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INTRODUZIONE
Migliaia di disabili lavorano, si alzano presto la mattina, usufruiscono di
mezzi pubblici e raggiungono il loro posto di lavoro come qualsiasi
cittadino.
La persona con disabilità va al cinema, va al teatro, si reca al mare o in
montagna, pratica sport anche se presenta deficit gravi; abbiamo visto
gare splendide e molto combattute sul piano agonistico, ragazze non
vedenti che discendono con sci ai piedi, giovani con la sindrome di
Down divertirsi a nuotare in piscina.
“La “normalità” della disabilità nei contesti sociali, culturali, lavorativi e
sportivi è sempre più una realtà, ma ciò è dovuto al fatto che queste
persone hanno incontrato nell’arco della loro vita, fin ai primi attimi
della loro esistenza, un contesto educativo in grado di promuovere e di
coordinare attività riabilitative e specialistiche indispensabili alla loro
crescita e sono state inserite in un campo affettivo, sociale ed educativo
capace di dare senso compiuto agli sforzi profusi, alla luce di un progetto
di vita che fin dall’inizio occorre abbozzare e pensare in modo dinamico
ed evolutivo.
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Quando questo viene realizzato, quando le competenze degli operatori
incontrati dal disabile procedono in modo unitario, confrontandosi sulla
questione cruciale del progetto di vita, si ottengono risultati positivi.”
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Colmare lo svantaggio, però, vuol dire non solo attrezzare i soggetti
svantaggiati degli strumenti più idonei per renderli cittadini attivi e
sottrarli al determinismo dell’esclusione e dell’emarginazione, ma anche
far avvertire all’intera comunità la responsabilità di questo processo.
“Nell’ambito di ridefinizione degli assetti normativi e strutturali del
sistema educativo e formativo italiano, il tema dell’integrazione
rappresenta lo snodo fondamentale da cui si dipartono le diverse opzioni
e disegni istituzionali.
Il nuovo sistema formativo mette in primo piano l’emergenza di logiche
di pluralismo, policentrismo e flessibilità nella risposta ai fabbisogni
educativi degli utenti, verso i quali promuovere azioni volte a prevenire
la dispersione formativa, attraverso l’integrazione e la rete di relazioni tra
le diverse strutture formative e dell’istruzione, impegnate sempre di più
nella progettazione e realizzazione di servizi formativi, centrati sul
processo di apprendimento, sui bisogni e sul vissuto dell’individuo.
Parallelamente e, sempre nell’ambito di una costruzione di un’offerta
formativa integrata tra i diversi sistemi della scuola, della formazione
professionale e del lavoro e anche in vista di un ampliamento delle
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A. Canevaro, L. D’Alonzo, D. Ianes, “L’integrazione scolastica di alunni con disabilità dal 1977
al 2007. Risultati di una ricerca attraverso lo sguardo delle persone con disabilità e delle loro
famiglie”, Bozen-Bolzano University Press, Bolzano, 2009, pag.8.
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opportunità di apprendimento continuo, viene messo in rilievo il tema di
progetto di vita.”
2
“Il problema dell’integrazione sociale, inoltre, non appare suscettibile di
soluzione al solo livello pedagogico, sia pure attraverso interventi mirati
a sviluppare le capacità di adattamento sociale, le cosiddette social skill
che, per quanto necessarie, non saranno mai sufficienti a far superare al
disabile le molteplici barriere culturali e soprattutto le difficoltà di
carattere interno, fondate sul timore della non accettazione e del rifiuto.
L’acquisizione di forme anche minime di adattamento sociale diventa
assolutamente prioritario. Le due classi essenziali di abilità, ossia quelle
relative alla vita quotidiana, le Daily living skills, e quelle indispensabili
alla vita sociale nella Comunità, le Community living skills, così
necessarie all’integrazione sociale e lavorativa del disabile adulto,
devono essere apprese già a partire dalla scuola di base.
Ciò che è importante, infatti, è impartire fin da subito tutte quelle abilità
e competenze che permetteranno di condurre al disabile una vita
soddisfacente nell’ambito del contesto comunitario di appartenenza.”
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L’integrazione è dunque la condizione necessaria per intraprendere il
percorso che struttura progressivamente la nostra identità e siccome
quest’ultima non approda mai a situazioni definite una volta per tutte,
l’integrazione non può essere considerata una realizzazione o una
2
I. Bellini, G. Di Lieto, D. Morgagni, “L’integrazione tra scuola e formazione professionale”,
FrancoAngeli, Cesena, 2007, pag.13.
3
L. Trisciuzzi, C. Fratini, M.A. Galanti, “Manuale di pedagogia speciale”, Laterza, Roma-Bari,
1999, pag.
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situazione statica, bensì un percorso di trasformazione fondato
sull’inclusione attiva del diverso.
Il disabile infatti assume, nel suo rapporto con la società, un ruolo nuovo:
non è più il destinatario passivo di una politica di intervento
assistenziale, ma il soggetto attivo di un processo d’integrazione sociale
globale, al fine di divenire un cittadino attivo e responsabile, capace di
incidere nell’ambiente e di operare con adeguate competenze.
Ma inserimento attivo e consapevole nella realtà del proprio tempo
significa anche acquisizione di conoscenze e strumenti atti a consentire al
portatore di handicap di poter svolgere nel futuro un’attività lavorativa. E
questo non solo per ragioni sociali, ma proprio per considerazioni
pedagogiche: infatti il lavoro è una condizione vitale ed essenziale per la
realizzazione dell’uomo.
