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2.2 Alcune tipologie di workaholics
Anche se generalmente il passaggio dalla fase iniziale a quella critica segue lo stesso
iter per i workaholic, si è visto che all’interno di questa categoria di dipendenti si
possono scorgere delle caratteristiche peculiari che differenziano i soggetti nel loro
comportamento da addiction. Robinson, B. E., in base alla sua esperienza pluriennale,
distingue quattro stili per i workaholic.
1. BULIMICO: è tipico di quei soggetti il cui motto è “o faccio tutto
perfettamente o non lo faccio affatto”. Questi soggetti vivono alla stregua dei bulimici
che alternano periodi di abbuffate a periodi di digiuno, alternando periodi in cui tutto
il lavoro viene procrastinato in altri momenti, a periodi in cui rischiano l’esaurimento
fisico pur di terminare ciò che stanno facendo. I dipendenti da lavoro cosiddetti
bulimici a metà del lavoro si sentono insoddisfatti e finiscono con l’iniziare tutto da
capo rimanendo in piedi anche per diverse notti di seguito pur di finire. La
caratteristica saliente di questi soggetti è la paura di non fare perfettamente il lavoro e
una certa intolleranza verso la possibilità di commettere errori. Loro sono ossessionati
continuamente dal lavoro e, rendendosi conto di questa situazione, cercano, senza
esito positivo, di far di tutto pur di non pensare al lavoro.
2. RELENTLESS: è caratterizzato dal motto “doveva essere finito ieri”. Le
persone che appartengono a questo gruppo vivono una condizione adrenalinica in
prossimità delle scadenze, anche se hanno iniziato a svolgere un lavoro con largo
anticipo piuttosto che in ritardo. Questo stile è caratterizzato dall’impulsività e dal
fatto che i soggetti che si possono riconoscere in queste caratteristiche tendono a farsi
carico di troppo lavoro. Loro non rifiutano mai un lavoro, non stabiliscono le priorità
tra i vari compiti che sono chiamati a svolgere, non delegano altri. Svolgono il lavoro
in maniera così veloce da non permettersi neanche di fare una considerazione attenta,
una riflessione o di dare un’attenzione particolare al lavoro che si accingono a
svolgere. Spesso denunciano una distorsione nella propria immagine sottolineando
quanto la loro competenza sia unica e grandiosa e, al tempo stesso, quanto la propria
autovalutazione dipenda dall’approvazione altrui.
3. DEFICIT DELL’ATTENZIONE: usano l’adrenalina generata dalla pressione
del sopralavoro come dispositivo di focalizzazione. Le persone caratterizzate da
questo stile vivono una condizione al limite del caos, si attivano moltissimo quando
hanno delle idee nuove, lanciano dei nuovi progetti che non finiranno mai, si annoiano
con i problemi che fanno parte dei nuovi progetti, tamburellano con le dita durante le
riunioni, s’irritano facilmente al minimo ostacolo. Generalmente questi soggetti sono
attratti da lavori o giochi ad alto rischio. A differenza dei workaholic bulimici che
vogliono eseguire il loro lavoro perfettamente fino alla fine, coloro che appartengono
a questo gruppo iniziano sempre molti progetti, che eseguiranno negligentemente e si
annoiano a seguirli con costanza.
4. SAVORING: I soggetti che appartengono a questo gruppo sono lenti, metodici
e molto scrupolosi. Hanno difficoltà a finire un lavoro; si mantengono ancorati a esso,
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gustandosi il lavoro come un alcolista può gustare un buon vino. Questo è lo stile del
perfezionismo consumato: con questi lavoratori non si può mai dire quando un lavoro
sarà finito perché, nel loro profondo, temono che il progetto non sia sufficientemente
buono quindi, inconsciamente, prolungano il lavoro inventando sempre nuovi
problemi e, solo allora, potranno dire di essere vicini alla fine. Dato che per loro un
progetto non è mai completo, mentre gli altri lo giudicano tale, per questi workaholic è
sempre molto difficile finire un vecchio lavoro per iniziarne uno nuovo. Alcuni
workaholic utilizzano solo uno degli stili precedentemente illustrati, altri mescolano o
alternano caratteristiche dei diversi stili. Qualunque sia lo stile del workaholic, questo
comportamento induce sempre molti problemi nella vita di un individuo.
