C CO ON NT TE ES ST TO O: : P Pr ro of fi il lo o G Ge eo og gr ra af fi ic co o
3 3
1.1. PROFILO GEOGRAFICO
1.1.1. COLLI BERICI
Il sito su cui è sorta e si è sviluppata la città di Lonigo ha un importante ruolo per lo
sviluppo della stessa: ci si trova nelle propaggini sud occidentali dei Colli Berici, con
parte di terreno collinare che,in tempi antichi,offriva l’opportunità di ripararsi dalle
scorrerie di barbari e nemici;inoltre, vi era la presenza di un fiume allora navigabile
che scorreva fino al mare Adriatico nonché di una vasta area di campagna solcata da
numerosi rii e ricca di sorgive.
I Colli Berici formano infatti, un sistema collinare compatto lungo circa 13 chilometri,
distinto dalla catena Alpina e dagli Euganei. Hanno la forma di un parallelogramma di
quasi 200 chilometri quadrati, con asse maggiore orientato sudest-nordovest. Il
gruppo collinare è molto frastagliato nella parte settentrionale mentre è più regolare
a sud, verso la bassa pianura.
La morfologia è fortemente condizionata dalla situazione litostratigrafica, che
comprende un complesso calcareo-marnoso molto erodibile ed estesamente
affiorante nel settore occidentale,oltre a un complesso calcareo a volte massiccio,
che costituisce buona parte del settore orientale.
Il profilo è relativamente uniforme, con pendii dolci e altitudini modeste (raramente si
superano i 400 metri sul livello del mare). Sorti dall’antico golfo Adriatico, prima dei
Colli Euganei e subito dopo le Prealpi, di cui costituiscono la naturale prosecuzione
geologica, presentano un’ossatura fondamentalmente calcarea, analoga a quella
delle Prealpi, dalle quali si diversificano la pietra tenera di Costozza, già nota ai
Romani e ancor oggi oggetto di estrazioni, e la scaglia, calcare marnoso comune
anche a certe zone degli Euganei. La componente calcarea è predominante e da qui
ha origine il profondo carsismo. Inoltre, i Berici, pur incisi da valli relativamente
larghe, hanno corsi d’acqua insignificanti che prendono una certa forma e continuità
solo alla base dei rilievi, più sotto forma di sorgenti che di veri e propri percorsi
d’acqua.
Oltre alle doline
1
, sono frequenti le grotte naturali, di notevole importanza perché,nei
secoli,hanno ospitato popolamenti umani, grazie anche alla loro collocazione in
situazioni climaticamente favorevoli.
1
Doline:depressioni del territorio a forma di imbuto, caratteristiche delle regioni carsiche.
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4 4
Oggi i colli mostrano una copertura vegetativa boscosa sui rilievi, con boschi
rigogliosi nelle situazioni più umide e boscaglie e macchie rade nei luoghi più caldi e
aridi. In tutte queste situazioni è intervenuto l’uomo per ricavare spazi per
l’agricoltura; l’utilizzazione e il successivo abbandono hanno però portato a situazioni
di degrado. Nelle zone circostanti i rilievi, rimangono i resti delle paludi e delle zone
lacustri oltre alle campagne bonificate e ampiamente coltivate.
Tre sono i tipi fondamentali di bosco che ricoprono i Berici, legati a particolari
situazioni microclimatiche ambientali:
- boschi e boscaglie termoxerofile
2
, caratteristici delle zone a solatio, in genere a
substrato roccioso superficiale calcareo e spesso affiorante, soprattutto sui
versanti meridionali e, quindi, inerenti all’oggetto di studio;
- boschi mesofili
3
nella fascia collinare delle Prealpi, in cui oggi domina
l’urbanizzazione;
- boschi moderatamente microtermi
4
,caratteristici dei canaloni umidi, degli impluvi e
dei versanti esposti a nord e di alcuni punti più alti della catena montuosa.
Le specie arboree e arbustive più frequenti della parte meridionale di cui si tratta in
tale elaborato sono la roverella, lo scotano, il terebinto, il paliuro, i pruni, le rose
selvatiche e, meno frequenti, cerro e carpino nero. A queste si accompagnano
numerose varietà erbacee xerofile. Un tempo, nelle aree in cui oggi si riscontra tale
vegetazione, si praticava la coltura dell’olivo, oggi sostituita dalla vite (tanto che tutta
l’area di Lonigo è DOC) mentre, nelle zone meno facilmente lavorabili
meccanicamente, si è riformata la vegetazione arborea ed arbustiva.