“L’istituzione scolastica non sempre è in grado però di individuare
attitudini e interessi degli allievi portatori di handicap in direzione di una
scelta professionale. Da qui l’importanza dell’orientamento, inteso come
processo educativo e formativo continuo, che attraversi tutto il percorso
d’integrazione del soggetto dalla scuola inferiore alla formazione
professionale, al mondo del lavoro.”
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L’obiettivo fondamentale è quello di restituire fiducia e serenità al
soggetto, orientandolo in un percorso che lo porti, nonostante le
4
L. De Anna, “Pedagogia speciale, i bisogni educativi speciali”, Guerini e Associati, Milano,
2002, pag.75.
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oggettive limitazioni, ad un soddisfacente livello di autonomia e di piena
integrazione sociale.
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CAPITOLO I
Aspetti generali ed evoluzione del concetto di diversabilità
1.1 Il linguaggio tra cambiamenti e confusioni
La diversità accoglie al suo interno una molteplicità di variabili: si è
diversi per religione, per cultura, per razza, per ideologia, per potere
economico, ma si può dire che esiste anche un secondo livello di
diversità, rintracciabile in soggetti di ogni cultura, di ogni religione o
ideologia, ed è quello di coloro che presentano deficit, minorazioni. Mi
sto riferendo alle persone che nel tempo sono state indicate con termini
come idiota, deficiente, handicappato, disabile, diversamente abile.
Il linguaggio della Pedagogia speciale ha subito diverse volte
l’esperienza di deterioramento semantico a causa del fatto che molti dei
termini da essa usati connotavano più gli aspetti negativi della persona
con determinati deficit, piuttosto che quelli positivi. Esempio
emblematico è “il termine “idiota” che compare nel titolo di un volume
di Edouard Séguin, il quale utilizza tale termine per indicare un individuo
che si isola al punto di non comunicare, e, incapace di rompere la
barriera che lo separa dal resto del mondo, richiede un trattamento
educativo speciale.”
5
“Idiota è un termine dotto, che deriva dal greco:
5
Edouard Ségiun, “Trattamento morale, igienico ed educazione degli idioti e degli altri
fanciulli ritardati”, Baillière, Parigi, 1846.
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idios che vuol dire privazione, quindi idiota è colui che è privato o è
mancante di qualcosa.”
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Un altro termine che ha fatto parte del linguaggio di studiosi che si sono
occupati di determinate categorie di disabili è “deficiente”. Quest’ultimo
è il termine che Sante de Sanctis usò nel titolo di una delle sue opere,
Educazione dei deificienti del 1915, in cui trattò temi intorno ai quali
ancora oggi dibattono la pedagogia speciale e la didattica speciale, come
per esempio “il valore del lavoro come strumento di sviluppo e di
socializzazione del soggetto con deficit; la necessità di individualizzare
l’insegnamento e di rispettare i tempi d’attenzione di ogni singolo
alunno; l’importanza della coeducazione dei sessi nelle attività
didattiche, nelle scuole di lavoro, ma anche nelle attività ludiche.”
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“Handicappato” invece è il termine chiave della Legge 5 febbraio 1992,
n.104, Legge quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti
delle persone handicappate, “che nello stabilire chi ha diritto ai benefici
di tale legge, definisce handicappato colui che presenta una minorazione
fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di
difficoltà di apprendimento, di relazione, o di integrazione lavorativa tale
da determinare un processo di svantaggio o di emarginazione.”
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Anche il termine disabile, diffusosi negli ultimi anni, ha ricevuto delle
critiche dal momento che dichiara soltanto che ad un individuo mancano
6
L. Trisciuzzi, “Manuale di didattica per l’handicap”, Laterza, Roma-Bari, 2007, pag 31.
7
M. Gelati, “Pedagogia emendativa:L’educazione dei deficienti, di Sante de Sanctis”, Franco
Angeli, Milano, 2002, pag.89.
8
L. Trisciuzzi, C. Fratini, M.A. Galanti, “Manuale di pedagogia speciale”, Laterza, Roma-Bari,
1999, pag. 15.
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una o più competenze, senza specificare invece che, quello stesso
individuo, possiede anche delle abilità.
La conoscenza di qualsiasi soggetto, ed in particolare dei diversamente
abili, deve partire dalle competenze che dimostra di avere, nonché dalle
abilità che possiede. E’ importante imparare a conoscerlo ed interagire
con lui non partendo dal suo deficit, bensì dalle sue capacità e
potenzialità delle quali si può intuire la presenza.
“Il volume, dal titolo Diversabilità
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, riporta una serie di interviste fatte a
soggetti che vivono in prima persona esperienze di deficit o
menomazioni, oppure lavorano con disabili o studiano i problemi
educativi, di istruzione, di formazione, di avviamento lavorativo che
questi ultimi devono affrontare. In una delle interviste, quella fatta a
Claudio Imprudente, acceso sostenitore della necessità di cambiare il
termine “disabile” in “diversamente abile”, leggiamo:
<<Ci sono importanti ragioni per cui vale la pena operare la distinzione
dis-abile/ divers-abile: innanzitutto perché il termine dis-abile obbedisce
alla logica della staticità, dell’immutabilità, della fotografia. […] Il
termine disabile è un biglietto da visita che parte già male. E’ come se
uno bussasse alla porta e vi dicesse:”Buongiorno: sono una persona non
abile”. Il biglietto da visita deve cambiare: bisogna sottolineare le
abilità e non le disabilità. […]Per esperienze si è visto come parole un
tempo utilizzate per indicare particolari tipi di deficit, come idiota,
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A. Canevaro, D. Ianes, Diversabilità. Storie e dialoghi nell’anno europeo delle persone disabili,
Erikson, Trento, 2003.