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Introduzione e scopo della tesi 
 
La passione per gli argomenti che sono stati analizzati nel mio lavoro è stata  sostenuta da 
una mia  personale esperienza pregressa  nella ristorazione. La prima volta che mi sono 
addentrato in una cucina professionale non sapevo né pelare le patate, né accendere un fuoco, 
figuriamoci se avessi potuto  saper qualcosa di food & beverage cost control.  Per me  era un 
mondo nuovo, con orizzonti che non si potevano scorgere,  pieno di interrogativi,  ma che al 
tempo stesso mi riempiva di entusiasmo.  Nel 2002 sono entrato nel settore ristorativo come 
commis
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 di cucina e un po’ per gioco un po' per poter rendermi indipendente dalla  mia famiglia 
mi sono appassionato alla gastronomia e a tutto ciò che la circonda. Nel corso degli anni durante 
i miei frequenti cambi di alberghi e ristoranti della penisola italiana e a Londra fui prima 
promosso come demì-chef di partita e successivamente  chef di partita
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, fino a diventare trainer
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dei nuovi colleghi nei vari ristoranti. Mentre lavoravo, sono anche riuscito a frequentare  
l'università assiduamente, dapprima il corso triennale e adesso quello magistrale. Con esso la mia 
passione per la ristorazione si è accresciuta enormemente fino a pensare di aprire un ristorante 
tutto mio, magari all’estero e diventarne ambasciatore della cultura gastronomica italiana. 
Ovviamente, per far ciò che questo sogno si avveri  bisogna acquisire le competenze adeguate e 
possedere buone doti di leadership. Così, decisi di addentrarmi nel mondo del management 
ristorativo, frequentai dapprima un corso per la formazione per food & beverage manager e 
infine approfondii le mie conoscenze con il corso di gestione delle imprese agroalimentari 
all'università. A tutto ciò si aggiunge la consapevolezza della portata e del ruolo che rappresenta 
oggi la ristorazione, considerati il numero di soggetti coinvolti e la poliedricità degli ambiti 
interessati.  
Queste ragioni, mi  hanno portato ad un’analisi approfondita dell’assetto imprenditoriale 
e manageriale in cui il mondo dei consumi fuori casa prende forma. Il driver  di questa tesi non è 
                                                 
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  Figura professionale dotata di competenze di base che affianca e aiuta lo chef di partita nelle sue mansioni. Dotato 
di spirito di adattamento, sa lavorare in gruppo e possiede inoltre doti di manualità, fantasia, gusto estetico e 
creatività, nonché capacità critica nella degustazione delle vivande.  
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  Figura professionale dotata di competenze specifiche in determinati settori (antipasti, primi e contorni, carni, 
pesci, pasticceria) della cucina. Solitamente è affiancato e aiutato da uno o più  aiuti cuochi o commis di cucina con 
la quale instaura un rapporto collaborativo. 
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  Il cooking trainer è una figura professionale altamente qualificata, che insegna ai colleghi appena arrivati in 
cucina, il know how dell’azienda in merito al tipo di cucina fatta e al menù.
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dunque l’industria della ristorazione in generale, né l’impresa ristorativa (seppur brevemente ne 
sono stati analizzati alcuni aspetti), al contrario, l’interesse si è concentrato su una componente 
manageriale specifica del sistema ristorativo: il Food & Beverage management in chiave 
rivisitata. Le strutture ristorative nella nostra Penisola evidenziano un elevato grado di 
polverizzazione e si caratterizzano per la presenza rilevante d’imprese di medio e piccole 
dimensioni (sarà oggetto di approfondimento dei capitoli successivi), mono- localizzate ed agenti 
in un ambito territoriale estremamente limitato. Tuttavia è da ritenere che le trasformazioni ed i 
cambiamenti che sono in continua evoluzione favoriscano un'intensificazione della dinamica 
concorrenziale. Il recepimento da parte del nostro Paese delle numerose Direttive comunitarie, 
avvenuto negli ultimi anni, ha imposto una revisione totale del concetto di sistema ristorativo. 
