Capitolo I - La finanza delle Regioni e degli enti locali prima della
riforma del Titolo V della Costituzione
Sezione I
1. La finanza regionale nel vecchio articolo 119 del Titolo V parte II della
Costituzione e la sua attuazione con la legge n. 281 del 1970
L'autonomia finanziaria, la potestà delle Regioni in materia di tributi ed entrate, è
un elemento cruciale per poter effettivamente parlare di autonomia regionale,
comprendendo in essa le non da meno importanti autonomia legislativa ed autonomia
amministrativa.
Ma non si può parlare pienamente di autonomia per le Regioni in ambito finanziario,
in quanto esiste una forte interdipendenza tra il sistema statale e il sistema regionale
(e quindi degli enti locali) nell'ambito della finanza pubblica; la Costituzione lasciava
infatti al legislatore ordinario quasi una totale discrezionalità in ordine alla gestione e
decisione sui temi di finanza regionale che così essenzialmente risultava una finanza
«trasferita», o «derivata», o «imposta» alle Regioni ordinarie dalla legge che per
prima attuò l'articolo 119 della Costituzione, e cioè la legge n. 281 del 16 maggio
1970. A conferma di ciò, a norma del comma 1 dell'articolo 119 della Costituzione:
«Le Regioni hanno autonomia finanziaria nelle forme e nei limiti stabiliti da leggi
della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello Stato, delle Province e dei
Comuni».
Il menzionato articolo 119 del Titolo V, Parte II del Testo costituzionale, tratta
specificamente il tema dell'autonomia finanziaria delle Regioni a statuto ordinario
(per le Regioni a statuto speciale, di cui si tratterà nel corso della tesi, l'autonomia
finanziaria, così come gli altri ambiti di autonomia, è regolata dai loro rispettivi
statuti adottati con legge costituzionale); come suddetto, le sue disposizioni ebbero
una prima esecuzione con la legge n. 281 del 16 maggio 1970 recante
«Provvedimenti finanziari per l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario», legge
che inoltre prevedette di istituire speciali fondi, anche settoriali, di finanziamento con
vincolo di destinazione per le Regioni, mortificando sostanzialmente, ed
ulteriormente, quella che doveva essere una vera autonomia nella disciplina del
contesto tributario procedendo quindi verso una forte limitazione, anziché
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consistente attribuzione, all'autonomia regionale di imporre e disporre di tributi su
determinati cespiti ad esse imputati, riconoscendo loro solo garantito il diritto di
ottenere il gettito di alcune imposte statali (articolo 1, l. n. 281/1970)(1), e di
modificare l'aliquota (articolo 5 l. n. 281/1970)(2).
Tendenzialmente, secondo tale sistema le Regioni godevano di mezzi finanziari
individuati e quantificati dallo Stato come tributi propri, quote di tributi erariali,
contributi speciali, oltre a fondi vincolati nella destinazione.
Nella stesura della tesi verranno considerate altre importanti disposizioni legislative
che negli anni hanno modificato il quadro iniziale della finanza regionale impresso
dalla legge n. 281 del 1970; la trattazione delle fonti di finanziamento regionale in
questo primo capitolo è suddivisa in due parti, fino al 1996 e dopo il 1996, perché il
1996 fu l'anno in cui iniziò ad aprirsi il processo di riforma (attraverso le suddette
leggi che ne disegnarono il cammino), con l'intento di attuare realmente l'autonomia
tributaria delle Regioni riducendo i trasferimenti erariali alle stesse e sostituendoli
invece con vere e proprie entrate da loro gestite ed attribuite nel gettito.
Prima di esaminare tali innovazioni legislative, si procede ad una lettura delle
disposizioni contenute nella vecchia formulazione dell'articolo 119 della
Costituzione continuando poi con la trattazione delle fonti tributarie regionali.
_________________________
(1) Articolo 1 l. n. 281/1970: Entrate tributarie.
Alle Regioni sono attribuiti i seguenti tributi propri:
a) imposta sulle concessioni statali dei beni del demanio e del patrimonio indisponibile;
b) tassa sulle concessioni regionali;
c) tassa di circolazione;
d) tassa per l'occupazione di spazi e aree pubbliche.
Alle Regioni è attribuito il gettito delle imposte erariali sul reddito dominicale e agrario dei terreni e sul reddito
dei fabbricati. All'entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione della riforma tributaria, il gettito di tale
imposta sarà sostituito da una quota del gettito derivante da un'imposta corrispondente d'importo non inferiore al
gettito dell'ultimo anno di applicazione delle imposte fondiarie. Alle Regioni sono altresì attribuite quote del
gettito di tributi erariali mediante la costituzione di apposito fondo comune.
