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INTRODUZIONE
Questa tesi si pone come obiettivo principale l’analisi degli episodi più
salienti e cruciali che hanno caratterizzato i rapporti tra i paesi
dell’Alleanza Atlantica tra la fine degli anni cinquanta e buona parte degli
anni sessanta, e di come questi abbiano influito sulle decisioni più
rilevanti della politica internazionale, caratterizzata in quegli anni dal
confronto Est-Ovest, e sulla nascita delle prime forme di integrazione
europea.
Sono gli anni in cui il protagonista assoluto fu il fattore nucleare, unico e
indiscusso ago della bilancia che pesò su tutte le questioni di rilevanza
internazionale, in un mondo che giunse a più riprese ad un passo
dall’orlo del baratro di un conflitto termonucleare.
Più concretamente, furono gli anni della presidenza Eisenhower e del
successivo passaggio di consegne al giovane democratico Kennedy,
dalla dottrina della “Rappresaglia Massiccia” alla dottrina della “Risposta
Flessibile” sull’impiego delle armi nucleari, del tentativo europeo di
dotarsi di un arsenale atomico autonomo e delle prese di posizione di de
Gaulle. Sono questi gli elementi che fecero da sfondo ai contrasti dei
francesi con gli Stati Uniti, e alla conseguente crisi dei rapporti atlantici,
dovuta in parte anche alla mancata consultazione atlantica durante la
crisi dei missili di Cuba da parte dell’amministrazione Kennedy.
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D’altro canto, i sovietici riuscirono in questo periodo ad accorciare il
divario tecnologico con gli Stati Uniti, grazie all’entrata in servizio dei
primi ICBM (Intercontinental Balistic Missile, Missili Balistici
Intercontinentali), che misero fine alla convinzione americana
dell’invulnerabilità del proprio suolo. Ed in più, il successo del lancio del
primo satellite artificiale avvenuto nel 1957, lo Sputnik, semplicemente
seminò il panico nel mondo occidentale.
Gli europei nel contempo, sollecitati solo in parte dalla regia degli Stati
Uniti, svilupparono i negoziati per la creazione del pool carbosiderurgico
(CECA, Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio) e quelli per la
costituzione di un esercito europeo, in grado di raccordarsi con la Nato e
che ne sarebbe diventato in qualche modo il braccio militare, cioè il
progetto destinato a concretizzarsi nella Comunità Europea di Difesa
(CED).
Lo scopo di questi tentativi era di creare un’unica identità europea da
schierare compatta dinanzi agli occhi dei sovietici, e, al tempo stesso, di
guadagnare credibilità nei confronti del grande alleato americano,
nonché di dimostrare che gli europei non erano più disposti a piegare la
testa alle volontà statunitensi su determinati argomenti.
La prima dimostrazione della volontà di realizzare queste intenzioni
avvenne nel 1956, quando il governo francese presieduto dal socialista
Guy Mollet, tirò fuori dal cassetto un vecchio progetto e lo propose ai due
partner europei, Germania Occidentale e Italia; questo progetto
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riguardava un’intesa tripartita per la collaborazione atomica in campo
militare.
Tale proposta fu avanzata dopo il fallimento della spedizione anglo-
francese a Suez, in un momento in cui la Francia era impegnata nella
guerra algerina e lamentava l’insensibilità della NATO per una questione
che Parigi considerava di vitale importanza. Il riferimento a Suez
conferma che la piccola guerra scatenata contro l’Egitto dalle due
potenze europee con la complicità di Israele dopo la nazionalizzazione
del canale fu, insieme alla guerra di Corea, il primo grande spartiacque
della politica internazionale nel secondo dopoguerra. Quando gli
americani intervennero e imposero la fine delle ostilità, Gran Bretagna e
Francia ebbero reazioni opposte. A Londra i conservatori scelsero un
nuovo premier nella persona di Harold MacMillan, che diede un colpo di
acceleratore al processo di decolonizzazione, e decisero che il rapporto
speciale con gli Stati Uniti era più importante dei loro vecchi sogni
imperiali. La Francia conservò Guy Mollet alla testa del governo, e decise
testardamente che soltanto l’arma atomica le avrebbe permesso di
tenere alta la testa nei confronti dei voleri americani. Il patto tripartito che
la Francia propose alla Germania e all’Italia risponde per l’appunto a
quell’ esigenza.
