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INTRODUZIONE
Gli studi sulla popular music sono approdati in Italia almeno dalla prima metà degli
anni Sessanta, eppure sembra che la disciplina musicologica non sia ancora riuscita a
sviluppare un sapere sistematico adeguato, frenata da un‟ideologia e un approccio me-
todologico inapplicabili a un sistema avente codici linguistici e dinamiche sociologiche
diverse dal suo abituale oggetto di studio, ossia la cosiddetta musica “colta”.
Le trasformazioni sociali e l‟innovazione tecnologica, vicendevolmente condiziona-
tesi, hanno determinato negli anni mutazioni epocali che inevitabilmente si sono riper-
cosse sul concetto stesso di musica, e la frattura tra realtà e indagine scientifica ha finito
per diventare una voragine, che oggi rischia di mettere in forse il futuro degli studi mu-
sicologici.
Nel quarantesimo anniversario dell‟esordio discografico di Franco Battiato ho ritenu-
to necessario condurre un‟analisi dettagliata della sua produzione artistica, finalizzata,
oltre che a conferire il giusto valore a una straordinaria carriera capace di raggiungere
eccellenti traguardi in vari ambiti musicali, a dimostrare come anche composizioni e-
splicitamente “popular” siano degne di attenzione scientifica, e come la loro analisi pos-
sa stimolare interessanti spunti di riflessione.
Battiato ha saputo integrare elementi mutuati dalla tradizione colta alle strutture della
popular music, riuscendo a generare un modello di canzone realmente in grado di svin-
colarsi da quel tanto abusato epiteto di “musica leggera”; contemporaneamente il suo
genio creativo è stato capace di visitare i più disparati generi appartenenti alla tradizione
seria propriamente detta, contaminandoli con un nuovo approccio creativo desunto dalle
tecniche di produzione discografica condotte in studio di registrazione.
3
Nel primo capitolo di questo elaborato ho cercato di evidenziare cause e conseguenze
della gravissima falla scaturita dal disinteresse musicologico nei confronti della popular
music, provando a scovare prospettive di integrazione attraverso uno studio dettagliato
sulla canzone, asse di rotazione del mondo della musica “popolare”, e con la proposta di
un metodo analitico non ideologizzato.
Nel secondo ho invece condotto un‟ampia indagine nell‟intera produzione artistica di
Franco Battiato, cercando di evidenziarne i caratteri più importanti e innovativi, e con-
ducendo l‟analisi formale di un gruppo di opere scelte, volta a evidenziarne le peculiari-
tà compositive e i meccanismi fascinativi.
Infine ho integrato la riflessione generale con quella particolare, offrendo le mie per-
sonali conclusioni a proposito delle possibilità e necessità evolutive della disciplina mu-
sicologica.
4
CAPITOLO PRIMO
I.1. Musicologia e Popular Music
A Beethoven e Sinatra preferisco l' insalata,
a Vivaldi l' uva passa che mi dà più calorie.
1
Da sempre le strutture sociali hanno impresso profondamente il proprio profilo sulla
storia della musica, condizionandone le vicende e di conseguenza i canoni evolutivi.
D‟altronde non esiste attività o creazione umana che non sia strettamente connessa alle
dinamiche sociali, ma ciò sembra assumere una dimensione del tutto particolare quando
si tratta di ambiti intimamente legati all‟estetica e dunque connotati da un‟oggettività
solo apparente, giacché arbitraria e figlia di un retaggio culturale.