(2) Articolo 5 l. n. 281/1970: Tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche.
La tassa per l'occupazione di spazi ed aree si applica alle occupazioni di spazi ed aree pubbliche appartenenti alle
Regioni ed è disciplinata, per quanto non disposto dalla presente legge, dalle norme dello Stato che regolano
l'analogo tributo provinciale.
Le Regioni determinano l'ammontare delle tasse in misura non superiore al 150 per cento e non inferiore al 50 per
cento di quella prevista dalle norme dello Stato per le corrispondenti occupazioni degli spazi e delle aree
appartenenti alle province.
All'accertamento, liquidazione e riscossione della tassa provvedono, per conto delle Regioni, gli uffici competenti
ad eseguire le dette operazioni per l'analogo tributo provinciale.
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1.1. Il vecchio testo dell'articolo 119 della Costituzione
Il comma 1 dell'articolo 119 della Costituzione prima della riforma del 2001
attribuiva alle Regioni l'autonomia finanziaria non precisando però se tale autonomia
si riferisse alle entrate od alle spese (per quanto intendendosi essenzialmente come
mera autonomia di spesa) ma indicando solo che essa si esercitasse «nelle forme e
nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, che la coordinano con la finanza dello
Stato, delle Province e dei Comuni»; come si evince, tale formulazione era
abbastanza limitativa per non dire equivoca, poichè si declamava un'autonomia il cui
esercizio era però solo garantito e riconosciuto attraverso il rinvio alla discrezionalità
del legislatore ordinario.
In ambito tributario le Regioni potevano solo legiferare applicando ed al massimo
integrando tasse ed imposte che erano invece stabilite e disciplinate da leggi statali,
esercitando quindi una potestà legislativa meramente attuativa consistente nel dare
svolgimento alla norma statale senza contraddirla, ma potendola adattare alle loro
specifiche condizioni locali.
Tale potestà, ovviamente, dipendeva dalla discrezionalità decisionale del legislatore
statale che individuava una materia (d'interesse regionale) e poi conferiva alla
Regione il potere stesso di attuarla: come precisava l'articolo 117 della Cost.,
all'ultimo comma, vecchia versione, «le leggi della Repubblica possono demandare
alla Regione il potere di emanare norme per la loro attuazione». Per quanto riguarda
il coordinamento della finanza regionale con la finanza statale, provinciale, e
comunale, non c'era alcuna legge dello Stato che direttamente ne fissava le forme, o
poneva i limiti all'autonomia finanziaria delle Regioni, in quanto il coordinamento si
realizzava nelle leggi sulla finanza regionale o locale e nelle annuali leggi finanziarie
esprimendosi soprattutto nell'ambito di controllo delle spese, delle entrate, e dei saldi
di bilancio degli enti territoriali.
Le Regioni non potevano nemmeno «interferire» nelle decisioni di Comuni e
Province attinenti materie come ad esempio gli investimenti giustificandone
l'«ingerenza» con l'importanza della programmazione regionale; il potere di indirizzo
nel coordinamento della finanza pubblica territoriale era fermamente e
prioritariamente nelle mani del legislatore ordinario.
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Anche la Corte costituzionale si era espressa in merito osservando (Sentenza n.
241/1987) che senza una legge statale attribuente alla Regione un determinato tributo
e delimitante l'esercizio del suo potere impositivo riguardo al medesimo, l'autonomia
tributaria regionale non avrebbe potuto esplicarsi in modo legittimo. Già
precedentemente la giurisprudenza costituzionale, con la Sentenza n. 271/1986,
aveva ribadito che spettava alle leggi statali il potere d'iniziativa sull'intervento
regionale (prevalentemente sull'autonomia normativa finanziaria ed ulteriormente
nell'attività di coordinamento tra la finanza regionale, statale, provinciale, e
comunale) perché in mancanza di tale iniziativa non avrebbero potuto essere fissati
gli ambiti operativi delle Regioni concordando quanto disposto con il dettame
costituzionale che sì assicurava l'autonomia della Regione, individuando però nella
legge ordinaria la necessaria ed obbligata fonte disciplinante tali spazi operativi.
Quindi la Costituzione nel vincolare l'autonomia finanziaria regionale a forme e
limiti determinati da leggi della Repubblica richiamava ed affermava la necessità di
una legislazione efficiente in grado di garantire un giusto ed adeguato svolgimento
delle funzioni regionali, presupponendo a tal fine i mezzi occorrenti (dalla normativa
statale previsti).