D’Agnolo Vallano
5
riporta una descrizione del territorio risalente al1449: «tutto il piano
era bene coltivato, anche a quei tempi, a cereali; soltanto pochi campi erano a
boscaglia, in terreno paludoso verso Almisano; pure buona parte del monte era
coltivata a viti ed ulivi. Il valore dei campi a quell’epoca era bassissimo».
2
Termoxerofile indicano vegetali che hanno sviluppato, congiuntamente, meccanismi di adattamento e
resistenza alle alte temperature e alla carenza idrica.
3
Mesofili significa che la temperatura ottimale di crescita si aggira attorno ai 25-40 °C.
4
Microtermi significa che sono ambienti con temperatura media annua fra 0 e 15 °C.
5
C. D’Agnolo Vallano, Cenni storici su Lonigo - esposti in breve corso di conferenze alla scuola libera
popolare di Lonigo nel 1912, Venezia, Officine Grafiche Vittorio Callegari, 1915.
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5 5
1.1.2. FIUME GUÀ
Il fiume Guà, noto anche come Agno-Guà, scorre nell’omonima valle per circa 25
chilometri raccogliendo gli apporti di torrenti e rii laterali, alcuni dei quali di discreta
portata. Il torrente Agno ha origine dal versante meridionale del monte Obante,
presso il confine fra le province di Vicenza e Trento, ed è alimentato nel suo tronco
iniziale da un complesso di torrenti che scendono tutto intorno alla conca di Recoaro.
Qui la pendenza è molto forte ma, una volta uscito dalla Valle dell'Agno, si allarga
nella pianura scorrendo su un materasso alluvionale e attraversando centri abitati
quali Trissino, Alte Ceccato e Lonigo; a Lonigo, dopo aver percorso quasi 47 km, il
bacino idrografico misura 260 kmq con elevata percentuale di terreni fortemente
permeabili.
Tale costituzione geologica determina fenomeni di magra prolungata e, per lunghi
tratti, da Cornedo a valle, la completa mancanza di portata nei mesi estivi.
Nella parte planiziale il fiume riceve gli apporti del torrente Restena, del torrente
Arpega e del torrente Togna, dopo la confluenza con l'inquinatissimo rio Acquetta. Il
fiume Guà prende il nome di Frassine quando esce dalla Provincia di Vicenza.
La qualità delle acque è scadente lungo tutto il corso, ed è influenzata da numerosi
scarichi industriali, dai contributi di affluenti che veicolano acque molto inquinate e
dal regime idrico che non favorisce la diluizione ed i fenomeni autodepurativi
6
.
Poco prima di attraversare il centro della città di Lonigo, il Guà viene alimentato dalle
acque del Brendola, dopo aver già ricevuto le acque del torrente Poscola; nonostante
la cattiva qualità delle acque immesse, questo fenomeno garantisce una portata più
costante di quanto si aveva a monte. Più a valle,nella bassa pianura padovana,
numerosi canali di bonifica si uniscono al fiume Guà.
A seguito delle rovinose rotte e agli insufficienti effetti prodotti dalla disconnessione
degli apporti del torrente Chiampo con la sua diversione in Adige, a partire dalla fine
del Settecento, per tutto l’Ottocento, fino al 1920, il fiume Agno-Guà è stato oggetto
di approfonditi studi e progetti di sistemazione. L’assiduo sopraelevarsi degli argini
per por rimedio alle continue rotte che causavano ingenti danni ai territori coltivati e
inondazioni ai paesi limitrofi, era ritenuto una soluzione troppo pericolosa fino a
quando venne accolta la proposta di creazione di bacini naturali o artificiali per
trattenere le acque di piena in modo da salvaguardare i tronchi inferiori.
6
Tale descrizione è tratta dal sito istituzionale della provincia di Vicenza.
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6 6
L'area ritenuta idonea venne individuata nel comune di Montebello Vicentino; il
bacino sarebbe stato delimitato fra gli argini del Guà sulla sinistra, quelli del Chiampo
sulla destra e dalla Strada Statale Vicenza-Verona, opportunamente rialzata, a sud.
