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INTRODUZIONE
Il Monastero dei PP. Benedettini: chi non ha mai sentito
parlare di questo insigne monumento della città di Catania? La
sua storia si perde nella notte dei tempi; di certo la venuta dei
monaci benedettini in Sicilia è molto antica: il primo monastero
di cui si fa cenno nelle fonti è quello di S. Vito, posto alle falde
dell’Etna, ma se ne ignora l’anno di fondazione
1
.
Nel 1091 alcuni monaci benedettini furono chiamati dal
monastero di S. Eufemia in Calabria dal vescovo catanese
Ansgerio I. Nel 1136 Enrico conte di Policastro donò a questi
monaci la chiesuola di S. Leone, dove quei cenobiti
conducevano la vita dettata dalla Regola: lavoravano la terra
sabbiosa, trasformando in ameni giardini quelle boscaglie
inospitali. Nel 1150 poi costoro ebbero concessa da Simone
figlio di Enrico la chiesa di S. Nicolò quae dicitur de Arena
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, più
giù di quella di S. Leone, con vigneti, pascoli e terre vicine.
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Per questi pochi cenni sulla storia del monastero sono stati utilizzati i testi di F. Di Paola
Bertucci, M. Gaudioso, C. Naselli e G. Giarrizzo (vedi bibliografia).
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San Nicolò l’Arena: secondo una tradizione volgare, il Monastero porta tale appellativo
perché sorto in un luogo sabbioso (arena vulcanica).
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Il Monastero ha subìto in varie epoche e circostanze non
poche modificazioni in seguito soprattutto ad eruzioni dell’Etna,
terremoti, ecc., fino alla partenza definitiva dei monaci, il 25
ottobre 1866, in seguito alle leggi eversive del patrimonio
ecclesiastico.
I monaci vissuti nel Monastero appartenevano a cospicue e
nobili famiglie: i benedettini di Catania ammettevano al
noviziato soltanto i giovani delle più illustri famiglie. Fu questa
la ragione prima del continuo e crescente aumento di donazioni,
che provenivano da ogni parte al Monastero e ne fecero una delle
case più doviziose d’Italia. Ma la sua importanza non si ferma
solo alle sue ricchezze d’ordine materiale: esso infatti esercitò
un’azione notevole anche nel campo della cultura; fu una vena
inesausta di fervida attività spirituale che, sgorgando limpida fra
le lave dell’Etna, si allargò sempre più abbeverando di sé
generazioni su generazioni.
Nel gennaio del 1693, dalle rovine del monastero, distrutto
da un terribile terremoto, si salvarono alcuni codici antichi e i
diplomi, i quali, insieme con le sacre reliquie e il SS.
Sacramento, furono raccolti e portati in un luogo sicuro da alcuni
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monaci. La biblioteca benedettina, annota l’abate Vito Maria
Amico, era dotata di innumerevoli libri e di vecchissimi
manoscritti, dei quali “sane maximam partem inter terremotus
ruinas anno 1693 periisse dolemus”.
Con la gloriosa ricostruzione del Monastero, rinacque la
biblioteca. Numerosi furono gli abati e i monaci che, desiderosi
di acquistare libri, aumentarono notevolmente il numero dei
volumi posseduti dalla biblioteca, arricchendola di preziose
raccolte di manoscritti, codici miniati, incunaboli, fino a
riportarla all’antico splendore e oltre. Amore per gli studi,
munificenza di abati e di frati, acquisti senza limitazione di
spesa, adunarono attraverso i secoli in questo tempio del sapere
tesori di letteratura, di scienza, di storia ecclesiastica e civile. Si
tratta di un patrimonio, non meno prezioso dei feudi e delle terre,
che i vari monaci difesero, colpendo addirittura con la scomunica
tutti coloro che osassero asportare furtivamente libri dalla
biblioteca o in qualche modo li danneggiassero. S. Nicolò
l’Arena fu dunque ospizio di pace e di preghiera, ma nello stesso
tempo palestra di intelletti assetati di sapere.
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Risalendo il corso dei secoli, in ognuno di essi troviamo
figure di monaci benedettini, che si sono distinti in S. Nicolò
l’Arena per il contributo dato alle lettere e alle scienze sacre e
profane. La lista di tali frati è sicuramente cospicua, ma io mi
limiterò a citarne solo alcuni: padre Placido M.
a
Scammacca,
padre Federico della Valle Da Nicosia, padre Nicolò Maria
Tedeschi, padre Vito M.
a
Amico, padre Giovanni Andrea Paternò
Castello, padre Luigi Corvaja, padre Gregorio Barnaba la Via,
padre Francesco Tornabene, padre Vincenzo M.
a
Tedeschi, padre
Nicolò M.
a
Riccioli e per ultimo padre Luigi della Marra, il quale
fu presente alla presa di possesso del Monastero da parte del
rappresentante del governo italiano, nel febbraio del 1867.