Riprendendo l'analisi del vecchio articolo 119 della Cost., il comma 2 disponeva che
«alle Regioni sono attribuiti tributi propri e quote di tributi erariali, in relazione ai
bisogni delle Regioni per le spese necessarie ad adempiere le loro funzioni normali»;
i tributi propri avrebbero dovuto conferire alle Regioni una reale autonomia
finanziaria, anche nell'ambito delle entrate e dei poteri impositivi correlati, ma su una
parte di tali «risorse» le Regioni potevano solo limitarsi a manovrarne le aliquote,
oltretutto all'interno di un intervallo determinato da un valore minimo e da uno
massimo (come ad esempio disponeva il comma 2 dell'articolo 3 l. n. 281/1970 in
tema di tasse sulle concessioni regionali: «Nella prima applicazione le Regioni
determinano l'ammontare della tassa in misura non superiore al 120% e non inferiore
all'80% delle corrispondenti tasse erariali. Successive maggiorazioni possono essere
disposte ad intervalli non inferiori al quinquennio, nel limite del 20% delle tasse
regionali vigenti nel periodo precedente»).
Alle Regioni erano attribuite anche quote di tributi erariali, cioè tributi determinati e
riscossi dallo Stato ma ai quali le Regioni partecipavano al gettito dapprima ripartito
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su base regionale, e poi in base all'aliquota di compartecipazione assegnata ad esse o
agli enti locali, o, altra forma di ripartizione del gettito tributario, vedendosi conferite
una parte dell'aliquota erariale e quindi del gettito connesso ed ottenuto
dall'applicazione della medesima alla base imponibile regionale dell'imposta.
L'espressione «quote di tributi erariali» era intesa come fonte di alimentazione di un
fondo comune, a carattere perequativo, istituito nello stato di previsione della spesa
del Ministero del tesoro (nel bilancio dello Stato) da ripartire tra le varie Regioni
(articolo 8 l. n. 281/1970)(3).
__________________________
(3) Articolo 8 l. n. 281/1970: Partecipazione al gettito di imposte erariali.
Nello stato di previsione della spesa del Ministero del tesoro è istituito un fondo il cui ammontare è commisurato
al gettito annuale dei seguenti tributi erariali nelle quote sotto indicate:
a ) il 15 per cento dell'imposta di fabbricazione sugli oli minerali, loro derivati e prodotti analoghi;
b) il 75 per cento dell'imposta di fabbricazione e dei diritti erariali sugli spiriti;
c) il 75 per cento dell'imposta di fabbricazione sulla birra;
d) il 75 per cento delle imposte di fabbricazione sullo zucchero; sul glucosio, maltosio e analoghe materie
zuccherine;
e) il 75 per cento dell'imposta di fabbricazione sui gas incondensabili di prodotti petroliferi e sui gas resi liquidi
con la compressione;
f) il 25 per cento dell'imposta erariale sul consumo dei tabacchi.
Le quote su indicate sono commisurate all'ammontare complessivo dei versamenti in conto competenza e residui,
relativi al territorio delle Regioni a statuto ordinario ed affluiti alle sezioni di tesoreria provinciale dello Stato nel
penultimo anno finanziario antecedente a quello di devoluzione, al netto dei rimborsi per qualsiasi causa
effettuati nel medesimo anno.
Sono riservati allo Stato i proventi derivanti da maggiorazioni di aliquote o altre modificazioni dei tributi di cui
sopra, che siano disposte successivamente all'entrata in vigore della presente legge, quando siano destinati per
legge alla copertura di nuove o maggiori spese a carico del bilancio statale.
La percentuale del gettito complessivo del tributo, attribuibile alle modificazioni e maggiorazioni di aliquote
previste dal precedente comma, è determinata con la legge di bilancio.
Il fondo comune è ripartito fra le Regioni a statuto ordinario con decreto del Ministro per il tesoro di concerto
con quello per le finanze nel modo seguente:
A) per i sei decimi, in proporzione diretta alla popolazione residente in ciascuna Regione, quale risulta dai dati
ufficiali dell'Istituto centrale di statistica relativi al penultimo anno antecedente a quello della devoluzione;
B) per un decimo in proporzione diretta alla superficie di ciascuna Regione, quale risulta dai dati ufficiali
dell'Istituto centrale di statistica relativi al penultimo anno antecedente a quello della devoluzione;
C) per i tre decimi, fra le Regioni in base ai seguenti requisiti:
a) tasso di emigrazione al di fuori del territorio regionale, relativo al penultimo anno antecedente a quello della
devoluzione, quale risulta dai dati ufficiali dell'Istituto centrale di statistica;
b) grado di disoccupazione, relativo al penultimo anno antecedente a quello della devoluzione, quale risulta dal
numero degli iscritti nelle liste di collocamento appartenenti alla prima e seconda classe, secondo i dati ufficiali
rilevati dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale;
c) carico pro capite dell'imposta complementare progressiva sul reddito complessivo posta in riscossione
mediante ruoli nel penultimo anno antecedente a quello della devoluzione, quale risulta dai dati ufficiali
pubblicati dal Ministero delle finanze. Con l'entrata in vigore dei provvedimenti di attuazione della riforma
tributaria, il carico pro capite sarà riferito ad altra imposta corrispondente.