I lavori per la creazione dell’immenso bacino iniziarono nel settembre del 1926 e
terminarono nel primo semestre del 1927. Il loro collaudo effettivo avvenne durante
la primavera del 1928, quando i fiumi veneti furono interessati da una piena
eccezionale. Per la prima volta, la piena dell'Agno-Guà, nonostante fosse stata
superiore alle precedenti non contenute, grazie al bacino di Montebello non causò
danni di rilievo
7
.
Ma, nella storia della città, le rotte del Guà
8
han sempre creato preoccupazione; dagli
scritti di Mazzadi e di D’Agnolo Vallano ci è giunta notizia di quelle del 1609, del
1882, del 1905, del 1907. Il comune di Cologna Veneta, situato a meno di una decina
di chilometri più a sud lungo il corso del fiume, pose fine al problema sul finire
dell’Ottocento, ponendo il fiume in un nuovo alveo, a levante dell’abitato. A Lonigo la
soluzione arrivò nel 1914 quando si decise di rettificare il tratto da Sarego a Lonigo;
l’opera venne interrotta dal sopravvento della Prima Grande Guerra e ripresa nel
1919 per terminare nel 1922,coinvolgendo pure la ricostruzione del ponte San
Giovanni, in cemento armato, per consentirne l’attraversamento da parte della linea
tranviaria che collegava Lonigo e il basso veronese alla ferroviaria Milano-Venezia.
Con i lavori si eliminarono le due anse, l’una ad ovest, di fronte a Palazzo Soranzo,
l’altra più a nord,in modo da ottenere un andamento rettilineo dalla confluenza col
Brendola fino al ponte San Giovanni. I lavori comportarono l’abbattimento del
“murazzo”
9
di San Marco e di alcune abitazioni della Contrà de Sora (attuale via
Bonioli) con la divisione delle contrade Ponovo e Gramenosa. Nonostante tutto ciò,
la piena del 1926 fece temere il centro abitato e sommerse ampi territori; il rimedio
definitivo si ebbe con la creazione del bacino di Montebello nel 1928, come sopra
anticipato.
7
La descrizione è tratta da un power-point informativo: La sistemazione dell’area delle rotte del Guà per la
laminazione delle piene, presentato da Gianfranco Battistello nell’anno 2006, col supporto dell’ex Consorzio di
Bonifica Riviera Berica e della Regione Veneto.
8
L’ansa di quel Flumen Novum che girava attorno al castello calmano da nord e da ovest, era l’effetto del corso
naturale del fiume, costretto a deviare a causa dello zoccolo collinare su cui oggi sorge Villa Mugna e il Duomo.
9
Per “murazzo” si intende quello che fu il muro del castello che recingeva la chiesa di San Marco.
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7 7
Se si volesse risalire all’etimologia del Guà si può far riferimento a Mazzadi
10
il quale
sostiene che, in tempi antichi, le acque che scendevano dalle valli del Chiampo e
dell’Alpone confluissero con quelle dell’Aldegà, proveniente dalle colline di
Montebello e Gambellara, in uno stesso alveo poco più a sud di Arzignano. Durante
le piene, le acque si sarebbero sparse nei depositi alluvionali della pianura di Lonigo
lasciando divagare alcuni deflussi attraverso diramazione denominate “le gue” che
alimentavano paludi e laghetti e che si possono riconoscere consultando le vecchie
mappe idrografiche venete. Da tale denominazione dovrebbe esser derivato il nome
“Guà” che, etimologicamente, si può pensar corrotto dal nome aqua e aquata, da cui
Agua.
10
Mazzadi Egidio, Lonigo nella storia - parte prima - Dalle origini alla fine del Trecento, Lonigo, Cartografica
Veneta, 1989, p. 597.
