiva penetrazione nella cultura
psichiatrica ufficiale della psico-analisi e della fenomenologia. Nonostante tutto ciò, il paradigma
manicomiale perfezionato in senso medico-organicista, che pur essendo il più sterile ed oppressivo
ha dominato la scena psichiatrica europea per decenni.(Piccione 1995). In questo periodo ricco di
studi volti ad individuare le cause della malattia mentale, si scoprono nuove strategie di trattamento
terapeutico, come lo shock da iperpiressia (W. Jauregg 1917), lo shock ipoglicemico (Sakel 1932),
la lobotomia frontale (Moniz 135), lo shock cardiazolico (W. Meduna 1936), l’elettro shock
(Cerletti e Bini 1938) e l’introduzione degli psicofarmaci nel 1952, sostanze sintetizzate ed
introdotte in psichiatria in Francia. Questi nuovi trattamenti avevano come obiettivo quello di
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ridurre più in fretta possibile la sintomatologia e ricreare uno stato mentale idoneo al reinserimento
sociale del paziente. L’indirizzo medico-organicista ha dominato la scena psichiatrica europea per
la prima metà del secolo. In questo periodo di studi, ricerche nuove scuole di pensiero si vanno
formando in Europa, tutte con l’intento di comprendere la malattia mentale e trovare un trattamento
per la cura. Un forte contributo nello studio e nel trattamento della malattia mentale si deve alla
psicoanalisi. La scuola di pensiero fondata da S. Freud (1856-1939) questa nuova disciplina ha
rivoluzionato sia l’epoca, sia il modo di concepire la realtà. Freud, matura la sua formazione in un
clima che risente del determinismo darwiniano ed elabora una teoria che si configura come prodotto
maturo di precedenti tentativi di approccio psicologico al disturbo psichico. La psicoanalisi, nata
all’esterno del mondo medico ed accademico ufficiale, si sviluppa all’interno di un gruppo di
intellettuali aperti a nuove istanze ma chiusi come gruppo.
La teoria psicoanalitica si muove su due piani: da una parte si configura come psicologia generale,
cioè come il tentativo di comprendere e spiegare il funzionamento psicologico dell’uomo normale;
dall’altra come sistema di cura dei disturbi psichici, in particolare le nevrosi. L’importanza storica
della psicoanalisi consiste soprattutto in due aspetti, Freud ritiene che la struttura e il processo di
formazione dell’apparato psichico siano gli stessi, per la persona malata e per quella sana, è
notevole quindi il contributo della teoria psicoanalitica all’eliminazione della distinzione tra sano e
malato; ognuno ha dentro di sé potenzialità patologiche e la differenza tra sano e malato consiste in
un differente equilibrio dell’apparato psichico (Freud 1912 ). Da ciò deriva un secondo aspetto di
grande importanza: il disturbo mentale può essere compreso in termini psicologici perché ha origine
psicologica. Dopo decenni di tentativi di scoprire un danno biologico del cervello come spiegazione
della malattia mentale, compare il primo e sistematico tentativo di spiegare i disturbi psichici in
chiave psicologica, per di più, la spiegazione psicologica viene collegata all’intera storia del
soggetto; e tali proposte influenzeranno il pensiero psichiatrico successivo, contrapponendosi
all’organicismo e scoprendo aree di indagine precedentemente ignorate o considerate
incomprensibili. È indubbio il contributo che la psicoanalisi ha avuto nella comprensione delle
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nevrosi, ma ha gettato anche le basi per la comprensione delle psicosi, togliendo il pregiudizio di
incomprensibilità per questo tipo di disturbo.
La diffusione della psicoanalisi ha profondamente modificato il clima intellettuale degli ultimi
cinquanta anni e ha avuto connessioni con tutto un arco di discipline di cui ha ampliato l’orizzonte
interpretativo : pedagogia, sociologia, antropologia. La psicoanalisi ha inoltre indirettamente messo
in crisi la società borghese perbenista, evidenziando come non sempre la repressione dei desideri sia
funzionale al soggetto ed alla società. Altri scuole di pensiero emersero in questo periodo, come
l’indirizzo fenomenologico – esistenziale di cui l’esponenti più noti furono: E. Husserl e
M.Heidegger; il marxismo e l’indirizzo sociologico; l’antipsichiatria di cui l’esponente più noto è
Ronald Laing. Questa scuola teorica, utilizza in modo originale gli elementi della fenomenologia,
della psicoanalisi e del marxismo, giungendo a spiegare ed interpretare in maniera psicologica il
paziente schizofrenico, dimostrando la comprensibilità del pensiero e del comportamento psicotico,
posto in relazione con il suo mondo interiore e con la rete delle sue relazioni interpersonali.