Ecco perché oggi la progettazione di tale reparto oltre a curare gli aspetti organizzativi, 
produttivi e gestionali, deve essere conforme alle numerose e rigorose leggi in materia.  
Proprio per questo gli obiettivi perseguiti da questa trattazione sono molteplici e tendono 
tutti ad un’unica finalità: fornire nuovi e chiari elementi per inquadrare la gestione del reparto 
F&B
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 in chiave moderna, grazie anche alle conoscenze che fornisce il Corso di Laurea 
Magistrale in Scienze Gastronomiche.  Infatti, il dottore in Scienze Gastronomiche è una nuova 
figura professionale    avente un bagaglio culturale ad ampio raggio, in grado si approcciarsi al 
cibo e a tutte le sue sfaccettature  in termini scientifici (chimica, fisica, microbiologia, 
nutrizione), umanistici (storia e cultura dell'alimentazione, degustazione critica) ed economici 
(economia agroalimentare, marketing ristorativo, gestione delle imprese), in grado di comunicare 
e promuovere la cultura gastronomica del Paese. Saper comunicare è importante per far 
conoscere il prodotto e farne apprezzare le qualità organolettiche, mentre una cattiva o assente 
comunicazione annulla il potenziale dei  “giacimenti gastronomici”.  
I giovani laureati, infatti,   possono inserirsi in maniera flessibile nell'odierno contesto 
lavorativo alimentare, colmando così il gap creatosi negli ultimi decenni tra settore produttivo ( 
ben rappresentato dai tecnologi alimentari) e mondo del consumo. Uno dei ruoli possibili, come 
mostrerò nella mia trattazione, è quella di poter governare un'azienda di ristorazione riuscendo a 
gestire e coordinare più settori di un'impresa, dalla processazione delle preparazioni culinarie, 
                                                 
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 Food & Beverage management
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passando per la formazione del personale, il coordinamento del servizio di sala, 
l’implementazione dei sistemi di gestione per la qualità, il food and beverage management, la 
promozione aziendale tramite organizzazione di degustazioni guidate e a tema mediante 
creazione di piccoli eventi atti ad accrescere la cultura della gastronomia che tanto ci ha resi 
celebri anche all'estero. Inoltre può farsi garante del rispetto dell’immagine dell’impresa sia dal 
punto di vista dell’efficienza che degli standard qualitativi.  
Il progetto presentato di seguito  è stato sviluppato nell’Enoteca-Ristorante- Bottiglieria 
“Ombre Rosse” che mi ha ospitato e dato modo di sfruttare le mie capacità organizzative per 
quattro  mesi. 
Proprio sullo analisi di questa realtà aziendale verranno approfonditi tutti i parametri 
fondamentali della gestione di un sistema ristorativo, fra cui la il business plan, l’analisi dei costi 
e dei ricavi, il budgeting, il menù engineering, l'implementazione del sistema HACCP , la 
rintracciabilità e infine  la valutazione dei risultati. Concluderò con una  mia proposta per nuovi 
progetti e suggerirò i giusti meccanismi di intervento per far fronte agli eventuali “abbagli” presi 
durante il percorso. 
L’obiettivo della tesi è altresì quello di sottolineare le mutevoli esigenze di un mercato 
che, nonostante il periodo sfavorevole, richiede un apporto sempre maggiore sia di qualità 
percepita che di servizio; l’attenzione è focalizzata in particolar modo sul contributo 
fondamentale del “Fattore Umano” che deve accompagnare la vendita del prodotto cercando di 
trasmettere quanto più possibile delle emozioni positive al cliente.