Egidio Mazzadi (1906-1998) vicentino, laureato a Padova in Lettere Classiche, si trasferì a Lonigo nel 1934 per
insegnare nella locale scuola media e poi passare alle Superiori. Militante iscritto al Partito d’Azione durante la
Seconda Guerra Mondiale, divenne direttore responsabile del CNL (Comitato Liberazione Nazionale); al termine
del conflitto partecipò attivamente alla vita politica leonicena e alle cariche sociali in qualità di Presidente del
Teatro Comunale e anche di Accademico Corrispondente prima e Ordinario in seguito, per l’Accademia
Olimpica di Vicenza. Verso il 1955 gli venne l’idea di comporre un’opera su Lonigo che occupò il resto della sua
vita. La sua intenzione era quella di comporre una storia documentata con i caratteri di un lavoro organico e
ragionato, come egli precisa nella prefazione dei suoi tre volumi, ricchi di accuratezza e approfondimenti
documentati, frutto di ricerche di materiali storici, per coprire la storia della città relazionata ai fatti nazionali,
dalleorigini a metà del Novecento. Alla presentazione dell’opera, nel marzo 1989, gli vennero consegnate le
insegne di Grande Ufficiale della Repubblica a nome del Presidente della Repubblica.
C CO ON NT TE ES ST TO O: : C Ce en nn ni i S St to or ri ic ci i
8 8
1.2. CENNI STORICI
1.2.1. ORIGINE E FORMAZIONE DELLA CITTÀ
Si ritiene che Lonigo abbia origini romane
11
databili approssimativamente nel
Duecento a.C. quando, dalle grandi vie consolari romane come la Postumia e la
Emilia, e dalle direttrici di fondovalle che percorrevano il territorio
12
, si staccarono
strade vicinali dirette a fattorie e ad appezzamenti privati,i quali formavano una
costellazione di edifici sul territorio, talvolta identificati da edifici pubblici e chiese.
Come si nota
dall’immagine, esisteva
una strada che si
staccava dalla via
Emilia (da Rimini a
Piacenza) e giungeva
nell’area prossima a
Lonigo; in particolare,
da Montagnana toccava
Pressana, quindi
Cologna e Zimella da
cui, costeggiando
l’argine «largo quattro
metri, lastricato a basoli
di trachite degli
Euganei»
13
, giungeva a
Bagnolo, San Tomà,
Santa Marina e Lonigo.
Da qui un ramo si
dirigeva verso Vicenza
11
Mazzadi, Lonigo nella storia - parte prima, cit., p.31.
12
F. Mancuso, A. Mioni, I centri storici del Veneto, Cinisello Balsamo, Amilcare Pizzi SpA, 1979, p.247
e cartina.
13
Mazzadi, Lonigo nella storia - parte prima, cit., p.32.
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9 9
passando per Sarego, Meledo, Brendola e Altavilla; l’altro andava verso San Vettore,
Almisano, Torri di Confine per arrivare sulla Postumia.
Ma da Lonigo partivano altre vie: una di queste, da San Tomà giungeva a Orgiano,
Spessa, Sossano e quindi Belvedere di Toara per unirsi alla via Postumia; l’altra
andava a Madonna, Lobia, Praissola, San Bonifacio, Villanova e quindi sulla via
Postumia; un’altra da Lonigo finiva a Monticello di Fara, Sarego, Montebello e di
nuovo sulla Postumia.
Come è quindi facile intuire, all’incrocio di così tante diramazioni era più probabile
che si creassero delle comunità. Così fu per Lonigo, nodo di scambio dalla Emilia
alla Postumia e sito geograficamente favorevole.
Più avanti, attorno al 31 a.C., Lonigo divenne pure colonia romana e ciò è
testimoniato da resti rinvenuti nei pressi del convento di San Daniele, in zona Preon,
nonché in tutta l’area da Santa Marina a San Tomà, che viene oggi riconosciuta
come origine del vicus
14
romano. Gli insediamenti del Preon, di Santa Marina,
Bagnolo, Casalino, San Vettore e Colombara testimoniano l’esistenza di un
graticolato romano che doveva avere il suo centro in Lonigo il quale, molto
probabilmente ne costituiva l’umbilicus
15
. Lunicus ai tempi romani era un borgo
importante, soggetto al Municipium di Vicenza
16
.
Segue l’epoca delle
invasioni barbariche e
del dominio carolingio
fino alla distruzione
operata dagli Ungari, in
seguito alla quale parte
degli abitanti si stanzia
in Bagnolo. Altri
identificano nel
“mammellone dei
Berici” un luogo sicuro
per edificare il futuro ca-
14
Vicus: villaggio romano oppure quartiere, rione, strada.
15
Umbilicus: ombelico cioè centro dell’agro romano.
16
D’Agnolo Vallano, Cenni storici su Lonigo, cit., p.12.
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1 10 0
stello di Lonigo, sul Flumen Novum, le cui acque vengono fatte girare attorno al
castello stesso. Tutto questo accade entro la prima metà del X secolo.