Il confine che divide la popular music dal resto delle attività musicali è così difficile
da tracciare non solo a causa della falla provocata dal disinteresse scientifico della mu-
sicologia ufficiale, che continua a snobbare un settore a cui dovrebbe invece offrire
priorità assoluta, ma soprattutto dall‟estrema complessità dei fattori che gli ambigui
confini del concetto di musica “popolare” mettono in gioco secondo le dinamiche
dell‟articolazione - concetto che Middleton mutua da Hall e altri teorici che si riallac-
ciano a Gramsci,
2
volto a evidenziare come gli stessi elementi riorganizzati secondo un
diverso assetto diano vita a un fenomeno avente nuove caratteristiche e significati - le
quali non permettono una definizione univoca proprio perché implicano la teorizzazione
1
F. Battiato, Bandiera Bianca, La voce del padrone, 1981.
2
R. Middleton, Studiare la popular music, traduzione italiana, Feltrinelli, Milano, 2009, p. 26.
5
di un movimento perpetuo delle componenti, già decisamente ardue da studiare isolata-
mente a causa della loro natura estremamente eterogenea.
La popular music è quindi difficile da definire in quanto organismo estremamente
complesso e strabordante, in continua evoluzione e dotato di innumerevoli manifesta-
zioni, governato da principi che affondano le radici in ambiti diversi e spesso molto lon-
tani. Questa enorme complessità affiora immediatamente nel tentativo di analizzare le
connotazioni etimologiche del termine generale “popular”; esso ha storicamente assunto
tutta una gamma di significati che vanno dal dispregiativo “volgare”, cioè “della gente
comune”, al semplicistico “favorito”, passando per molteplici coesistenze ed intrecci di
definizioni legate ora a criteri arbitrari, come ad esempio l‟attribuzione della qualità di
musica “inferiore”, ora ad approcci sociologici che individuano la connessione a parti-
colari e limitati contesti sociali o che predicano un‟imposizione governata dal mercato
di massa, insufficienti perché basati su presupposti che da un lato non tengono conto
della mobilità sociale e dall‟altro non considerano che lo sviluppo dei metodi di diffu-
sione di massa (per prima la stampa) ha condizionato tutte le forme artistiche, che di
conseguenza possono essere considerate oggetto di consumo senza alcuna distinzione
sostanziale.
3
E‟ evidente che l‟impossibilità di attingere da un settore scientifico unitario rende
decisamente arduo l‟obiettivo di trovare una definizione soddisfacente, e, allo stesso
tempo, ogni argomentazione che rimanga rinchiusa in un campo specifico è destinata ad
essere categorizzata come insufficiente. Il rischio è che il criterio dell‟esclusione, basato
sulla suddivisione del campo musicale in modo particolare, tenda verso una categoriz-
zazione oltremodo rigida ed essenzialmente inadatta a testimoniare un sistema così am-
pio e variegato. A tal proposito è avvilente constatare come testi che si propongono di
fornire informazioni specifiche e valide sul complesso mondo concernente la popular
music e le sue dinamiche di funzionamento possano proporre una definizione del gene-
re:
Intendiamo indicare con popular music tutte quelle forme musicali di ascolto facile
e disimpegnato, la cui fruibilità non richiede competenze particolari, che prodotte da
3
Ivi, pp.20-21.
6
un settore specifico dell‟industria culturale per essere commercializzate, mediante ap-
positi dispositivi, sul mercato dei beni di consumo,costituiscono parte integrante delle
forme spettacolari proprie dell‟industria culturale nel suo complesso […].
4
Appare evidente che la mancanza di una prospettiva culturale capace di dare il giusto
peso alle trasformazioni sociali, oltre che l‟incapacità di assimilare correttamente il con-
cetto di fruizione artistica, possa sfociare unicamente nella formulazione di congetture
intrise di crassa stupidità. Sarà dunque opportuno rifuggire una teoria volta ad assolutiz-
zare i concetti, tenendo invece ben presente un‟indicazione fondamentale che aiuti ad
individuare l‟area di studio senza porre confini invalicabili:
La “popular music può essere inquadrata opportunamente soltanto come fenomeno
mutevole all‟interno dell‟intero campo musicale; e questo campo, insieme ai suoi rap-
porti interni, non è mai immobile – è sempre in movimento.
5
Una frattura storica da rimarginare
Che la musicologia sia una disciplina che affonda le sue radici in un sistema elitario
ed esclusivo non è un mistero, e di certo ciò ha storicamente rappresentato più un moti-
vo di vanto che una carenza da colmare. D‟altronde è prassi abituale che accanto ad una
determinata realtà artistica si sviluppi parallelamente un sistema teorico che su essa
ponga le fondamenta, e che inevitabilmente sia destinato a tramutarsi in una sua apolo-
gia.