La determinazione delle somme spettanti alle Regioni sui tre decimi del fondo è fatta in ragione diretta della
popolazione residente, quale risulta dai dati ufficiali dell'Istituto centrale di statistica, relativa al penultimo anno
antecedente a quello della ripartizione, nonchè in base alla somma dei punteggi assegnati a ciascun requisito nella
tabella annessa alla presente legge.
Al pagamento delle somme spettanti alle Regioni, il Ministero del tesoro provvede bimestralmente con mandati
diretti intestati a ciascuna Regione.
Con successiva legge, da emanarsi non appena l'Istituto centrale di statistica abbia elaborato e pubblicato i dati
relativi alla distribuzione regionale del reddito nazionale e comunque non oltre due anni, saranno riveduti i criteri
di ripartizione del fondo comune di cui alla lettera C) del quinto comma del presente articolo, osservando il
principio di una perequazione in ragione inversamente proporzionale al reddito medio pro capite di ciascuna
Regione.
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La perequazione di cui si discorre era fondamentalmente connessa alle esigenze, alle
necessità delle Regioni in adempimento delle loro normali attività e funzioni, e
quindi alle spese da sostenere per poterle concretamente svolgere. I proventi delle
quote di tributi erariali venivano accantonati in questo fondo da ripartire equamente
tra le Regioni in modo che ognuna di esse avesse assicurato tanto l'ammontare delle
proprie entrate quanto la quota del fondo destinati a garantire la copertura delle spese
inerenti il soddisfacimento dei loro «bisogni»; ma come venivano misurati tali
«bisogni» per poter poi correttamente ed equamente elargire alle Regioni le somme
destinate a finanziarne, a sovvenzionarne le «funzioni normali»?
Attraverso l'utilizzo di tradizionali indici (nota (3) art. 8 l. n. 281/1970 nella parte in
cui si disponeva circa la ripartizione del fondo comune tra le Regioni a statuto
ordinario con decreto del Ministero del tesoro di concerto con quello per le finanze)
applicati alle Regioni medesime, quali: la popolazione residente, la superficie
territoriale, il disagio economico nel quale ambito si considerano il tasso di
disoccupazione, il tasso di emigrazione, il reddito per abitante (e quindi il livello pro-
capite dell'Irpef) ed infine l'indicatore afferente la spesa storica statale distribuita a
livello regionale e correlata alle funzioni amministrative statali trasferite alle Regioni
tramite i decreti legislativi del gennaio 1972 che trovarono il loro fondamento
normativo nell'articolo 17 della legge n. 281 del 1970 operante come disposizione di
«Delega al Governo per il passaggio delle funzioni e del personale statali alle
Regioni».
Lo Stato con legge assegnava a singole Regioni anche dei «contributi speciali per
provvedere a scopi determinati, e particolarmente per valorizzare il Mezzogiorno e le
Isole» (comma 3 vecchio articolo 119 della Cost.); i contributi speciali erano
un'ulteriore categoria di interventi finanziari statali verso l'ente regionale che però
mai vennero applicati a livello legislativo e tanto meno inseriti in qualche programma
di intervento per il Mezzogiorno e le Isole. I contributi speciali potevano essere
considerati affini ai contributi di scopo che venivano concessi dallo Stato alle
Regioni per il conseguimento di determinati obiettivi individuati dal legislatore
ordinario; nel programma del contributo di scopo oltre all'assegnazione di risorse
finanziarie era presente anche un elenco di condizioni, indicazioni, termini, vincoli
normativi, per il suo corretto utilizzo. Il contributo aveva lo scopo di finanziare un
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programma, o servizio, o spesa di competenza dell'ente ricevente quando si deduceva
che in quel determinato settore esistevano interessi degni di tutela che però purtroppo
l'ente non riusciva a garantire e a salvaguardare. I contributi di scopo potevano
finanziare anche attività che pur disciplinate da leggi statali erano comunque affidate
alle Regioni per lo svolgimento dei compiti amministrativi.