2.3 Stile cognitivo del workaholic
Essere saldamente ancorati ad aspettative irrealistiche su di sé e sugli altri (Porter, G.,
Robinson, B. E., 1998) è un’espressine tipica dello stile di pensiero workaholic. Allo
stesso modo, i sentimenti negativi che sperimenta sono espressione dell’immutabile
credenza, su cui fa affidamento, di dover fare sempre di più per essere all’altezza.
Robinson, B. E (1998), individua alcune forme di pensiero rigido caratteristiche dello
stile cognitivo del workaholic. Il “pensiero perfezionista” esprime il desiderio e il
bisogno di perfezionismo che origina dal senso d’inferiorità; esso spinge il
workaholic a volere più di quello che può realisticamente gestire, cosa che
ovviamente gli fa sperimentare sentimenti di sconfitta, frustrazione e lo riporta alla
condizione iniziale d’inadeguatezza. La mente del workaholic, inoltre, funziona come
un telescopio (“pensiero telescopico”) che si focalizza su alcune cose piuttosto che
altre, è incurante dei successi e più attenta a rilevare gli errori. L’apprezzamento degli
altri e il successo in alcuni ambiti vengono ignorati per focalizzarsi su ciò che è
insufficiente. In questo modo, per gli standard superumani che si pone, mentre gli
altri lo stimano per i suoi risultati, il workaholic si descrive con disprezzo e
disappunto. Quello che per i primi e buono per lui non va bene, quello che per loro è
eccessivo per lui è normale. È questa un’altra caratteristica dello stile cognitivo del
workaholic: la mancanza di confini chiari (“pensiero dai confini sfumati”). La
difficoltà a riconoscere il limite lo porta a soddisfare le aspettative e le richieste degli
altri tanto da non essere consapevole dei propri bisogni e desideri. I workaholics sono
fondamentalmente pessimisti (“pensiero pessimistico”): filtrano inconsciamente ogni
aspetto positivo della vita e permettono solo a quelli peggiori di entrare. Niente di ciò
che fanno è abbastanza, e il pensiero pessimistico gli impedisce di dar credito alle
lodi di amici e colleghi, alimentando il profondo sentimento di inferiorità. La cattiva
abitudine di focalizzarsi soltanto sugli elementi spiacevoli li porta a credere che tutto
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sia negativo e che qualcosa di brutto presto o tardi accada. Un vissuto di vergogna
alimenta questo timore, e fa sì che i buoni risultati vengono attribuiti al caso o alla
fortuna, mentre si prefigura l’imminenza di una nuova sconfitta. Il workaholic si
sente impotente e incapace di cambiare la propria vita: il “pensiero d’impotenza”
consiste nella convinzione che il proprio stile di vita sia determinato da pressioni forti
che stabiliscono quando si deve conseguire in termini di successi e risultati. Ad esse il
workaholic risponde esternalizzando le proprie responsabilità e incolpando gli altri e
le situazioni (familiari, professionali, economiche) dei suoi problemi. La tendenza ad
attribuire all’esterno problemi e soluzioni è espressione del “pensiero vittimistico”: il
workaholic, cioè, crede di essere vittima di forze esterne (un capo esigente,
l’economia inflessibile, i bisogni e le richieste della famiglia) che lo costringono a
lavorare eccessivamente. Più si sente vittima, più il rancore cresce e si trasforma in
rabbia, cinismo, irascibilità. Il “pensiero difensivo” porta il workaholic a percepire la
vita come una lotta. Una grande energia emotiva lo spinge fino agli umani limiti,
impegnandosi sempre di più per raggiungere la perfezione. Per questo adotta uno stile
di vita rigido in cui non c’è tempo per sé, per rilassarsi. Il workaholic vive uno stato
di vuoto interiore che lo stimola costantemente a procurarsi di più, a desiderare ciò
che non ha, qualcuno o qualcosa che gli da un senso di compiutezza. Altra forma di
pensiero caratteristica del workaholic è il “pensiero esternalizzato”, espressione della
necessità di far riferimento all’esterno per sancire il proprio valore, sia nei termini di
giudizio degli altri, sia rispetto ai risultati concreti che è necessario conseguire a
dimostrazione del suo impegno.