Gran parte dei monaci non posero confini alle loro indagini
e parecchi mostrarono felici attitudini nei campi più diversi,
come l’Abate Amico, che fu sommo fra tutti. La loro attività non
fu quella solitaria dei reclusi nel chiostro, che amavano
accumulare tesori entro mura inaccessibili. Spiriti pronti ed
aperti, essi sapevano di poter compiere una missione in campo
più vasto e vi si dedicavano con piena consapevolezza di mezzi.
Vincenzo Maria Tedeschi affermò non senza ragione che se
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l’ordine benedettino non fosse esistito “litterae aut nullae, aut
paucissimae, nunc exstarent.” Per cura di Nicolò M.
a
Riccioli,
teologo e cattedratico dell’ateneo di Catania, si costruì un nuovo
grande ambiente per la biblioteca, che ha sulla porta d’ingresso
la data: 1733. Si tratta dell’attuale “sala Vaccarini”, ricca del
colore della decorazione pittorica, del pavimento in ceramica e
delle grandi e ornate scaffalature lignee. Altre cinque sale di
varia grandezza, comunicanti fra loro, furono destinate al museo,
creato da Vito M.
a
Amico e da Placido M.
a
Scammacca.
La biblioteca, in origine conventuale, divenne comunale nel
1869, per effetto della legge 7 Luglio 1866 di soppressione delle
corporazioni religiose. La biblioteca comunale rimase però a
lungo abbandonata e fu invasa dalle termiti
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, le quali vi fecero
strage di libri e danneggiarono gravemente gli stessi scaffali. In
tutti quegli anni per la biblioteca, divenuta comunale, si
registrarono vicende di abbandono
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, nonostante i ripetuti
richiami del Ministero della Pubblica Istruzione. Si registrarono,
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Così si legge sul Giornale dell’Isola 8 Luglio 1927.
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In una seduta del Consiglio Comunale, durante un’accesa discussione era prevalsa la tesi
che ”per una biblioteca, la quale non può essere visitata che dagli stranieri e da qualche
scienziato e antiquario” non si doveva “gravare inutilmente di un onere il bilancio
comunale”.
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però, anche fatiche di volenterosi, nobili tentativi, lucide
testimonianze. Nelle cure della biblioteca si succedettero: il
dotto canonico Giuseppe Coco Zanghì, il can. Francesco
Fisichella e Federico de Roberto, “bibliotecario onorario”.
Intanto le cospicue librerie delle disciolte corporazioni
religiose (francescani di Santa Maria della Speranza, di Santa
Maria di Gesù, di San Francesco d’Assisi, del “convento
vecchio”, carmelitani del convento “imperiale” della SS.
Annunziata e di Santa Maria dell’Indirizzo, domenicani di Santa
Maria la Grande e di Santa Caterina da Siena, agostiniani,
minoriti, chierici regolari minori, eccetera) erano state aggiunte
alla libreria benedettina, ma gli spazi erano sin d’allora
insufficienti e i libri furono trasportati da un locale all’altro e
accatastati. Le lamentele continuavano a ripetersi e si facevano
sempre più insistenti; si pensava che non era possibile ricavare
alcun guadagno dalla biblioteca e si proponeva di passarne la
gestione alla Biblioteca Universitaria.
Nel 1914 la biblioteca di Mario Rapisardi fu trasferita nei
locali del Monastero e aggiunta a quella benedettina (che per
qualche tempo prese il nome di “Mario Rapisardi”), con i
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manoscritti, i carteggi, i mobili, i quadri e i ricordi che erano
nello studio del poeta.
Lunghi e ricorrenti erano i periodi in cui la biblioteca
tornava a restare chiusa, patrimonio “inutile ed inoperoso”. Non
ebbe seguito la proposta, avanzata dalla facoltà di Lettere e
Filosofia dell’Università, di assumere per sé la direzione sia del
museo sia della biblioteca.