Un importante esempio di contributo di scopo lo si aveva nel settore sanitario
attraverso programmi attinenti a sostenere le Regioni nell'ambito della prevenzione e
cura di determinate patologie, nell'acquisto di particolari attrezzature o macchinari
ospedalieri, nei programmi di edilizia ospedaliera, nella tutela della salute come
corollario d'insieme.
Concludendo l'analisi dell'articolo 119 della Cost., vecchia formulazione, il quarto ed
ultimo comma disponeva che «la Regione ha un proprio demanio e patrimonio,
secondo le modalità stabilite con legge della Repubblica».
2. Le principali fonti d'entrata delle Regioni fino al 1996
2.1. I tributi propri
La prima e principale fonte d'entrata per le Regioni a statuto ordinario era
costituita dai tributi propri di cui se ne dà un'esposizione nell'elenco sottostante:
a) l'imposta sulle concessioni statali per l'occupazione e l'uso dei beni del demanio
e del patrimonio indisponibile dello Stato che erano presenti nel territorio della
Regione, ad esclusione delle concessioni per le grandi derivazioni di acque pubbliche
(articolo 2 l. n. 281/1970).
b) le tasse sulle concessioni regionali che erano da applicare agli atti ed ai
provvedimenti disposti dalle Regioni nell'esercizio delle loro funzioni e
corrispondenti agli atti già di competenza statale ai quali erano imputati le tasse sulle
concessioni governative a norma delle vigenti disposizioni. Tali tasse erano
disciplinate dalle norme statali che regolavano le tasse sulle concessioni governative
(articolo 3 l. n. 281/1970 sostituito dall'articolo 4 l. n. 158/1990 recante «Norme di
delega in materia di autonomia impositiva delle Regioni e altre disposizioni
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concernenti i rapporti finanziari tra lo Stato e le Regioni», in base al quale le tasse
sulle concessioni regionali si applicavano anche agli atti adottati dagli enti locali,
nell'esercizio delle funzioni regionali loro delegate, ai sensi dei vecchi articoli 117 e
118 della Costituzione, indicati nell'apposita tariffa approvata con decreto del
Presidente della Repubblica avente valore di legge ordinaria).
c) la tassa automobilistica regionale che era da applicare a veicoli ed autoscafi
soggetti alla corrispondente tassa erariale di possesso immatricolati nelle Province
delle Regioni a statuto ordinario, nonché a veicoli ed autoscafi per i quali non era
previsto il documento di circolazione e che appartenevano a soggetti residenti nelle
Regioni medesime (ai sensi dell'articolo 5 l. n. 158/1990, e successive modificazioni,
che sostituì l'articolo 4 della l. n. 281/1970 prevedente la tassa regionale di
circolazione). La l. n. 421/1992 recante «Delega al Governo per la razionalizzazione
e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza
e di finanza territoriale», all'articolo 4 «finanza degli enti territoriali», comma 1
(lettera c), dispose che alle Regioni a statuto ordinario già titolari di una parte della
tassa automobilistica fosse attribuita dal 1 gennaio 1993 l'intera tassa automobilistica
(in origine disciplinata dal d.P.R. n. 39 del 1953)(4).
_________________________
(4) Articolo 4 comma 1 lettera c, l. n. 421/1992:
Al fine di consentire alle Regioni, alle Province ed ai Comuni di provvedere ad una rilevante parte del loro
fabbisogno finanziario attraverso risorse proprie, il Governo della Repubblica è delegato ad emanare, entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, salvo quanto previsto al comma 7 del presente
articolo, uno o più decreti legislativi, diretti:
c) all'attribuzione, a decorrenza dal 1 gennaio 1993, alle Regioni a statuto ordinario - già titolari di una parte della
tassa automobilistica, ai sensi dell'art. 4 della legge 16 maggio 1970, n. 281, come sostituito dall'art. 5 della legge
14 giugno 1990, n. 158 e successive modificazioni - dell'intera tassa automobilistica complessivamente dovuta,
nonchè della soprattassa annuale di cui all'art. 8 del decreto-legge 8 ottobre 1976, n. 691, convertito, con
modificazioni, dalla legge 30 novembre 1976, n. 786, e dalla tassa speciale di cui all'art. 2 della 21 luglio 1984, n.