2.4 Tratto ossessivo-compulsivo del workaholic
Spesso, ci si riferisce alle nuove dipendenze in termini di compulsione o di disturbo
appartenente allo spettro ossessivo-compulsivo. Il perfezionismo conduce a un
comportamento ossessivo-compulsivo. Il disturbo ossessivo-compulsivo è classificato
nel DSM-IV tra i disturbi d’ansia: la funzione primaria di un’ossessione o di un
rituale sembra essere, infatti, quella di regolare l’angoscia. Le ossessioni sono
pensieri egodistonici ricorrenti, mentre le compulsioni sono azioni ritualizzate che il
soggetto si sente costretto a fare per alleviare l’angoscia. Questi pensieri e
comportamenti sono sentiti come eccesivi irragionevoli dal soggetto, il quale
riconosce come sintomi i rituali misti e quelli che comportano verifiche o pulizia,
pensieri ossessivi non accompagnati da compulsioni e la lentezza ossessiva (Gabbard,
G., 1994). È chiaro quindi come i sintomi del disturbo ossessivo-compulsivo spesso
comportino grandi problemi relazionali. Caratteristiche del disturbo ossessivo-
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compulsivo è la regressione alla fase anale dello sviluppo psicosessuale, come difesa
nei confronti di stimoli che, suscitando la libido edipica, causano angoscia. Prodotto
di tale regressione è la scissione tra pulsioni aggressive e sessuali: sentimenti di
amore e odio non sono più integrati e il soggetto è tormentato dall’ambivalenza, dal
dubbio e paralizzato dall’indecisione. Le difese tipicamente utilizzate per far fronte
alle pulsioni primitive sono l’isolamento, la formazione reattiva,
l’intellettualizzazione e l’annullamento retroattivo. Il disturbo ossessivo-compulsivo
può essere presente in qualsiasi organizzazione di personalità e si differenzia dal
disturbo di personalità ossessivo-compulsivo per la stabilità dei sintomi. Essi sono
egodistonici, cioè riconosciuti come problematici, e egosintonici, cioè divenuti
schemi duraturi di comportamento (Gabbard, G., 2000). L’individuo ossessivo-
compulsivo, dunque, sperimenta una costante sensazione di ansia che ha le sue
origini nell’infanzia, ma è rinforzata da ogni trauma successivo. Difficilmente, da
bambino, il perfezionista workaholic ha vissuto esperienze di fallimenti, in quanto
interpretava il ruolo del bravo figlio. Quando qualche situazione non va come
vorrebbe, o quando commette qualche errore, l’ansia riemerge, ed egli per evitarla
mette in atto dei rituali superstiziosi. Non sempre l’ansia viene riconosciuta, in
quanto l’insight è bloccato dalla repressione e dal diniego della realtà; il workaholic
non può accettare che le sue azioni o l’apatia siano la ragione del suo stress, rifiuta di
assumersi ogni responsabilità personale ed è molto abile nel proiettare sugli altri. In
tal modo tenta di ristabilire i propri sentimenti di autorità quando il potere e il
controllo che tanto desidera sono fuori dalla sua portata. I pensieri ossessivi sono
tipicamente negativi. Paralizzato dalla sua paura e incapace di prendere anche la più
banale decisione, il workaholic medita ossessivamente su un problema. S’innesca un
circolo vizioso che lo costringe a lavorare eccessivamente per contrastare le proprie
paure e preoccupazioni che, comunque, crescono e diventano pensieri ossessivi;
infine, la rabbia e il rancore emergono sotto forma di sentimenti di impotenza e
depressione che finiscono il soggetto. Più il comportamento è compulsivo, più i
vissuti interni dell’individuo sono caotici e incontrollabili. Fondamentalmente, azioni
quali programmare ogni cosa, allineare le carte e penne sulla scrivania, o l’ordine e
l’eccessiva pulizia, hanno la funzione di alleviare la sua ansia. Tuttavia, il fatto che
l’individuo ne sia consapevole, non significa che il comportamento possa essere
fermato. Una leggera compulsività, se intesa come dinamismo, impulso a fare le cose,
è normale e persino utile nella misura in cui aiuta a raggiungere i propri obiettivi. Un
comportamento segnato dal senso di colpa, dalla paura e da pensieri negativi è tipico
di chi soffre di un disturbo ossessivo-compulsivo; più grave è il disturbo di
personalità ossessivo-compulsivo. Esso rientra nel DSM-IV nel gruppo C, cioè tra
quei disturbi di personalità che sottendono un’ansia o una paura quale caratteristica