La prima testimonianza dell’esistenza di Lonigo come comunità è del febbraio 976 (o
977) ed è una “pagina vendicionis” mediante la quale i coniugi Gisemperga e
Domenico vendono a Kadalo un terreno, e precisano di avere domicilio «in castro
Calmano
17
» dove l’atto è rogato.
Dell’origine romana Mazzadi riporta due documenti: in uno, datato 1259, vengono
nominate due porte del borgo: una “extra portam ville”
18
e una “ante portam S.
Thome”
19
, probabilmente l’una a nord, l’altra a sud. In un altro documento dei primi
del Quattrocento compaiono altre due porte, una ad est chiamata “porta ingressi” e
l’altra ad ovest che portava davanti al castello e alla strada per San Bonifacio e
Verona. Vista la posizione delle porte è molto probabile che il borgo fosse diviso sia
nel senso nord-sud che est-ovest e all’intersezione si aprisse una piazzetta che, in
un atto del 1393, è detta “contrata platee
20
”.
1.2.2. “LONIGO”: ETIMOLOGIA
II nome Lonigo ha origine ancora discussa; viene di seguito riportato quanto sostiene
D’Agnolo Vallano nel suo Cenni storici su Lonigo del 1915: «secondo alcuni è indizio
dell'origine hetea
21
degli abitanti. Difatti, mentre il P. Barbarano ed il Pagliarino
attribuiscono il nome al segno del leone (costellazione ricorrente nell’agosto, mese
nel quale, secondo essi, sarebbe stata iniziata la fondazione) e altri lo attribuiscono
al segno della luna mentre altri ancora all’antica e ricca famiglia romana Leonici de'
Flavii (Castellini), moderni istoriografi, fra i quali D.D. Giarolo, ritengono nel nome
stesso trovare la prova dell'origine Veneta od Etea; difatti, la prima parte “luni” trova
17
Mazzadi, Lonigo nella storia - parte prima, cit., p. 138. Mazzadi cita la Toponomastica Veneta a cura
di Olivieri nella quale si riconosce la derivazione di Cal-manum da “callis magnus” cioè sentiero
grande, strada ma anche “località dove è traccia di divisione centuriale romana”. Sembra quindi
plausibile che su quell’affioramento di roccia berica nella pianura, così ben identificabile, gli
agrimensori romani avessero fissato l’umbilicus della centuriazione che a nord si spingeva fino a
Gambellara e Montebello e a sud arrivava fino ai Berici occidentali e a Orgiano.
18
Extra portam ville: porta della villa.
19
Porta di San Tomaso che probabilmente portava agli abitati di San Tomà e Bagnolo.
20
Contrata platee: Dal latino platea indica piazza, via larga, cortile.
21
Origine hetea: parte della critica sostiene che l’origine dei Veneti sia asiatica, come quella degli
Etruschi; un indizio sarebbe dato dalla somiglianza tra scritture e monumenti di questi due popoli che
porterebbe a ritenere certa la discendenza da uno stesso cippo: la stirpe Hetea. Al proposito si veda
D’Agnolo Vallano, Cenni storici su Lonigo, cit., p.6.
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1 11 1
riscontro in altri nomi di città etrusche, quindi affini alle venete, quale Luni in Toscana
(da cui Lunigiana) e la desinenza “cus” è aggettivale, che accenna pure ad origine
preromana, mentre i romani usavano la desinenza “anus”. Quanto esposto,
suffragato pure dall’opinione del Padre Maccà
22
, mi sembra possa efficacemente
contrapporsi all’opinione del Salmon e del Busching, i quali fanno risalire la
fondazione di Lunicus soltanto al tempo dei Romani».