Nonostante i sette incontri segreti tenuti dai rispettivi ministri della difesa
dei paesi firmatari del progetto, Jacques Chaban Delmas per la Francia,
Franz Josef Strauss per la Germania e Paolo Emilio Taviani per l’Italia, la
parte militare del programma fu abbandonata nel giro di un paio di anni.
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La responsabilità fu in primo luogo francese; quando tornò al potere nel
maggio del 1958 il generale de Gaulle, egli volle che la Francia
denunciasse subito questo accordo tripartito, in quanto non credeva che
la potenza nucleare potesse restare nelle mani di un amministrazione
condominiale, anche perché aveva ormai deciso di dotare il proprio
paese di una propria Force de Frappe (forza di dissuasione), ovvero, di
un arsenale nucleare autonomo.
Conseguentemente, le idee e i programmi di de Gaulle entrarono presto
in contrasto con le intenzioni dell’amministrazione Kennedy, che,
partendo da quanto già intrapreso dal suo predecessore Eisenhower, si
era proposto di formare in Europa non solo un’ alleanza in grado di
fronteggiare un’eventuale invasione sovietica, ma addirittura quello che il
presidente americano definì «un nuovo ordine mondiale, basato su un’
Europa unita e democratica facente parte di una libera comunità
commerciale atlantica».
Quindi, nonostante l’Europa occidentale restasse il fulcro della politica
estera americana, ovvero il territorio sul quale si giocava lo scontro più
importante con l’Unione Sovietica, è da sottolineare che comunque
l’amministrazione americana non avvertiva quella necessità di agire in
fretta che invece caratterizzava il confronto con il blocco sovietico nei
paesi extraeuropei; la priorità in Europa era il mantenimento della
coesione all’interno della Nato, obiettivo che all’inizio del decennio non
sembrava così difficile, dato il vincolo apparentemente saldo che legava
gli alleati.
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Ma furono soprattutto le convinzioni del Generale francese circa la
necessità di una valorizzazione della Francia, e di una attenuazione
dell’influenza esercitata sull’Europa dagli Stati Uniti, a causare una crisi
dei rapporti atlantici e una divisione degli schieramenti politici in Europa.
Ad approfondire il fossato dei rapporti franco-statunitensi intervenne
infatti anche il “fattore britannico”. Non appena verificata di persona la
determinazione di de Gaulle a proseguire per la sua strada, Kennedy non
esitò a far leva sul rapporto speciale con i cugini inglesi per ripristinare
peso e influenza sullo scenario europeo, incoraggiando Londra ad
abbandonare la propria opposizione nei confronti del Mercato Comune. Il
governo presieduto da MacMillan assecondò la strategia americana e,
nell’agosto del 1961, avanzò formalmente la propria candidatura per
entrare a far parte della CEE; fu una vera e propria rivoluzione della
politica inglese.
Ma a Parigi de Gaulle valutò subito il potenziale impatto della mossa di
MacMillan, e non tardò a comprendere che dietro la richiesta britannica
c’era la longa manus americana.
Il governo italiano presieduto da Amintore Fanfani fu, invece,
particolarmente favorevole all’ingresso della Gran Bretagna nella CEE,
in quanto aveva esplicitamente proposto la costituzione di un asse italo-
britannico per fronteggiare e bilanciare il nascente asse franco-tedesco
alla guida del vecchio continente.
Ma ci pensò la stesso de Gaulle ad affossare qualunque piano
alternativo nella famosa conferenza stampa tenuta il 14 gennaio 1963,
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con cui pose il veto all’ingresso della Gran Bretagna nel Mercato
Comune.
