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Introduzione
Le mani sulla terra
Negli ultimi cinque anni, le notizia del crescente fenomeno delle acquisizioni di
terre su larga scala nei Paesi in Via di Sviluppo ha conquistato il panorama mediatico
internazionale. Complice la crisi dei prezzi agricoli del 2008, una moltitudine di attori
internazionali ha cominciato a guardare di buon occhi la possibilità di investire in
agricoltura: Governi, multinazionali e privati si sono lanciati in una “corsa alla terra”,
comprando o affittando vasti appezzamenti di terreno coltivabile là dove
l’importanza di un ettaro si misura in termini di pochi dollari. Terre che sino a pochi
anni fa non sembravano rivestire alcun interesse sono adesso ricercate in termini di
centinaia di migliaia di ettari a contratto. I Governi di Africa, America Latina ed Asia
sud-orientale, ricchi di terra ma con scarsa liquidità, spalancano le porte agli
investitori internazionali implementando politiche ad hoc e riforme legislative, nella
speranza di attrarre capitali esteri [Cotula, 2009].
Questo contesto in rapida crescita produce sia opportunità che rischi per i
paesi riceventi. Un maggiore livello di investimenti, specialmente se destinati al
settore agricolo ed alle aree rurali, può contribuire ad aumentare sensibilmente gli
standard di vita della popolazione locale, fornendo nuove opportunità di impiego e
guadagni, permettendo il trasferimento tecnologico e lo sviluppo di know-how. D’altro
canto, le acquisizioni su larga scala possono avere gravi conseguenze ambientali e
sociali, in particolare quando comportano l’espropriazione delle comunità locali dalla
terra dalla quale dipendono[Von Braun,2009].
Proprio a causa del possibile impatto negativo sulla sicurezza alimentare della
popolazione colpita, la crescita degli investimenti agricoli internazionali ha creato una
forte opposizione da parte della società civile e di numerose ONG, suscitando accuse
di neocolonialismo e “furto” di terra. Il termine “land grabbing” -letteralmente
“accaparramento di terra”- sta ad indicare la pratica dell’acquisizione da parte di
attori privati o di Governi di vaste zone coltivabili (superiori ai 10 mila ettari) in altri
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paesi per produrre beni destinati all’esportazione, mediante contratti di
compravendita o affitto a lungo termine. Secondo la definizione coniata da
International Land Coalition, una ONG che si occupa di diritti sulla terra, perché
un’acquisizione sia considerata un atto di land grabbing deve essere effettuata [Perfetti,
2011]:
violando i diritti umani, in particolare i diritti delle donne;
ignorando il principio del consenso libero, preventivo e informato
delle comunità che utilizzano quella terra, in particolare dei popoli
indigeni;
ignorando l’impatto sociale, economico e ambientale derivante
dall’accordo, e l’impatto sulle relazioni di genere;
evitando la conclusione di contratti trasparenti, contenenti impegni
chiari e vincolanti sugli impieghi e sulla ripartizione dei benefici;
evitando la partecipazione democratica, il controllo indipendente e la
partecipazione informata delle comunità che utilizzano la terra.
Dalla precisa classificazione di cui sopra, risulta che non è possibile ricondurre
a “land grabbing” qualsiasi tipologia di investimento agricolo. Ad ogni modo, per
motivi di imparzialità tale termine non verrà utilizzato nella trattazione che segue: il
fenomeno degli investimenti agricoli internazionali presenta molteplici sfaccettature e
mal si adatta ad “etichette” o definizioni semplicistiche.
Metodologia ed articolazione
Questo lavoro nasce dall’intenzione di fornire una panoramica, certamente non
esaustiva, del vasto e complesso fenomeno degli investimenti agricoli internazionali. I
fatti ed i dati riportati sono stati attinti dalle più autorevoli e recenti fonti
internazionali, in primis dalle analisi effettuate da organizzazioni internazionali quali
la World Bank, la Food and Agriculture Organisation (FAO) ed altre agenzie delle Nazioni
Unite (UN)- inclusi i report elaborati in occasione del Global Forum on Food Security e
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dall’ High Level Panel of Experts on Food Security and Nutrition (HLPE). I dati ottenuti
sono stati confrontati e combinati con quanto riportato da studi provenienti da enti
nazionali, ONG -in particolare International Land Coalition (ILC) e GRAIN- e dal
settore privato, al fine di esaminare il fenomeno da molteplici punti di vista
mantenendo al contempo la dovuta imparzialità.
Data la vastità dell’ambito oggetto di trattazione, è stato necessario restringere
il campo di osservazione ad una specifica tipologia di investimenti agricoli, ossia
quelli destinati al campo bioenergetico e finalizzati all’acquisizione di terreni
coltivabili per la produzione di biocarburanti. In un mondo in cui le riserve di risorse
fossili continuano ad assottigliarsi e la dipendenza da petrolio incatena ancora molti
settori economici, la possibilità di usufruire di fonti energetiche alternative al petrolio
si sta trasformando per molti paesi in una necessità impellente. La produzione e
l’utilizzo di biocarburanti si prospettano come una possibile risposta a tale bisogno,
risposta dalla quale però possono scaturire sia opportunità che rischi.