Come ogni disciplina, la musicologia non è storicamente neutra. Essa nasce e cresce
nel contesto specifico della Germania ottocentesca, nutrendosi del repertorio musicale
che proprio in quegli stessi anni si andava codificando; repertorio che eleggerà come
modello di studio e sul quale costruirà l‟idea di tradizione alla quale oggi ci riferiamo
come “classica”, la quale altro non è che il nucleo su cui si iniziava allora a costituire il
fenomeno emergente del concertismo borghese. Ponendo le proprie basi sulla concezio-
4
R. Viscardi, Popular music, dinamiche della musica leggera dalle comunicazioni di massa alla rivolu-
zione digitale, Ellissi, Napoli, 2004, p. 17.
5
R. Middleton, Studiare la popular music, cit., p. 24.
7
ne storico-estetica proposta dall‟idealismo, la neonata musicologia ha cristallizzato una
propria ideologia volta a valorizzare la musica come forma autonoma, trascendente e
con valore cognitivo.
6
Parallelamente la nascita di un nuovo pubblico è stata caratteriz-
zata dall‟assunzione di una prospettiva storica evolutiva, dotata di una Verità verso cui
tendere e implicante la nozione di un canone di “musica valida”.
7
E‟ palese che secondo questi presupposti la disciplina musicologica tradisca prepo-
tentemente la sua definizione di “studio scientifico della musica” volto a “includere tut-
te le possibili analisi su temi musicali” e cioè:
L‟intero corpus di sapere sistematizzato sulla musica, che risulta dall‟applicazione
di metodi scientifici di esplorazione o di ricerca, o di speculazioni filosofiche e siste-
matizzazioni razionali, sui fatti, i processi e gli sviluppi dell‟arte musicale, e sulle re-
lazioni dell‟uomo in generale […] a quell‟arte.
8
Se così fosse, oggi il principale oggetto di studio della musicologia dovrebbe essere
la popular music, ma ciò non si è mai verificato se non in rare eccezioni. La musica
“popolare” è condannata come superficiale, effimera, commerciale e scientificamente
irrilevante, non degna di una seria attenzione. Nelle rare occasioni in cui è ammessa
nell‟olimpo musicologico ne è spinta ai margini o molto più spesso fraintesa e analizza-
ta con strumenti ad essa non adatti. Quest‟atteggiamento ostile non è altro che sintomo
di una frattura storicamente determinata, che dall‟ideologia si è tradotta nella termino-
logia fino a insinuarsi nel cuore della metodologica analitica.
Modellandosi su un repertorio rigidamente regolamentato nella prassi e nelle struttu-
re, la musicologia “mainstream” ha sviluppato una dimensione culturale dogmatica, che
le rende quasi del tutto inaccessibile la comprensione di sistemi funzionanti attraverso
meccanismi differenti. Ciò è palpabile prima di tutto visitandone la sezione terminolo-
gica; se è vero che il linguaggio nasce come strumento umano per dominare la realtà, la
fucina verbale creata nell‟ambito della disciplina musicologica mette bene in risalto
quale tipo di dimensione essa voglia padroneggiare.
6
Ivi, p. 156.
7
Ibid.
8
Voce dell‟Harvard Dictionary of Music, in R. Middleton, Studiare la popular music, cit., p. 151.
8
Il vocabolario musicologico è stato modellato secondo le necessità della storia di una
musica particolare, dunque privilegiando certe aree a discapito di altre considerate di
minor interesse. Se esiste una terminologia dettagliatissima per classificare ed analizza-
re i procedimenti armonici e tonali, certi tipi di forme convenzionali e di scrittura delle
parti, tutta un‟area che comprende parametri sonori fondamentali è rimasta lessicalmen-
te povera e priva di strumenti connotativi. Non a caso questa carenza viene spesso col-
mata attraverso l‟uso di parole mutuate da altre aree semantiche, come ad esempio
quando un ritmo è considerato “martellante”, o un timbro più o meno “caldo”.