Le ragioni erano soprattutto di ordine politico-strategico: de Gaulle era
convinto che l’accordo di Nassau tra Kennedy e MacMillan costituisse la
premessa per la formazione di un direttorio anglo-americano per
emarginare la Francia e per sottoporre la politica europea al controllo
anglosassone: la Gran Bretagna era il cavallo di Troia di cui gli Stati Uniti
intendevano servirsi per scardinare la fortezza Europa. Infatti, il
presidente francese confermò il rifiuto ai programmi di integrazione
militare patrocinati dagli americani e ribadì la volontà della Francia di
costituire un armamento nucleare autonomo. Era un no che creò
successivamente le condizioni per il ritiro di Parigi dall’organizzazione
militare integrata dell’ Alleanza Atlantica, che sarebbe stato definito tre
anni più tardi, nel 1966.
L’Europa, nel pensiero di de Gaulle, era e restava quella delle patrie. E
nel 1962 aveva in serbo una carta supplementare che gli consentì di
assumere una posizione ancor più dura nei confronti degli anglosassoni:
difatti la bussola della politica di Parigi si orientò sempre più verso Bonn.
Il trattato sottoscritto dal Generale francese e da Konrad Adenauer
suggellò l’avvio di una consultazione permanente in numerosi settori, tra
cui la difesa e la politica estera. Per de Gaulle il patto franco-tedesco fu il
primo passo verso la costituzione di un’“Europa Carolingia” da
contrapporre all’“Europa Atlantica”, patrocinata dall’altra sponda
dell’oceano. De Gaulle seppe infatti ben interpretare le angosce del
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cancelliere tedesco derivanti dalle incognite della dottrina della “Risposta
Flessibile”, perciò le trattative del patto franco-tedesco subirono una forte
accelerazione nell’autunno del 1962 dopo la crisi di Cuba.
La crisi dei missili nucleari sovietici che stavano per essere installati
sull’isola di Cuba mise in evidenza, infatti, che gli americani erano molto
più pronti a ricorrere alla minaccia dell’arma nucleare quando erano
coinvolti direttamente, nel loro continente, che quando si trattava di
difendere le posizioni in aree e continenti più lontani, come ad esempio a
Berlino per l’Europa; tutto sembrò confermare lo scetticismo francese e
tedesco circa la garanzia nucleare americana contro le minacce
sovietiche nel vecchio continente.
Dopo la famosa conferenza stampa del 14 gennaio 1963, Kennedy
rimase colto di sorpresa dal gran rifiuto gollista nei confronti dell’ingresso
della Gran Bretagna nella CEE; tutto il disegno di una comunità atlantica
venne repentinamente messo in discussione. Tuttavia, superato lo shock
iniziale, Kennedy e i suoi consiglieri si misero al lavoro per rispondere
allo schiaffo gollista. L’intenzione era quella di assumere un’iniziativa a
tutto campo in modo da ripristinare saldamente la leadership americana
in seno alla NATO. Venne quindi rispolverato un vecchio piano per la
costituzione di una forza multilaterale (MLF, Multilateral Force), che
avrebbe messo a disposizione della Nato un certo numero di
sommergibili muniti di missili nucleari Polaris.
Ma sta di fatto che, nell’estate del 1963, il Bundestag approvò la
presentazione di un preambolo pro-Nato sostanzialmente contrario al
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patto franco-tedesco, che svuotò tutte le connotazioni antiamericane di
tale progetto. Conseguentemente, il varo della MLF perse interesse
anche per gli americani, poiché il progetto era stato concepito soprattutto
come uno strumento per placare le intenzioni tedesche e le ambizioni
francesi. E in più, al presidente americano e al suo staff stava molto a
cuore il raggiungimento di un accordo con l’Unione Sovietica sulla
limitazione dei test nucleari; gli Stati Uniti, pertanto, si dichiararono pronti
a rinunciare anche alla MLF se questo avesse potuto favorire un’intesa
con Mosca tale da prevenire anche lo sviluppo degli armamenti nucleari
in Cina. L’ intenzione dell’amministrazione statunitense era, chiaramente,
quella di limitare la proliferazione delle armi nucleari in paesi in cui non
avrebbe potuto esercitare il proprio controllo operativo su tali armi.