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Capitolo 1 Quadro generale della ristorazione 
 
1.Lo scenario attuale della ristorazione 
Il cibo è dovunque, attraversa la nostra vita quotidiana, scandisce i tempi delle giornate, 
plasma le abitudini, costella le nostre conversazioni, entra nei quotidiani, affolla le rubriche 
settimanali, trova uno spazio crescente nella rete, è veicolo di aggregazione. Lo provano i 
numerosi forum nati sul web in cui gli individui scambiano esperienze, dando vita a comunità 
strette dalla stessa passione,  da gusti condivisi e da saperi messi in comune. Il cibo 
contemporaneo riassume i tratti di un’epoca. È flessibile. Si adatta alle situazioni in cui è 
consumato, si intreccia con esse, dà luogo a variegati fenomeni di ibridazione, si scompone in 
porzioni sempre più piccole e trasportabili, si veste di forme diverse, si trasforma continuamente 
in “altro”: spettacolo, simbolo, cura, socialità, comunicazione.  Due approcci hanno segnato  le 
interpretazioni relative alle abitudini alimentari e al loro significato. L’approccio funzionalista e 
l’approccio culturalista. Fautore del primo approccio è Marvin Harris ( con il libro “Buono da 
mangiare”, 1990) che propone una chiave relativistica  per la comprensione delle culture 
alimentari. In quanto onnivori potemmo mangiare e digerire di tutto, ma in talune aree 
geografiche alcune cose vengono considerate un abominio culinario, mentre le medesime cose in 
altre aree del mondo sono considerate prelibatezze dai palati più fini ed esigenti. Marvin Harris 
analizza e spiega nel suo libro i tabù alimentari e in che modo la scelta di ciò che è buono sia 
fortemente condizionata da fattori economici, religiosi ed ambientali. Le cose definite “buone da 
mangiare” sarebbero quelle che, oltre a non fare male, risultano facilmente disponibili e più 
vantaggiose in termini  di rapporto fra calorie prodotte e calorie spese per ottenerle. Secondo 
Harris le scelte alimentari sono sempre determinate da un calcolo dei vantaggi e dagli svantaggi 
conseguenti: i vari regimi alimentari sarebbero i più pratici ed economici storicamente possibili 
in quelle determinate condizioni, poiché in ogni società i cibi preferiti sarebbero sempre quelli 
che fanno pendere la bilancia dalla parte dei benefici pratici rispetto a quella dei costi: di qui le 
abitudini alimentari, di qui la valutazione di determinati cibi come buoni o cattivi. Ciò che 
conviene mangiare assume un valore culturale positivo e diviene buono da pensare.  Sul secondo 
approccio si collocano le analisi avviate da Lévi-Strauss (1966) orientate all’interpretazione del 
ruolo simbolico del cibo come ponte tra natura e cultura. Prima che buono in bocca, il cibo di cui
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ci nutriamo deve essere buono per la testa. Il cibo costruisce materialmente il nostro corpo, ma 
anche il nostro modo emotivo, fonda i rapporti sociali, è inestricabilmente congiunto a credenze 
religiose, sistemi di valori. Il cibo è la manifestazione primaria della socialità. La condivisione 
del cibo in famiglia, in occasione delle feste e nella quotidianità, segna l’appartenenza delle 
persone alla stessa comunità. Proprio per questo il cibo è carico di dimensioni simboliche: basti 
pensare alla ricchezza di precetti e prescrizioni alimentari che accompagnano i riti e le feste in 
ogni religione. Il valore di nutrimento del cibo non è, perciò, tutto riposto nella necessità legata 
alla sopravvivenza o al funzionamento fisico del corpo, ma è strettamente connesso al primario 
processo di riconoscimento e di costruzione dell’identità individuale e collettiva. Il cibo, in tutte 
le culture viene associato al dono, è un segno di benvenuto: da sempre lo scambio di doni 
alimentari accompagna le ricorrenze collettive. Il cibo è un’importante occasione di socialità, 
come dimostra la pratica del mangiare fuori casa. Quasi due terzi del popolo italiano, per piacere 
o per business, si recano a mangiare fuori casa una volta al mese e quasi un terzo almeno una 
volta alla settimana. Il rito di vedere gli amici è associato ad una cena. Il cibo è un attività del 
free time che ha implicazioni economiche sempre più importanti per la ristorazione e il turismo. 