Contestualmente a questa disparità nel valutare i parametri musicali, è da evidenziare
anche la forte pregnanza ideologica del lessico correntemente usato, che si basa su un
preciso modo di costruire lo spazio sonoro, secondo regole spesso illegittime all‟interno
di sistemi musicali diversi. Molti dei termini facenti parte della fucina verbale musico-
logica sono ideologizzati perché sottintendono una concezione selettiva, spesso incon-
scia, di cosa sia la musica, e se applicate ad altri contesti tali parole non possono che
creare incomprensione. Nella popular music ad esempio è frequente che le concatena-
zioni accordali perdano la convenzionale funzionalità armonica dettata dal concetto eu-
rocolto di tonalità, che i “temi” possano essere usati come cellule autosufficienti senza
alcuna prospettiva di sviluppo o che la scansione ritmica possa diventare elemento di
maggior importanza in una composizione.
Ovviamente su questo disequilibrio terminologico gioca un peso fondamentale il fat-
to che la metodologia musicologica sia basata sulla notazione scritta. Lo sviluppo della
notazione ha modificato le gerarchie tra i sensi coinvolti nella pratica musicale, pro-
muovendo la vista a discapito dell‟udito, e ciò ovviamente ha rappresentato un fardello
dal peso immane nell‟evoluzione della musica colta occidentale, sempre più orientata
verso uno sviluppo dialettico da strutturare (e percepire) sulla carta ancor prima che at-
traverso l‟orecchio. Come sottolinea John Shepherd,
gli sviluppi avvenuti dopo il rinascimento sarebbero stati impossibili senza la notazio-
ne musicale e la conseguente propensione verso costruzioni estese e organizzate visi-
vamente, l‟astrazione del suono attraverso il simbolo, la coordinazione di molteplici
voci ed eventi, e le strutture e progressioni armoniche “spazializzate”.
9
9
Citato in R. Middleton, Studiare la popular music, cit., p. 114.
9
Il tipico corpus musicologico è in forma scritta, naturale risultato delle pressioni e
delle pratiche indotte dall‟uso della scrittura musicale. Di conseguenza è normale che la
metodologia si sia cristallizzata dando maggior importanza ai parametri musicali messi
in risalto dalla notazione e tralasciando o sviluppando enormi difficoltà nel considerare
fenomeni sonori non facilmente rappresentabili dalla scrittura, come movimenti ed al-
tezze non discrete (slides, blue notes, microtoni), ritmi, poliritmie e sfumature ritmiche
irregolari e irrazionali, sfumature di abbellimento, accento, articolazione e specificità di
timbro, per non parlare di tutte le tecniche sviluppatesi nella fase di postproduzione gra-
zie ai nuovi mezzi messi a disposizione dalla tecnologia. Il sound, il timbro strumentale,
è sempre stato considerato come un elemento ornamentale piuttosto che strutturale.
10
Non solo, ma il disagio musicologico è estendibile ad un elemento fondamentale come
la melodia, a proposito della quale non è mai stato sviluppato un sapere metodico e si-
stematico come per l‟armonia, per il contrappunto o per la costruzione formale. Tale di-
sagio è talmente imbarazzante da apparire palesemente anche nelle comuni definizioni,
sempre imprecise, insufficienti o inadatte.
11
La preponderanza della notazione comporta anche un altro problema dal peso non
secondario e cioè la tendenza a incoraggiare la reificazione cartacea: la partitura diventa
“La Musica”, e ciò inevitabilmente mortifica gli essenziali fattori messi in gioco da in-
terpretazione e contesto esecutivo. L‟aspetto pratico viene congelato in un simbolo, e
ciò influisce non poco anche sulle attitudini fruitive, che, condizionate da un modus
operandi standardizzato, finiscono per spingere la mente a privilegiare nell‟ascolto que-
gli stessi parametri sonori messi in risalto dal pentagramma.