362, con l'osservanza dei seguenti princìpi e criteri direttivi:
1) le misure della tassa automobilistica, della soprattassa annuale e della tassa speciale possono essere stabilite,
con effetto dal 1 gennaio di ciascun anno, alle scadenze previste nell'art. 4 della legge 16 maggio 1970, n. 281,
nel testo modificato dalla legge 14 giugno 1990, n. 158 e successive modificazioni, nella misura compresa fra il
90 ed il 110 per cento di quelle vigenti nell'anno precedente;
2) la tassa automobilistica, la soprattassa annuale e la tassa speciale sono disciplinate dalle stesse norme che
regolano gli analoghi tributi erariali vigenti nel territorio delle regioni a statuto speciale, ivi comprese quelle
concernenti le sanzioni e la loro entità, e sono riscosse negli stessi termini, con le stesse modalità ed a mezzo
dello stesso concessionario della riscossione degli analoghi tributi erariali, il quale verserà i tributi regionali
riscossi nelle casse della regione di competenza ed avrà diritto allo stesso aggio fissato per i detti tributi erariali;
3) la rinnovazione dell'immatricolazione di un veicolo o di un autoscafo in una provincia compresa nel territorio
di una regione diversa da quella nel cui ambito era precedentemente iscritto non dà luogo all'applicazione di una
ulteriore tassa, soprattassa annuale e tassa speciale per il periodo per il quale il tributo dovuto è stato riscosso
dalla regione di provenienza;
4) contestuale riduzione del fondo comune di cui all'art. 8 della legge 16 maggio 1970, n. 281.
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d) la tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche (Tosap) che si applicava
alle occupazioni di spazi ed aree pubbliche appartenenti alle Regioni ed era
disciplinata, per quanto non disposto dalla legge in cui era inserita, dalle norme dello
Stato che regolavano l'analogo tributo provinciale (articolo 5 l. n. 281/1970).
Le Regioni però potevano solo determinare le aliquote dei tributi indicati (oltretutto
entro limiti fissati dalla legge statale) perché ogni altro aspetto della materia (soggetti
passivi del tributo, presupposti per l'applicazione del tributo, base imponibile,
modalità d'accertamento del tributo, liquidazione, riscossione, e sanzioni applicative)
era disciplinato dalla legge statale (gli uffici competenti per conto della Regione
eseguivano tali operazioni per il corrispondente tributo provinciale) e ciò valeva
anche per ulteriori fonti d'entrata attribuite alle Regioni, introdotte da disposizioni
legislative successive alla l. n. 281/1970, quali:
1) l'addizionale regionale all'imposta di consumo sul gas metano (articoli 9-16 d.
lgs. n. 398/1990).
2) l'addizionale regionale all'imposta erariale di trascrizione nel pubblico registro
automobilistico (articoli 1-8 d.lgs. n. 398/1990), che era stata convertita in
addizionale provinciale con la l. n. 549/1995 (legge finanziaria per il 1996) recante
«Misure di razionalizzazione della finanza pubblica», per poi essere abolita
dall'articolo 51 del d.lgs. n. 446/1997 (sopprimente ulteriori tasse ed imposte)(5).
3) l'imposta regionale sulla benzina per autotrazione (articolo 17 d.lgs. n.
398/1990), di cui era facoltà delle Regioni ordinarie deciderne la relativa istituzione
con proprie leggi.
_________________________
(5) D.lgs. n. 446/1997 recante «Istituzione dell'imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli
scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell'Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta,
nonche' riordino della disciplina dei tributi locali», Titolo III, Riordino della disciplina dei tributi locali,
Articolo 51: Imposte e tasse abolite.
1. Dal 1 gennaio 1998 sono abolite le tasse sulle concessioni comunali di cui all'articolo 8 del decreto-legge 10
novembre 1978, n. 702, convertito, con modificazioni, dalla legge 8 gennaio 1979, n. 3.
2. Dal 1 gennaio 1999 sono abolite:
a) le tasse per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche di cui al capo II del decreto legislativo 15 novembre 1993,
n.507, e all'articolo 5 della legge 16 maggio 1970, n. 281;
b) l'imposta erariale di trascrizione, iscrizione ed annotazione dei veicoli al pubblico registro automobilistico di
cui alla legge 23 dicembre 1977, n. 952;
c) l'addizionale provinciale all'imposta erariale di trascrizione di cui all'articolo 3, comma 48, della legge 28
dicembre 1995, n. 549.
3. I versamenti relativi ai tributi indicati nei commi 1 e 2, i cui presupposti di imposizione si verificano
anteriormente alla data dalla quale, nei confronti dei singoli soggetti passivi, ha effetto la loro abolizione, sono
effettuati anche successivamente a tale data.