Nel 1925 moriva il barone Antonino Ursino Recupero, il
quale, nel suo testamento, espresse la volontà di lasciare la sua
imponente libreria (l’unica raccolta quasi completa di
bibliografia catanese), con lo stabile che la conteneva e una
donazione in denaro, al Comune. Le due biblioteche - costituite
in ente morale con regio decreto del 1931- si riunivano di fatto,
con il trasferimento della biblioteca Ursino Recupero nei locali
dell’ex Monastero, sulla fine del 1933. Nel 1934 si inaugurarono
gli imponenti lavori di restauro degli ambienti, quasi per
miracolo celermente attuati e iniziò poi la sistemazione delle
diverse raccolte. La biblioteca venne affidata alle cure di Orazio
Viola, cui, un anno dopo la morte, nel 1951, succedette Filippo
Di Benedetto (fino al 1956); dal 1957 si occupò della biblioteca,
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per breve tempo, Elvira Ursino e poi dal 1968 ne assunse, fino ad
oggi, la direzione Maria Salmeri.
La biblioteca si è nel tempo arricchita di pregevoli raccolte
librarie e documentarie; l’incremento del patrimonio
bibliografico della biblioteca è orientato ad una sempre più
ampia e completa specializzazione nelle opere di interesse
siciliano e catanese in particolare, con l’intento di colmare le
lacune esistenti e arricchire la documentazione del presente.
Il patrimonio librario e documentario della biblioteca è
costituito di circa 165.000 volumi, opuscoli e fogli volanti a
stampa; 132 incunaboli, dei quali il più antico è l’editio princeps
dei Commentarii di Cesare, stampato a Roma nel 1469;oltre
4.000 cinquecentine; più di 2.000 periodici estinti e in corso;
oltre 1.000 pergamene del fondo diplomatico benedettino; circa
4.300 lettere; oltre 2.000 manoscritti e documenti sciolti.
La biblioteca non è più “preda prediletta dei topi del
quartiere dei Benedettini”, ma è sempre dolorosamente precario
lo stato di manutenzione dei locali (tra i più belli del maturo
settecento catanese), i quali fra l’altro non bastano più: la
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biblioteca è ormai priva di spazio, è come un organismo vitale
cui è impedito di guardare al suo normale accrescimento.
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CAPITOLO I
a) Le edizioni secondo l’anno di pubblicazione
(1515-1757)
SCHEDA N° 1
• AUTORE:
PTOLEMAEUS L. C. ALEXANDRINUS
• TITOLO DELL’OPERA:
ALMAGESTUS L. C. PTOLOMEI
• LUOGO E ANNO DI PUBBLICAZIONE:
VENETIIS, 1515 (die 10. Januar )
• STAMPATORE:
APUD PETRUM LIECHTENSTEIN
• NUMERO DI PAGINE:
152 num. (recto/verso) e 2 non num. col frontespizio
e l’indice.
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• DIMENSIONI:
cm. 29,5x20,5x4
• CONDIZIONE:
Esemplare in ottimo stato di conservazione, ma il
margine superiore è rifilato moltissimo.
• SEGNATURA:
CIV. CINQ. 21. C. 10
• NOTE PARTICOLARI:
Bellissima edizione in caratteri semigotici con
alcune abbreviazioni. Lettere iniziali e capitali
grandissime, talvolta con fregi o figurine;
capolettere in carattere maiuscolo e segni di
paragrafo. Le prime parole di ciascun capitolo ed
anche di ciascuna suddivisione sono in caratteri
grossi e marcati. Figure geometriche nei margini
larghissimi e tavole matematiche nel testo. Alla fine
tre globi terrestri sono collocati in uno stemma. Alla
carta numerata 78 è una nota manoscritta in latino.
Nel frontespizio si legge: Deputatus Biblioteca
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Comuni . Est Monasterij S. Nicolai de Arenis
Catania Congregationis Cassinensis in Sicilia ut
non amoveatur sub poena excomunicationis papalis
lata sententia ut in brevi apostolico.
• SINTETICA DESCRIZIONE DEL CONTENUTO:
-DICTIONES XIII (da pag. 1 a pag. 152)
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SCHEDA N° 2
• AUTORE:
IOANNES CHRYSOSTOMUS
• TITOLO DELL’OPERA:
DIVI IOANNIS CHRYSOSTOMI
ARCHIEPISCOPI CONSTANTINOPOLITANI
OPERA.
• LUOGO E ANNO DI PUBBLICAZIONE:
BASILEAE, 1530
• STAMPATORE:
APUD HIERONYMUM FROBENIUM ET
IOANNEM HERVAGIUM ET NICOLAUM
EPISCOPIUM.
• VOLUMI:
5 (tomi: 5)
• NUMERO DI PAGINE:
Tomo primo: 590 num. e 83 non num.
Tomo secondo: 599 num.
Tomo terzo: 1026 num.