Quindi oggi l’offerta alimentare si trova a rispondere a fenomeni di individuazione dei ritmi di 
vita, di diversificazione dei luoghi e dei tempi di consumo. La destrutturazione delle abitudini  
alimentari tradizionali si fonda su processi di sociali già messi in evidenza. L’aumento del lavoro 
femminile, la crescente difficoltà di spostamenti nelle aree urbane, la scarsa disponibilità di 
tempo durante l’orario di lavoro inducono a consumare il pranzo fuori casa. Le scelte sono 
mobili, soggette a flussi di relazione, ma anche alle mode, oggi segnate dalla ricerca di soluzioni 
salutiste e sempre più spesso associate ad attività fisiche. Il cibo ha assunto una funzione che va 
oltre lo stesso piacere gustativo e che interseca l’esplosione di forme di socialità e di 
divertimento. Proprio il divertirsi ha acquisito una nuova legittimità sociale. La festa è lo spazio 
deputato all’emozione in un’epoca connotata dall’incertezza e dalla paura, lo spazio  in cui i 
singoli istanti possono trasformarsi in esperienze uniche e irripetibili, lontane dalla vita di ogni 
giorno. Nella nostra epoca le emozioni sono ricercate come una sorta di prova della propria 
vitalità e dell’appartenenza alla “ comunità che gode”. Emozioni e sensazioni divengono così il 
prodotto di attività ludiche, agognate in quanto le attività quotidiane ne sono povere e , nel 
contempo, relegate in momenti separati. L’attenzione all’alimentazione è in continua crescita,
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così come quella verso il proprio corpo e la propria salute. A questi bisogni si associa 
un’accresciuta ricerca della qualità igienica, nutrizionale e non ultima edonistica, degli alimenti 
che parallelamente ha determinato un aumento dei prezzi e, per molti una conseguente  riduzione 
del potere di acquisto. Ecco allora nascere o meglio rinascere l’attenzione verso “soluzioni” 
tradizionali come mercati rionali e prodotti dell’orto, dove i prezzi minori raggiungono il miglior 
compromesso tra qualità e genuinità. Alternative intelligenti sono anche la risalita della filiera da 
parte del consumatore, ovvero l’acquisto diretto dal produttore e l’associazionismo dei 
consumatori in gruppi d’acquisto solidali.  
 
 
 
1.1Caratteristiche e dimensione relazionale del consumatore 
Sono molte le caratteristiche che differenziano una cultura da un’altra. Vi è la lingua, la 
religione, il colore della pelle ed infine vi sono le abitudini alimentari che, al contrario di ciò che 
si può pensare a prima vista, sono un aspetto da non sottovalutare  in quanto il cibo, molto 
spesso, rappresenta una frontiera culturale simbolica, e tutto ciò  si può osservare ad esempio con 
i numerosissimi tabù alimentari. Il cibo soddisfa le esigenze di bisogno primario. Le stesse 
motivazioni pratiche, che condizionano le scelte alimentari, non sono più sufficienti da sole a 
giustificarle, soprattutto dopo che tali scelte si sono radicate nella tradizione di un popolo. Una 
parte del comportamento alimentare è determinata da stimoli che rispondono a valori di utilità, i 
quali dipendono da bisogni fisiologici; un’altra parte risponde sempre a “stimoli gratuiti”, i quali 
soddisfano bisogni culturali e dipendono dalle modalità con cui si accetta o si rifiuta il cibo. Il 
cibo può rappresentare una frontiera culturale simbolica ma allo stesso tempo il cibo segna dei 
confini ben precisi anche all’interno della stessa società. Per molti, queste regole sono 
fondamentali per definire la propria identità, in rapporto sia alla religione sia ai propri simili, e in 
pratica modellano la società in cui viviamo. Dal canto suo, il consumatore può essere considerato 
un individuo plurale in grado di attuare soggettivamente dei comportamenti diversi nella  logica 
e nel significato a seconda della natura del cibo e del contesto sociale in cui ci si trova. Le 
pratiche alimentari sono viste come il risultato dell’incontro fra un consumatore socialmente 
identificato, che si può descrivere ricorrendo alle categorie classiche della sociologia ( in termini  
di età, genere, livello di studio, etc.), una  situazione in un contesto sociale identificato ( tipo di
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condivisione, festiva o comune, in casa o fuori, pubblico o privato) e un  alimento  particolare 
intorno al quale si aggregano delle rappresentazioni all’interno di un universo socioculturale. 