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[Il d.lgs. n. 398/1990 più volte menzionato recava «Istituzione e disciplina
dell'addizionale regionale all'imposta erariale di trascrizione di cui alla legge 23
dicembre 1977, n. 952 e successive modificazioni, dell'addizionale regionale
all'imposta di consumo sul gas metano e per le utenze esenti, di un'imposta
sostitutiva dell'addizionale, e la previsione della facoltà delle Regioni a statuto
ordinario di istituire un'imposta regionale sulla benzina per autotrazione»].
Dal 1993 nella categoria dei tributi regionali «propri», così come indicati nelle
caratteristiche osservate, si qualificavano anche i contributi per le prestazioni del
servizio sanitario nazionale (ai sensi dell'articolo 1 in tema di sanità, nell'ambito della
l. n. 421/1992) imposti sui redditi da lavoro (dipendenti e non) in base ad aliquote
variabili ed attribuiti alle Regioni; su tali aliquote l'ente poteva intervenire
aumentandole (ma entro un limite massimo imposto dalla legge statale) se avesse
desiderato offrire dei servizi sanitari superiori agli standard previsti e garantiti, ma
era obbligato all'aumento in caso di disavanzi nella spesa sanitaria, in quanto tali
contributi erano vincolati al suo finanziamento. Essi vennero aboliti dal d.lgs. n.
446/1997.
2.2. Il fondo comune
Il comma 2 del vecchio articolo 119 della Cost. disponeva che le Regioni, per far
fronte alle spese inerenti lo svolgimento delle loro «funzioni normali», oltre ai propri
tributi, avevano garantite quote di tributi erariali; a tal fine, la legge n. 281 del 1970
all'articolo 8 (nota (3)) prevedeva l'istituzione di un «fondo comune» il cui ammontare
doveva essere ripartito applicando criteri perequativi commisurati pro-quota al gettito
di alcuni tributi erariali indicati nel menzionato articolo. Lo scopo di tale fondo era
favorire le Regioni socialmente ed economicamente più arretrate.
Purtroppo il funzionamento di questo meccanismo si rivelò ben presto inadeguato a
finanziare le spese connesse alle attività regionali, perché i suoi attesi aumenti non
corrisposero e tanto meno seguirono l'andamento della finanza statale e quello più
importante del tasso inflazionistico.
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Per ovviare al problema si intervenne stabilendo, con il provvedimento legislativo n.
356/1976, limitatamente al quinquennio 1976-1981, che il fondo venisse aumentato
tramite la sua indicizzazione rapportata al tasso di crescita delle entrate tributarie
statali. Da quel momento in poi (fino a quando esso non fu abolito nel 1996) il fondo
comune è stato determinato annualmente, in via discrezionale, dal legislatore statale
in sede di formazione del bilancio dello Stato con il fine specifico di svilupparlo
avendo particolare riguardo al tasso programmato d'inflazione (indissolubilmente
quest'ultimo legato alle esigenze di limitazione della spesa).
Ma essendo spesso più elevato il tasso d'inflazione effettivo rispetto a quello
programmato, ciò si è tradotto in un ulteriore «danno» per il funzionamento del fondo
medesimo che ne ha provocato la riduzione fino a privarlo di ogni essenza ledendo in
tal modo anche quanto l'articolo 119 della Costituzione al comma 2 richiamava come
fonte d'entrata per le Regioni (e cioè le quote di tributi erariali).
2.3. I contributi speciali e il fondo per il finanziamento dei programmi regionali di
sviluppo
Affermando che lo Stato con legge assegnava a singole Regioni contributi speciali
per provvedere a determinati scopi e in particolare per valorizzare il Mezzogiorno e
le Isole (comma 3 vecchio articolo 119 della Cost.), la l. n. 281/1970 all'articolo 12,
dedicato proprio a tali contributi, ha voluto evidenziarne il carattere aggiuntivo
rispetto alle spese effettuate dallo Stato direttamente o indirettamente ma con
carattere di generalità verso tutto il proprio territorio. I contributi speciali erano
assegnati alle Regioni ordinarie con determinate leggi in ottemperanza alle
indicazioni del programma economico nazionale, oltre che degli eventuali
programmmi di sviluppo regionale, avendo particolare riguardo alla valorizzazione
del Mezzogiorno.