La nascita negli anni di nuove branche complementari alla disciplina musicologica
non è sembrato risultare una soluzione soddisfacente al problema dell‟esclusività meto-
dologica, quanto piuttosto un tentativo di esportare quello stesso dogmatismo oltre i
confini attribuitigli storicamente. Le innovative prospettive teoriche apportate da musi-
cologia sistematica ed etnomusicologia appaiono ben lontane da un‟assimilazione ve-
ramente profonda e piuttosto si presentano come livelli accessori, spesso più utili ad ag-
10
F. Fabbri, Il suono di chi? Popular music e tecnologia, in Il suono in cui viviamo, il Saggiatore, Milano,
2008, p. 278.
11
G. Stefani, La Melodia: una prospettiva popolare, «Musica/Realtà», n. 17, 1985, pp. 105-124.
10
giungere quel pizzico di suggestione esotica piuttosto che intersecarsi con le prassi ana-
litiche già consolidate.
Ciò nonostante i progressi attribuibili alla presa di coscienza del relativismo culturale
- concetto che non può essere relegato esclusivamente al confronto tra civiltà diverse e
lontanissime, ma che per essere veramente efficace dev‟essere applicato soprattutto ai
livelli culturali sovrapposti all‟interno di uno stesso contenitore sociale - hanno giocato
un ruolo importante nel minare quella spocchia scientifica ormai caratteristica
dell‟impostazione musicologica classica, permettendo di fatto una maggior plasticità di
pensiero che oggi risulterà essenziale nel tentativo di estendere la sfera di competenza
della disciplina alla popular music.
Troppi decenni di miopia hanno contribuito a sommergere una fetta enorme di realtà,
e il rischio è quello di restarne annegati, non potendo più contare su scialuppe di salva-
taggio integre ed utilizzabili a causa della crisi della musica colta contemporanea. E‟ più
che mai necessaria una vera e propria rivoluzione, che, attraverso la presa di coscienza
dell‟intero panorama musicale esistente e possibile, faccia guadagnare alla musicologia
quella duttilità necessaria al confronto con posizioni ad essa antitetiche, permettendole
di sviluppare nuovi strumenti analitici appropriati.
Questo passo sarà però attuabile solo dopo aver deideologizzato le strutture musico-
logiche, che poggiano ancora oggi le proprie fondamenta sul terreno offerto da un certo
tipo di concezione sociologica, anche se ormai universalmente valicato. Bisognerà dun-
que illuminare di nuova luce il concetto di popular music prima di provare a rigenerare
la prassi metodologica e renderla veramente utile al suo scopo culturale.
Deideologizzare la musicologia
Nel tentativo di liberare la popular music dalla cattiva fama ingiustamente attribuita-
le, non si può evitare di affrontare quello scoglio rappresentato dalla costruzione teorica
di T. W. Adorno. La sua critica è spesso oltremodo arrogante e sembra in più di
un‟occasione rivelarsi pretestuosa, ma l‟impianto è fondato su un‟elaborazione solida e
11
sicuramente basata su elementi veritieri, tanto che ancora oggi è universalmente insita
nelle nostre coscienze la differenza tra una “musica superiore” e una “inferiore”.
Secondo l‟assunto adorniano la dicotomia tra musica colta e leggera sarebbe dovuta
principalmente ad un opposto atteggiamento nei confronti dello status quo sociale:
l‟avanguardia lo osteggerebbe, facendosi testimone di quella tradizione artistica basata
sull‟autonomia e l‟individualizzazione che, al prezzo dell‟inasprimento formale e del
quasi totale isolamento, la renderebbe unico e ultimo baluardo nella lotta contro le logi-
che di mercato, espressione di una società in degenerazione.
12
La popular music vice-
versa ne sarebbe assuefatta, divenendone strumento efficace attraverso la standardizza-
zione, stratagemma capace di creare una “pseudoindividualizzazione” mirata a seppelli-
re l‟autonomia e il giudizio personale per creare un modello di ascoltatore
ammaestrato dal sistema generale della musica leggera a una passività che poi proba-
bilmente si trasferisce anche al suo modo di pensare e ai suoi comportamenti sociali.