Questi tre elementi costituiscono i vertici del “ triangolo del consumatore alimentare”, il quale a 
sua volta varia nello spazio sociale e nel tempo. L’atto del consumo non è isolato, anzi il 
consumo esprime spesso la ricerca di una nuova dimensione comunitaria  e di relazioni. I 
consumatori cercano di ricostruire attraverso i consumi i propri legami sociali dando vita a vere e 
proprie “tribù” formate da persone che condividono lo stesso interesse per un determinato 
prodotto e ogni individuo può appartenere a diverse comunità di consumo.  In una  società che 
riduce le relazioni affettive più ovvie il consumo ha la forza di proporsi come elemento  di 
ricongiungimento. Il mangiare fuori casa non è solo un elemento funzionale ( cioè abbiamo 
meno tempo  e voglia), si interpreta come risposta alla ricerca di legami sociali, cioè i riti del 
passato ( matrimonio, pranzo della domenica, sagra del paese, uccisione del maiale, mensa). 
Molto importante per la ristorazione commerciale è il valore della tradizione. Il consumatore 
oggi cerca un prodotto su misura, cioè far si che il cliente pensi che sia fatto per lui (In uno 
spezzone de film “La vita è bella”  il cameriere Guido riesce a vendere l’unica cosa presente in 
cucina con straordinaria abilità facendo in modo che la pietanza proposta sia personalizzata per il 
cliente).  Oggi la personalizzazione del prodotto/servizio offerto è interpretare il desiderio del 
cliente e fargli credere che è fatto su misura per quest’ultimo. Il consumatore vuole risparmiare 
tempo, perché il consenso si presenta come forma di “ accesso”, di protagonista di un “affitto” 
per l’utilizzo temporaneo del prodotto stesso o di una esperienza. Anche la dimensione 
dell’impatto ambientale deve essere un  più controllato ( menù a Km zero). Infatti, fra i 
consumatori italiani si accresce la   sensibilità riguardanti all’ambiente a parità di prezzo, se 
incide sul prezzo esalta la sensibilità. Quando il consumo non è visto come bisogno bensì come  
desiderio allora si passa dalla sfera della ragione a quella dell’emozione e quando la qualità 
sperimentata delude il consumatore cresce il sentimento di rabbia, perché la consapevolezza di 
aver preso una fregatura lede l’autostima.  Attraverso l’implementazione di strategie di 
marketing, il ristoratore quindi, punta a conferire alla propria offerta un’immagine distintiva, in 
modo da acquisire la preferenza dei consumatori ed incrementare la fedeltà della clientela. Le 
principali leve di marketing sulle quali il ristoratore può investire, riguardano: il layout del
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locale, il menù; il prezzo medio del pasto, il personale, la cura nella preparazione dei piatti e 
della tavola. 