Sta di fatto che, dopo aver sfiorato l’apocalisse nucleare, le due
superpotenze si resero conto della necessità di fermare in qualche modo
la corsa al riarmo, e trovarono le prime intese con il Partial Test Ban
Treaty, sottoscritto nell’agosto del 1963, che prevedeva la messa a
bando a tempo indeterminato degli esperimenti nucleari nell’atmosfera,
nello spazio cosmico e quello sottomarino. Venne inoltre istituita la
cosiddetta “linea rossa” tra la Casa Bianca e il Cremino, attivata sempre
nel 1963 per collegare le due centrali del potere mondiale.
Con l’assassinio di John Kennedy, il 22 novembre 1963, anche il dossier
sulla forza multilaterale venne momentaneamente accantonato. Fu
riaperto successivamente dal nuovo presidente Lyndon Johnson. Nel
1964 ci fu un anche passo in avanti sul piano operativo: il
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cacciatorpediniere Claude V. Ricketts venne posto a disposizione degli
alleati con un equipaggio multilaterale. Ma il progetto della MLF,
malgrado ogni tentativo di mantenerlo in vita, non vedrà mai la luce.
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CAPITOLO I
L’ATOMICA E LA POLITICA INTERNAZIONALE ALLA
FINE DEGLI ANNI CINQUANTA
1.1 Gli effetti delle armi nucleari sulla politica internazionale.
Per intraprendere la discussione dei principali argomenti che saranno
oggetto di analisi, è necessario precisare quale fosse il ruolo che l’arma
atomica rivestiva in quegli anni, come e perché essa dettasse
praticamente legge in tutti i tipi di relazioni che riguardavano due o più
stati.
L’umanità è entrata nell’era nucleare da quando, dopo l’esperimento
effettuato ad Alamogordo il 16 luglio 1945, il 6 e l’8 agosto furono
sganciate da aerei americani su Hiroshima e Nagasaki due bombe da 20
chilotoni
1
. La nuova scoperta si dimostrò sin dall’inizio nella forma della
più spaventosa arma di distruzione di massa della storia. Colpiscono,
infatti, le parole del dittatore sovietico Stalin riguardo l’utilizzo di tali armi:
il possesso di armi atomiche avrebbe potuto significare la fine delle
guerre e delle aggressioni, ma i segreti relativi a tali armi avrebbero
dovuto essere ben custoditi, anticipando così (poiché certo non pensava
che l’URSS ne rimanesse a lungo priva) quella struttura praticamente
1
Cfr. Cacace P., L’atomica europea, Fazi, Roma, 2004, pp. 10-11.
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bipolare del dominio atomico che fu caratteristica della guerra fredda e
fonte di tante controversie
2
.
L’arma nucleare costituisce quindi l’apice della scala delle armi di
distruzione di massa: basterebbe menzionare il fatto che una bomba
termonucleare può, se fatta esplodere all’altezza più efficace, avere un
raggio di distruzione di varie decine di chilometri quadrati. A questo
fattore di enorme potenza, si deve aggiungere anche la grandissima
portata dei vettori, aerei e missili.
Stati Uniti e Unione Sovietica possedevano (e possiedono tuttora) non
solo bombardieri a lungo raggio, ma anche missili intercontinentali (i
cosiddetti ICBM), che hanno una gittata di 9-10.000 miglia, che allo
stadio della tecnica di quegli anni, erano praticamente non intercettabili.
In questo modo, le armi nucleari avevano la possibilità di raggiungere
qualsiasi punto del globo, e contro di esse non v’era alcuna difesa.
L’arma atomica fu quindi una vera e propria rivoluzione nella strategia
militare. Infatti, prima dell’introduzione delle armi atomiche, gli stati, in
tempo di pace, cercavano di far prevalere i propri interessi su quelli
antagonistici con la manovra diplomatica e con ogni altro mezzo di
pressione. Quando il contrasto di interessi diveniva acuto, si ricorreva
alla guerra con la quale ci si proponeva di imporre la propria volontà al
nemico, previa distruzione delle forze armate di quest’ultimo. A tale
situazione ben si attagliava la classica definizione del Clausewitz «la
guerra è la continuazione della politica condotta con altri mezzi»
3
. Una
2
Cfr. Bacchetti F., La strategia nucleare, Edizioni di Comunità, Milano, 1964, p. 11.
3
Karl von Clausewitz, Della Guerra, Mondadori, Milano, 1982, p. 862.