Mazzadi, che dal Vallano trae diversi spunti, riporta tutto quanto aggiungendo che
«una qualche probabilità potrebbe avere la derivazione dal vocabolo “leo, leonis” se
una volta, come osserva il Muratori, fu consuetudine di chiamare Castrum Leonis e
Castellum Leonis i castelli che venivano costruiti sulle alture, con compiacente
concessione all’orgoglio degli abitanti. Non esclusi dunque i Leoniceni, per i quali
così annota il Paglierini: "Et di qui nasce, che da questo castello sono usciti huomini
forti come Leoni". Maggiore credibilità si merita l'attribuzione del toponimo a una delle
famiglie Leonicenae o Leonicenses romane ricordate nel Corpus latinarum
inscriptionum. Ma è azzardato, in mancanza di prove, proporre il nome della famiglia
Leonica de' Flavi o quello della stirpe Leonia, come fanno il Castellini, il Macca', il
Pomello. Sono moltissimi - dice il Picchia, non solo in Italia ma in tutti i paesi latini
dell'Europa occidentale, i nomi di luogo desunti da gentilizi in massima parte romani
mediante suffissi aggettivali applicati per designare la proprietà di un fondo, di una
villa, di possessioni di vario genere.
23
» L’ipotesi più plausibile sull’origine del nome è
che il popolo leoniceno sia rimasto ammaliato dalle tradizioni e non rinunci alla
speranza di unire il nome del proprio paese a quello di una costellazione e alle
qualità di forza di un animale.
22
G. Maccà, Storia Territorio Vicentino, Tomo I-II, Bologna, litografia Farap, 1972,tomo I.
23
Mazzadi, Lonigo nella storia parte prima, cit., p. 36.
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1 12 2
1.2.3. STEMMA
Fin dal 1585
24
Lonigo utilizza uno stemma raffigurante
un leone con un quarto di luna. Il riconoscimento
ufficiale dello stemma, con «Sovrana Risoluzione di Sua
Maestà Imperiale Reale Apostolica», avviene nel 1834,
con decreto del 13 febbraio, che autorizza la città di
Lonigo a servirsi di: «uno scudo azzurro sul quale un
leone d’oro tiene nella zampa destra una figura di luna
d’argento con le punte rivolte in su. Lo scudo è
circondato da un’incorniciatura d’oro in parte arrotolata
e addentellata con artistici intagli. In caso di utilizzo co-
me sigillo della città, attorno all’orlatura devono essere inseriti dei caratteri lapidari
riportanti la dicitura: sigillo della città di Lonigo.»
25
Nel 1929 un nuovo decreto di riconoscimento riporta:«d’azzurro al leone d’oro
sostenente con la branca destra anteriore un montante figurato d’argento. Lo scudo
sarà fregiato da ornamenti di Comune».
1.2.4. CASTELLO
Come sopra anticipato, entro la prima metà del X secolo gli abitanti che si rifugiarono
sui monti costruirono un castello a Lonigo in difesa della città. Da una pergamena
risalente al 1262 si rileva che il castello, per il grande numero di ripostigli dedicati alla
conservazione di armi, vino, frumento e altre rendite, fosse grande e ampio, e
potesse resistere ad un lungo assedio, tanto che veniva anche chiamato
“Castellazzo”. Occupava l’area su cui oggi sorge il Duomo e i palazzi Cassia e
Mugna, ed era protetto dal Flumen Novum sia a settentrione che a ponente. Ad
oriente era lambito dal Fiumicello, piccolo corso d’acqua fatto deviare dal Flumen
Novum a settentrione e che poi vi tornava a meridione, costituendo una sorta di isola.
D’Agnolo Vallano riprende una descrizione del Maccà il quale sosteneva che il
castello fosse circondato da alte e grosse mura prospicienti i fiumi o alcune larghe
24
Datazione di un lasciapassare in occasione di una pestilenza, rilasciato nel 1585.
25
Mazzadi, Lonigo nella storia parte prima, cit., p.37.
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1 13 3
fosse, attraversate da ponti mobili in legno. Il Maccà lo descrive come un «enorme
fabbricato quasi rettangolare, munito di alte torri e con porta d’ingresso principale su
ponte levatoio, a mezzogiorno, assai munito e forte, capace di più di
millecinquecento armati».