A livello tematico, il lavoro si articola in tre aree concentriche, a ciascuna delle
quali corrisponde un capitolo. In primo luogo analizzeremo, in linea generale, il
fenomeno degli investimenti esteri agricoli. A tal fine tenteremo per prima cosa di
fornire un quadro economico e geografico della situazione odierna, soffermandoci
sulla scala dimensionale del fenomeno e sulla provenienza e la tipologia di attori
coinvolti-sia investitori che riceventi. Passeremo successivamente in rassegna le
principali motivazioni che spingono gli investimenti agricoli internazionali, per poi
soffermarci sulle modalità e gli aspetti “burocratici” delle acquisizioni di terra.
Nel secondo capitolo ci concentreremo in particolare sul legame che intercorre
tra investimenti agricoli esteri e biocarburanti. Dopo una concisa introduzione
terminologica, esamineremo le peculiarità del bioetanolo e del biodiesel, i due
biocarburanti liquidi attualmente più diffusi in commercio. Ci soffermeremo
brevemente sugli utilizzi e su alcuni aspetti di filiera (dalle colture destinate, agli attori
coinvolti nella produzione ed alle tecnologie impiegate), ed in maniera più
approfondita invece sui possibili rischi derivanti dalla produzione per il Paese
ricevente gli investimenti.
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L’ultima parte di questo lavoro è dedicata alla presentazione di alcuni casi di
studio concernenti la coltivazione della Jatropha Curcas ,una coltura energetica
utilizzata per la produzione di biodiesel, in Tanzania. I progetti in esame sono
accomunati dal fatto di essere tutti frutto di investimenti di compagnie europee, ma
differiscono tra di loro per la modalità di coltivazione adottata e per il relativo
impatto –economico, ambientale e sociale- sulla popolazione ed il locale.
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1 Investimenti esteri in terra coltivabile
1. Un fenomeno in crescita
1.1.1 Scala dimensionale del fenomeno
Ad oggi risulta molto difficile fornire una stima completa ed esaustiva della
scala degli investimenti agricoli internazionali finalizzati all’acquisto di terre
coltivabili: la lacunosità delle fonti e la mancanza di trasparenza che caratterizzano i
contratti possono portare a conclusioni discordanti.
Negli ultimi anni le organizzazioni non governative GRAIN [2012] ed
International Land Coalition [2011] hanno raccolto, mediante l’uso di database online,
preziose informazioni sugli investimenti annunciati pubblicamente
1
. Le analisi
quantitative basate su tali inventari hanno portato a conclusioni divergenti, tuttavia
forniscono un quadro generale sulla scala del fenomeno.
Inoltre, se un l’effettiva dimensione del fenomeno rimane circondata da un
alone di incertezza, tutte le fonti concordano sul fatto che la tendenza ad acquisire
terra sia in crescita.
Basandosi sui dati riportati dall’ILC per il periodo 2008-2010, Friis e
Reenberg[2010] hanno stimato che gli investimenti agricoli coinvolgono, nella sola
Africa, una superficie tra i 51 ed i 63 milioni di ettari.
Il report “Rising Global Interest in Farmland” [Deininger et al. 2011], edito dalla
World Bank nel settembre 2010, è considerato una delle stime più attendibili della
scala del fenomeno. Gli autori si sono basati sui dati riportati sul blog di GRAIN.
Dallo studio emerge che, con riferimento al periodo compreso tra ottobre 2008 ed
agosto 2009, sono state dichiarate 464 acquisizioni, per un’estensione totale di 46,6
milioni di ettari. Di queste, tuttavia, solamente 203 riportavano indicazioni
1
si vedano i siti http://www.commercialpressureonland.org/ e http://farmalndgrab.org/
[consultati in data 16 Luglio 2012]
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31%
6% 17%
4%
14%
7%
16%
5%
colture alimentari
biocarburanti
colture commerciali
allevamento, silvicoltura
Le zone tratteggiate rappresentano la percentuale dei progetti
avviati, ma non produttivi (dati aggiornati fino a settembre
sull’estensione della terra in oggetto, il che fa suppore che la reale estensione delle
acquisizioni sia ben maggiore. Inoltre, benché lo studio prendesse in esame un target
di 81 paesi, i due terzi delle terre acquisite risultavano ubicate in Africa sub-sahariana.
L’estensione dei lotti, il tipo di coltura e la natura degli investimenti coinvolti
variavano notevolmente da acquisizione ad acquisizione: i contratti esaminati dal
suddetto hanno riguardato lotti di terre con estensioni medie pari a 40.000 ha, per un
quarto superiori a 200.000 ha e per un quarto al di sotto dei 10.000 ha. Il 37% dei
progetti era dedicato alla produzione di colture alimentari, il 21% a colture
commerciali finalizzate all’esportazione ed il 21% alla produzione di biocarburanti. Il
rimanente 21% era destinato, in proporzione variabile, ad allevamento e silvicoltura.
Dal report emerge inoltre una sostanziale discontinuità tra l’acquisizione dei
terreni e l’implementazione dei progetti ad essi destinati: ad agosto 2009, solamente
una percentuale esigua dei progetti risultava avviata. Infatti il 30% di questi era
ancora in fase esplorativa, il 18% era stato approvato ma non era ancora partito, più
del 30% era ad uno stadio iniziale e solamente per il 21% dei progetti la coltivazione
era già iniziata( fig.1.1).
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Figura 1.1 Percentuale di progetti per settore e stato di implementazione
2
Per un’analisi più approfondita dei dati raccolti si rimanda a Deininger et al. [2010]