13
Presumibilmente, un problema individuabile a prima vista nell‟argomentazione di
Adorno è l‟aver fatto dell‟evidenza empirica una teoria totalizzante, trasformando la
tendenza strutturale in assolutezza. Perciò, pur riconoscendo la potenziale indipendenza
degli individui all‟interno della macchina commerciale, egli non riesce a tenere aperto
un solo spiraglio, asserendo che la premessa utopica, marchio dell‟autonomia dell‟arte
superiore, è rilevante nella popular music solo in quanto ne è assente, perché in questo
campo la forma è un riflesso reificato delle strutture sociali manipolatrici.
14
Inoltre il concetto di standardizzazione che creerebbe una “falsa individualizzazione”
è basato su quella stessa monolitica concezione della musica come variazione continua,
del quale il tanto osannato metodo di composizione dodecafonica è figlio, secondo cui
la ripetizione strutturale e quella fonetica rappresenterebbero un “regresso nell‟ascolto”.
Un vero e proprio pregiudizio, che partendo dalla sovrastruttura sociale ideologizza un
modello formale, o semplicemente una tendenza compositiva, demonizzandolo e attri-
12
T. W. Adorno, Introduzione alla sociologia della musica, Einaudi, Torino, 2002, pp. 38-41.
13
Ivi, p. 37.
14
Ivi, p. 32.
12
buendo alla sua essenza qualcosa che assolutamente non può far parte a priori delle sue
caratteristiche, perché non immanente alla sostanza musicale.
Il pensiero di Adorno è stato sicuramente un tassello cruciale nella riflessione musi-
cale di tutti i tempi, e continua a rappresentare ancora oggi un baluardo per chiunque
decida di approcciarsi al mondo della speculazione estetica, ma ha pagato lo svantaggio
di essere stato partorito in un periodo di transizione tra le galoppanti innovazioni tecni-
che e sociali che presto si sarebbero cristallizzate nell‟attuale evoluzione contemporanea
- in verità anch‟essa sempre in costante movimento - e la rigida mentalità conservatrice
ereditata da un secolo già terminato diversi decenni prima, ma capace di estendere anco-
ra a lungo la sua influenza perché culmine di un processo sviluppatosi nel corso di quasi
un millennio.
Gli anni seguenti hanno sfornato diverse revisioni del pensiero adorniano, proponen-
do sistemi concettuali più moderati e aperti alla trasformazione, ottenuti
dall‟arricchimento dei suoi spunti con una più attenta considerazione delle dinamiche
sociali in connessione ai cambiamenti apportati dall‟avvento della tecnologia nel mondo
artistico, che ne hanno determinato la globalizzazione.
Primo tra tutti, Walter Benjamin ha elaborato negli stessi anni di Adorno un sistema
concettuale molto più elastico, illuminato dalla diametralmente opposta valutazione dei
mezzi tecnologici come elemento capace di democratizzare l‟arte, oltre che stimolarne
nuove forme che da essi avrebbero tratto linfa vitale.
15
La sua riflessione considera ap-
pieno l‟importanza che i nuovi atteggiamenti percettivi scaturiti dall‟avvento della tec-
nologia hanno esercitato sulle attitudini fruitive, cogliendo inoltre un ulteriore spunto di
fondamentale importanza: l‟approccio benjaminiano prende atto della possibilità di re-
investire elementi mutuati da altri contesti in nuove forme espressive, che automatica-
mente li reinterpretano connotandoli di nuova funzionalità.
16
L‟innovazione tecnica i-
noltre rivoluziona la prassi creativa, offrendo nuovi strumenti di capitale importanza per
la gestazione di un linguaggio che sia realmente scollegato dal passato.
15
Citato in R. Middleton, Studiare la popular music, cit., p. 100.
16
Ivi, p. 102.