Del primo periodo di vita del castello si hanno scarse notizie ma si è a conoscenza
che nel 1138 il feudo di Lonigo passa da Uberto Maltraverso
26
al figlio Guidone, detto
Malacappella per la sua ferocia; durante la sua giurisdizione, l’imperatore Federico
Barbarossa, in visita a Monselice, concede a Lonigo l’emancipazione da Vicenza,
terminata nel 1259 e poi definitivamente persa nel 1404 quando tutto il vicentino
passa sotto la Signoria di Venezia. Tornando alle vicende del castello, si apprende
che nel 1312 esso appartiene a Cangrande della Scala, Podestà di Verona, il quale
si adopera per fortificare la città riedificando le torri. Tre di queste torri in seguito
caddero: una si trovava tra quella oggi definita “torre delle prigioni” e l’angolo che il
fiume Guà formava prima del suo raddrizzamento nei primi del Novecento; un’altra in
corrispondenza della separazione tra Flumen Novum e Fiumicello
27
; la terza venne
abbattuta nel 1870 per ordine del Municipio, a causa delle cattive condizioni e del
fatto che fosse scomoda al passaggio dei carri; sorgeva sul lato est di casa Comin, in
via Torre Vecchia, oggi via Garibaldi. Era alta circa 20 metri ed era abitata da un
torriere, stipendiato comunale, che aveva il compito di regolare l’orologio e suonare
la campana ad indicare inizio, metà e fine della giornata, invitando così i consiglieri
alle adunanze. Una quarta torre era nei pressi di ponte San Giovanni, nell’angolo del
castello, proprio dove i Mugna ricostruirono una torre che, per forma e dimensioni
voleva riprendere quella originaria.
Delle sei torri del Cangrande solo due sono arrivate ai giorni nostri: il “torrone”, sul
piazzale del Duomo, verso oriente, e la “torre delle prigioni”, a settentrione dell’antico
castello.
26
Un documento rogato in “loco Pratalia” l’8 febbraio 1107 accenna ad una donazione di terreni
compiuta dal conte Uberto Maltraverso di Montebello a favore dei monaci di San Benedetto di
Polirone che indusse qualche storico a concludere che in detta località vi fosse una comunità
benedettina; alcuni sostengono che Uberto Maltraverso possa esser così considerato uno dei
fondatori dell’Abbazia di Praglia (PD). A tal proposito si veda Carpanese C., Trolese F., L’abbazia di
Santa Maria di Praglia, Milano, Silvana Editoriale, 1985.
27
Questa era la torre dei marchesi Savorgnan, eretta sulla riva sinistra del Fiumicello dove questo
nasceva dal Fiumenovo-Guà; la si rileva chiaramente nella mappa del 1778 più avanti riportata.
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1 14 4
Il torrone è alto 33 metri circa, con
una base di 68 mq. Le fondazioni
sono in pietre squadrate sopra le
quali sono posati mattoni. Verso la
metà della sua elevazione
ricompaiono le pietre e poi, fino in
sommità, corsi di mattoni
intersecati da corsi di pietra
bianca. Sulla sommità termina con
quattro dadi agli angoli che
probabilmente reggevano la co-
pertura. Sui lati si notano numerosi fori; parte sono quelli dei covili
28
corrispondenti
all’armatura pensile dei ponteggi di costruzione mentre altri fori, passanti, sono quelli
destinati alle feritoie, alle fuciliere, alle porte di soccorso e ai pertugi angolari. Sul lato
nord una lesione superficiale testimonia l’azione di un fulmine.
La torre delle prigioni è meno alta
ma più aggraziata; è ritenuta
d’origine scaligera, ha un sedime
pari a 47 mq e alla base vi sono
grosse pietre quadrangolari che si
rastremano fino all’altezza di
cinque metri. Il resto prosegue con
corsi di mattoni e qualche pietra
sparsa fino alla sommità, laddove
un’elegante cornice, probabilmente in origine sosteneva una merlatura che non è
sopravvissuta al tempo.
Arturo Pomello
29
nel 1886, nella sua Storia di Lonigo, sostiene che la pietra a tre
quarti dell’altezza fosse lo stemma scaligero.
Fino a tutta la metà del Novecento tale torre era adibita a prigione.
28
Covili: in latino cubile, letteralmente cubo, sta ad indicare un nido, un giaciglio o una tana. In tal
caso ci si riferisce al foro quadrangolare lasciato dai ponteggi di costruzione.
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Arturo Pomello (1854-1937), leoniceno benestante, amante della poesia e della letteratura, si
interessò delle vicende storiche e dei personaggi della terra delle sue origini e si dedicò dapprima a
biografie di illustri concittadini, poi a sonetti poetici, quindi ad una pubblicazione, nel 1886, intitolata
La storia di Lonigo con cenni storici sui Comuni del distretto proponendo un’opera documentata e
ragionata che, per oltre un secolo, rimase quale unica fonte di documentazione relativa al territorio.