Sempre la l. n. 281/1970 all'articolo 9 presupponeva l'istituzione di un'ulteriore fonte
di finanziamento regionale, non però prevista dal dettame costituzionale, e cioè il
fondo per il finanziamento dei programmi regionali di sviluppo nell'ambito dello
stato di previsione della spesa del Ministero del bilancio e della programmazione
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economica, che doveva essere determinato per l'ammontare di ogni quinquennio
dalla legge di approvazione del programma economico nazionale, e per l'ammontare
annuale dalla legge di bilancio. Tale fondo (una forma di concorso statale alle spese
regionali) veniva assegnato alle Regioni - ordinarie e speciali - in base alle
indicazioni del programma economico nazionale con riferimento a criteri da
prevedersi annualmente tramite il Comitato interministeriale per la programmazione
economica, e con preponderante riguardo alle esigenze del Mezzogiorno.
Purtroppo la mancata partenza della programmazione nazionale revisionò totalmente
quanto impostato e dal 1991 ciò portò alla trasformazione del fondo [in base
all'articolo 2 della legge n. 356/1976 e soprattutto all'articolo 3 della l. n. 158/1990]
stabilendo che esso venisse costituito da una quota fissa (pari a quella del 1990
attribuita, ai sensi dell'articolo 9 l. n. n. 281/1970, al netto delle assegnazioni su leggi
di settore confluite nel fondo) e da una quota variabile (definita con la legge
finanziaria su base triennale, comprendente gli stanziamenti annuali previsti dalle
leggi di settore vigenti) annualmente, il che privò il fondo di ogni possibile stimolo
alla programmazione limitandolo solo ad essere mera integrazione del fondo comune
(articolo 8 l. n. 281/1970) sino a quando anche quest'ultimo sarebbe stato abolito
(1996).
2.4. I fondi speciali
Nell'ambito delle fonti d'entrata regionali i fondi speciali costituivano la «portata»
più cospicua assegnata dallo Stato alle Regioni sempre con vincolo di destinazione e
disciplinata da apposite disposizioni legislative. Tali fondi erano ugualmente
nominati anche fondi settoriali, in quanto entrambi finalizzati al finanziamento di
vari settori: ambiente, edilizia scolastica, attività agricole, consultori familiari, zone
montane, e soprattutto i ben più importanti settori della sanità, e del trasporto
pubblico.
Con riferimento al settore sanitario, la legge di riforma sanitaria n. 833/1978 istituì il
fondo sanitario nazionale - fsn - (avente il fine fondamentale di tutelare la salute
come diritto dell'individuo e interesse della collettività) da determinare in sede di
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formazione del bilancio statale e da ripartire (tramite criteri dettati dal Comitato
interministeriale per la programmazione economica - C.i.p.e. - in base ad indici e
standard previsti dal piano sanitario nazionale) tra le Regioni che poi avrebbero
dovuto provvedere nella sua assegnazione alle unità sanitarie locali (originariamente
queste ultime previste come enti ospedalieri dalla l. n. 132/1968, poi trasformati
appunto in strutture delle Unità sanitarie locali dalla l. n. 833/1978, ed infine, dopo
varie modifiche legislative, ulteriormente mutate in Aziende sanitarie locali come
previste dal d.lgs. n. 502/1992).
Le Regioni sono sempre state particolarmente coinvolte nella copertura del disavanzo
del settore sanitario essendo spesso le spese relative molto elevate a causa dei
fabbisogni e dei costi troppo facilmente superiori a quanto previsto generando così
difficoltà sia nell'attuazione del programma sanitario, che nella copertura di tali spese
da parte delle Regioni medesime; quindi, per porre rimedio e cercare di garantire un
concreto ed efficace funzionamento del settore sanitario, dal 1993 il legislatore
statale è intervenuto ridefinendo totalmente il sistema di finanziamento delle spese
sanitarie con la l. n. 421/1992 recante «Delega al Governo per la razionalizzazione e
la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e
di finanza territoriale» (legge di delega attuata da successivi decreti legislativi) e
soprattutto con l'articolo 1 che è proprio in tema di sanità.
Sinteticamente si è previsto di: determinare livelli generali ed uniformi di assistenza
sanitaria al cui finanziamento avrebbe dovuto provvedere il fsn medesimo; attribuire
i contributi per le prestazioni sanitarie nazionali imposti sui redditi di lavoro a quelle
Regioni che avrebbero voluto garantire servizi superiori agli standard previsti
potendo però esclusivamente farlo elevando tali contributi o comunque tramite il loro
bilancio (si veda paragrafo 2.1. sui tributi propri); ridurre il fsn da trasmettere alle
Regioni dell'ammontare pari al gettito fornito dai contributi sanitari.
2.5. Altre entrate
In conclusione, tra le fonti d'entrata sono da annoverarsi anche i finanziamenti
erogati e garantiti dalla Comunità europea alle Regioni per la realizzazione di
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