La corrente più radicale di tale gruppo di psichiatri arrivò a negare l’esistenza della malattia
mentale, almeno come tradizionalmente intesa e a proporre l’idea che la follia non sia
necessariamente qualcosa di negativo che va curato: l’esperienza schizofrenica è un viaggio di
andata e ritorno che condurrà attraverso un percorso faticoso e sofferto alla rinascita esistenziale del
soggetto. È proprio da tale presupposto teorico che nascono luoghi per una gestione alternativa della
follia, dei quali il più noto è la comunità di Kingsley hall a Londra, fondata nel 1965, poteva
ospitare un massimo di 14 pazienti alla volta che coabitavano insieme allo staff curante. Tale
struttura ha una grande elasticità di gestione, le forme di convivenza, i comportamenti ed i rapporti
interpersonali avvengono in un clima di reciproca tolleranza ed inoltre viene criticata ogni
distinzione tra staff curante e pazienti. La vita di Kingsley durerà quattro anni e terminerà con
l’esaurimento del grande slancio iniziale, ma anche perché isolata dalla comunità e repressa dalla
psichiatria ufficiale.
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Dalla seconda metà del novecento, l’origine della follia è definita di tipo bio – psico -sociale,
ovvero la causa si pensa sia dovuto all’interazione di fattori di natura biologica, psicologica e
sociale. La cura prevede la presa in carico da parte dell’equipe multidisciplinare, la psicoterapia, il
ricovero ospedaliero nelle fasi acute, e la deospedalizzazione (Piccione 1995).
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1.1 IL CASO ITALIA
Durante il ‘700, anche gli Stati Italiani, non diversamente da come era avvenuto nel resto d’Europa,
per fare fronte a tale problema e rispondere, contemporaneamente, alle esigenze di controllo dei ceti
borghesi, crearono una massiccia rete di istituti di Segregazione, in cui venivano rinchiusi
mendicanti, diseredati, vagabondi, e folli: categorie socialmente distinte l’una dall’altra, ma tutte
accomunate dalla povertà e dall’emarginazione (Piccione 1995).
La maggior parte dei pazienti psichiatrici italiani erano posti in condizioni e situazioni tra loro
molto diverse, come diversi erano gli indirizzi di politica sanitaria ed i livelli di buona
amministrazione dei vari stati in cui era divisa la penisola italiana.
Potevano infatti essere ricoverati in reparti o dépendance di Ospedali generali, in Ospizi e in Case di
lavoro. La separazione dei malati di mente dal resto della popolazione, non era dovuta a strategie di
cura, ma per motivi di ordine, controllo e sicurezza, ma è anche giusto sottolineare che gli istituti
italiani, quasi sempre gestiti da ordini religiosi ai quali lo stato appaltava la gestione della devianza,
avevano un carattere più volto all’assistenza e meno alla reclusione punitiva.
La popolazione manicomiale, numerosa, pur non avendo stime precise, era compresa da persone dei
ceti meno abbienti, soprattutto da contadini poveri, poiché anche allora, come oggi, i membri delle
classi agiate venivano ricoverati in asili privati o curati in famiglia.
Qualunque fosse il tipo di istituto, intorno al 1820 le condizioni dei pazienti erano globalmente
assimilabili a quelle del secolo precedente:
<<…… Restavano ancora accomunati in grandi stanze, pazzi di diverse categorie, furenti,
clamorosi, sudici, i quali per la maggior parte incatenati, alcuni a tutte e quattro le estremità,
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sopra poca paglia, sotto ruvidi cenci, influivano sinistramente sullo stato morale l’uno
dell’altro….>>
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La cura delle malattie di mente, si presentava confusa in una inestricabile mescolanza di trattamenti
medici tradizionali di natura fisica e di trattamenti educativi e rieducativi di natura psicologica.
Così, bagni freddi, salassi, purganti, il ricorso alla camicia di forza e macchine varie di tortura, si
mescolavano a cure mediche e preghiere, mentre sull’onda del crescente sfruttamento capitalistico
si cominciò ad organizzare il lavoro, “efficacissimo rimedio alla pazzia sanabile ed ottimo
palliativo della incurabile”. Ed è in questa situazione che in Italia cominciano a diffondersi le idee
della riforma pineliana e con esse l’ideologia del nuovo istituto, il Manicomio, esclusivamente volto
alla cura dei folli (Piccione 1995).
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A.Verga, Cenni storici sugli stabilimenti in Lombardia, in Gazzetta medica di Milano, 1844 p. 343.
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