 
 
1.2 Il governo delle PMI 
Le PMI (piccole e medie imprese)  non sono semplicemente una versione ridotta di una 
grande impresa. È invece una realtà aziendale con caratteristiche peculiari, per la quale non 
sempre è possibile applicare, neppure in scala ridotta, i principi manageriali pensati per le grandi 
imprese. In Italia su 3.947 imprese presenti nel 2010 il 94,3%  ha meno di 9 addetti, il 5,1% 
appartiene alla classe 10-49 addetti, lo 0,5% è compreso tra 50-249 addetti e solo lo 0,1% può 
essere definito grande impresa. I dati sono in linea con i 27 Paesi dell'UE. La classificazione 
ufficiale delle imprese adottata dall'Unione Europea è basata su un metodo misto, che considera 
simultaneamente: 
1. Il numero di addetti : 
1. Micro- aziende fino a 9 dipendenti; 
2. Piccole tra 10 e 49; 
3. Medie tra 50 e 249; 
2. Il volume di ricavi: 
1. fino a 2 milioni di € per le micro; 
2. fino a 10 milioni di € per le piccole; 
3. e fino a 50 milioni di € per le medie; 
3. Il  valore dell'attivo patrimoniale: 
1. fino a 2 milioni di € per le micro; 
2. fino a 10 milioni di € per le piccole; 
3. fino a 43 milioni di € per le medie. 
Le imprese che eccedono tali parametri sono classificate come grandi. Inoltre per essere 
considerate PMI  devono  rispettare anche il “criterio di indipendenza”, cioè non possono essere 
partecipate per il 25% o più del capitale sociale da una o, congiuntamente, da più imprese che 
superino i parametri fissati per le PMI. Le differenze organizzative, strategiche e della gestione 
delle PMI rispetto alle imprese di dimensioni maggiori sono ravvisabili in molteplici aspetti
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inerenti l'assetto e la gestione aziendale. A volte tali differenze giocano a favore- in genere la 
piccola dimensione rende le organizzazioni più rapide nel cambiamento, più flessibili, più capaci 
di adattamento, - mentre altre volte le svantaggiano fortemente rispetto alle grandi imprese- per 
esempio la scarsità delle risorse finanziarie e le competenze manageriali. 
 
1.2.1. Gestione e strategie di sviluppo  
Le strategie di sviluppo e la gestione  finanziaria sono fortemente condizionate 
dall'assetto istituzionale della PMI e in particolare dalla stretta relazione tra la famiglia 
proprietaria e l'impresa, accompagnata spesso dalla difficoltà strutturale di accesso al credito. La 
natura familiare, infatti, connota la massima parte di queste imprese. Il governo di tali imprese 
deve confrontarsi con alcune caratteristiche specifiche, che non riguardano quelle grandi. I 
caratteri tipici, delle imprese di dimensioni minori,  evidenziano sia l'assetto strategico che quello 
organizzativo. Tali caratteri sono: 
1.Natura imprenditoriale (l'attività di governo aziendale è svolta dalla proprietà di solito 
una persona o in numero ristretto); 
2. Assetto organizzativo semplice (non troppo formalizzato, la divisione del lavoro è 
in modo dinamico che rende queste imprese flessibili, capaci di modificarsi velocemente e più 
facilmente rispetto alle grandi imprese); 
3.Strategie competitive più ristrette (in genere operano in ambiti competitivi meno ampi, 
tendono ad adottare strategie di focalizzazione, combinando le loro attività al fine di dare vita a 
una catena di valore ad hoc per specifici segmenti di clientela); 
4. Carattere familiare della proprietà e della  gestione (solitamente l'assetto proprietario è di 
tipo familiare, che evidenzia la totale coincidenza tra proprietà e governo nelle mani dei membri 
di una famiglia. Bisogna individuare e mantenere un rapporto virtuoso tra i rapporti tra i bisogni 
e le dinamiche tipiche dell'organizzazione aziendale e quelli che governano l'agire dei membri 
della famiglia proprietaria. Compito non sempre facile e soggetto a criticità che possono mettere 
a rischio la continuità stessa dell'impresa nel tempo).